Da La Stampa
Coronavirus, la Oss si sfoga sul web: “Qui non ci sono mascherine, siamo carne da macello”. Licenziata
Lavorava nell’assistenza, ha denunciato le carenze via mail e Facebook.
TORINO. Ha protestato perché sarebbe stata «costretta a lavorare senza le protezioni necessarie per evitare il coronavirus». Ed è stata licenziata perché le sue parole – rimbalzate su mail, Whatsapp e Facebook – per l’azienda sarebbero «lesive».
E’ quanto è successo a un’operatrice socio sanitaria di 52 anni che lavorava per la cooperativa Frassati nel campo dell’assistenza domiciliare. Ieri la donna ha ricevuto la lettera di licenziamento «per giusta causa». Il suo sindacato - Cisl funzione pubblica - impugnerà il provvedimento davanti al giudice del lavoro.
I timori
La oss girava di casa in casa assistendo malati terminali e anziani. Da quando è scoppiata la pandemia ha convissuto per giorni con la paura di infettarsi. L’ha manifestata con ogni mezzo. Ha parlato con i responsabili. Ha scritto una mail al Ciss, Consorzio intercomunale servizi sociali di Chivasso, che appalta il servizio di assistenza domiciliare alla Frassati. Ha postato sui social la sua paura. «Ancora oggi le mascherine non sono arrivate». «Dicono che dobbiamo evitare il contagio, ma lavoriamo senza protezioni». «A noi oss, chi ci tutela?». «Siamo carne da macello». Frasi che il datore di lavoro considera «false e denigratorie».
Le indicazioni
«All’inizio della pandemia ci hanno dato mascherine di carta assorbente -racconta la oss - dopo il 16 marzo cinque chirurgiche. Non me la sono sentita di andare avanti così, con persone terminali o fragili, prima di tutto per loro. Avevo paura di infettarli. Ecco perché mi sono battuta». In un contesto complesso, non hanno aiutato le «direttive» che una referente impartiva attraverso Whatsapp. «La mascherina la potete usare e mettere nel congelatore appena arrivate a casa - diceva - lasciarla lì tutta la notte e utilizzarla il giorno dopo. La mettete dentro al Domopak o a un sacchetto che volete voi».
Le oss si aspettavano kit sterili con Fpp2, da indossare ad ogni visita. «Anche perché come si fa a sapere se l’utente è positivo o no?», era la domanda che si ponevano.
La segnalazione
Per Roberto Galassi, presidente della Frassati, la causa principale del licenziamento sarebbe la segnalazione con cui la oss ha denunciato la questione “dpi” al Ciss. «La lavoratrice ha denigrato la cooperativa - spiega - nel periodo del Covid ha lavorato cinque giorni, per il resto era assente per malattia. Le abbiamo fornito i dpi previsti dalla normativa, che prevedeva, nella prima fase del Covid, mascherine chirurgiche solo per l’utente. Parliamo di utenti asintomatici. Valeva anche la regola del distanziamento. E se l’ospite non aveva la mascherina, l’oss non doveva fare l’intervento». —
Coronavirus, la Oss si sfoga sul web: “Qui non ci sono mascherine, siamo carne da macello”. Licenziata
Lavorava nell’assistenza, ha denunciato le carenze via mail e Facebook.
TORINO. Ha protestato perché sarebbe stata «costretta a lavorare senza le protezioni necessarie per evitare il coronavirus». Ed è stata licenziata perché le sue parole – rimbalzate su mail, Whatsapp e Facebook – per l’azienda sarebbero «lesive».
E’ quanto è successo a un’operatrice socio sanitaria di 52 anni che lavorava per la cooperativa Frassati nel campo dell’assistenza domiciliare. Ieri la donna ha ricevuto la lettera di licenziamento «per giusta causa». Il suo sindacato - Cisl funzione pubblica - impugnerà il provvedimento davanti al giudice del lavoro.
I timori
La oss girava di casa in casa assistendo malati terminali e anziani. Da quando è scoppiata la pandemia ha convissuto per giorni con la paura di infettarsi. L’ha manifestata con ogni mezzo. Ha parlato con i responsabili. Ha scritto una mail al Ciss, Consorzio intercomunale servizi sociali di Chivasso, che appalta il servizio di assistenza domiciliare alla Frassati. Ha postato sui social la sua paura. «Ancora oggi le mascherine non sono arrivate». «Dicono che dobbiamo evitare il contagio, ma lavoriamo senza protezioni». «A noi oss, chi ci tutela?». «Siamo carne da macello». Frasi che il datore di lavoro considera «false e denigratorie».
Le indicazioni
«All’inizio della pandemia ci hanno dato mascherine di carta assorbente -racconta la oss - dopo il 16 marzo cinque chirurgiche. Non me la sono sentita di andare avanti così, con persone terminali o fragili, prima di tutto per loro. Avevo paura di infettarli. Ecco perché mi sono battuta». In un contesto complesso, non hanno aiutato le «direttive» che una referente impartiva attraverso Whatsapp. «La mascherina la potete usare e mettere nel congelatore appena arrivate a casa - diceva - lasciarla lì tutta la notte e utilizzarla il giorno dopo. La mettete dentro al Domopak o a un sacchetto che volete voi».
Le oss si aspettavano kit sterili con Fpp2, da indossare ad ogni visita. «Anche perché come si fa a sapere se l’utente è positivo o no?», era la domanda che si ponevano.
La segnalazione
Per Roberto Galassi, presidente della Frassati, la causa principale del licenziamento sarebbe la segnalazione con cui la oss ha denunciato la questione “dpi” al Ciss. «La lavoratrice ha denigrato la cooperativa - spiega - nel periodo del Covid ha lavorato cinque giorni, per il resto era assente per malattia. Le abbiamo fornito i dpi previsti dalla normativa, che prevedeva, nella prima fase del Covid, mascherine chirurgiche solo per l’utente. Parliamo di utenti asintomatici. Valeva anche la regola del distanziamento. E se l’ospite non aveva la mascherina, l’oss non doveva fare l’intervento». —
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