25/11/25

Sullo slogan di Nudm "sabotiamo guerre e patriarcato" un articolo sulla rivista Kulturiam su "Patriarcato, liberalismo e guerra...", utile per il dibattito - 1

Lo slogan “sabotiamo guerre e patriarcato” riduce il conflitto a un problema culturale, oscurando il ruolo del capitalismo occidentale che usa il progressismo come copertura morale. Una narrazione che giustifica interventi, potere armato e dominio globale mascherati da emancipazione.
Patriarcato, liberalismo e guerra
Lo slogan “sabotiamo guerre e patriarcato” vorrebbe creare un nesso indissolubile. Le guerre, tutte le guerre, dipendono dalla struttura patriarcale della nostra società che vivrebbe ancora di usi, costumi, condizionamenti arcaici, premoderni, non propriamente sviluppati.
In una sorta di eterno medioevo che condiziona le relazioni sociali, di potere e relazionali, fino a modellare la stessa intimità.
Un’interpretazione della realtà consolante perché spingerebbe l’Occidente a interrogarsi sulla lentezza del proprio sviluppo e perché negherebbe la necessità di rifondare una critica al sistema capitalista.
Sostanzialmente neanche si afferma che il capitalismo sia patriarcale – si dovrebbero confutare troppi dati di realtà – perché ciò che diffonderebbe violenza e imprigionerebbe la collettività intera in angusti spazi discorsivi è la struttura maschile del potere.
Questo approccio è tipico del liberalismo libertario statunitense, ben rappresentato dalla retorica pregiata dei democratici, diffusa in tutto il “mondo libero” dalle università, dalle fondazioni culturali, dai salotti mediatici che articolano e irradiano l’ideologia politicamente corretta.
Ma è un piano dottrinario che contraddice lo slogan “sabotiamo guerre e patriarcato” perché è proprio su questo impeto di civilizzazione che viene formata la grammatica bellica di nuova generazione.
L’Occidente capitalista avrebbe generato gli anticorpi necessari per rimodellare il sistema e farne un nuovo esempio di esportazione democratica, contro Putin, contro Maduro, contro l’Iran e contro tutti quei paesi accusati di primitivismo intellettuale, compresa la Cina.
Uno stratagemma perché, nella realtà, si attaccano quei luoghi e quei popoli in quanto pronti a rigettare la nostra idea di sviluppo socio-economico, a disattendere le nostre prospettive imperiali che sperano nell’invasione briosa dei nostri capitali così attenti a colonizzare l’immaginario e la mentalità di terre lontane e obsolete.
Si conferma la natura intimamente capitalista della lotta al patriarcato per ammissione implicita della mobilitazione e dell’impegno militante. Non c’è alcuno sguardo anticapitalista, nessun orizzonte socialista nella volontà suprema di correggere culturalmente un processo economico e sociale ritenuto, alla fin fine, sano ed esemplare.
Non è un caso che tutti i raduni del femminismo postmoderno, e quindi antisocialista, siano celebrati a reti unificate dagli stessi giornaloni liberal che per mesi hanno negato l’esistenza del genocidio di Gaza e che dipingono Israele come una delle culle della democrazia.
Lì dove l’esercizio della libertà personale è legittimato dal sangue vivo del popolo palestinese colpevole di recitare ancora copioni preistorici e poco affascinanti per la nostra socievolezza di mercato.

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