Un rapidissimo aggiornamento sulle condizioni attuali, per quanto possa esserne a conoscenza, di Nadia Lioce, poi vi leggerò uno stralcio del documento che Nadia ha prodotto in udienza il 24 novembre scorso. Il comunicato dell’mfpr “Dai presidi alle assemblee" ha cercato innanzitutto di raggiungere Nadia Lioce. Noi abbiamo inviato il comunicato in carcere a dicembre, ma sono mesi che la posta le viene bloccata e quindi lei non lo ha ricevuto ed è stata messa sommariamente al corrente di questo passaggio della campagna e di questa assemblea, durante un recente colloquio con familiari. Nadia ha accolto comunque con favore questa cosa, lei lotta da dentro come può, ed è giusto che i compagni si organizzino e lottino da fuori, socializzando anche il contributo che lei ha prodotto.
Per questo
voglio passare a leggere uno stralcio di questo documento, in
particolare per quanto riguarda la specificità della sezione
femminile del 41bis del carcere dell’Aquila:
"La specificità della
sezione 41bis femminile dell’Aquila è quella di essere stata
istituita da zero. Cioè scegliendo: ubicazione geografica e
strutturale, personale assegnato e sua formazione, e il trattamento a
cui sottoporre le “politiche” per cui è nata. E ciò potendo
contare sul fatto che le prigioniere sottoposte alla misura non
avessero un’esperienza pregressa, nemmeno storica, del 41bis
(misura che viene previsto possa essere applicata anche ai
politici
nel 2002). Inoltre, la mancanza di una loro coesione per ragioni di
forza maggiore, ha reso più praticabile un trattamento di “massimo
rigore”.
Col passare degli
anni, e radicato l’insediamento e le sue caratteristiche di fondo,
la particolarità è stata essenzialmente quella di essere poche.
Ma è necessario fare
un passo indietro.
Fino al 2005, la
sezione 41bis femminile era quella di Rebibbia, a Roma, dove le
restrizioni applicate erano quelle di legge e generali, e il
personale penitenziario era ordinario. Quella sezione nel
2009 chiuse.
In quella aquilana,
aperta nell’ottobre 2005, per applicare il “massimo rigore” fu
adottato l’espediente di elaborare ed affiggere nella saletta della
sezione un regolamento apposito per la sezione, che voleva dare
l’impressione che, data la peculiarità di genere della sezione,
essendo femminile in un carcere esclusivamente maschile, ne servisse
uno apposta, altrimenti esisteva un regolamento di istituto che era
vigente a tutti gli effetti.
In realtà, quando nel
2006 fu chiesto di poter acquisire il regolamento d’istituto – tutti
gli istituti devono averne uno – non fu opposto un diniego, non
sarebbe stato giustificabile, ma fu affissa una copia del regolamento
mancante di alcune pagine iniziali e anche al suo interno. Se ne
dovette perciò reclamare l’affissione nella sua interezza al
Magistrato di sorveglianza. E infatti così fu fatto quando il
magistrato lo ordinò. Allora si poté
scoprire che, quelle mancanti, erano pagine concernenti modalità di
perquisizione personale, quantità e generi alimentari, di vestiario
e altro, detenibili in cella. Ambiti in cui la prassi nella sezione
femminile non osservava il regolamento a scapito delle detenute, fino
a quel momento ancora poco esperte.
La sottoscritta farà
alcuni esempio pratici: le “perquisizioni personali con
denudamento” venivano fatte con denudamento integrale nonostante il
regolamento d’istituto prescrivesse che il detenuto restasse con
gli indumenti intimi.
Un altro esempio: il
regolamento d’istituto prevedeva che in cella si potessero detenere
10 pacchetti di sigarette. Quello di sezione non contemplava
l’argomento, sicché la quantità detenibile veniva comunicata
oralmente. Diventarono 8, poi 6, poi 4. E il momento della decisione
di ridurre da 8 a 6 ecc. era quello in cui nel corso della
perquisizione della cella, a quel tempo settimanale, se ne trovavano
7, poi 5 e così via.
Alla detenuta veniva
contestata la detenzione di un “eccesso”, alla previsa e scontata
rimostranza, la prima volta c’era l’avvertimento, la seconda il
rapporto disciplinare. E così per ogni variazione in senso
restrittivo che potesse/volesse essere inventata.
A quel tempo, fino a
tutto il 2009, era un metodo, poi è diventato periodico, mentre, più
in generale, anche sui generi detenibili in cella il dipartimento ha
sussunto molte delle potestà prima in capo, almeno formalmente, ai
direttori.
Come detto, la
particolarità della sezione femminile 41 bis è ora in buona parte
dovuta alla scarsità di detenute, un dato di fatto che di per sé si
traduce in una pressione più elevata, e che consente di gestire la
frequentazione alternata dei comuni passeggi e della saletta, anche
formando “gruppi” di due persone. E poiché come prima
opzione l’amministrazione privilegia la composizione di gruppi di
numero minimo di persone, i “gruppi”, salvo cause di forza
maggiore, sono sempre di due donne.
Come si può intuire,
i mini gruppi di 2 persone sono la composizione a massimo
condizionamento reciproco. Ad esempio offrono la
possibilità con una sanzione di erogarne informalmente 2.
È quello che sarebbe
successo alla sventurata detenuta che fosse capitata nel gruppo con
la sottoscritta, anche dall’aprile 2015 all’ottobre 2017, quando
avrebbe dovuto restare sola al passo delle sanzioni scontate dalla
sottoscritta per la protesta effettuata dei fatti di un segmento
della quale qui si discute.
E invece non è
successo perché la sottoscritta, anche per senso di responsabilità
verso le altre detenute, all’atto del trasferimento in una sezione
più grande in grado di custodire ulteriori detenute sopravvenute, ha
scelto di non condividere gruppi con nessuna, ovvero dal gennaio 2013
a tutt’oggi.
In parole povere,
composizioni di gruppi minimali sono una condizione che genera
isolamenti in se stessa perché l’unico altro componente resta solo
in casi di: sanzione, malattia, colloquio, udienza, o semplice,
legittima, mancanza di volontà di uscire dalla cella, o di svolgere
le medesime attività durante l’ora d’aria o di saletta,
dell’altro. Tutte condizioni
concretamente verificatesi centinaia di volte dal 2005, da quando
cioè L’Aquila aprì la sezione femminile per “le politiche”.
Dopodiché l’essere
umano è per sua natura sociale, cioè lo è sia interiormente che
nelle sue interazioni, non lo è solo circostanzialmente, perciò le
circostanze sono ciò con cui potenzialità e istanze si misurano e
con cui le persone possono maturare, anzi tanto più possono aspirare
a migliorarsi, quanto più difficili fossero le circostanze che si
presentassero.
La sottoscritta, non
potendo sapere quale sia l’idea dei presenti sulle comunicazioni
nelle sezioni 41bis, immaginando che non fossero note né le
circostanze derivanti dalla propria condizione di “solitudine” e
dunque di preclusione assoluta delle comunicazioni con altre
detenute, né che – tra le altre cose – all’epoca dei fatti la
sottoscritta avesse conosciuto soltanto due delle altre sei detenute
presenti nella sezione femminile in quanto già a L’Aquila dal 2010
– 2011, e infine immaginando che possa essere ritenuto –
erroneamente – che una situazione del genere, contrastando con un
principio di inviolabilità della persona, non possa verificarsi in
questo paese, ha preferito dilungarsi a illustrare le condizioni
d’esistenza proprie e delle altre detenute, nel regime di prigionia
di 41 bis…"
Aggiungo
che con l'ordinanza dell’8 Febbraio 2018, il tribunale di
sorveglianza di Roma ha rigettato il reclamo di Nadia Lioce contro il
decreto di proroga del 41bis. Tra le pretestuose motivazioni, ad
essere messa sotto accusa, oltre alla “condotta detentiva” di
Nadia, è anche la solidarietà che comunque continua ad esserci
dall'esterno. Il documento di Nadia Lioce è stato raccolto in un
piccolo opuscolo, con in appendice un estratto su questa ordinanza.
L’opuscolo è a disposizione, insieme ai numerosi messaggi che hanno accompagnato la raccolta firme
ed è importante leggere anche questi messaggi, conoscere i motivi
che hanno spinto tante persone a firmare l’appello.
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