Molestie in fabbrica, operaie si uniscono e l'impresa è condannata
Importunata dal primo giorno di assunzione, poi il tentato stupro
Roma. (askanews) - Marina (il nome è di fantasia) è stata assunta il 14 settembre del 2011 e pensava di aver coronato il sogno di trovare finalmente un posto sicuro. Un sogno che si è infranto contro un muro di crescenti "atti di molestia sessuale pesanti e ripetuti culminati in una vera e propria aggressione sessuale il 5 ottobre 2011" da parte del "padre della legale rappresentante della società che operava di fatto quale titolare dell'azienda".
E' quanto si legge nella sentenza del tribunale di Firenze che, dopo oltre cinque anni, ha dato ragione alla lavoratrice che si era dimessa per giusta causa poco dopo l'aggressione. Un verdetto cui si è giunti grazie alle testimonianze di altre operaie che hanno trovato il coraggio di parlare e che hanno portato anche alla condanna dell'azienda per non aver fatto nulla per fermare l'uomo.
L'uomo era di fatto "l'imprenditore, quello che comandava in azienda, che organizzava e dava gli ordini", hanno raccontato alcune dipendenti che di fronte alle molestie avevano evitato di denunciare per paura di perdere il posto di lavoro. Le molestie andavano da apprezzamenti pesanti a richieste di prestazioni. Il padre della datrice di lavoro le metteva le mani addosso non appena si trovavano da soli nella stanza adibita a spogliatoio e la costringeva "fino al momento in cui un altro dipendente suonava al campanello della porta d'ingresso della ditta". Episodi dolorosi che hanno causato nella donna profonde conseguenze fisiche e psicologiche, disturbi del sonno con incubi e bruschi risvegli, perdita di peso, ricordi invasivi del trauma, isolamento, disagio sociale.
Il tribunale ha riconosciuto che "il ricorso è fondato e va accolto" e ha condannato l'azienda a liquidare il risarcimento del danno in circa 14mila euro per danno biologico e in 20mila euro per danno non patrimoniale da discriminazione, oltre all'indennità sostitutiva del preavviso e alle spese legali.
La figlia, titolare dell'azienda di cui il padre figurava come socio, "non si è minimamente attivata al fine di prevenire e reprimere le condotte di molestia del padre in azienda, pur essendone sicuramente a conoscenza essendo fatto notorio e risaputo tra tutti i dipendenti che il padre molestasse le operai e che già in passato aveva avuto dei precedenti". "In caso di molestie sessuali nel luogo di lavoro - hanno stabilito i magistrati - la società è tenuta al risarcimento del danno biologico per inabilità temporanea e permanente e del danno non patrimoniale da discriminazione in ragione del sesso" per la mancata adozione di iniziative di prevenzione e repressione da parte della società.
Sul blog di diritto del lavoro soluzionilavoro.wordpress.com è possibile trovare una nota di approfondimento sulla vicenda.
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