11/12/18

Nadia Lioce, la tortura (S)conosciuta del 41 bis e noi. 2° parte



Dal Convegno del 20 ottobre a Firenze "Il 41 bis, una tortura (S)conosciuta? - A 26 anni dalla sua istituzionale, le restrizioni imposte ai detenuti sono servite (e servono) a indebolire le organizzazioni criminali?", pubblichiamo oggi gli interventi dell’avvocata di Nadia Lioce, Carla Serra, e del Professor Giuseppe Antonio Di Marco.
Dal primo emerge con forza l’obbiettivo immediato, concreto del 41 bis su Nadia Lioce in quanto prigioniera politica, attraverso la lettura dei dispositivi che negli anni le sono stati applicati e la narrazione delle continue vessazioni cui è stata sottoposta.
L'intervento di Di Marco è importantissimo, perché parte da un'analisi scientifica, marxista, del concetto proprietario di sicurezza nelle costituzioni borghesi. Ma per introdurre quest'analisi è dovuto partire da una lunga premessa, sulla base di alcuni interventi che lo hanno preceduto e che in parte sono rimasti impantanati in un discorso prettamente “costituzionalista” e dello stato di diritto

La sessione pomeridiana è stata aperta dalla toccante performance dell’attrice Monica Serra, che con la mordacchia di Giovanna D’Arco e la bottiglietta di Nadia Lioce è riuscita a dare densità e corpo all’atroce tortura invisibile del 41 bis. I Video che qui sotto riportiamo sono estratti da:
https://www.radioradicale.it/scheda/555053/il-41-bis-una-tortura-sconosciuta-a-26-anni-dalla-sua-istituzionale-le-restrizioni






Carla Serra, Avvocata di Nadia Lioce

Io, unitamente alla collega Caterina Calia e a un'altra collega, l'avvocato Luna, che oggi non è potuta essere presente, in qualità di difensori di Nadia Lioce, è da quindici anni che discutiamo, parliamo, portiamo avanti la nostra battaglia, diciamola così, anche se sempre nelle sedi istituzionali, contro il quarantuno bis. Perché già dall'inizio, già dal momento della sua applicazione per i detenuti politici, erano evidenti le storture e il suo assetto, già dall'inizio, strideva con i principi dell'ordinamento, del nostro ordinamento costituzionale.
Abbiamo portato avanti la nostra battaglia sempre nelle sedi opportune, dinanzi alla magistratura, perché questo è il nostro compito e questa battaglia si è snodata attraverso varie fasi, vari momenti, che mi piacerebbe, brevissimamente ripercorrere, per capire appunto a che livello si è arrivati oggi. Dall'inizio, parecchio tempo fa, noi ci scontravamo e contestavamo l’inumanità di questo regime, nel momento in cui la Lioce e le altre donne del carcere di L'Aquila si trovavano in questo reparto, chiamato area gialla o riservata. E già il nome appunto rimandava ad un luogo segregativo, già rimandava alla sua natura segregativa. Nell'isolamento e nella segregazione il livello di restrizioni e di vessazioni aumentava sempre più, ed era giunto al punto in cui venivano censurate, scusatemi, le parole e le idee, tanto che si era reso necessario, in quel periodo, un intervento, da noi ovviamente sollecitato come difensori, da parte della Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione aveva in quel momento ricordato alla magistratura di sorveglianza, ma io direi all'intero sistema, quali fossero i limiti invalicabili di un sistema democratico.
E vi leggo brevissimamente quelle due frasi della motivazione della Corte di Cassazione. Diceva così: “Ebbene va rilevato che in particolare è stato rifiutato l'inoltro di una rivista, in libera vendita nelle edicole, solo perché dal sommario è emerso che esso contiene un articolo su “strategie della controrivoluzione” e che inoltre si rimprovera alla detenuta - ovviamente alla Lioce - di aver criticato il precedente ministro della giustizia. Ciò che allarma i giudici del merito insomma, sono parole come comunismo, lotta di classe, controrivoluzione. Al proposito non si vede per quale motivo anche un detenuto non possa avere e coltivare le sue idee politiche e non si vede perché lo stesso debba essere censurato, quando tale condotta non ponga in alcun modo in pericolo l'ordine intramurario. Il provvedimento in questione si limita a censurare le idee politiche della Lioce”.
Poco più avanti e per concludere, diceva la Corte di Cassazione nel 2008: “In sintesi, da un lato non viene spiegato per quale motivo costituirebbe un atto rivoluzionario la lettura di un quotidiano, sia pure caratterizzata da una radicale connotazione politica, dall'altro il giudice del rinvio neanche si pone il problema di dimostrare per qual motivo le convinzioni politiche della Lioce possano di per sé sole - badate - per il solo fatto di essere presenti, come si ipotizza, nella mente della detenuta, costituire un'insidia per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza all'interno del carcere.”
Dopodiché all'Aquila è arrivato un nuovo presidente - noi abbiamo avuto l'onore, ovviamente, di sentire la dottoressa Laura Longo stamane e insieme a lei degli altri magistrati, che io sommessamente dico illuminati - che ha cercato, diciamo così, di umanizzare il quarantuno bis, per quel che consentivano, certo, quelle maglie strettissime, appunto, di quella disposizione normativa.
Pertanto in quegli anni i magistrati cos'hanno fatto? Sono entrati in quei reparti e ne hanno potuto respirare tutta la disumanità, ve ne ha parlato, appunto, la dottoressa Longo stamane.
Ma è durato poco, davvero poco, giusto il tempo per far dimenticare le indicazioni che aveva dato la Corte di Cassazione nel 2008. E’ bastato, ora è brutto dirlo così, un ricambio della magistratura, perché appunto si sia scordato tutto, tutto quello che era avvenuto.
E oggi è completamente sepolto ogni residuo di libertà e garanzie costituzionali. Anzi, io direi che si è tornati indietro, molto indietro! Si è alzato il livello di quelle vessazioni, appunto, e di quei soprusi, tanto che oggi leggiamo dei provvedimenti di trattenimento della corrispondenza, che io oggi non commento, vi leggo dei passaggi di questi trattenimenti. Non commento perché poi li dovrò commentare dinanzi alla magistratura di sorveglianza e non vedo l'ora di commentarli davanti a loro e davanti alla Corte di Cassazione.
A luglio del 2008 la Lioce riceve una missiva, che porta come mittente tal Bondi Alessandro, che evidentemente chiederà alla Lioce di spiegare quali siano le condizioni concrete che ella sta vivendo, ma ovviamente non arriva alla Lioce, come potrete ben immaginare, e questa è la motivazione del trattenimento: “Considerato che la missiva proviene da un mittente sconosciuto - badate - sia alla direzione dell'Istituto che, secondo quanto si evince dalla lettura della stessa, anche alla detenuta; considerato che, come emerge dalla lettera, il mittente, dopo essersi presentato alla destinataria, manifesta la volontà di iniziare ad intrattenere con la stessa una corrispondenza epistolare per non meglio motivate fondate ragioni, se non quella di raccontare la propria vita e di conoscere meglio quella della detenuta. Ritenuto che, atteso il fatto che il mittente, persona sconosciuta, ripete sia alla direzione che alla Lioce, si trattiene” e quindi non si invia alla Lioce.
Questa è la prima, La seconda è di un giornalista, Giorgio Sturlese Tosi. Anche lui manda una lettera alla detenuta e le chiede di spiegare quali siano le condizioni, e questo è il motivo del trattenimento: “Si dispone il trattenimento poiché le condizioni detentive dei soggetti in quarantuno bis possono essere valutate tramite atti ufficiali”. Leggetevi gli atti ufficiali e saprete quali sono le condizioni, questa è la motivazione!
Ed ultima, che ritengo la più grave, una lettera che l'associazione “Liberarsi Onlus” manda alla Lioce. E questo è il motivo del suo trattenimento: “Rilevato che risulta che il mittente della missiva è un membro di un'associazione, di cui non si conosce il reale scopo, di cui non si conosce l'incensuratezza dei suoi componenti; ritenuto quindi che non si può escludere che tale associazione, per il tramite dei suoi membri, possa farsi portatrice di messaggi tra la detenuta e il gruppo criminale di appartenenza, e che quindi la missiva cerchi di eludere il controllo sotteso al visto della corrispondenza”. E si trattiene anche questa.
Ma quello che volevo sottolineare in questa sede, è come attraverso questa progressione crescente di violazioni, negli anni si sia arrivati a tollerare, appunto, nel nostro ordinamento, un regime che non solo censura l'idea, che già di per sé è grave in sé, ma che addirittura vieta la parola.
E questo è quel lato parossistico che io appunto volevo portare alla vostra attenzione. L’esasperazione di questo regime, che trova la sua consacrazione in un processo, che probabilmente conoscerete, che si è appena svolto presso il tribunale ordinario di L'Aquila, che vedeva appunto come imputata la Lioce, per avere - e vi leggo brevemente il capo di imputazione - per avere, mediamente schiamazzi o rumori, provocando o sbattendo ripetutamente una bottiglia di plastica contro le inferriate della propria cella, disturbava le occupazioni o il riposo delle persone detenute”.
Noi arriviamo a processo, io e la collega Calìa, dove evidentemente, come ho detto là, grazie a Dio questa questa bottiglietta ha fatto così tanto rumore e ha avuto così tanta forza da aver rotto, scoperchiato quel vaso di Pandora, da cui sono fuoriuscite prepotentemente tutte le storture di questo regime speciale.
E quindi quel che è stato processato poc'anzi, non è stata più la Lioce, ma è stato un regime speciale, per un motivo semplicissimo: perché la Lioce, essendo vietata la parola, anche il buon giorno, e quindi anche alle altre detenute di dire alla Lioce “smettila di sbattere perché mi stai dando fastidio con quella bottiglietta”, allora c'era, come dire, la mancanza di consapevolezza da parte della Lioce evidentemente, di stare arrecando disturbo alle altre detenute.
E quindi era un reato impossibile dal nostro punto di vista, perché la Lioce non poteva sapere, perché nessuno glielo poteva dire che stava arrecando disturbo alle persone!
Badate, una battaglia che lei ha fatto, perché le erano stati sottratti gli atti processuali nel corso di una perquisizione, quindi ha portato avanti questa battaglia, fino al momento in cui gli atti non le sono stati restituiti! E poi ha terminato con questa battaglia.
Ma quel che è stato rilevante è che un giudice di uno Stato italiano, perché era un giudice, appunto, ordinario, ha potuto vedere e toccare con mano quale quali fossero le reali condizioni, ha potuto toccare con mano e capire che le detenute in quarantuno bis all'Aquila non possono parlare, non si possono nemmeno dire ciao!
Ma quando si ledono i diritti fondamentali e le prerogative della persona così pervasivamente, prima o poi si è chiamati a renderne conto, perché prima o poi quelle storture producono degli effetti dirompenti!
E’ per questo che un processo come quello, che è nato da un reato bagatellare, è diventato portatore di questioni capaci, appunto, di travolgere la tenuta di un sistema! Di un sistema giuridico, di una civiltà giuridica e democratica!
Un regime che in una progressione costante di vessazioni e di soprusi è giunto appunto al parossismo di vietare ad un essere umano l'uso della parola! Che è una prerogativa coessenziale alla stessa natura umana, allo stesso essere umano! E’ quello che ci distingue dagli animali, noi parliamo, abbiamo bisogno di parlare.

E io su questo vorrei far riflettere!
Se noi vedessimo sulla bocca della Lioce e delle altre detenute un bavaglio fisico, come quello che stamattina aveva mia sorella quando ha fatto la performance, la mordacchia, cosa succederebbe? Che tutti insorgerebbero alla tortura! Tutti, io immagino.
Ma quel bavaglio, siccome non si vede, ma c'è, allora siamo in pochi a insorgere! 
Però per fortuna almeno noi parliamo comunque di tortura, anche se, come dire, non si vede fisicamente.
Però volevo concludere così: che ritengo che non ci si debba mai fermare, mai arrendere.
Più sale il livello di violazione dei diritti umani e più deve crescere il desiderio di sensibilizzare tutti, anche quando si ha la sensazione che, come dire, di scontrarsi con degli ostacoli insormontabili, che appaiono in quel momento insormontabili, ma che se noi piano piano questi ostacoli non li togliamo, come dire, non ci sarà un momento in cui verrà via da sé questo muro e quindi dovremmo farlo, piano piano.
Noi, io per il canto mio, come i colleghi, lo facciamo quotidianamente dinanzi a tutte le magistrature. E quindi anche per ricollegarmi all'intervento del costituzionalista, quando diceva la Cassazione non è un inferno, la magistratura non è un inferno, Non è un inferno, io mi ci rivolgo tutti i giorni! Alla Cassazione, alla magistratura di sorveglianza, perché spero che, come dire, piano piano anche la magistratura torni ad avere una sensibilità diversa e torni ad ascoltarci. Almeno la magistratura di sorveglianza, Grazie

Ascolta il suo intervento



Professor Giuseppe Di Marco ((già Ordinario di Filosofia della Storia presso l'Università Federico II di Napoli)

Allora buonasera e grazie dell'invito. Non essendo né giurista come studioso, né operatore proprio del diritto, il mio discorso potrà sembrare che si muova ai margini del discorso giuridico. In verità credo che sia essenziale, anche per il discorso specificamente giuridico, cercherò di argomentare questo punto.
E d'altra parte degli spunti che portano oltre e fuori del discorso giuridico sono emersi da alcune relazioni di oggi pomeriggio. In primo luogo il discorso di Caterina Calia. Perché? Perché Caterina ha fatto vedere poco fa come in queste misure, in questi dispositivi, detti eccezionali, di eccezione che poi adesso è diventata stabile, e questo sarà il problema che dopo voglio affrontare, che cosa accade? Che l'imputato, colui che ha commesso un reato, diventa il nemico. Questo tipo di passaggio avviene - e lo dico invece per appunti giuristi con poco di filosofia del diritto insomma, un poco - avviene esattamente all'inverso di quello che un giurista importante del secolo scorso, ma che io considero reazionario dal mio punto di vista, Carl Schmitt, diceva: col diritto contemporaneo il nemico diventa un criminale. Qui invece abbiamo proprio l’inverso, il criminale diventa nemico.
E mi ha colpito una parte del dispositivo, credo che fosse proprio in riferimento alla questione Nadia Lioce. Cioè, come ragiona l’estensore del dispositivo? C'è una situazione sociale esplosiva, e chi può dubitarne, c'è la disoccupazione, c'è il pericolo futuro di eventi sovversivi, ergo Nadia Lioce, o chi sia, la pensa in un certo modo, allora io che cosa faccio? Faccio la misura preventiva, né più né meno - e questo punto di riferimento che faccio non è una semplice analogia, perché costituisce il perno del mio discorso - né più, né meno di come chi gioca in borsa fa una scommessa sul plusvalore futuro. Perché il carattere tutto omogeneo alla moderna società capitalistica, al moderno mercato mondiale del diritto penale insomma, è proprio visibile dentro i linguaggi di questi dispositivi.
Ecco perché, dicevo, il mio discorso si muoverà ai limiti, non perché, lo dico già dall'inizio, io disdegni, tutt’altro, non venivo qua, l’importanza di tutti i lavori che fanno i giuristi per mitigare, riformare, attenuare, portare ai limiti, appunto, del possibile queste orribili misure, perché questo è il punto assolutamente essenziale, ma vanno contestualizzati in un discorso che non può essere chiaramente sono del diritto, così come il mio non può essere solo della filosofia o quello che sia - sappiamo, c'è la divisione del lavoro insomma, però la divisione del lavoro non è l'ultima parola delle società umane.
Allora se noi non andiamo a contestualizzare la cosa, l'azione che si fa è efficacissima sul breve periodo; sul medio - lungo periodo fa vedere i limiti - oggi si dice con un pessimo linguaggio, le criticità, linguaggio molto aziendale, da auto-valutazione ma non è questo, e allora perché è importante contestualizzare? Per sapere, nel senso anche più positivo i limiti entro cui si muove anche l'importantissimo e opportunissimo discorso giuridico. Però bisogna guardarlo anche in questo contesto più ampio. E il contesto più ampio - lo dico con molta chiarezza, in questo distinguendomi con le impostazioni che ho sentito prima, ma nell'ottica appunto di un confronto chiaramente - emergeva, come emergeva? Prima di tutto da quanto diceva Caterina, ma anche da quanto emergeva in due interventi che ho sentito circa l'inefficacia del quarantuno bis, in ultima istanza, per la lotta alla mafia. E che cosa emerge qui? Emerge un punto che, per il metodo che uso, è decisivo, cioè che tutto il movimento concreto, effettivo, effettuale del diritto, non quello che sta nella legge chiaramente, ma il movimento concreto, la sua applicazione, si muove entro rapporti sociali determinati.
Allora se io dico che ho avuto la sensazione, insomma, che non si potesse quasi dire, che sono rapporti di sfruttamento, che sono rapporti di classe, la cosa va presa con massima serietà, anche perché, se mi consentite una battuta - io sono marxista e Marx, che certo di lotte di classe se ne intendeva, diceva guardate che l'esistenza delle classi e della lotta di classe non l'ho inventata io, sono proprio gli economisti borghesi che l'hanno inventata! E, se aprite il trattato dell'economia politica della tassazione di David Ricardo, comincia esattamente con i conflitti delle classi in cui è divisa la società moderna. - Vabbé,  a questo punto arrestate Ricardo, arrestate Adam Smith, arrestate tutti i moderni che pure hanno creato questo tipo di diritto insomma, sembra un serpe che si morde la coda! Capite?
E quindi questo discorso va fatto!
Trovo sinceramente un po' riduttivo mettersi a fare il discorso “ma allora, allora dobbiamo fare la rivoluzione, me la sento non me la sento” (da un costituzionalista intervenuto precedentemente).
Beh, le rivoluzioni sono dei processi sociali complessissimi, sono processi di epoche, dove ci sono in gioco soggetti collettivi. Certo sono gli individui che fanno la storia, che fanno questi soggetti collettivi, ma la loro azione supera di gran lunga la loro volontà.
E quindi se noi vediamo la cosa in questa prospettiva, lo facciamo qui, in questa sede, poi ognuno si fa le sue scelte chiaramente, per andare a capire questi nessi di lungo periodo, entro cui questi fenomeni giuridici immediati si muovono e in cui è giustissimo, opportuno, non c'è altro da fare che l’intervento immediato del giurista o di chi sia, insomma, ma che vanno visti entro questo tempo, non fosse altro che per poterli capire!
Ma l’azione, in ultima istanza, è frutto di un processo collettivo, per cui direi di seguire queste piccole analisi proprio entro questa ottica. Ho voluto fare questa premessa circa appunto il metodo di lavoro per potere rendere chiaro l'ambito entro cui faccio il mio discorso.
E allora quando altre relazioni ci hanno fatto questo discorso, anzi, una delle ultime che ho sentito, mi pare del Garante insomma, non so, diceva “ma allora se non c'è un effetto concreto rispetto al fine allora perché ci sta?!”
Chiaramente, vista in questa prospettiva, il problema dove è? Che i rapporti sociali attuali, gli assetti proprietari attuali siano diventati insostenibili rispetto alle esigenze della società circa la produzione e la distribuzione della ricchezza - e non lo dice insomma l'ultimo bolscevico, lo dicono i manager della City di Londra insomma. Cioè, che ci sia una questione cruciale circa l’intera forma di produzione esistente è qualche cosa che emerge anche alla consapevolezza immediata!
Non si comprenderebbero i movimenti populisti come risposta sbagliata, come risposta omogenea, però a tutto quanto il processo, se non come gli indicatori di questo punto, che è assolutamente strutturale.
E allora, se questo è il punto, allora come funzionano le misure eccezionali? Funzionano per creare la paura! Cioè il meccanismo della paura dentro un rapporto sociale che dovrebbe avere altra soluzione, verso forme di produzione che indicano una forma superiore di umanità, non ne dobbiamo parlare qui, è un processo di lunghissima durata però non dipende da noi, prima avvengono i processi poi la scienza li teorizza!
Allora entro questo processo di lungo periodo, l'ipotesi che vorrei per un attimo schizzare è che allora la questione dell'eccezione che, come dicevo prima, sembra anche nell'andamento del quarantuno bis sembra diventare la stabilità, diventa a poco a poco un fenomeno strutturale. L'eccezione diventa in qualche modo costitutiva dentro il discorso, perché? Ma è esattamente per la struttura stessa di tutto quanto l'assetto produttivo e organizzativo di questa società! 
E allora se noi prendiamo, perché ho cercato comunque di leggere, per quello che i miei strumenti teorici lo permettono perché non faccio il giurista, il quarantuno bis, il primo elemento che mi ha colpito è proprio l'esordio: “In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro ecc.”.
Rivolta, e questo ci obbliga - avevo detto che avrei fatto il discorso di più lungo periodo - a spostarci a quarant'anni fa, tra gli anni settanta e ottanta, quindi in un clima completamente diverso, quando dentro le carceri ci fu un processo continuativo di rivolte, che non possono essere lette semplicemente come fenomeni autoreferenziali dentro il carcere, ma vanno messe in connessione con tutti quanti gli altri processi sociali, che stavano avvenendo nella società in quel periodo.
E quali erano?
Certamente una forte conflittualità di classe classica - operai, l'industria, la grande industria fordista. E questa sicuramente. Ma furono significativi, in un quella fase, l'emergenza di processi sociali altamente conflittuali entro le sovrastrutture della società borghese. La scuola e l'università in primo luogo, ma, il carcere, il manicomio, l'ospedale. Cioè tutte queste figure che alcuni teorici che io non seguo, ma che molto opportunamente, cioè con un termine comunque pregnante, chiamano biopolitici.
Carla Serra, quando aveva fatto riferimento al divieto del linguaggio, dice si vieta il linguaggio, cioè la vita, c'è una politica che ha come oggetto la vita immediata.
La vita immediata, considerata come essa stessa una risorsa da sottomettere, disciplinare o regolamentare.
Sembra che sia la vita stessa l'oggetto dello sfruttamento, si tratta di capire l'epocalità di questo passaggio, ecco perché, dicevo, sono perfettamente d'accordo, anzi, è quanto più necessario fare degli interventi riformatori, ma se non teniamo presente la posta in gioco che c'è qua dietro, chiaramente la cosa rischia di pigliare fiato corto. Ripeto, non che non bisogna farli, però capite che qui ci troviamo dinanzi a un torno di un’epoca che è pesante, e che se vogliamo veramente essere coerenti con il nostro appartenere alla specie umana, dobbiamo essere capaci di ragionare sul breve, sul medio e sul lungo periodo.
Allora, in questo passaggio di quarant'anni fa, dove si sono fatti i giochi rispetto a cui capiamo poi globalizzazioni e crisi, cioè i passaggi esattamente dentro queste istituzioni, che un teorico francese, molto letto nei movimenti contemporanei, Michel Foucault, chiamava istituzioni disciplinari - scuola, fabbrica, manicomi. E come li definiva? Come istituzioni che sono caratterizzate dall'antitesi dentro/fuori. Ecco l'isolamento, è il dentro o fuori dell'Istituzione disciplinare, che non è solo il carcere - ospedale, scuola, università
Andiamo a inquadrare quindi questo processo complessivo della società. Fu una messa in discussione complessiva dell'Istituzione come tale. Ma che cosa c'era dietro questa parola astratta l'Istituzione come tale?
C'era una crisi di un determinato modo di produrre, che in quel momento andava ad investire, per motivi diversi, il capitalismo e il socialismo sovietico, che cominciava ad entrare in crisi. E perché cominciava ad entrare in crisi? Perché per il capitalismo si comprende, il problema del socialismo sovietico invece, e che tanta importanza ha avuto poi nel discorso su queste istituzioni, in che cosa consisteva?
Checché se ne possa pensare, quale giudizio si possa dare di quell'esperienza, dopo un primo tentativo, giusto o sbagliato non dobbiamo discuterlo qui, dell'umanità di attivare un processo di emancipazione umana. Checché se ne possa pensare, poi sugli esiti si può discutere.
Ebbene Antonio Gramsci, che con pochissimi strumenti informativi osservò l'esordio della rivoluzione sovietica, annotò in uno scritto, in un articolo - non era ancora entrato in carcere - una cosa caratteristica di quella rivoluzione. Il primo atto, diceva Gramsci, che i rivoluzionari fecero, fu quello di liberare tutti i detenuti politici e comuni dal carcere di Odessa. I detenuti, appena uscirono giurarono solennemente di redimersi e non commettere più crimini.
Certo Gramsci a modo suo poi interpretava: qui i rivoluzionari avevano capito allora la morale kantiana, avevano capito la questione dell'umanità, e in questo Gramsci era perfettamente nella linea; in uno scritto che Marx ed Engels avevano fatto, di commento critico al diritto penale di Hegel, quando Hegel definiva la pena come l'auto giudizio che il delinquente pronuncia su sé stesso, affidando a certi uomini l'esecuzione di questo giudizio, beh, Marx ed Engels osservavano in maniera molto ironica: meno chiacchiere, questo è il neo di bellezza alla legge del taglione, che Kant considerava essere l'unico significato del diritto penale e che purtroppo sembra appunto dargli ragione se pensiamo, per esempio, che il sindaco di Riace ha acchiappato il Daspo! Sarà pure formalmente corretto il provvedimento perché c'è la violazione amministrativa formale, però questo è proprio il diritto penale come lo dice Kant e su cui Hegel pone il neo di bellezza insomma, non ci sta niente da fare!
Per cui Marx, Engels dicevano: ma questa di Hegel rimane assolutamente astratta, perché? Chi sarebbero questi rispettabili onorevoli uomini che dovrebbero poi aiutare il reo a auto infliggersi la condanna? Cioè, detto fuori da questo linguaggio aulico, chi è che deve andarla ad applicare insomma?
E qua torniamo al discorso che ho sentito poco fa - non è il giudice, non è il secondino, sì, ma sicuramente, ma io non è che conosco quel giudice o quel secondino, non è questo! Si tratta della funzione sociale, questo è il punto!
Cioè vedete che tutta la questione è l'applicazione del diritto! E beh, certo! Io potrei anche sottoscrivere che ogni esecuzione della pena è specifica per ogni individuo; come diceva Marx, non sarebbero individui se non fossero diseguali! Ma il problema è che anche coloro che dovrebbero aiutare il reo a…, sono individui e sono diseguali!
E Marx diceva: e grazie, c’era bisogno di te caro Hegel, ci stava già Platone che aveva detto che la legge è astratta e va a incappare nella casistica concreta, è una vecchissima storia!
E dopodiché loro concludevano, ed ecco perché il carcere di Odessa, concludevano: in una diversa società il reo pronuncia direttamente il giudizio su sé stesso ed affida agli altri uomini, socialmente, l'esecuzione della pena. Utopia?
Vi ho detto che penso delle rivoluzioni, sono processi di lungo periodo, non è in nostro potere, poi prima succedono questi eventi e poi si teorizzano.
Però vi posso dire una cosa. Voi sapete che qualche anno fa a Napoli, vengo da Napoli, a rione Traiano, durante un posto di blocco della polizia, tre ragazzi sullo scooter, Davide Bifolco, uno dei tre, fu sparato da un carabiniere che ebbe prima quattro anni, adesso la Corte d'appello l’ha riportata a due, ci sono state proteste, a mio parere giustamente, ma comunque adesso andiamo al punto, a questo riferimento.
Dunque subito dopo l'uccisione, i ragazzi di rione Traiano, spontaneamente, andarono a piazza Carità sotto il comando dei carabinieri, e quando uscì il colonnello comandante gli dissero: a noi non interessa se gli date 40 - 30 anni, non glieli date, datecelo un’ora a noi! Che significa datecelo un’ora a noi? Vi sbagliereste se pensaste che … non dicevano questo. Datecelo un’ora, perché, che significa che me lo andate nascondendo? Ci vogliamo parlare, vogliamo sapere perché. Vogliamo sapere perché. Cioè guardate che è tutta un’essenza di questo testo di Marx per chi pensasse che si tratti di utopia, cioè è umano! E’ umano porre il problema della redenzione della colpa socialmente. Ma non in una socialità delegata ad altri uomini, ma nella socialità!
Ecco invece come ha funzionato il diritto poi? nascondiamo, per carità insomma, perché poi dopo le rappresaglie
Cioè vedete lo stato d'eccezione come è strutturale, perciò ho fatto questo discorso. Magari l’ho preso un po'da lontano, ma si tratta di andarci a leggere dietro questi fenomeni; ripeto, lo so che nell'immediato si dice: che dobbiamo fare? Quello che state dicendo da stamattina, però il problema é capire in che tipo di contesto metterla.
Allora, vedete che gli anni settanta portarono all'ordine del giorno questo tipo di problematica.
Per motivi che qui non dobbiamo, diciamo, sviluppare, voi sapete che tra gli anni ottanta e oggi c'è stata invece una profonda reazione, una profonda riforma della società, nel senso specificamente capitalistico.
Allora, anche qui, checché si possa pensare di questo tipo di passaggio, qui potete però subito vedere i caratteri specificamente capitalistici del discorso sul quarantuno bis.
Ecco perché dicevo l'eccezione ha degli elementi di strutturalità. E infatti il passaggio successivo che ho annotato parla di applicabilità del dispositivo in caso della sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva.
Vedete che qui sono stati messi insieme reati cosiddetti comuni, reati politici, poi il concetto di terrorismo, vorrei che qualche giurista spiegasse dove sta la nozione di fattispecie, ma non voglio dire questo. Allora sono messi sullo stesso piano le tipologie le più diverse. E che cos'hanno in comune queste tipologie? L'associazione, il carattere associativo.
Questo è il punto, associazione, perché l'isolamento che cosa deve fare? Deve impedire l'elemento dell'associazione. Adesso non mi interessa sapere che quella mafiosa va bene, quell'altra
Ma vorrei far notare la questione dell'associazione che ci porta a quanto diceva Carla Serra - il linguaggio. Che poi prima del linguaggio c’è la società, cioè i rapporti sociali per cui si, era stato detto, misure umanitarie, più umane. Ma che cos’è umanità, ci vogliamo intendere su che cosa è umanità?
L'umanità è la società.
Ma allora che cosa vuol dire questo che l'umanità é la società?
E’ proprio Marx che ci fa vedere come funziona - poi chiudo su quest'ultimo passaggio ma è questo punto a cui volevo arrivare - come funziona tutto il dispositivo dei diritti umani borghesi.
Voi sapete, dalla proclamazione dei diritti dell'uomo, sono: Libertà, Proprietà, Uguaglianza, Sicurezza. Notiamo che sicurezza è quello che chiude.

Guardiamo un attimo il punto:
Libertà 
La convenzione della Rivoluzione francese come la definisce? “Ciascuno è libero fino a che la libertà di ciascuno non vada a nuocere a quella altrui, a quella dell’altro”.
Dice Marx: e che razza di libertà è questa, dove l’altro diventa il limite, diventa il negativo della mia libertà! E’ questa la libertà della monade, sta come un cippo! 
Ma infatti che cosa rende possibile l'esercizio di questa libertà? La proprietà privata.
Saltiamo l'eguaglianza, perché è chiaro che qui i fondamenti della diseguaglianza sono dati, sapete Marx come definisce la sicurezza? E arriviamo al punto, che questa è la questione, Ordine e sicurezza. “Il concetto sociale più alto della società borghese”
Cosa significa? Significa che in termini di socialità, la società borghese, che pure rappresenta un grandissimo progresso nella storia dell'umanità, non è questo il problema. Assolutamente non sono per ritornare indietro, cioè la società che io voglio deve essere preparata dalla più alta socializzazione dei mezzi di sussistenza, di produzione, che solo questa società ha potuto creare.
Ma che cosa è qui la sicurezza? E’ l’assicurazione della proprietà privata.
Cioè, il massimo di socialità è che la società ti serve solo come strumento per assicurare il tuo egoismo. Da questo punto di vista, ovviamente voi capite dal mio discorso quanto possa essere contrario! Eh, ma purtroppo, ma purtroppo Matteo detto Salvini (come dice Crozza per quell'altro) quando nel nuovo decreto mette insieme gli immigrati, il pericolo dell'immigrazione clandestina e lo sgombero delle case occupate perché bisogna difendere la proprietà privata, guardate che non stanno insieme con il decreto mille proroghe, c'è un nesso interno, che vi dico insomma, studio Marx, cacchio, non ha trovato letteratura secondaria migliore sulla questione ebraica! Cioè questo, cacchio, me lo ha spiegato… purtroppo insomma.
Capite il nesso che qui c'è?
E allora questo ci porta sul concetto specifico di sicurezza borghese che Marx esaminò - e veramente finisco qui, ma questo passaggio è veramente interessante - in un testo che scrisse nel 1842, che per chi non l'ha letto è veramente da leggere, “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”, cioè la controrivoluzione di Napoleone III dopo i fatti del 48. Allora a questo punto cosa succedeva? Che nell'assemblea costituente e poi nell'assemblea nazionale, si era aperto - o guarda un po'! Eh, ma è società borghese, quindi pare oggi - il conflitto sulla Costituzione. Si era aperto in realtà a proposito di un altro fatto, ma anche qua pare qualche anno fa, insomma, la spedizione a Roma del generale Udinò a bombardare Roma insomma. Quindi più o meno siamo qua, cioè la Costituzione vieta eccetera eccetera.
Bene allora Marx fa questo ragionamento:
Ogni Costituzione (questo è molto familiare ai giuristi) contiene sempre 2 parti. Una prima parte - quindi ogni articolo della Costituzione - in cui fa una solenne proclamazione della libertà (di stampa ecc.). Dopodiché, dice Marx, in ogni articolo della Costituzione c'è sempre il rinvio a una legislazione organica che dice entro quali limiti è esercitabile questo diritto purché non leda la sicurezza.
E lui diceva ogni Costituzione contiene il testo e la nota a margine, la Camera alta e la Camera bassa. Questo è il decreto Minniti, il decreto Salvini. E’ la camera bassa, ma voi capite che si fa nella Camera bassa, non nel Senato. Nel Senato ci stanno i senatori, oh oh.
E’ la Camera bassa, è nella Camera bassa che si fa la sicurezza.
Ma il problema qual è? E siamo al punto, che cosa s'intende per sicurezza, questo è il punto!

L'ordine e la sicurezza
Ma ché cos’è sicurezza? E’ evidente che qui si tratta della sicurezza borghese, e cioè della sicurezza della proprietà privata, che è minacciata perché essa crea povertà, miseria, eccetera, perché la stessa socializzazione dei mezzi di produzione - Carrefour, le sette sorelle, Benetton, le banche… Eh! non sono solamente quello schifo che combattono - però i populisti vedendo solo questo aspetto - ma sono un momento di socializzazione dei mezzi di produzione che urtano contro il regime di proprietà privata.
Noi non sappiamo come finirà, è chiaro, qua si tratta di capire la contraddizione! E allora, ecco la paura, ecco qui la sicurezza borghese che è legata alla proprietà privata.

Qual è la sicurezza che a me piacerebbe? Non è il migrante che fa paura, ma esattamente i confini! La libera circolazione degli uomini sulla faccia della terra, perché, come dice Marx, la terra non è proprietà di nessuno, manco di uno Stato. Dice lui, con finissima conoscenza della filosofia del diritto di Hegel, “essa è possesso e usufrutto degli uomini, che hanno il dovere di conservarla e trasmetterla migliorata alle nuove generazioni”, pazzesco! Cioè rivendicare il possesso su una parte di superficie terrestre è come rivendicare il possesso di un altro uomo da parte di un uomo, cioè è una irrazionalità.
Le migrazioni sono costrette, certo, nessuno emigra con piacere. Ma non volendo, qui il capitalismo apre una nuova possibilità, cioè che la terra diventi l'eterna proprietà comune dell'umanità. A me questa dà più sicurezza, questo è tutto il punto.
Adesso capite che, è chiaro, non esclude affatto tutto il discorso che fanno i giuristi.
Se però fosse visto in questa prospettiva, la cui realizzazione non dipende da nessuno, quindi è inutile dire camma fa a questo livello. Ma allora forse sarebbe un passo avanti, non fosse altro perché è migliore come prospettiva per il genere umano
Grazie

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