26/11/20

Tutte le lotte delle lavoratrici sono "nostre": SE LOTTA UNA LOTTANO TUTTE! Solidarietà e unità di tutte le lotte della lavoratrici per essere più forti!

Il 25 novembre le lavoratrici di Palermo, che hanno partecipato alle nostre assemblee, sono state impegnate in un duro presidio, durante il quale hanno bloccato un assessore, e imposto una lunga trattativa sindacale che verrà firmata settimana prossima per la loro riassunzione da parte della cooperativa entrante.
In questo 25 novembre nessuna di noi è rimasta in casa, le lotte non si sono fermate, come per le lavoratrici precarie igienico-personale di Palermo, per le lavoratrici delle pulizie degli hotel di Milano, le operaie della Yoox di Bologna, ecc.

Milano, hotel Gallia: chi c’è dietro gli appalti?

Lavoro a cottimo, titolari di imprese che spariscono e prestanome che compaiono, lavoratori lasciati nel nulla

Questa storia nasce tra i corridoi dello storico Excelsior Gallia di Milano, hotel extra lusso che si affaccia su piazza Duca d’Aosta, davanti alla Stazione Centrale. Il listino prezzi dell’albergo – base d’appoggio privilegiata da molte celebrities – parte dai 330 euro a camera fino ad arrivare a 1.000, per non parlare della Katara Royal Suite, 1.000 metri quadrati di sfarzo a 20.000 euro a notte. Ebbene: il Gallia appalta la pulizia delle 235 camere a un’impresa esterna, la Ho Group srl, pagando i lavoratori, di fatto, a cottimo. A marzo, con la prima ondata di Covid-19 e il successivo lockdown, l’hotel chiude e gli 80 lavoratori rimangono a casa. L’appalto salta, i proprietari di Ho Group – al centro di un intricato giro di società srl, che vedremo – spariscono (forse…), lasciando gli 80 lavoratori nel nulla, e il 26 ottobre il Gallia riapre affidando l’appalto a un’altra impresa. Ma qui, la vicenda si fa ancora più incredibile…

Il lusso del cottimo

Maria (nome di fantasia, a garanzia dell’anonimato) è nata in un paesino del Sudamerica, e da qualche anno lavora come cameriera ai piani tra le stanze del Gallia. Il suo datore di lavoro, però, tuttora è Ho Group, con cui ha un contratto a tempo indeterminato. “Abbiamo un normale contratto a ore”, spiega Maria, “ma è risaputo che negli hotel non ti pagano mai a ore, ti pagano a stanze. Quindi se noi impieghiamo otto ore per pulire cinque camere, veniamo pagate il tempo assegnato per le cinque camere: per le suite ti danno 55 minuti, per tutte le altre 42. Che la camera sia sporca, pulita, che sia come sia, abbiamo 42 minuti. Tutto il tempo in più non ci viene pagato. Ci sono persone che rimangono in hotel anche undici ore ma vengono pagate otto. Perché 42 minuti non sono mai sufficienti, neanche per la camera più piccola, a meno che il cliente non sia uno di quelli che viaggia per lavoro, che dorme e appoggia le sue cose e niente altro: in questo caso ci mettiamo 40 minuti”.

L’appalto è fittizio, in quanto la gestione del servizio è solo formalmente affidata in autonomia alla società esterna. Racconta Maria: “È l’hotel che stabilisce la tempistica per la pulizia e la comunica a Ho Group: se per tagliare i costi il Gallia decide: «Da domani questa camera sono dieci minuti in meno», noi dobbiamo arrangiarci e cercare di stare dentro questi termini”. Lavoro a cottimo perché, di fatto, ai fini della retribuzione in busta paga viene conteggiato solo il tempo prestabilito per la pulizia della camera, escludendo i momenti ‘morti’: “Il tempo che impiego ad arrivare ai piani non mi viene pagato, il tempo per riempire il carrello con le lenzuola, gli asciugamani, i bagnoschiuma e tutto il resto non mi viene pagato, neanche per il passaggio tra una camera e l’altra vengo pagata”. Non solo. “Quando finiamo una camera” continua, “arriva il nostro supervisore a ispezionarla, dopodiché passa a controllare anche la governante dell’hotel Gallia, e se la stanza presenta qualche difetto viene segnalato a Ho Group che quella camera non gli verrà pagata. Magari noi ci abbiamo messo un’ora a pulirla e manca una penna, e l’hotel Gallia non paga. Poi però mette la penna e assegna la camera a un cliente, ovviamente, e noi ci ritroviamo un’ora di lavoro non pagata per una penna, per una cravatta non piegata o una ciabatta non allineata bene. Mi è successo personalmente, non sto scherzando”.

La convenienza del Gallia nell’appaltare la pulizia delle camere a una società esterna è evidente: meglio avere manodopera a cottimo piuttosto che lavoratori assunti direttamente con un normale contratto a paga oraria. Una pratica non certo nuova, in tanti settori e non solo in quello alberghiero – dalla logistica alla manifattura – e che ha visto proliferare il mondo delle cooperative e delle srl. Una pratica che permette al committente – l’hotel, in questo caso – anche di utilizzare personale qualificato senza farsi carico di nulla: non solo ferie, permessi, malattia, infortuni, maternità ecc. non lo riguardano, ma nemmeno i licenziamenti o l’accesso alla cassa integrazione. Nel momento in cui non ha più necessità dei lavoratori, infatti, al committente basta sospendere o chiudere l’appalto, oppure chiedere alla società esterna meno personale. Esattamente ciò che ha fatto il Gallia a marzo scorso: causa Covid l’hotel ha chiuso, e da quel momento le vicissitudini dei lavoratori non lo hanno riguardato. ‘Non sono alle mie dipendenze’, ha sempre risposto l’albergo alla richiesta del sindacato di un incontro per risolvere una situazione che, come vedremo, si è rivelata particolarmente intricata.

Questo è il Gallia, quindi: camere da 1.000 euro a notte da una parte, lavoratori a cottimo dall’altra.

Sai quello che perdi, non sai chi ti ritrovi

Il 26 ottobre il Gallia riapre le porte. Maria, come abbiamo visto, ha in mano un contratto a tempo indeterminato con Ho Group ‘presso il Gallia’, così è scritto, ma non viene richiamata a lavorare. “Si sa che il Gallia ha preso lavoratori da altri alberghi”, ci racconta il 24 ottobre Simonetta Sizzi, rappresentante sindacale Si Cobas che sta seguendo in prima persona l’evolversi della situazione, “mentre tutte le lavoratrici e i lavoratori di Ho Group presso l’hotel Gallia sono in cassa integrazione da marzo. Con Ho Group ci siamo incontrati a luglio e ci hanno detto di aver perso l’appalto, che era subentrata un’altra società, la Keep Up, con la quale non siamo riusciti ad avviare un confronto né ha mai risposto alle nostre PEC. Tutto questo è avvenuto senza avvisare i sindacati e soprattutto escludendo 80 lavoratori”. Il Si Cobas ha avanzato “varie richieste di incontri in prefettura a cui né Ho Group né il Gallia si sono presentati. Ho Group è proprio sparita, nel senso che il responsabile legale non si sa che fine abbia fatto” conclude Simonetta Sizzi.

Torniamo allo scorso luglio, precisamente al 17 luglio, poco prima che gli 80 lavoratori perdessero le tracce del loro datore di lavoro: “Ho Group ci ha fatto chiamare, dicendoci: «Guardate, noi non abbiamo soldi, non abbiamo neanche l’appalto, non abbiamo niente ma vi vogliamo bene»” racconta Maria, “hanno detto tante belle parole e di essere preoccupati per noi, e ci hanno proposto di firmare una conciliazione tombale: volevano che ci licenziassimo, dicevano che così avremmo preso la disoccupazione, promettendoci che avremmo avuto la nostra liquidazione a partire da gennaio 2021, perché in quel momento non avevano soldi”. Questa non era però l’unica promessa messa sul tavolo. “Alcune ragazze hanno firmato l’accordo” continua Maria, “e anche un foglio su cui era scritto che se una certa Keep Up avesse preso l’appalto con il Gallia, le avrebbero richiamate a lavorare a settembre. Erano convinte di aver fatto bene, appunto perché così prendevano la disoccupazione, visto che la cassa integrazione per noi è bassissima. Ma il Gallia ha riaperto e nessuna delle ragazze che ha firmato il tombale è stata richiamata”.

“Praticamente le hanno costrette” sottolinea Simonetta Sizzi, “non hanno neanche fatto leggere quello che stavano firmando: le hanno chiamate da un giorno all’altro e hanno detto: «Firma oppure non sarai più riassunta». Ho Group non ha pagato neanche la maternità a tre lavoratrici: sembra che non abbia pagato contributi o altre cose…”

Insomma, che fine ha fatto Ho Group?

A, B, M

Sauro Anceschi è nato in un paesino dell’Emilia Romagna nel lontano 1934 e dopo anni vissuti in mezzo ai cantieri edili (con la Anceschi strutture srl), nei magazzini del commercio all’ingrosso di materiali edilizi (IAMA Solutions srl), negli stabilimenti delle fabbriche di rubinetti e valvole (M.M.V.I. srl) e strutture metalliche (A.G.S. snc di Anceschi e Proserpi), nell’elaborazione dati (Suoni srl) e dopo una capatina a Londra (E.Net srl) e una in Slovacchia (Lumenor s.r.o.), decide di reinventarsi nel mondo dell’hotel outsourcing. È il 24 luglio 2020 quando Anceschi sbarca a Milano, acquista la quota maggiore (34%) di Ho Group e si addentra nella giungla delle esternalizzazioni dei servizi alberghieri; lo accompagnano in questa nuova sfida l’esperienza di Djambasova Jecova Snejanca (classe 1946) e Debout Claudine (classe 1943), che entrano in società con il 33% a testa.

Veniamo alla controparte delle tre acquisizioni: Anceschi ha acquistato le quote da François Attardo, Djambasova da Giovanni Borriello e Debout da Vincenzo Monteleone. Attardo, Borriello e Monteleone sono i nomi ricorrenti di una galassia di srl di cui posseggono quote e/o nelle quali ricoprono o hanno ricoperto diverse cariche. La galassia è talmente intricata che, solo per le società che qui ci interessano, occorre ricorrere a mappe concettuali per raccapezzarsi, mentre rimandiamo a una tabella in coda all’articolo per un elenco storico delle varie imprese facenti capo ai tre attivi imprenditori. Qui cerchiamo di semplificare.

Fonte: Registro imprese

Nel 2013 Attardo, Borriello e Monteleone sono i tre soci di Ho Group; contemporaneamente sono anche i soci unici di altre tre società: Attardo per la AMB Group srl, Borriello per la BMA Team srl e Monteleone per la MBA Jobs srl. Ho Group e le tre società possiedono rispettivamente il 96% e, ciascuna delle tre, l’1% di HPoint SL (società consortile a responsabilità limitata); di conseguenza Attardo, Borriello e Monteleone possiedono anche il 99% di HPoint. Questo fino al 24 luglio, quando vendono ad Anceschi (e alle due compagne di avventura) non solo Ho Group ma anche AMB, BMA e MBA, e quindi anche HPoint.

Nel mezzo dell’estate ritroviamo perciò la galassia di società attiva nell’hotel outsourcing non più in mano a A, B e M ma al signor Anceschi – 86 anni, che diviene presidente del CdA di tutte le imprese – e alle relative socie – di 77 e 74 anni. Sorge spontaneo, a questo punto, chiedersi se non siamo davanti a tre prestanome – ne hanno tutta l’aria – dietro cui ancora si muovono Attardo, Borriello e Monteleone, senza nulla rischiare – visto che pare non abbiano pagato nemmeno i contributi. Oppure, è altrettanto lecito chiedersi se la mossa non sia il primo passo verso la dichiarazione di fallimento di Ho Group, che lascerebbe 80 lavoratori nel nulla. Si trascinerebbe dietro anche HPoint? E AMB (92 dipendenti al 30 giugno 2020, secondo i dati del Registro imprese)? E BMA (41 dipendenti)? E MBA (21 dipendenti)?

C’è un’altra questione, poi: questa Keep Up nominata a luglio, chi è?

Non i due e neanche i tre, ma il quarto vien da te

Keep Up spa è un’impresa costituita nel 2018, attiva dal 29 luglio 2020, che fa capo ad Andrea Grisolia – amministratore e socio unico di STF srl, che dal 1° luglio scorso detiene il 70% di Keep Up. Dopo l’ennesimo presidio del Si Cobas e dei lavoratori davanti al Gallia, il 29 ottobre, proprio Grisolia ha accettato di incontrare il sindacato. Ha affermato che Keep Up ha preso l’appalto del Gallia per la pulizia delle camere e ha proposto lo stesso schema messo sul tavolo a luglio da Ho Group: i lavoratori dovrebbero licenziarsi da Ho Group, così Keep Up potrebbe assumerli. Da noi contattato telefonicamente, Grisolia ha affermato di stare facendo tutto quanto in suo potere “per risolvere la situazione nel modo migliore possibile” e salvaguardare “l’occupazione per tutti”, nonostante il momento critico che vivono gli alberghi; ha affermato che Keep Up non ha alcun legame con Ho Group; ha affermato di conoscere Attardo, Borriello e Monteleone ma di non avere legami con loro (“tante persone si conoscono in questo mondo…”, dice Grisolia); ha affermato in particolare, su nostra domanda, di non avere legami con Borriello.

Fonte: Registro imprese

Davvero Keep Up è altra cosa rispetto a Ho Group, o siamo ancora davanti al gioco delle tre carte? Facciamo un passo indietro e torniamo ai nostri A, B e M. Nel 2018 i tre sono soci in HPoint srl – un’altra società, non HPoint SL che abbiamo già incontrato –; il 1° luglio 2020 la società cambia nome e forma giuridica e diviene la nostra Keep Up spa. Grisolia al telefono conferma infatti di aver “rilevato” la società ma ribadisce che Keep Up è una nuova impresa, ricapitalizzata e senza legami con la galassia A, B e M. Eppure punti di contatto ce ne sono altri.

Nel 2019, Attardo, Borriello e Monteleone possiedono ciascuno il 31% di Semplice Service srl, e il restante 7% è in mano a Morena Mazzoleni la quale, stando al suo profilo Linkedin, da marzo 2015 ricopre anche il ruolo di responsabile amministrativo di HPoint SL (società ora in mano ad Anceschi, Djambasova e Debout); e il 1° luglio 2020, Mazzoleni è divenuta anche proprietaria del 30% di Keep Up.

In aggiunta, Grisolia siede nel CdA di Iron srl, società attualmente inattiva e nella quale Borriello è presidente, situazione confermata dallo stesso Grisolia al telefono.

Fonte: Registro imprese

Unisci i puntini

Facciamo il punto: A, B e M il 1° luglio 2020 vendono HPoint srl a Grisolia e alla Mazzoleni, i quali la trasformano in Keep Up spa e contestualmente, stando al Registro imprese, ne modificano il codice Ateco e l’attività prevalente, che passa da “servizi di disinfestazione e sanificazione” a “corsi di formazione e aggiornamento professionale”; il 17 luglio avviene l’incontro tra Ho Group e i lavoratori con la proposta di conciliazione, e in rappresentanza di Ho Group, racconta Maria, si presentano Borriello e Attardo: sono loro a proporre il tombale e a parlare dell’entrata in scena di Keep Up come impresa titolare di un nuovo appalto con l’hotel Gallia. Certo, è quantomeno singolare che due settimane dopo aver venduto la società, Borriello e Attardo se ne facciano portavoce: a che titolo lo fanno se, come ci ha detto Grisolia, Keep Up spa è una società rilevata, ricapitalizzata e non ha alcun legame con A, B e M? Anomalo anche che un’impresa con un codice Ateco per corsi di formazione, divenga titolare di un appalto di pulizie presso un albergo. Comunque sia, quasi tutti i lavoratori rifiutano di firmare la conciliazione tombale e rimangono dunque dipendenti di Ho Group. E il 24 luglio A, B e M vendono Ho Group e le tre società AMB, BMA e MBA (e dunque anche HPoint SL) a un uomo di 86 anni, il signor Anceschi, e a due donne rispettivamente di 74 anni (Djambasova) e 77 anni (Debout). Segue il silenzio.

Attardo, Borriello e Monteleone da quel momento risultano irreperibili. Da marzo a settembre, 80 lavoratori possono fare affidamento, con due mensilità di ritardo, solo su una cassa integrazione di circa 300 euro al mese, come dimostrano le buste paga di Maria. “La CIG è scaduta a settembre e non l’hanno rinnovata: ora non prendiamo nulla. Ci sono ragazze in maternità che da giugno non vengono pagate, e l’Inps ha detto che non può far nulla perché secondo loro questi soldi li hanno già dati, sono già stati conguagliati da Ho Group. Abbiamo chiamato i numeri di telefono di Ho Group, abbiamo provato con le email, siamo andati al loro indirizzo ed è chiuso… zero totale”.

Infine, ecco che sul finire di ottobre compare Grisolia con la Keep Up: afferma di avere l’appalto del Gallia e chiede ai lavoratori di licenziarsi da Ho Group con la promessa di riassumerli in Keep Up. La stessa promessa fatta a luglio da Borriello e Attardo.

Ma “ora che Ho Group è sparita, i soldi che ci deve dove andiamo a prenderli?” chiede Maria. Una domanda che andrebbe posta al signor Anceschi, new entry dell’hôtellerie di lusso (ci abbiamo provato, ma è stato impossibile rintracciarlo). O, perché no, a Grisolia e alla Mazzoleni, new entry al Gallia. O direttamente al Gallia, committente dell’appalto. O potrebbe essere, chissà, che la risposta ce l’abbiano solamente Attardo, Borriello e Monteleone se solo non fossero spariti nel nulla, in un posto lontano lontano. Ma che forse è più vicino di quello che sembra.

Fonte: Registro imprese
AI TEMPI DEL COVID ALLA YOOX SI SCIOPERA



Era il 2014 quando un gruppo di lavoratrici donne, per lo più giovani e straniere dimostrò con forza e determinazione di non voler più sottostare a condizioni di sfruttamento sul lavoro. Emerse in quella lotta come il sistema degli appalti e delle finte cooperative fosse essenziale alla massima ricerca del profitto portata avanti dalle multinazionali nel grande business della logistica.Emersero oltre alle tante irregolarità anche le molestie che i “padroni delle cooperative” si sentivano in diritto di agire su quelle lavoratrici che consideravano loro sottomesse.Era il 2017 quando Yoox mise in atto un parziale piano di internalizzazione con il quale assumere direttamente parte di quelle lavoratrici in appalto. Una parte di loro rimase esclusa e continuò a rimanere assunta presso la famigerata cooperativa Mr. Job. Era il 2019 quando Mr.Job iniziava un fallimento che avrebbe lasciato centinaia di lavoratori e lavoratrici senza il pagamento di liquidazioni, Tfr e migliaia di euro versate in quote sociali. Yoox era responsabile in solido ma pagò solo una parte di quello che avrebbe dovuto. Il Tfr accumulato negli anni è rimasto bloccato nei meandri delle lungaggine legate alle procedure fallimentari.Le facchine passarono a nuovo appalto con Lis Group. L'appalto impiegava perlopiù donne e organizzava il lavoro in un turno unico corrispondente all'orario centrale della giornata. Su questo oraro centinaia di lavoratrici hanno organizzato le proprie vite. Il 2020 porta con sé una pandemia che insieme alle terribili conseguenze sanitarie ha un costo sociale altissimo. Ancora una volta a farne le spese maggiori saranno le classi sociali più indigenti,le categorie più esposte alla precarietà, le donne.Alla Yoox vengono stabilite nuovi turni e cancellato il turno centrale. La ragione si richiama all'emergenza sanitaria, tuttavia l'azienda fa sapere che cessato il momento transitorio solo in poche potranno riacquisire i propri turni. In molte decidono di licenziarsi da sole non riuscendo più a coniugare il già complicato equilibrio tra esigenze di cura e lavoro. E sono ricacciate nelle case,espulse dal mercato del lavoro ai tempi del Covid. Quelle che restano provano in ogni modo a resistere. Le scuole chiuse, i figli da gestire, mariti in cassa integrazione, la necessità di lavorare, congedi offerti al 30 o al 50 %, la paura di ammalarsi e di contagiare i propri cari.Intanto il lavoro aumenta, l'E – Coomerce al tempo del Covid viaggia veloce, i profitti raddoppiano,ma il colosso del fashion on line Yoox Net – a – porter , nei suoi appalti massimizza l'efficienza produttiva, riducendo le pause durante l'attività lavorativa. L'azienda ritiene in questo modo di salvaguardare maggiormente la salute dei lavoratori evitandogli l' occasione di assembrarsi. Seguono la stessa logica l'approvazione di ferie e permessi, per i quali l'azienda richiede alle lavoratrici di fornire spiegazioni personali , in modo da giudicarne le ragioni e poter procedere a chi concedere un diritto e a chi no. Ai tempi del Covid le efficienze produttive dell'e-commerce pesano sulle vite di migliaia di lavoratori. Ai tempi del Covid le donne pagano ancora una volta il prezzo più alto. Ai tempi del Covid le donne del Sicobas ancora una volta sono pronte a lottare.

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