Dal blog proletari comunisti
Pubblichiamo un articolo apparso oggi sulla Stampa di Francesca Mannocchi. Lo pubblichiamo perchè denuncia, descrive l'assedio che Israele insieme alle bombe e alla prossima invasione via terra sta portando avanti a Gaza per uno sterminio totale della popolazione palestinese; ma lo pubblichiamo anche perchè è necessario in questi giorni dare spazio ad ogni voce discorde e non allineata alla stragrande maggioranza dei giornalisti di stampa e, peggio, di TV, stanno vomitando falsità, schierandosi a prescindere dalla parte dello Stato fascista di Israele, e volutamente rovesciando la situazione per cui chi da sempre è l'oppressore, il massacratore di un intero popolo diventa la vittima e chi è oppresso da sempre, chi ha visto giovani, bambini, donne a migliaia uccisi, imprigionati, lacerati, senza terra, senza futuro, sarebbe l'oppressore, il "terrorista".
Niente acqua né luce, i civili intrappolati senza via di scampo. Così Israele punisce i miliziani di Hamas
«Ho ordinato un assedio completo alla Striscia di Gaza. Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto sarà chiuso. Stiamo combattendo degli animali umani e agiremo di conseguenza». Queste le parole del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant che segnano da ieri l’inizio dell’assedio totale su Gaza. Due milioni e trecentomila persone in 365 chilometri quadrati, una delle aree più densamente popolate del pianeta che da due giorni sta subendo la risposta israeliana all’attacco di Hamas di sabato, da ieri è - nelle parole di Gallant - condannata a patire la fame... Significa privare i 900 mila bambini, quasi la metà della popolazione totale, di ogni forma di sostentamento.
L’economia della Striscia è dipendente dalle importazioni di forniture, in particolare alimentari, attraverso i valichi di frontiera con Israele ed Egitto, che pure ha fortemente limitato la capacità dei palestinesi di attraversare il confine nel Sud dell’enclave. Gaza, dunque, sopravvive grazie agli aiuti da sedici anni, da quando Tel Aviv ha imposto il blocco e vietato a quasi tutti i palestinesi di entrare e uscire senza un permesso speciale. Significa che dai valichi entravano (a singhiozzo) cibo, carburante, medicine, e tutti i beni essenziali, significa che dai medesimi valichi non usciva praticamente nessuno. Da ieri per tutti, persino quella vita, già resa miserabile dalla scarsità degli aiuti, è finita di fronte alla crudezza del “chiuderemo tutto”, l’assedio totale, la più lenta azione punitiva delle guerre, la più disumanizzante: chiudere una città già accerchiata, privarla di viveri e rifornimento, piegare milioni di persone che non hanno via d’uscita. Affamare e svilire i civili per punire i miliziani di Hamas che controllano la Striscia. Da oggi dunque il cibo non entrerà nella Striscia e le persone continueranno a non uscirne.
Bloccare l’accesso di cibo e beni è un’arma di aggressione distruttiva al pari delle bombe, che pure da due giorni incessantemente colpiscono Gaza. Bloccare il cibo e l’acqua, il carburante e l’elettricità significa uccidere i già fragili e fiaccare chi sopravvive. Significa dire, a quegli esseri umani, descritti dal ministro Gallant come «animali»: valete meno di noi. Così tanto meno da poter morire di stenti...
L’assedio annunciato ieri è una punizione collettiva illegale, dunque un crimine di guerra, come recita l’articolo 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale recita: «Si intende per crimini di guerra: affamare intenzionalmente i civili, come metodo di guerra, privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, ed in particolare impedire volontariamente l’arrivo dei soccorsi previsti dalle Convenzioni di Ginevra».
Sohad Ebeid, medico chirurgo, contattato ieri da La Stampa al telefono mentre si trovava allo Shifa Hospital di Gaza, ha definito la situazione come «senza precedenti, la peggiore carneficina cui ho assistito in anni di guerre e morte nella Striscia. Non mancano solo le medicine, manca lo spazio dove sistemare i cadaveri». Ebeid descrive le urla acute delle madri e dei padri corsi allo Shifa con i corpi dei bambini in braccio coperti di sangue, circondati da colonne di fumo dagli edifici bombardati, i civili correvano a cercare riparo o a cercare i loro cari, dispersi. Cadaveri lungo le strade e sotto le macerie, sono le vittime civili che stanno pagando «il prezzo immenso» promesso da Netanyahu due giorni fa. «Stiamo finendo le forniture mediche, i farmaci di base, anche le siringhe, credo che i generatori che ci restano dureranno qualche giorno, non di più. Da quel momento, ammesso che saremo ancora vivi, vedo solo morte. Abbiamo feriti gravi e non abbiamo quasi più elettricità, abbiamo persone morenti e non abbiamo abbastanza medici e infermieri per tutti. Lasciamo che gli studenti operino i feriti in mezzo ai corridoi». Secondo i dati del Ministero della Salute, 41,4% dei farmaci essenziali e il 32% dei dispositivi medici usa e getta negli ospedali di Gaza sono già a scorta zero.
L’assedio totale si tradurrà a breve nell’agonia dei neonati ricoverati, dei malati gravi, nell’impossibilità di operare, garantire ossigeno.
«Abbiamo sofferto tanto negli ultimi anni, sapevano di vivere non avendo nulla da sperare e nulla da perdere. Ora però è diverso, da oggi sappiamo che siamo condannati a morte. E che saranno le bombe o la fame». A ieri dopo, due giorni di bombardamenti, sono ottanta i bambini morti a Gaza.
Per i nati nella Striscia dopo il 2007 non c’è stata altra vita che quella interna al perimetro del blocco, ai valichi chiusi, alle scuole con le classi di 50 alunni, alle cure non disponibili.
Già prima l’accesso i bambini di Gaza non avevano accesso a sufficienti cure mediche. A causa delle restrizioni del governo israeliano sull’ingresso di attrezzature mediche e farmaci nella Striscia, non erano più disponibili né la chemioterapia né i trattamenti radiologici.
Nei primi sei mesi del 2023, 400 bambine e bambini non hanno potuto ricevere le cure mediche di cui necessitavano. Meno di un mese fa, sulla scia dell’escalation di violenza che invase la Striscia tra il 9 e il 13 maggio, Save the Children denunciò che nel solo mese di maggio, quasi 100 richieste per bambini ammalati presentate alle autorità israeliane furono respinte o lasciate senza risposta, e che di media per due bambini al giorno era impossibile avere accesso a interventi chirurgici salvavita.
I bambini di Gaza, i bambini del blocco, sono stati disconnessi dalla realtà esterna mentre quella interna era una quotidiana abitudine alla privazione. Le madri che vediamo nelle fotografie che arrivano da Gaza, che oggi tengono tra le braccia i corpi dei figli feriti, ricordano cosa fosse la Striscia prima che il mondo esterno diventasse un ricordo indistinto, ricordano quando si poteva lasciare Gaza per andare in Egitto liberamente attraverso il valico di Rafah, quando si poteva uscire per essere curati. Chi è nato prima si è abituato al sacrificio e alla paura. Chi è nato dopo, una generazione di centinaia di migliaia di ragazzini e ragazzine, non ha altro orizzonte che la vita in una gabbia. Senza sogni, né ambizioni. Hanno vissuto il vocabolario dell’odio: isolamento, bombardamenti, negazione dei diritti, discriminazione, pulizia etnica, distruzione, deprivazione sistemica...
I bambini di Gaza non hanno avuto familiarità con nessun altro posto, hanno un’idea diversa di spazio, perché la Striscia di Gaza è lunga in tutto 48 chilometri, ma per loro è il mondo. Una differente idea di tempo. Per i bambini e gli adolescenti di Gaza la vita, già prima di sabato corrispondeva a una pausa tra due tragedie. Aspettare la guerra e cercare di sopravvivere era il comandamento quotidiano...
Nessun commento:
Posta un commento