Carissime/i,
dopo l’incontro fatto il 3 maggio alla libreria Les Mots sulla Campagna internazionale di solidarietà e per la liberazione delle prigioniere politiche in India, mi sono sentita in dovere di scrivere ad alcune nostre autorità perché possano intervenire. Se siete d’accordo potete inviare anche voi un fac simile del testo che segue, alle autorità accennate, ma anche a singoli deputati, senatori, autorità di vostra conoscenza. E’ importante, secondo me, far conoscere il problema. Vi ringrazio della vostra attenzione.
Amalia
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Da: Amalia Navoni [amalia.navoni@gmail.com]
Inviato: mercoledì 18 maggio 2022 23:30
A: dimaio_luigi@camera.it
Cc: presidente@pec.governo.it; segreteriatecnica.ministro@interno.it; ministro.segreteria@beniculturali.it; SegreteriaGabinettoPresidente@Senato.it; (a Roberto Fico ho scritto direttamente sul suo sito perché non ho trovato nessuna mail)
Oggetto: donne indiane prigioniere politiche
Spett. ministro degli esteri , on.Luigi Di Maio
Pc.: spett. Presidente del Consiglio, on.Mario Draghi
pc.: spett. ministro dell’Interno, on.Luciana Lamorgese,
pc.: Spett. ministro della Cultura, on.Dario Franceschini,
Pc.: Spett. Presidente del Senato, on. Maria Elisabetta Alberti Castellati
Pc.: spett. Presidente della Camera dei deputati, on.Roberto Fico
Oggetto: donne indiane prigioniere politiche
Mi rivolgo a Lei, on Luigi Di Maio, perché è appena stato in India e potrebbe interloquire con il Primo ministro dell’India, Narendra Damodardas Modi. Spero comunque che tutte le autorità indicate possano interessarsi del problema. Ho partecipato in questi giorni a Milano ad una conferenza in cui si è parlato delle tante donne che sono prigioniere politiche in India, dove viene portata avanti una feroce e ampia repressione per imporre gli interessi economici sul diritto alla vita delle popolazioni indigene Adivasi e Dalit”. Negli ultimi anni, in particolare nel 2021 si è accentuata la politica di sterminio delle prigioniere e dei prigionieri politici. La repressione e la carcerazione sono aumentate, così come pure le denunce di aggressioni sessuali e violenza contro le donne prigioniere. Un vero sterminio che si sta consumando in India nel silenzio totale dei media con la complicità di tutti i Paesi, compresa l’Italia. Le grandi aziende indiane e internazionali, appoggiate dal governo centrale, muovono guerra soprattutto alle popolazioni Adivasi, attraverso l’uso di militari e paramilitari, per costringerle ad abbandonare la loro terra ed impiantarvi miniere e fabbriche inquinanti.
Le più colpite da questa repressione sono soprattutto le donne, che in prima linea lottano contro le ingiustizie di classe, di casta, contro le discriminazioni e le violenze sessuali, contro leggi razziali e la pulizia etnica, contro la militarizzazione dei villaggi, la privatizzazione e lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle multinazionali a cui il governo svende non solo il territorio, ma anche gli Adivasi che lo abitano, costringendoli di fatto ad abbandonare le loro terre ancestrali. Verso le donne questa repressione si accanisce in modo particolare, unendo la violenza delle armi della polizia e dell’esercito a quella degli stupri e delle torture sessuali, usate come armi di guerra.
Nell’ultimo decennio 477 donne detenute sono morte all’interno del carcere. Oggi migliaia di donne stanno deperendo nelle carceri, non vengono trattate come esseri umani, sono trattenute con false motivazioni, violentate e torturate da agenti di polizia. Numerose falsità sono state imbastite dalla polizia di ogni stato del subcontinente indiano per colpire le donne che sono state attive in prima linea nella protezione delle risorse naturali.
Attiviste come Soni Sori e Sudha Bharadwaj, attiviste per i diritti forestali come Sukalo Gond, Rajkumari, Kismatiya, donne di Narmada Bachao, donne Andeolan nel Kudankulam, donne Adivasi , attiviste culturali come Sheetal Sathe sono tra le tante che continuano ad essere perseguitate quotidianamente dal governo indiano perché proseguono nella loro lotta per la sopravvivenza delle comunità emarginate degli Adivasi e dei Dalit.
Oltre alla violenza fisica e sessuale, le donne anche in carcere sono strutturalmente discriminate rispetto agli uomini sia per quanto riguarda l’accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, sia per quanto riguarda il vitto carcerario, sia per le esigenze igienico-sanitarie specifiche legate al ciclo mestruale, alla gravidanza, alla nutrizione della prole. Molte donne infatti vivono in carcere con i propri figli, spesso concepiti durante gli stupri in custodia della polizia. (“ women in Resistance, Women in Prison”Delhi,18/01/19: https://cjp.org.in/women-prisoners-recount-jail-horror-stories/).
Confido che Lei, on. Luigi Di Maio, e tutte le autorità in indirizzo possiate intervenire con le modalità che riterrete più opportune ed efficaci.
Cordiali saluti
Amalia Navoni, ex consigliera di zona 8 Milano.
PS: ho tratto queste notizie anche dal fascicolo “ India prigione dei popoli Libertà per tutte le prigioniere politiche”.
https://femminismorivoluzionario.blogspot.com
AmaliaNavoni
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