di Maurice Lemoine, Le Monde Diplomatique, marzo 2013
In America Latina a partire dagli anni 70’ la Santa Sede ha
contrastato con forza le nascenti correnti cristiano-progressiste come i
teologi della liberazione, di ispirazione marxista. Papa Wojtyla e papa
Ratzinger hanno portato avanti vere e proprie crociate contro le
fazioni più radicali rafforzando la tendenza conservatrice della Chiesa.
Vista la tendenza a vedere l’America Latina come la culla del
socialismo del 21° secolo, l’elezione di Papa Francesco non è forse il
segno chiaro di una offensiva ancora più aspra nei confronti del
consolidamento della sinistra nei paesi sud-americani?
Nei commenti sulla rinuncia di Papa Benedetto XVI domina una tonalità:
lasciando il suo trono con «coraggio e piglio brioso», il Sovrano
pontefice si conforma ai criteri della modernità. Eppure, in America
Latina, il ricordo che l’ex cardinale Joseph Ratzinger ha lasciato
rimarrà collegato a un grande balzo all’indietro.
Ritorno agli anni ’60 – epoca in cui dom Hélder Câmara, l’arcivescovo
di Recife che incarna la coscienza dei cattolici progressisti del
Continente, fece la constatazione restata celebre: «Quando do da
mangiare ai poveri dicono che sono un santo; quando chiedo perché sono
poveri mi trattano da comunista». La miseria, l’analfabetismo, la
marginalizzazione di decine di milioni di abitanti hanno provocato la
radicalizzazione di un gran numero di cristiani e di alcuni membri della
Gerarchia. In un clima di aggiornamento, sotto il pontificato di
Giovanni XIII e soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II
(1962-1965), l’enciclica Populorum Progressio porta, nel marzo 1967, l’appoggio di Roma alle prese di posizione del clero progressista, in particolare quello brasiliano.
Dal 26 agosto al 6 settembre 1968, inaugurata da Paolo VI, la Seconda
Conferenza generale dell’episcopato latino-americano si riunisce a
Medellín (Colombia). Durante la prima assemblea un giovane teologo
peruviano, Gustavo Gutiérrez, presenta un rapporto sulla «teologia dello
sviluppo». Poiché l’idea seguiva il suo corso, il documento finale,
dopo aver affermato che il Continente è vittima del «neocolonialismo»,
dell’ «imperialismo internazionale del denaro» e del «colonialismo
interno», riconosce la necessità di «trasformazioni audaci, urgenti e
profondamente innovatrici» (1). Questa professione di fede segna l’atto
di nascita della Teologia della liberazione. Procedendo a una lettura
impegnata del Vangelo, una delle sue convinzioni centrali è che esiste,
accanto al peccato personale, un peccato collettivo e strutturale, vale a
dire una pianificazione della società e dell’economia che causa
sofferenza, miseria e morte di innumerevoli «fratelli e sorelle umani».
Nelle campagne, nei quartieri popolari e nelle bidonville una
generazione di membri del clero s’impegna concretamente, e quindi
politicamente, al fianco dei più impoveriti.
Di solito tetra, l’espressione dei vescovi conservatori si incupisce
ancor più. Si manifestano tre poli di resistenza: l’Argentina e il
Brasile, governati dai militari senza che quei prelati se ne emozionino,
e la Colombia. Nessuno quindi resta sorpreso quando il tentativo di
riconquista del terreno perduto a Medellín mette in prima linea un
cittadino di quel paese, Alfonso López Trujillo. Il suo ruolo si allarga
quando, vescovo ausiliare di Bogotá; viene eletto segretario generale
del Consiglio episcopale latino-americano (Celam), nel novembre 1972,
prima di diventarne ulteriormente il presidente fino al 1983. A partire
dal 1973 i dirigenti di quell’organismo denunciano una «infiltrazione
marxista» nella Chiesa. Eppure i teologi della liberazione lo avevano
ripetuto molte volte: del marxismo essi utilizzano solamente i concetti
che appaiono loro essere pertinenti – la fede nel popolo come artefice
della sua storia; alcuni elementi di analisi socio-economica; il
funzionamento dell’ideologia dominante; la realtà del conflitto sociale
(2). Non per questo mons. López Trujillo si sforza meno di silurare
questa corrente di pensiero. E presto riceverà una grande spinta:
l’aiuto del Vaticano.
Dopo la morte di Paolo VI è il polacco Karol Wojtyla, diventato
Giovanni Paolo II il 16 ottobre 1978, colui che guida la terza
Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Puebla (Messico).
A quell’epoca tutti i Paesi della regione, salvo quattro, sono
sottoposti a regimi militari. Mentre i vescovi confermano la «scelta
prioritaria dei poveri», il nuovo Papa evita qualsiasi dichiarazione
sulle tensioni che attraversano la Chiesa latinoamericana. Ma si astiene
altrettanto dal denunciare i regimi dittatoriali. Segnato dalla sua
esperienza di un Paese del Blocco orientale, ferocemente anticomunista,
adotta una lettura semplicistica degli avvenimenti e, nel 1981, chiama a
Roma un teologo tedesco con il quale ha stretto rapporti personali, il
cardinale Ratzinger, che diviene Prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede – l’antica Inquisizione.
Con alle spalle, quale massima esperienza pastorale sul territorio,
un anno di vicariato in una parrocchia di Monaco, il nuovo «ideologo in
capo» diventa il migliore sostenitore di mons. López Trujillo (che lo
raggiungerà nel 1983 quale membro della Congregazione). In un ambiente
di guerra fredda, il Nicaragua in particolare diventa una specie di
«modello polacco», nel quale la Gerarchia è chiamata all’aperta
resistenza contro il regime sandinista – d’ispirazione tanto cristiana
quanto marxista – e un partenariato informale si annoda fra il Vaticano e
gli Stati Uniti di Donald Reagan per combattere, fra l’altro, la
«minaccia comunista» in America Centrale.
In occasione di un discorso pubblico pronunciato in Vaticano nel
settembre 1983, Ratzinger si lascia andare a una violenta requisitoria:
«L’analisi del fenomeno della Teologia della liberazione lascia apparire
chiaramente un pericolo fondamentale per la fede della Chiesa (3)»,
denunciando un radicalismo «la cui gravità è spesso sottostimata, perché
questa teologia non entra in alcuno schema di eresia presente fino a
oggi». «Il mondo viene a essere interpretato alla luce dello schema
della lotta di classe (…). Il “popolo” diventa così un concetto opposto a
quello di “gerarchia”, antitetico a tutte le istituzioni qualificate
come forze di oppressione». I termini vivaci di una prima istruzione
della Congregazione, datata 3 settembre 1984, risuonano come una
condanna per la sinistra del clero latinoamericano.
Precedentemente il «Grande Inquisitore» aveva indirizzato
all’episcopato peruviano un documento in dieci punti sul lavoro di padre
Guttiérez, prima di obbligarlo a «revisionare» le sue opere, con
procedimento degno di quello riservato a Galileo. Nel marzo 1985 la
folgore si abbatte sull’opera Chiesa, carisma e potere, del
francescano brasiliano Leonardo Boff. Messo al bando dalla casa editrice
che dirigeva, il padre Boff si vede vietare l’insegnamento e la presa
di posizione pubblica. In un Paese – il Brasile – che esce da vent’anni
di censura militare, questa sanzione provoca indignazione (4).
Di fronte all’amarezza che questi diktat provocano, Giovanni Paolo II cerca di mettere sotto controllo l’incendio sul quale il «Panzerkardinal»
getta benzina a interi bidoni. Evocando la teologia contestata, in una
lettera del 9 aprile 1986 all’episcopato brasiliano il Papa giudica che
essa «non è soltanto opportuna, ma utile e necessaria». Arriva perfino a
condannare la nuova ideologia dominante, il capitalismo liberale. Resta
il fatto che, con una volontà ben ferma di liquidarne l’eredita, Roma
smantella le conquiste di Medellín. Con nomine di vescovi conservatori e
di membri dell’Opus Dei (5), con l’accresciuto spazio accordato a
movimenti come i neocatecumenali, i Legionari di Cristo, il Rinnovamento
Carismatico, il duo Wojtyla-Ratzinger rafforza la tendenza
conservatrice. Per ridurre l’influenza di pastori giudicati troppo
contestatori, alcune diocesi, come quella del cardinale Paulo Evaristo
Arns, in Brasile, vengono sapientemente ridimensionate. Nel 1985 mons.
José Cardoso, paracadutato dalla Curia romana, rimpiazza dom Hélder
Câmara, raggiunto dai limiti d’età. Il nuovo venuto si porta dietro
rapidamente tutto il suo clero e le sue squadre di laici militanti.
Se i preti che partecipano al governo sandinista sono biasimati,
questo non sarà mai il caso per quelli che hanno collaborato con la
Giunta militare argentina. E ci si ricorderà per lungo tempo del giorno
in cui Giovanni Paolo II, visitando in più riprese l’America Latina, ha
dato la comunione alla coppia Pinochet [ndt.: per non parlare del Papa e del sanguinario Dittatore insieme sul balcone della Moneda].
È meno noto il fatto che, quando l’ex dittatore cileno fu arrestato a
Londra dal novembre 1998 al marzo del 2000, il cardinale cileno Jorge
Medina avviò negoziati riservati a favore della sua liberazione e del
suo ritorno immediato a Santiago. Occorre precisare che questi negoziati
furono appoggiati dalla Santa Sede da parte dei cardinali López
Trujillo e Ratzinger. meno fortunati, centoquaranta teologi che avevano
tentato di mettere in pratica le apertute del Concilio Vaticano II, sono
stati sanzionati durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
Diventato Benedetto XVI e ricevendo il 5 dicembre 2009 un gruppo di
prelati brasiliani, l’ispiratore e teorico delle misure conservatrici di
Wojtyla inveiva, sempre evocando la Teologia della Liberazione: «Le
ripercussioni più o meno visibili di questo comportamento,
caratterizzate dalla ribellione, dalla divisione, dal disaccordo,
l’offesa e l’anarchia, perdurano tutt’oggi, producendo nelle vostre
comunità diocesane una grave sofferenza e una forte perdita di forze
vive (6)…». Si può essere Santo Padre ed essere poco incline al
ravvedimento o al perdono.
(1) Conférence générale de l’épiscopat latino-américain, L’Eglise
dans la transformation actuelle de l’Amérique latine à la lumière du
concile Vatican II, Editions du Cerf, Paris, 1992.
(2) « Théologie de la Libération. Pourquoi cette méfiance ? », Etudes, no 3851-2, Paris, juillet-août 1996.
(3) Diffusion de l’information sur l’Amérique latine (DIAL), D 930, Paris, 19 avril 1984.
(4) Leonardo Boff chiedrà la propria «riduzione allo stato laicale» nel luglio 1992..
(5) Il cui fondatore, mons. Josemaría Escrivá de Balaguer, sarà
beatificato nel 1992. Leggere Juan Goytisolo, « Un saint fasciste et
débauché », Le Monde diplomatique, octobre 2002.
(6) Vatican Information Service, Rome, 7 décembre 2009.