Perché Paestum porta con sé un’aria pesante e stantia che sa di borghesia.
La borghesia
vuole che le donne siano e si considerino soggetti individuali, nel
male e nel “bene”, ciò che teme e contrasta è quando le donne si
considerano soggetto collettivo, perchè lì è che ci sono le avvisaglie
della lotta; la borghesia accetta anche che le donne singolarmente
esprimano un proprio “libero” pensiero, ciò che teme e cerca in tutti i
modi di impedire è quando le donne organizzate esprimono una precisa
concezione, linea di scontro con questo sistema sociale e che su questo
uniscono le loro forze per combattere il sistema, per passare da
“vittime” a “guerrigliere”; la borghesia accetta che le donne si
riuniscano, prendano la parola “liberamente” su argomenti vari, ma ciò
che non vuole assolutamente è che le donne dalle parole passino ai
fatti; la borghesia accetta che le donne della sua classe o aspiranti
tali occupino, sia pur per pochissimo tempo la “scena”, limitandosi tra
l’altro a parlare, ma non gradisce quando a riunirsi sono donne
proletarie, ragazze che vogliono cambiare il presente e risponde anche
con i manganelli, i gas lacrimogeni della polizia, il carcere, quando
queste donne, ragazze “pretendono” pure di lottare per cambiarlo.
Bene, se
leggiamo quello che è successo a Paestum da parte delle organizzatrici e
delle, come vengono definite, “storiche” è proprio quello che vuole la
borghesia.
Non ne
avremmo parlato, perchè ci sono cose ben più importanti che stanno
riguardando le donne in questo periodo, lo facciamo perchè a Paestum, al
di là delle “matrone” ci sono andate ancora tante ragazze, compagne, di
nome e di fatto – anche se la metà dello scorso anno. E chiediamo loro
di dire quello che gli è stato impedito di dire a Paestum e che pensano
dopo Paestum.
Appena delle ragazze hanno cercato di parlare, dicendo con tutto il loro entusiasmo: «Non
siamo ereditiere, siamo precarie», «Il tempo presente ci fa orrore.
Vogliamo agire per cambiarlo». Un piano d’azione che sembra una
iniezione di vitalità per la maggior parte delle presenti in sala che
con scrosci di applausi gridano «brave! siete tutte noi!» (da la cronaca di L. Betti su Il Manifesto dell’8/10).
Subito sono state bacchettate: “Un
entusiasmo che però non dura perché subito dopo un intervento ci tiene a
precisare che quella non è la modalità, che non si tratta di
spettacolarizzare l’incontro e che qui si parla a partire da sé” (idem).
Come vi
permettete – strillano “le matrone” – di esprimere questa voglia di
cambiare, col rischio di trasformare un tranquillo incontro, che deve
rimanere tranquillo, in volontà di azione collettiva!? Ma soprattutto
come vi permettete di parlare non a titolo individuale (che non può
impressionare più di tanto) ma a titolo collettivo, a nome anche di
altre che si riconoscono nell’intervento!?“Qui si parla a partire da sè”.
Guai,
quindi, a considerarsi soggetto collettivo, sociale – “Ognuna per sè”, e
“Dio (le rappresentanti “femministe” borghesi) per tutte”?
Certo,
apparentemente, c’è la “libertà di parola”, ognuna si alza e, a titolo
strettamente individuale - mi raccomando (!) – dice quello che vuole.
Lo dice anche il titolo di Paestum 2013: “libera ergo sum”, salvo poi
stoppare chiunque osi proporre anche una mozione innocua contro le norme
sul femminicidio o chi disturba la “tranquilla riunione” ricordando la
strage di Lampedusa.
D’altra
parte questo titolo “libera ergo sum”, da un lato sembra della serie
“fare lo spirito ad un funerale”, in una situazione in cui la libertà
delle donne viene schiacciata, con 100 donne assassinate solo
quest’anno, con centinaia di altre stuprate, con migliaia di donne
licenziate costrette a tornare a casa, o con salari e contratti
miserabili e offensivi, con donne a cui viene negata la libertà di
vivere in salute e la libertà di lottare contro un futuro di morte –
come alle donne in prima fila nel No Tav e No Muos, e potremmo
continuare…; dall’altro è un concetto che, a maggior ragione per le
donne che hanno doppie catene, che hanno catene sia materiali che
ideologiche da spezzare, è profondamente borghese: di quale “libertà” si
parla? Chi è libera, oggi? Tutte le donne che non sono libere allora
“non sono”?
“Senza
rivoluzione non c’è liberazione delle donne – senza liberazione delle
donne non c’è rivoluzione” è un vecchio ma quanto mai attuale slogan del
movimento delle donne. Parlare di libertà senza parlare e lavorare per
la rivoluzione, parlare di “libertà” individuale, non è altro che
parlare della “libertà borghese”, una misera “libertà” che al massimo è
concessa a pochissime donne – che poi a volte la usano contro la
maggioranza delle donne.
E questo è
avvenuto a Paestum. Si è parlato di “libertà” ma poi è la libertà delle
“matrone” che si è imposta sulle altre, della serie il fumo per molte,
l’arrosto per poche (ma questo ha un retrogusto amaro che sa di nero).
Chi parla di “libertà” usa poi i metodi della imposizione, della intimidazione:
“…un’avvocata
di Bologna che si presenta come Teresa, mi intima con un tono
perentorio, che questo non è il luogo, che qui non si parla del decreto (sul femminicidio – ndr) e
che qui si parla di altro e in altro modo… la Teresa del giorno prima,
prende le scale scende vicino il palco e mi strappa il microfono dalle
mani…”(idem).
Le compagne del mfpr di Taranto conoscono l’andazzo dei cosiddetti “liberi e pensanti”.
Quei
compagni, che mimetizzandosi dietro il termine generico di “cittadini e
lavoratori” (quando in realtà si trattava e si tratta di realtà sociali,
ambientaliste ed ex delegati, iscritti Fiom dell’Ilva) imponevano agli
altri di non portare “bandiere”, di non osare di parlare come realtà
organizzate o in rappresentanza di altri ma strettamente a titolo
individuale, come appunto “cittadini” (meglio se potevi iniziare
l’intervento parlando di un tuo famigliare o amico morto), mentre loro
via via si costruivano le loro evidenti e identitarie “bandiere” e
agivano come “gruppo compatto”.
Conosciamo
bene questa idea che ha come effetto dire agli altri (non a sé): niente
organizzazione e nello specifico: niente sindacato di classe degli
operai Ilva, ognuno deve vedersela da sé. Un messaggio non troppo
dissimile a quello che dice l’azienda: restate singoli, e quindi
impotenti verso l’azione di padroni/sindacati confederali e governo.
Ciò che
doveva essere assolutamente scongiurato a Paestum era “l’azione”, era
“guardare oltre sé, come singola individua”, era “guardare il mondo”.
Come diceva una compagna. “Dire che la pratica femminista è solo la
presa di coscienza è un gesto ingeneroso… noi dobbiamo avere a che fare
con quanto accade nel mondo…”. Ma queste semplici e di buon senso
parole sembravano bestemmie a Paestum. Non viene fatto un documento
finale, perchè? Altrimenti c’è il rischio che alcune vogliano passare
dalle parole ai fatti – o metterci del loro in un impianto che deve
essere quello prefissato (ma sempre, per carità!, apparentemente
“libero”).
Si dice:“Nel
femminismo non c’è una linea da seguire: la politica delle donne si
sostanzia nella relazione viva tra loro… incontrarsi in presenza,
parlarsi nel rispetto delle differenti strade politiche, la cui
pluralità è un elemento di forza del movimento…” (dal commento di I.Durigon, L. Capuzzo, C. Melloni su Il Manifesto dell’8/10).
Ma se non c’è una linea comune da seguire, scusate, che si riuniscono a fare le donne? – per parlarsi? Ma non stiamo in un Bar…
“Rispetto
delle differenze”? Ma, come abbiamo visto, basta che qualche
“differenza” non sia gradita alle storiche e il rispetto va a carte 48.
Poi va bene anche partire da “differenze” ma poi se rimangono tali vuol
dire che ognuna continua anche dopo a dire e fare come singolo soggetto.
E il “manovratore” ringrazia.
“Pluralità
politiche” sono un elemento di forza? Ma di quale”politiche” stiamo
parlando? Non vi nascondete, chiamatele con nome e cognome: RC, Sel, PD,
o anche altro?
Unica cosa decisa a Paestum (e non a caso) è stata: “la
costituzione di un Fondo di mutualità femminista dedicato alle donne
che, per precise scelte di libertà e di pratica, si trovano in
difficoltà economica e prive di sostegni…”. (dal commento di I.Durigon, L. Capuzzo, C. Melloni su Il Manifesto dell’8/10).
L’anima borghese delle “storiche” si fa eccome sentire. Non si decide nulla sulle battaglie femministe, ma sui soldi sì!
Poi, scusate, chi sarebbero queste “donne che, per precise scelte di libertà e di pratica, si trovano in difficoltà economica e prive di sostegni”? Se,
il problema è la difficoltà economica, allora i soldi dovrebbero andare
a milioni di donne… che non fanno affatto “scelte libere” per avere la
vita che hanno; se invece si tratta di donne che hanno fatto “precise
scelte di libertà e di pratica”, perchè mai i soldi dovrebbero andare a
queste e non a un fondo per le lotte, per solidarietà con le donne
arrestate per le lotte?
Ma si da che delle lotte a Paestum non si deve parlare…
Come si vede Paestum è e si è confermata una brutta cosa. Noi lo avevamo anche detto in tempi non sospetti ad alcune compagne.
Ora,
stendiamo un velo pietoso. Ora diciamo anche alle donne, ragazze,
compagne che sono state a Paestum e ne sono rimaste deluse, o arrabbiate
che vogliono pensare e agire come soggetto collettivo di lotta per
rovesciare dalla terra al cielo questo sistema sociale borghese: venite,
c’è molto da fare, a partire da costruire lo SCIOPERO DELLE DONNE.
10.10.13
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