29/11/20
Se Eddi è ritenuta pericolosa in quanto capace di maneggiare armi, perché non arrestano tutte le guardie?
27/11/20
Engels - domani evento telematico
DAL COMUNICATO DELL'ASSEMBLEA NAZIONALE DONNE/LAVORATRICI DEL 19 NOV.
"...per armare testa, cuore e braccia della donne, per una concezione scientifica della condizione delle donne contro concezioni idealiste piccolo borghesi... cominciamo da Engels, di cui il 28 novembre cade il 200° anniversario della sua nascita, che con il libro "L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato" ha posto le basi storico materialistiche dell'origine della condizione di subordinazione della donna, ma anche del suo superamento...".
Invitiamo tutte DOMANI 28 NOVEMBRE, DALLE ORE 16 a partecipare, intervenire all'incontro telematico in occasione del 200° anniversario di F. Engels
per collegarsi: https://meet.google.com/ttp-vfog-idi
Per info o problemi tecnici nel collegamento: 3475301704 (Margherita)
Le donne messicane incendiano le piazze contro violenze sessuali, patriarcalismo, contro Stato e governo!
La violenza rivoluzionaria di massa delle donne forza motrice del cambiamento!
Movimento femminista proletario rivoluzionario - Italia
Mexico: Fire and Flames to Patriarchy
Dal 25 al 28 novembre in varie città vi sono state varie iniziative contro la violenza sulle donne
Le conseguenze del lockdown si misurano nei dati della violenza domestica destinati ad aumentare ancora con le nuove misure di confinamento. I centri anti-violenza femministi e le case rifugio hanno dovuto fare fronte a un'emergenza nell'emergenza per non lasciare nessuna da sola. È sempre più urgente fare sentire la nostra voce contro l’aumento vertiginoso di stupri, femminicidi, violenze domestiche e omolesbobitransfobiche che ha segnato i mesi di questa pandemia. la famiglia e la casa sono più che mai luoghi di oppressione e di conflitto, così come tribunali e ospedali sono luoghi di violenza istituzionale. I cimiteri dei feti ne sono l'emblema.
...La pandemia ha messo in luce il nesso oppressivo tra la violenza economica e il lavoro di cura. Lo smartworking ha spostato in casa il lavoro di molte mentre il lockdown aumentava quello di cura e domestico. il lavoro nell'assistenza sanitaria e domiciliare, nei servizi, nell'educazione e nelle case si si è rivelato ancora una volta il più essenziale ma anche il più precarizzato, svalutato ed esposto a rischi di contagio: sono in maggioranza le donne a essere impiegate nei servizi essenziali, quelli che non possono essere svolti «in remoto» e sono andati avanti, obbligando lavoratrici e madri a un’impossibile conciliazione tra lavoro e famiglia, tra salario e salute. Sono le donne, le persone lgbtqia+, migranti, precarizzate e non garantite a pagare la crisi, aumentando dipendenza economica e fragilità sociale. Il razzismo istituzionale ha avuto effetti pesantissimi sulle condizioni di vita e lavoro delle persone migranti, e la vergognosa sanatoria destinata ai lavori essenziali ha confermato il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro che intensifica lo sfruttamento, ancora di più se lavorano nelle case.
...Il ricorso sistematico al lavoro gratuito precario o malpagato non è corrisposto a nessuna misura di sostegno al reddito e al salario, di inclusione al welfare, di sostegno alla cura dei bambini e degli anziani nel collasso del sistema socio-santario e scolastico.
...Le scuole sono diventate luoghi di tensioni grandissime, a causa di una riapertura giocata sui banchi a rotelle anziché sulla trasformazione delle condizioni di lavoro di insegnanti, madri e lavoratrici, e dell’istruzione di bambin*. Mentre gli ospedali pubblici sono di nuovo al collasso per scarsità di personale e di mezzi, la sanità pubblica ha sospeso e affidato al privato l'ordinaria attività di assistenza per reggere all'onda d'urto dei contagi: la prevenzione e le cure oncologiche, il sostegno psichiatrico, le terapie ormonali per le persone trans, l'accesso all'aborto, già ostacolato dall’obiezione di coscienza, non ritenuti urgenti sono stati ulteriormente limitati dal sovraccarico degli ospedali. Garantire il diritto alla salute per tutt* è impossibile se non si ripristina il sistema sanitario pubblico territoriale, se non si chiude con l'aziendalizzazione e la privatizzazione della sanità pubblica e la precarizzazione del personale socio-sanitario. Così come la vittoria sulla RU486 rischia di rimanere sulla carta se non si dà seguito al rafforzamento della rete consultoriale.
Oggi si parla di dare «ristoro» a chi, nei nuovi lockdown, perderà i propri profitti; Confindustria difende gli interessi padronali come ha fatto a marzo, condannando lavoratrici e lavoratori a sacrificare la salute per un salario...è in cantiere un Family Act che rafforzerà la famiglia patriarcale che opprime le donne e chi non si conforma ai suoi ruoli. Tutto quello che noi viviamo, tutto quello contro cui lottiamo rischia di essere oscurato dal governo della pandemia e dalla ristrutturazione della società..."
26/11/20
25 novembre 2020 - la lotta delle Assistenti igienico-personale di Palermo strappa un primo importante risultato. "Basta con la violenza della precarietà e della disoccupazione"
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Come precarie Assistenti igienico-personale di Palermo lottiamo da anni in difesa del posto di lavoro, e dal mese di marzo 2020, con l'aggravarsi della nostra condizione di precarietà per l'emergenza Covid-19 vista la chiusura delle scuole, lo abbiamo fatto in forme ancora più intense e forti, combattendo contro i nuovo attacchi che i palazzi del potere, in primis la Regione di Musumeci/Scavone, hanno sferrato contro migliaia di precarie e precari, come noi IN Sicilia, volendoci ricacciare per sempre a casa. Ma lottare per non farci ricacciare a casa significa difendere anche la nostra vita più generale di donne che ogni giorno viene attaccata dal governo, dai padroni, da questo Stato.
Come donne ne subiamo tutte le conseguenze con una condizione di lavoro sempre più precaria trasformata oggi illegalmente in una condizione di non lavoro e non salario/reddito da mesi, che si ripercuote inevitabilmente sulla nostra vita, a cui governi e padroni ci costringono togliendoci ogni futuro, per inchiodarci ad un presente faticoso e instabile in cui non sai più come arrivare a fine mese, come campare i figli, o come andare avanti da single, in cui devi far fronte alla mancanza sempre più pesante di servizi pubblici che aggrava il doppio lavoro - fuori e in casa - cui siamo soggette, in cui senza lavoro e indipendenza economica siamo ancora più costrette a subire in diversi casi situazioni di violenza in famiglia. Noi la crisi aggravata dal Covid non la vogliamo pagare doppiamente, che la paghino i padroni e i governi al loro servizio.
Noi vogliamo il lavoro che ci spetta di diritto e non ipocriti bonus-casalinghe del governo che rimandiamo al mittente! Noi vogliamo un sostegno economico perchè non possiamo vivere di aria ma continueremo a lottare per il nostro lavoro! Toglierci il lavoro e ricacciarci a casa è violenza contro le donne e tutto questo si unisce alle violenze sessuali e oppressione che subiscono tantissime donne in queso paese fino ad essere uccise. Non possiamo e non vogliamo accettare tutto questo! Prendiamo la lotta e la vita nelle nostre mani! Basta con la violenza della precarietà e della disoccupazione.
Precarie Assistenti igienico-personale specializzate Palermo in lotta Slai Cobas per il sindacato di classe
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Tutte le lotte delle lavoratrici sono "nostre": SE LOTTA UNA LOTTANO TUTTE! Solidarietà e unità di tutte le lotte della lavoratrici per essere più forti!
Milano, hotel Gallia: chi c’è dietro gli appalti?
Lavoro a cottimo, titolari di imprese che spariscono e prestanome che compaiono, lavoratori lasciati nel nulla
Questa storia nasce tra i corridoi dello storico Excelsior Gallia di Milano, hotel extra lusso che si affaccia su piazza Duca d’Aosta, davanti alla Stazione Centrale. Il listino prezzi dell’albergo – base d’appoggio privilegiata da molte celebrities – parte dai 330 euro a camera fino ad arrivare a 1.000, per non parlare della Katara Royal Suite, 1.000 metri quadrati di sfarzo a 20.000 euro a notte. Ebbene: il Gallia appalta la pulizia delle 235 camere a un’impresa esterna, la Ho Group srl, pagando i lavoratori, di fatto, a cottimo. A marzo, con la prima ondata di Covid-19 e il successivo lockdown, l’hotel chiude e gli 80 lavoratori rimangono a casa. L’appalto salta, i proprietari di Ho Group – al centro di un intricato giro di società srl, che vedremo – spariscono (forse…), lasciando gli 80 lavoratori nel nulla, e il 26 ottobre il Gallia riapre affidando l’appalto a un’altra impresa. Ma qui, la vicenda si fa ancora più incredibile…
Il lusso del cottimo
Maria (nome di fantasia, a garanzia dell’anonimato) è nata in un paesino del Sudamerica, e da qualche anno lavora come cameriera ai piani tra le stanze del Gallia. Il suo datore di lavoro, però, tuttora è Ho Group, con cui ha un contratto a tempo indeterminato. “Abbiamo un normale contratto a ore”, spiega Maria, “ma è risaputo che negli hotel non ti pagano mai a ore, ti pagano a stanze. Quindi se noi impieghiamo otto ore per pulire cinque camere, veniamo pagate il tempo assegnato per le cinque camere: per le suite ti danno 55 minuti, per tutte le altre 42. Che la camera sia sporca, pulita, che sia come sia, abbiamo 42 minuti. Tutto il tempo in più non ci viene pagato. Ci sono persone che rimangono in hotel anche undici ore ma vengono pagate otto. Perché 42 minuti non sono mai sufficienti, neanche per la camera più piccola, a meno che il cliente non sia uno di quelli che viaggia per lavoro, che dorme e appoggia le sue cose e niente altro: in questo caso ci mettiamo 40 minuti”.
L’appalto è fittizio, in quanto la gestione del servizio è solo formalmente affidata in autonomia alla società esterna. Racconta Maria: “È l’hotel che stabilisce la tempistica per la pulizia e la comunica a Ho Group: se per tagliare i costi il Gallia decide: «Da domani questa camera sono dieci minuti in meno», noi dobbiamo arrangiarci e cercare di stare dentro questi termini”. Lavoro a cottimo perché, di fatto, ai fini della retribuzione in busta paga viene conteggiato solo il tempo prestabilito per la pulizia della camera, escludendo i momenti ‘morti’: “Il tempo che impiego ad arrivare ai piani non mi viene pagato, il tempo per riempire il carrello con le lenzuola, gli asciugamani, i bagnoschiuma e tutto il resto non mi viene pagato, neanche per il passaggio tra una camera e l’altra vengo pagata”. Non solo. “Quando finiamo una camera” continua, “arriva il nostro supervisore a ispezionarla, dopodiché passa a controllare anche la governante dell’hotel Gallia, e se la stanza presenta qualche difetto viene segnalato a Ho Group che quella camera non gli verrà pagata. Magari noi ci abbiamo messo un’ora a pulirla e manca una penna, e l’hotel Gallia non paga. Poi però mette la penna e assegna la camera a un cliente, ovviamente, e noi ci ritroviamo un’ora di lavoro non pagata per una penna, per una cravatta non piegata o una ciabatta non allineata bene. Mi è successo personalmente, non sto scherzando”.
La convenienza del Gallia nell’appaltare la pulizia delle camere a una società esterna è evidente: meglio avere manodopera a cottimo piuttosto che lavoratori assunti direttamente con un normale contratto a paga oraria. Una pratica non certo nuova, in tanti settori e non solo in quello alberghiero – dalla logistica alla manifattura – e che ha visto proliferare il mondo delle cooperative e delle srl. Una pratica che permette al committente – l’hotel, in questo caso – anche di utilizzare personale qualificato senza farsi carico di nulla: non solo ferie, permessi, malattia, infortuni, maternità ecc. non lo riguardano, ma nemmeno i licenziamenti o l’accesso alla cassa integrazione. Nel momento in cui non ha più necessità dei lavoratori, infatti, al committente basta sospendere o chiudere l’appalto, oppure chiedere alla società esterna meno personale. Esattamente ciò che ha fatto il Gallia a marzo scorso: causa Covid l’hotel ha chiuso, e da quel momento le vicissitudini dei lavoratori non lo hanno riguardato. ‘Non sono alle mie dipendenze’, ha sempre risposto l’albergo alla richiesta del sindacato di un incontro per risolvere una situazione che, come vedremo, si è rivelata particolarmente intricata.
Questo è il Gallia, quindi: camere da 1.000 euro a notte da una parte, lavoratori a cottimo dall’altra.
Sai quello che perdi, non sai chi ti ritrovi
Il 26 ottobre il Gallia riapre le porte. Maria, come abbiamo visto, ha in mano un contratto a tempo indeterminato con Ho Group ‘presso il Gallia’, così è scritto, ma non viene richiamata a lavorare. “Si sa che il Gallia ha preso lavoratori da altri alberghi”, ci racconta il 24 ottobre Simonetta Sizzi, rappresentante sindacale Si Cobas che sta seguendo in prima persona l’evolversi della situazione, “mentre tutte le lavoratrici e i lavoratori di Ho Group presso l’hotel Gallia sono in cassa integrazione da marzo. Con Ho Group ci siamo incontrati a luglio e ci hanno detto di aver perso l’appalto, che era subentrata un’altra società, la Keep Up, con la quale non siamo riusciti ad avviare un confronto né ha mai risposto alle nostre PEC. Tutto questo è avvenuto senza avvisare i sindacati e soprattutto escludendo 80 lavoratori”. Il Si Cobas ha avanzato “varie richieste di incontri in prefettura a cui né Ho Group né il Gallia si sono presentati. Ho Group è proprio sparita, nel senso che il responsabile legale non si sa che fine abbia fatto” conclude Simonetta Sizzi.
Torniamo allo scorso luglio, precisamente al 17 luglio, poco prima che gli 80 lavoratori perdessero le tracce del loro datore di lavoro: “Ho Group ci ha fatto chiamare, dicendoci: «Guardate, noi non abbiamo soldi, non abbiamo neanche l’appalto, non abbiamo niente ma vi vogliamo bene»” racconta Maria, “hanno detto tante belle parole e di essere preoccupati per noi, e ci hanno proposto di firmare una conciliazione tombale: volevano che ci licenziassimo, dicevano che così avremmo preso la disoccupazione, promettendoci che avremmo avuto la nostra liquidazione a partire da gennaio 2021, perché in quel momento non avevano soldi”. Questa non era però l’unica promessa messa sul tavolo. “Alcune ragazze hanno firmato l’accordo” continua Maria, “e anche un foglio su cui era scritto che se una certa Keep Up avesse preso l’appalto con il Gallia, le avrebbero richiamate a lavorare a settembre. Erano convinte di aver fatto bene, appunto perché così prendevano la disoccupazione, visto che la cassa integrazione per noi è bassissima. Ma il Gallia ha riaperto e nessuna delle ragazze che ha firmato il tombale è stata richiamata”.
“Praticamente le hanno costrette” sottolinea Simonetta Sizzi, “non hanno neanche fatto leggere quello che stavano firmando: le hanno chiamate da un giorno all’altro e hanno detto: «Firma oppure non sarai più riassunta». Ho Group non ha pagato neanche la maternità a tre lavoratrici: sembra che non abbia pagato contributi o altre cose…”
Insomma, che fine ha fatto Ho Group?
A, B, M
Sauro Anceschi è nato in un paesino dell’Emilia Romagna nel lontano 1934 e dopo anni vissuti in mezzo ai cantieri edili (con la Anceschi strutture srl), nei magazzini del commercio all’ingrosso di materiali edilizi (IAMA Solutions srl), negli stabilimenti delle fabbriche di rubinetti e valvole (M.M.V.I. srl) e strutture metalliche (A.G.S. snc di Anceschi e Proserpi), nell’elaborazione dati (Suoni srl) e dopo una capatina a Londra (E.Net srl) e una in Slovacchia (Lumenor s.r.o.), decide di reinventarsi nel mondo dell’hotel outsourcing. È il 24 luglio 2020 quando Anceschi sbarca a Milano, acquista la quota maggiore (34%) di Ho Group e si addentra nella giungla delle esternalizzazioni dei servizi alberghieri; lo accompagnano in questa nuova sfida l’esperienza di Djambasova Jecova Snejanca (classe 1946) e Debout Claudine (classe 1943), che entrano in società con il 33% a testa.
Veniamo alla controparte delle tre acquisizioni: Anceschi ha acquistato le quote da François Attardo, Djambasova da Giovanni Borriello e Debout da Vincenzo Monteleone. Attardo, Borriello e Monteleone sono i nomi ricorrenti di una galassia di srl di cui posseggono quote e/o nelle quali ricoprono o hanno ricoperto diverse cariche. La galassia è talmente intricata che, solo per le società che qui ci interessano, occorre ricorrere a mappe concettuali per raccapezzarsi, mentre rimandiamo a una tabella in coda all’articolo per un elenco storico delle varie imprese facenti capo ai tre attivi imprenditori. Qui cerchiamo di semplificare.
Nel 2013 Attardo, Borriello e Monteleone sono i tre soci di Ho Group; contemporaneamente sono anche i soci unici di altre tre società: Attardo per la AMB Group srl, Borriello per la BMA Team srl e Monteleone per la MBA Jobs srl. Ho Group e le tre società possiedono rispettivamente il 96% e, ciascuna delle tre, l’1% di HPoint SL (società consortile a responsabilità limitata); di conseguenza Attardo, Borriello e Monteleone possiedono anche il 99% di HPoint. Questo fino al 24 luglio, quando vendono ad Anceschi (e alle due compagne di avventura) non solo Ho Group ma anche AMB, BMA e MBA, e quindi anche HPoint.
Nel mezzo dell’estate ritroviamo perciò la galassia di società attiva nell’hotel outsourcing non più in mano a A, B e M ma al signor Anceschi – 86 anni, che diviene presidente del CdA di tutte le imprese – e alle relative socie – di 77 e 74 anni. Sorge spontaneo, a questo punto, chiedersi se non siamo davanti a tre prestanome – ne hanno tutta l’aria – dietro cui ancora si muovono Attardo, Borriello e Monteleone, senza nulla rischiare – visto che pare non abbiano pagato nemmeno i contributi. Oppure, è altrettanto lecito chiedersi se la mossa non sia il primo passo verso la dichiarazione di fallimento di Ho Group, che lascerebbe 80 lavoratori nel nulla. Si trascinerebbe dietro anche HPoint? E AMB (92 dipendenti al 30 giugno 2020, secondo i dati del Registro imprese)? E BMA (41 dipendenti)? E MBA (21 dipendenti)?
C’è un’altra questione, poi: questa Keep Up nominata a luglio, chi è?
Non i due e neanche i tre, ma il quarto vien da te
Keep Up spa è un’impresa costituita nel 2018, attiva dal 29 luglio 2020, che fa capo ad Andrea Grisolia – amministratore e socio unico di STF srl, che dal 1° luglio scorso detiene il 70% di Keep Up. Dopo l’ennesimo presidio del Si Cobas e dei lavoratori davanti al Gallia, il 29 ottobre, proprio Grisolia ha accettato di incontrare il sindacato. Ha affermato che Keep Up ha preso l’appalto del Gallia per la pulizia delle camere e ha proposto lo stesso schema messo sul tavolo a luglio da Ho Group: i lavoratori dovrebbero licenziarsi da Ho Group, così Keep Up potrebbe assumerli. Da noi contattato telefonicamente, Grisolia ha affermato di stare facendo tutto quanto in suo potere “per risolvere la situazione nel modo migliore possibile” e salvaguardare “l’occupazione per tutti”, nonostante il momento critico che vivono gli alberghi; ha affermato che Keep Up non ha alcun legame con Ho Group; ha affermato di conoscere Attardo, Borriello e Monteleone ma di non avere legami con loro (“tante persone si conoscono in questo mondo…”, dice Grisolia); ha affermato in particolare, su nostra domanda, di non avere legami con Borriello.
Davvero Keep Up è altra cosa rispetto a Ho Group, o siamo ancora davanti al gioco delle tre carte? Facciamo un passo indietro e torniamo ai nostri A, B e M. Nel 2018 i tre sono soci in HPoint srl – un’altra società, non HPoint SL che abbiamo già incontrato –; il 1° luglio 2020 la società cambia nome e forma giuridica e diviene la nostra Keep Up spa. Grisolia al telefono conferma infatti di aver “rilevato” la società ma ribadisce che Keep Up è una nuova impresa, ricapitalizzata e senza legami con la galassia A, B e M. Eppure punti di contatto ce ne sono altri.
Nel 2019, Attardo, Borriello e Monteleone possiedono ciascuno il 31% di Semplice Service srl, e il restante 7% è in mano a Morena Mazzoleni la quale, stando al suo profilo Linkedin, da marzo 2015 ricopre anche il ruolo di responsabile amministrativo di HPoint SL (società ora in mano ad Anceschi, Djambasova e Debout); e il 1° luglio 2020, Mazzoleni è divenuta anche proprietaria del 30% di Keep Up.
In aggiunta, Grisolia siede nel CdA di Iron srl, società attualmente inattiva e nella quale Borriello è presidente, situazione confermata dallo stesso Grisolia al telefono.
Unisci i puntini
Facciamo il punto: A, B e M il 1° luglio 2020 vendono HPoint srl a Grisolia e alla Mazzoleni, i quali la trasformano in Keep Up spa e contestualmente, stando al Registro imprese, ne modificano il codice Ateco e l’attività prevalente, che passa da “servizi di disinfestazione e sanificazione” a “corsi di formazione e aggiornamento professionale”; il 17 luglio avviene l’incontro tra Ho Group e i lavoratori con la proposta di conciliazione, e in rappresentanza di Ho Group, racconta Maria, si presentano Borriello e Attardo: sono loro a proporre il tombale e a parlare dell’entrata in scena di Keep Up come impresa titolare di un nuovo appalto con l’hotel Gallia. Certo, è quantomeno singolare che due settimane dopo aver venduto la società, Borriello e Attardo se ne facciano portavoce: a che titolo lo fanno se, come ci ha detto Grisolia, Keep Up spa è una società rilevata, ricapitalizzata e non ha alcun legame con A, B e M? Anomalo anche che un’impresa con un codice Ateco per corsi di formazione, divenga titolare di un appalto di pulizie presso un albergo. Comunque sia, quasi tutti i lavoratori rifiutano di firmare la conciliazione tombale e rimangono dunque dipendenti di Ho Group. E il 24 luglio A, B e M vendono Ho Group e le tre società AMB, BMA e MBA (e dunque anche HPoint SL) a un uomo di 86 anni, il signor Anceschi, e a due donne rispettivamente di 74 anni (Djambasova) e 77 anni (Debout). Segue il silenzio.
Attardo, Borriello e Monteleone da quel momento risultano irreperibili. Da marzo a settembre, 80 lavoratori possono fare affidamento, con due mensilità di ritardo, solo su una cassa integrazione di circa 300 euro al mese, come dimostrano le buste paga di Maria. “La CIG è scaduta a settembre e non l’hanno rinnovata: ora non prendiamo nulla. Ci sono ragazze in maternità che da giugno non vengono pagate, e l’Inps ha detto che non può far nulla perché secondo loro questi soldi li hanno già dati, sono già stati conguagliati da Ho Group. Abbiamo chiamato i numeri di telefono di Ho Group, abbiamo provato con le email, siamo andati al loro indirizzo ed è chiuso… zero totale”.
Infine, ecco che sul finire di ottobre compare Grisolia con la Keep Up: afferma di avere l’appalto del Gallia e chiede ai lavoratori di licenziarsi da Ho Group con la promessa di riassumerli in Keep Up. La stessa promessa fatta a luglio da Borriello e Attardo.
Ma “ora che Ho Group è sparita, i soldi che ci deve dove andiamo a prenderli?” chiede Maria. Una domanda che andrebbe posta al signor Anceschi, new entry dell’hôtellerie di lusso (ci abbiamo provato, ma è stato impossibile rintracciarlo). O, perché no, a Grisolia e alla Mazzoleni, new entry al Gallia. O direttamente al Gallia, committente dell’appalto. O potrebbe essere, chissà, che la risposta ce l’abbiano solamente Attardo, Borriello e Monteleone se solo non fossero spariti nel nulla, in un posto lontano lontano. Ma che forse è più vicino di quello che sembra.
25/11/20
25 novembre - COMPAIONO GLI STRISCIONI DELLE DONNE...
A Bergamo
Dalle sterilizzazioni forzate all’asportazione dell’utero… le mille pratiche bestiali dei governi contro le donne
Negli ultimi decenni la violenza contro le donne si è espressa in tantissime forme e a tutte le latitudini aumentando costantemente. Le statistiche si riempiono, sia delle violenze in genere, ma soprattutto del numero dei femminicidi, cioè della forma più brutale, più bestiale, più disumana.
Le tante altre forme, che troppo spesso passano sotto silenzio, o quasi, comprendono quelle dell’attacco diretto alle donne nella loro capacità riproduttiva da parte dei governi e delle istituzioni in generale.
Riportiamo solo alcuni esempi: in Perù, l’allora dittatore Fujimori, fece applicare la sterilizzazione forzata di massa: “… ci sono state 272.028 operazioni per legare le tube di Falloppio e 22.004 vasectomie e, nella quasi totalità dei casi, le persone sottoposte a questi interventi erano indigeni o abitanti delle zone rurali più povere del paese.” (Il Messaggero del 6 Ottobre 2017).
Stati Uniti: “Centoquarantotto prigioniere femminili in due prigioni californiane furono sterilizzate
tra il 2006 e il 2010 in un programma che avrebbe dovuto essere volontario, ma il consenso informato non può essere dato mentre sottoposti a un regime carcerario.” Huffington Post, 23 luglio 2013Uzbekistan: “Il governo uzbeko ha avviato da un paio di anni un programma capillare per sterilizzare le donne in tutto il Paese, spesso senza il loro consenso e senza che ne siano informate. Lo ha scoperto la BBC, con un'inchiesta … Stiamo parlando di decine di migliaia di donne sterilizzate in tutto il Paese' … nel 2010 ha condotto un sondaggio fra i medici scoprendo che il numero complessivo degli interventi in sette mesi era stato di 80mila. (http://www1.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Uzbekistan-sterilizzazione-forzata-a-donne-inchiesta-Bbc-svela-piano-del-governo_313199095764.html)
E su https://it.wikipedia.org/wiki/Sterilizzazione_obbligatoria esiste l’elenco di diversi altri paesi, solo per questa pratica, dalla Germania nazista all’India di oggi!
E proprio all’India si riferisce il reportage che pubblichiamo sotto sulle ragazze dello zucchero della rivista D di Repubblica del 7 novembre, che descrive appunto uno di questi crimini contro l’umanità: la costrizione all’asportazione dell’utero, pratica che in questo caso mette direttamente in collegamento il corpo delle donne e la necessità del suo sfruttamento da parte del Capitale, in questo caso il padrone della piantagione…
L’India è un subcontinente di circa 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, e quindi di circa 700 milioni di donne! La proporzione dell’odio scaricato sulle donne acquista qui dimensioni enormi, nonostante le statistiche siano rese più difficili da parte del governo fascista indù di Modi. Questo paese sembra essere diventato il centro di tutte le peggiori pratiche contro la vita delle donne: lo stupro di donne e bambine è così frequente che ci sono state manifestazioni gigantesche contro questa violenza, manifestazioni che costringono i governi a balbettare qualche parola di “comprensione” e di “condanna” del fenomeno me che finiscono in fumo, perché né in India, né in nessun altro paese del mondo possono esserci risposte a questo livello di bestialità assoluta, a questa piaga inumana che la borghesia al potere in tutto il mondo, garante e a difesa del suo orribile e morente sistema sociale capitalistico-imperialista trascina con sé.
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REPORTAGE
In India, alle ragazze che lavorano nelle piantagioni di canna da zucchero sono negati tutti i diritti. E operazioni inutili le privano persino dell’utero
Di Emanuela Zuccalà - Foto di Chloe Sharrock
Una cicatrice sbilenca a sfigurarle il ventre, un mal di schiena cronico, un debito da 50mila rupie (circa 600 euro), ormai raddoppiato con gli interessi. E quel che resta a Vandana Masu Khandale dopo che un medico di una clinica privata, dicendole che rischiava il cancro, le ha asportato l'utero. Vandana aveva solo 22 anni e il suo flusso mestruale era troppo abbondante e doloroso. All'ospedale pubblico sostenevano che le sarebbero bastati dei farmaci e un po' di riposo, ma lei non voleva interrompere il taglio delle canne da zucchero, non poteva permetterselo. Allora andò alla clinica privata suggeritale dal mukadam, l'appaltatore per il quale lavorava nella piantagione. Lo stesso uomo che le ha poi prestato le 40mila rupie per l'intervento chirurgico, e altre l0 mila per curare le complicazioni che Vandana ha sofferto in seguito, imponendole un interesse pari al 60%.
Oggi sta male, costantemente. Con la speranza di riacquistare salute, vigore e buona sorte, s'è indebitata di altre 20mila rupie per celebrare un rito al dio elefante Ganesh, distruttore degli ostacoli. Con Usha Tonde, invece, un medico - sempre privato - ha sentenziato che il suo utero era troppo gonfio. E lei, a 28 anni, s'è ritrovata poco dopo sul tavolo operatorio, risvegliandosi senza più utero e con una vescica danneggiata che ora le frena il lavoro nella piantagione perché deve andare al bagno ogni mezz'ora. Mentre Sitabai Zende ha avuto la sua isterectomia a soli 19 anni e oggi, a 28, combatte con un'osteoporosi feroce e una povertà assoluta: ogni singola rupia che possedeva l'ha spesa tra operazione e medicine. Nello Stato indiano del Maharashtra, secondo produttore di zucchero nel Paese, sono tante, troppe, le donne senza utero nel distretto di Beed, afflitto da una siccità cronica. Ogni anno fra ottobre e novembre, dopo la festività indù di Deepavali, 500mila persone migrano nella "cintura della canna da zucchero", più a sud, oppure nello Stato del Karnataka, a lavorare per 6 mesi nelle piantagioni. Il mukadam assume la coppia di marito e moglie, pagando in anticipo una cifra da 80mila a 120mila rupie per l'intera stagione (circa 940-1.400 euro). Mestruazioni e gravidanze rallentano la raccolta, quando non la ostacolano, e così dilaga la pratica dell'isterectomia, suggerita dai mukadam a donne analfabete e spesso disperate, che finiscono tutte avvinghiate a un'identica catena di eventi: quando vanno dal medico per dolori o infezioni anche banali, presto o tardi viene raccomandato loro di rimuovere l'utero come soluzione permanente. Hanno già figli, dunque non pensano alla loro fertilità, ma nessuno le informa del fatto che l'inutile amputazione provocherà scompensi ormonali per la menopausa innaturale, carenza di calcio e dolori permanenti in molti casi. Per non parlare delle complicazioni sanitarie imprevedibili dopo interventi mal fatti. Tutte vengono indirizzate verso cliniche private con tariffe arbitrarie e altissime, che nell'isterectomia hanno ormai un business redditizio e sicuro, mentre le loro vittime precipitano in una spirale di debiti e malattia.
Le statistiche ufficiali del Maharashtra mostrano che, dal 2016 al 2019, 4.605 donne si sono sottoposte a isterectomia in 99 cliniche private del distretto di Beed. Ma le organizzazioni per i diritti civili sostengono che i dati reali siano superiori di almeno 14 volte. La maggior parte di loro ha fra i 35 e i 40 anni; alcune, meno di 25. C'è un villaggio, Vanjarwadi, dove la metà delle donne è senza utero. Se noi di D riusciamo a raccontarvi questa storia incredibile e crudele, è grazie a uno scoop pubblicato lo scorso anno dal quotidiano indiano Hindu Business Line, dal titolo "Perché tante donne nel Beed non hanno l'utero". La giovane fotografa francese Chloe Sharrock lo ha letto e ha viaggiato nel distretto per incontrare queste donne dai corpi massacrati a scopo di lucro, vittime di soprusi dell'ignoranza e misoginia. Il suo lavoro, Sugar Girls (che vedete in queste pagine), è stato presentato al festival di Perpignan Visa pour l'Image e uno scatto simbolo è stato esposto a La Villette di Parigi fino al 2 novembre. Ritrae due ragazzine alla finestra, mute e invecchiare, che tra poco lasceranno la casa e la scuola per andare ad aiutare la madre in una piantagione di canna da zucchero poiché lei, dopo l'operazione, non ha più forze. «La parte più triste della vicenda è che tante donne non si rendono neanche conto di essere vittime di un abuso», riflette la fotografa, che ha mostrato le loro ecografie a un medico francese, <<e non c'era alcuna traccia di anomalie nei loro uteri», aggiunge. Dopo lo scandalo scatenato dall'Hindu Business Line, è emerso che la violenza continua fin dagli anni '90, alimentata da medici senza scrupoli e dai mukadam che godono di una percentuale sugli interventi. Le "ragazze di zucchero" sono un target perfetto perché invisibile: impiegate in nero, senza assicurazione sanitaria, non tutelate né dalla legge né dai sindacati. Pressato dalle organizzazioni femminili, nel giugno del 2019 il Parlamento del Maharashtra ha istituito una Commissione che però, finora, s'è limitata a pubblicare fredde linee guida, 140 pagine prive di misure concrete e soprattutto di sanzioni per i colpevoli dello scempio.
In India, il corpo delle donne è stato a lungo argomento tabù. Almeno fino a quando, nel 2012, a Nuova Delhi si sono scatenate proteste dopo l'orrendo stupro di gruppo e l'uccisione di una studentessa su un autobus. E finalmente il tema della protezione delle donne è entrato nel dibattito pubblico. L’ultima ricerca della Thomson Reuters Foundation sui Paesi più pericolosi al mondo per le donne pone l'India al 10° posto, combinando indicatori come diritto alla salute, tradizioni culturali, violenza, tratta di esseri umani. Mentre nell'Indice di Parità di genere dell'Onu è al 129° posto su 162 Paesi del mondo.
«C'è un terribile consenso culturale sul fatto che le donne hanno poco valore», scrive la sociologa indiana Deepa Narayan, autrice di Chup: Breaking The Silence About India's Women. «Le ragazze devono essere addestrate a comportarsi come se non esistessero, a ridurre al minimo la loro personalità per sopravvivere, a servire gli uomini e non dar loro fastidio». Anche le "ragazze di zucchero" del Beed mortificano il loro femminile per non ostacolare il flusso del lavoro. Ma qualcuno sta facendo qualcosa per loro?
Un network di attivisti per i diritti femminili, guidato dall'associazione Makaam, ha appena pubblicato il report Speranze spezzate per premere sulle autorità affinché restituiscano la dignità a queste donne. Tutte le 1.042 intervistate in 8 distretti del Maharashtra, compreso Beed, dichiarano di dover per forza migrare nella "cintura dello zucchero", poiché non hanno altri mezzi per vivere. Il 72% di loro afferma di lavorare fino a 18 ore al giorno, senza mai riposare. Non prendono pause neanche durante una malattia, il ciclo mestruale, una gravidanza o dopo il parto. Abitano in condizioni igieniche tremende, dentro tende e baracche senz'acqua e senza bagni. Come assorbenti usano stracci che lavano, ma poi non stendono ad asciugare per pudore e «questa è tra le cause dei peggioramento dei loro problemi di salute riproduttiva», scrivono gli attivisti di Makaam, aggiungendo che «il 70% riferisce di accusare vari problemi dopo l'isterectomia, da una costante stanchezza a dolori alla schiena e al ventre».
Secondo l'associazione, tuttavia, l'orrore dell'isterectomia di massa non è che la punta di un iceberg di sfruttamento ai confini della schiavitù, di marginalità e di patriarcato che soffoca queste donne: «Innanzitutto il salario viene corrisposto solo al marito», sottolinea Seema Kulkarni di Makaam, «le lavoratrici non sono registrate e nessuno offre loro alternative economiche, nei loro villaggi, affinché non siano costrette a migrare. C'è davvero tanto che il governo deve fare per loro».
I numeri:
4.605 donne dello Stato indiano del Maharashtra si sarebbero sottoposte a un'isterectomia tra il 2016 e il 2019. Secondo le organizzazioni umanitarie i numeri reali sarebbero 14 volte superiori.
99 cliniche private specializzate nell'isterectomia solo nel distretto di Beed.
70% delle donne che hanno subito l'operazione accusano vari problemi dopo l'intervento.