28/07/13

La sentenza 232 della Consulta premia gli stupratori!

 Riceviamo e rigiriamo: lettera alla Boldrini

Alla Gent.ma e Ill.ma Presidentessa della Camera, On. Laura Boldrini

Onorevole Boldrini,

fin dal suo insediamento, di per sé motivo di speranza e di letizia, dopo tante e tanto gravi defezioni da quell'onore e da quel senso di responsabilità che si presuppone debbano essere sottesi all'esercizio di ogni carica istituzionale, Lei ha individuato nel dilagare atroce della violenza più efferata (e sostanzialmente, incredibilmente impunita) contro le donne uno dei principali contrassegni dell'allarmante involuzione della vita civile e culturale del paese, nonché il più evidente ostacolo a una "ripresa" che è semplicistico postulare solo a livello economico, e che deve invece essere olisticamente intesa come instaurazione di nuove relazioni umane, prima fra tutte quella tra generi, propedeutica ad ogni forma di riequilibrio sociale e di armonia.

Il Suo discorso fu allora salutato dal Parlamento con entusiasmo ipocrita, ma nulla è stato fatto, da allora, per contrastare la violenza, che continua a mietere vittime a ritmi intollerabili e con una brutalità crescente, alla quale sembriamo esserci tutti assuefatti, come se l'orrore fosse naturale e il terrore di essere stuprate e uccise fosse consustanziale al nostro essere donne. Questa abitudine alla "conta" delle morte ammazzate, ovvero questa drammatica rimozione collettiva, è l'oltraggio più grave che facciamo a noi stesse e alle nostre sorelle stuprate, umiliate, vendute, comprate, oggettivate e massacrate.

E' chiaro che gli uomini violenti perpetrano i loro delitti anche perché certi di essere culturalmente sostenuti e giustificati da una mentalità veteropatriarcale e sessista oggi vieppiù fomentata da una crisi usata come alibi per azzerare i nostri diritti civili, costati tanto sangue e tanta sofferenza.

Questa mentalità, che si pasce anche di incultura e di paradigmi di rappresentazione della donna da Lei encomiabilmente ed opportunamente proscritti, trasforma le vittime in imputate, suggerisce loro di conformarsi ai diktat di maschi per non subire offesa e le criminalizza e stigmatizza quando abbiano "osato" rifiutare la strumentalizzazione o reificazione pretesa dalla fragilità maschile e rivendicare il diritto ad esistere come persone libere, a scegliere il proprio destino, il proprio ruolo, la propria vita.

Non Le scrivo per sfogarmi, né per rammentarLe cose che Ella conosce e patisce con sensibilità tanto consolante quanto profonda, bensì per denunciare l'ennesimo, irricevibile provvedimento atto a banalizzare lo stupro (stavolta quello più atroce e grave, cioè quello di gruppo!) e a radicare nel sentire comune l'idea che tale reato non sia un omicidio senza morte, come le donne hanno cercato con fatica immane di dimostrare e far capire, con le lotte e la denuncia, ma una semplice restrizione della libertà sessuale, come se la libertà sessuale fosse una irrilevante e separata componente della Libertà garantita alle cittadine italiane, che l'hanno estorta ad una società profondamente maschilista con tenacia e coraggio in anni di battaglie dolorose.

Queste sono, infatti, le parole semplificanti e riduttive, laceranti e odiose, che la Consulta ha adoperato ancora una volta per stabilire che il carcere preventivo non è una misura obbligatoria per quanti siano accusati, anche con gravi indizi di colpevolezza a loro carico, di stupro di gruppo!

La sentenza 232, infatti, depositata oggi (relatore il giudice Giorgio Lattanzi), ha bocciato l'art. 275 del codice di procedura penale perché in relazione alla violenza sessuale di gruppo esso prevede la custodia cautelare in carcere e (cito) "non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure ".

La sentenza ha disposto, dunque, che agli stupratori sia consentito di restare praticamente immuni da ogni misura coercitiva, quando tali misure non si rendano "necessarie". Evidentemente, l'accusa di aver stuprato a turno una donna o una bambina non costituisce motivo sufficiente a far scattare misure cautelari che vengono ritenute, per i gentiluomini in questione, "troppo afflittive"!

Questo pronunciamento non solo renderà ancora più rare le già scarse denunce, ma esporrà le donne violentate e maltrattate, già vessate e spesso uccise proprio a séguito della denuncia presentata, a ritorsioni ancora più gravi, ovvero le condannerà a morte certa!

Non era questo il segnale che Lei aveva chiesto nel Suo commovente e rigenerante discorso d'insediamento; non è di provvedimenti e gesti così evidentemente sbilanciati a favore degli stupratori, per quanto "giustificabili" e motivati sul piano legalistico, che il paese ha bisogno per disincentivare e disinnescare una violenza ineffabile e insoffribile, che ogni anno falcidia circa 250 donne!

Già nel 2010, con la sentenza n° 265, era stata eccepita "l'incostituzionalità" del decreto del febbraio 2009 col quale si disponeva la carcerazione obbligatoria per gli stupratori, un decreto emanato dal ministro Carfagna sull'onda dell'indignazione dopo il tremendo "stupro di Capodanno" subito da una ragazza romana costretta a subire numerose operazioni chirurgiche per le lesioni riportate durante la disgustosa e atroce violenza.

Oggi, la Consulta stupra e prende a pugni tutte le donne e la loro dignità con una sentenza che mi pare tanto più indecente in quanto sputa sulle istanze da Lei accoratamente espresse e difese più volte nel corso del Suo mandato e sputa sugli sforzi delle donne che combattono quotidianamente, tra difficoltà indicibili, contro minacce, pregiudizi e infamie, rimandando alla società il messaggio, gravissimo, che un branco di uomini che si accaniscono contro una donna devastandone corpo e spirito, tengono tutto sommato un comportamento che è da ritenersi praticamente privo di rilevanza penale e sociale!

Due sono le cose mostruose di questa sentenza, che oltraggia le donne ma sconcerta anche i tanti uomini di pace e cultura, che aborrono la violenza: la prima è che il suo relatore, per difendere gli stupratori, con cui, evidentemente, si sente solidale, si richiama stucchevolmente e puntigliosamente ai princípi di quella Costituzione che proprio in questo momento viene disattesa e denegata in ogni suo dettame, a partire dalla sovranità popolare, calpestata anche dopo referendum importanti come quello sui Beni Comuni o quello bolognese sull'attribuzione dei fondi alla scuola pubblica e non alla privata, una violazione che di continuo viene denunciata dagli esperti di diritto, da donne e uomini di Stato e di cultura, con toni sempre più allarmati; la seconda è che il modo in cui si parla dello stupro, sia nella sentenza 265 del 2010 che in quella emessa da poco, presuppone l'assoluto disprezzo per la sostanza intellettuale, morale, emotiva e professionale delle donne! Le donne stuprate, cioè, sono rappresentate e viste dalla Consulta come "corpi momentaneamente sequestrati per un uso improprio", non come persone irreparabilmente violate e straziate, né come professioniste la cui presenza sarà cancellata per lungo tempo o per sempre dalla vita sociale e associata, con enorme danno per la tenuta etica, culturale ed economica del paese!

Lo stupro non è un "piccolo affare privato" ma una purulenta piaga sociale e un terribile dramma collettivo; non è decente, in un paese appena appena decente, che lo si eufemizzi e depenalizzi de facto, avallando e incoraggiando la violenza, addirittura la violenza "di branco", con capziose e cavillose interpretazioni interessate delle leggi, che paiono muovere da spirito di vendetta e di rivalsa contro le vittime che non tacciono: è uno sconcio intollerabile!

Le chiedo, da cittadina e da docente precaria in lotta per la preservazione della Scuola pubblica e di ciò che essa rappresenta in termini di possibilità di emancipazione e costruzione di un'Italia senza discriminazioni e senza prevaricazioni indegne, di intervenire con una Sua nota censoria e di usare tutta la Sua influenza affinché il provvedimento in oggetto venga ritirato o vanificato nelle sue implicazioni giudiziarie contingenti e immediate, perché le donne, vero motore e grande risorsa spregiata di questo paese alla deriva, possano avvertire che non è loro "destino" essere vittime, che è loro diritto vivere da persone libere di espandersi e non da prede braccate, non solo da vigliacchi stupratori, ma anche da vili giudici che non si vergognano di farsi loro complici.

Con ammirazione e preoccupazione infinite


Prof.ssa Marcella Ràiola (Napoli)

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