31/08/18

Migranti, il racconto delle donne che hanno subito violenza



Da Famiglia Cristiana

Migranti, il racconto straziante delle donne che hanno subito violenza

Le drammatiche testimonianze delle richiedenti asilo costrette a subire abusi nei campi di detenzione libici. Come molte delle rifugiate a bordo della "Diciotti".

29/08/2018

di Katia Fitermann

Abbassa lo sguardo per nascondermi le lacrime, Mariam (il nome è di fantasia per proteggere la sua identità) quando le chiedo la sua impressione sulla vicenda dei profughi salvati dalla nave Diociotti, della Guardia Costiera Italiana, da pochi giorni sbarcati a Catania dopo un calvario durato 11 giorni.

La giovane scuote la testa come se cercasse le parole, quelle che spesso muoiono in gola a chi conosce il dolore nelle sue più terribili espressioni e non sa  come si possa difendere “a parole” la dignità della vita umana.  Sa che in quella nave c’ erano, tra i 177 profughi, 28 minori e  12 ragazze, tutti sfuggiti all’ inferno dei campi di concentramento libici. Lei, nei suoi 20 anni da poco compiuti, sa tutto e proprio per questo non riesce ad esprimersi. L’ orrore e la tristezza li dovrò cogliere nei suoi occhi lucidi, profondi, quanto la sofferenza di queste persone.

“Non hai idea di quanto ho sofferto in Libia!”, racconta con la voce spezzata. Loro, loro che decidono su di noi non sanno niente davvero su cosa accade lì, ancora di più alle ragazze e ai bambini.”

Non si può mai capire la sofferenza delle persone senza averla vissuta sulla  propria pelle.

“Sono arrivata in Libia che avevo soltanto 12 anni. In Etiopia ero una bambina brava, aiutavo mia madre nelle facendo domestiche e mi prendevo cura anche dei miei fratellini. Ero la figlia maggiore dei miei genitori e quando la situazione in Etiopia diventò davvero insopportabile, mio padre e mia madre hanno accettato la proposta di farmi portare via da una persona conosciuta in un altro luogo, per lavorare a casa di una famiglia come domestica. In cambio avrebbero aiutato me e  i miei. Ma in casa di quelle persone non sono  mai arrivata. Sono stata rapita e portata in Libia e venduta come schiava.  E così, per otto  terribili anni, ho conosciuto tutto il male di questo mondo. Ho conosciuto l’ inferno”, racconta.

La ragazza mi racconta cose inimmaginabili, come la storia del bimbo nato in prigione, mentre i miliziani libici stavano uccidendo sua madre perché si lamentava delle doglie del parto. Quel piccolo che stava venendo al mondo nel momento stesso in cui la ragazza stava per morire sotto i colpi dei loro carnefici e l’ ordine privo di qualsiasi umanità, imposto alle altre recluse, di “sbarazzarsi dei corpi di entrambi” anche se il piccolo era già quasi nato e infine “di pulire il sangue sul pavimento”.

“Segnavo la lista dei nomi dei morti, tra uomini, donne, bambini. Era così che passavo il tempo dentro la prigione. Siccome spesso non riuscivo nemmeno a sapere il loro nome, allora nella mia mente li davo un nome io. La lista dei morti non finiva mai…”

Le violenze sulle donne, nei campi di concentramento libici, sono difficili di raccontare, come mi spiega un’ altra giovane, che chiamerò Kibra, proveniente dall’ Eritrea, mentre raccolgo la sua storia:

“Avevo una gamba rotta, avevo la febbre a causa della frattura e delle ferite, ma mi violentavano lo stesso. Anche nelle condizioni precarie in cui mi trovavo, ferita e sporca, dopo mesi senza potermi lavare. Ci stupravano davanti ai nostri figli piccoli e loro non potevano neanche piangere l’ orrore di cui erano vittime. Ci terrorrizzavano sempre e ci dicevano che se non riuscissimo a far smettere di piangere i bambini loro li  avrebbero ammazzati.”

In tutti i racconti delle profughe, in particolare quelle che sono passate dalla Libia, la violenza sessuale su donne e bambini è la solita costante. Mai un briciolo di pietà. Mai un ricordo di umana compassione.

“I carcerieri ci picchiavano con una tale brutalità, a volte  fino a quando non avevano più la forza di farlo. Dentro la prigione non potevamo parlare, a volte neanche muovere le labbra senza pronunciare parole. Di giorno ci picchiavano e di notte venivano a violentarci. Non eravamo più persone. Non eravamo niente ai loro occhi. Ci davano scariche elettriche dopo averci violentato, ci bruciavano lasciandoci scottture tremende, bruciavano anche i bambini”

I vissuti traumatici di queste ragazze, la maggior parte giovanissime, scapate alla guerra in Sudan, Somalia, Eritrea, Etiopia, sono difficili da tradurre in parole. Come è davvero difficile difendere la dignità di una persona con le parole, come mi ricordava appunto Mariam.

Gli orrori della Libia si moltiplicano in maniera esponenziale quando la vittima è una ragazza oppure un bambino.

Mi racconta Enana Damlash,  una rifugiata etiope in Italia, che la sera prima che la imbarcassero su un gommone nalandato a Tripoli, (era stata incarcerata in Libia con la figlia neonata per tre lunghi anni), i libici erano entrati nel magazzino dove i prigionieri erano stati stipati come animali  e avevano deciso di portare via con loro una bambina di sei anni, strappandola alla madre che implorava pietà supplicando loro che non gliela portassero via. Per tutta la notte la piccola era stata violentata dai carcerieri e quando è stata restituita alla madre era  ormai irriconoscibile: “Aveva gli occhi bianchi, senza colore, era priva di coscienza, piena di lividi, ferita e sanguinante”. Racconta allora la giovane che lei e le altre  prigioniere avevano ripulito il corpo della piccola con i propri vestiti e, strappandosi un pezzo di stoffa ciascuna, l’ avevano rivestita. “La bambina sembrava morta, ma respirava piano. Sua madre era ormai completamente impazzita e dalla disperazione si graffiava il proprio volto e il corpo, piangeva e si strappava i  capelli. Provavamo tanta pietà per lei, che era riuscita quasi fino alla fine di quell’ inferno a proteggere la bimba dalle violenze sessuali in Libia, subendole lei al suo posto. Durante il viaggio  la madre della piccola si è lasciata cadere in mare ed è scomparsa tra le onde. La bambina l’ avevamo adagiata sul gommone. Abbiamo custodito noi il suo corpo esanime per tutto il viaggio e quando siamo stati salvati in mare da una nave italiana, dopo tre giorni alla deriva, ci hanno  portato a Lampedusa e lei è stata soccorsa per prima. Ci hanno soltanto detto che era ancora viva e ho pianto di gioia. Non so dove hanno portata la bimba, ma sono sicura che qualcuno si sarà preso cura di lei. “

Sentir dire in questi giorni  che i profughi dovrebbero essere riportati in Libia, che queste persone non devono toccare il suolo italiano rievocano in me le parole  Hannah Arendt su Eichmann:

“Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male”.

Operaia chiusa in un cassone per 2 settimane dal porco padrone, degno rappresentante di questa Itaglia al tempo del colera salviniano



Chiusa in cassone, arrestato imprenditore

E' successo a Sommacampagna, nel Veneto. Arrestato un imprenditore di Bolzano, accusato anche di tortura. Le portava bottiglie d'acqua e talvolta del cibo. La vittima è una donna polacca di 44 anni

Una donna polacca di 44 anni è rimasta chiusa per due settimane in un cassone per la frutta, profondo poco più di un metro. E' successo a Sommacampagna, nel Veronese. Sarebbe stato il suo datore di lavoro, con il quale aveva avuto una relazione, a segregarla lì il 14 agosto. Per sopravvivenza, le ha portato bottiglie d'acqua e, ogni tanto, del cibo.

L'incubo è durato fino a martedì mattina, quando gli operai che stavano tagliando l'erba ai lati dell'autostrada Brescia-Padova hanno sentito un lamento provenire da i filari di meli oltre il reticolato.
In fondo a uno di essi, c'era una pila di casse di plastica accatastate, di quelle usate per contenere le mele e grandi circa un metro cubo ciascuna. L'ultima, quella più in basso, si muoveva. Quando sono arrivati gli agenti della Stradale di Verona Sud e i carabinieri di Villafranca, hanno trovato la donna, rannicchiata e terrorizzata.

La storia è riportata dal Corriere del Veneto. La 44enne, madre di due figli, da anni faceva la spola tra Varsavia e Verona per lavorare nell'azienda agricola di un imprenditore italiano, T.R., originario di Bolzano. Sarebbe stato lui, secondo il racconto della donna, ad averla rinchiusa nel cassone dopo un litigio. Il telefonino e la borsa della "prigioniera" sono state ritrovati a casa del bolzanino, che è stato arrestato con l'accusa di sequestro di persona e tortura. La donna, nella sua testimonianza, ha parlato anche di un collaboratore dell'imprenditore, che lo avrebbe aiutato a imprigionarla.

Lettera dal carcere femminile di Pozzuoli



Pubblichiamo una lettera del maggio scorso dal femminile di Pozzuoli dove è presente da tempo l’impegno delle compagne e dei compagni della Mensa Occupata di Napoli.
Chiediamo a tutte di scrivere alle detenute, perché non si sentano sole, ma soprattutto perchè si facciano sentire più forte anche dagli aguzzini, come sta accadendo nelle prigioni USA, dove uomini e donne incarcerate nelle prigioni di tutta la nazione hanno dichiarato uno sciopero nazionale dal 21 agosto al 9 settembre 2018

Sono una detenuta di Pozzuoli e vi scrivo anche da parte di tutte le detenute di questo carcere, anche se nessuno di noi può firmare, se no subito ci puniscono e non ci pen sano su una volta a metterci in isolamento, che è una stanza che puoi fare solo i biso gni personali e non stare a contatto con nessuno.
Per prima cosa vogliamo che voi sappiate che tutte le lettere che vi mandiamo gli assi stenti non ve le fanno arrivare per paura che noi vi scriviamo come siamo trattate qua dentro e anche quando venite qua fuori non ci consentono di parlare né con voi né con i nostri familiari, nemmeno per salutarli, se no subito fanno abuso di potere incomin ciando a metterci i rapporti.
 Sì, perché in questo “inferno” che noi viviamo andiamo avanti solo con le minacce dei rapporti, anche per una sigaretta, che è l’ultima cosa che ci è rimasta qua dentro, in questo inferno che è così facile ad entrare, ma così difficile ad uscire.
Vogliamo informarvi che viviamo in una stanza in cui siamo degradate e costrette a vive re piene di umidità.
La mattina dobbiamo alzare i materassi perché sono bagnati di umi dità e quando viene qualcuno da fuori gli fanno vedere solo la terza sezione che è un po’ meglio, mica li portano alla prima e alla seconda, dove è molto peggio della terza.
In ogni stanza viviamo in 10 persone e devi fare la fila per andare in bagno e svegliar ti presto per farti la doccia prima che l’acqua calda va via; lo shampoo lo possiamo fare solo una volta a settimana, quindi adesso è quasi estate e ci possiamo anche arrangia re, ma pensate quando viene l’inverno quello che dobbiamo subire, tanto che in inver no tante volte, talmente che fa freddo ci alziamo solo per mangiare.
Andiamo avanti, il vitto è un vero schifo ed anche insufficiente, tante volte pensiamo che è meglio mangiare alla Caritas qua dentro chi ha i soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e cucinarlo stesso noi detenuti mangiamo, ma chi non fa colloqui o non hanno soldi possono solo fare la fame.
I prezzi qui da noi anche sono un abuso di potere, paghiamo tutto non di più, ma addirittura il doppio, anche le cose di prima necessità come la carta igienica, sì perché qui nemmeno quella ci danno, se hai i soldi ne puoi fare uso altrimenti non so cosa dovremmo fare, e qui ce ne sono tante a cui mancano i soldi anche per questo.
E a noi, con i prezzi che paghiamo qua dentro, i nostri fami liari per mantenerci anche loro cosa devono fare? Forse fra poco penso dovranno pure loro fare reati come noi per metterci i soldi sul libretto, che spesso e volentieri ci vedia mo segnati sul libretto anche soldi che noi non abbiamo speso, ed è inutile anche chie dere spiegazioni, se no subito ci minacciano con il solito rapporto che hanno sempre a portata di mano.
Certo c’è qualche assistente che è più umano verso di noi, ma per il resto ci trattano proprio da detenute come fossimo dei mostri viventi.
Parliamo anche un po’ del servizio sanitario, qua per prima cosa anche se qualcuno di notte sta male, l’assistente fa finta di non sentire, perché l’infermiera la notte non vuole essere disturbata.
Quindi devi aspettare la mattina che passa il carrello, quel carrello sempre pieno di psicofarmaci che vogliono darci sempre, questo sempre per farci addormentare e quindi di non essere disturbati, figuratevi che a Pasqua dormivamo tutto il carcere ed abbiamo avuto il dubbio che hanno messo qualcosa nel cibo, perché è impossibile che dormivamo tutte le detenute.
Noi detenute della C.C.F. di Pozzuoli vorremmo che voi ci aiutaste ma sappiamo anche che se venite da noi siamo state avvisate che dobbiamo dire che qua va sempre bene e che ci trattano bene, sono tutte bugie che siamo costrette a dire.
Vorremmo che questa lettera verrebbe pubblicata su qualche giornale, affinché tutti vengano a conoscenza che qui non è un carcere, ma è solo l’inferno, un inferno che siamo costrette a vivere, che si passassero un po’ la mano sulla coscienza (se ce l’hanno ancora) noi già soffriamo per la lontananza dai nostri familiari e soprattutto per i nostri figli che abbiamo lasciato fuori.
In nome di tutte le detenute di Pozzuoli vi chiediamo solo di fare qualcosa affinché possiamo soffrire solo per la lontananza dei nostri cari e non sopportare tutti i soprusi che subiamo qua dentro cioè l’inferno.
Ah dimenticavo anche un’altra cosa, lo sapete che quando lavoriamo il carcere si prende 50€ ogni mese per il letto? Si lavora molto e prendiamo quasi l’elemosina e quindi questo è un altro abuso di sfruttamento vero e proprio.
Ma lo stato questo lo sa? O conviene anche a loro? Grazie sempre per quello che fate per noi.

maggio 2018, C.C.F. Pozzuoli (Inferno di Pozzuoli tanto è uguale)

30/08/18

Le città femministe esistono e resistono - Incontro pubblico 22 settembre



Riceviamo e pubblichiamo, da Nudm Roma

Ciao a tutt*, come tutt* sapete gli spazi delle donne a Roma vivono una condizione di estremo pericolo e per questo negli ultimi mesi sono stati costruiti molti momenti di piazza e di ragionamento per rivendicare l’esistenza e la resistenza di questi luoghi.
Sappiamo che tanti altri luoghi sul territorio nazionale vivono le nostre stesse drammatiche condizioni, d’altra parte la forza del movimento ha favorito la nascita di nuovi spazi e nuove energie. Per questo abbiamo sentito l’urgenza di convocare un incontro nazionale di tutti gli spazi femministi e transfemministi che preceda l’assemblea nazionale di ottobre. 
Incolliamo qui sotto la lettera di convocazione che stiamo lanciando pubblicamente. Speriamo di vedervi tutt* presto!


Carissime compagne,
Abbiamo conosciuto il tempo di agire, aprendo i luoghi da cui oggi vi scriviamo e che ci uniscono nella rete di relazioni a cui facciamo appello per la costruzione di un incontro delle case delle donne e degli spazi femministi, preliminare all’assemblea nazionale di Nudm di ottobre. A Roma, alla Casa delle Donne Lucha y Siesta il 22 settembre dalle ore 13.
Troppo poche sono state le soste e spesso troppo brevi le riprese per superare l'urgenza, tanto che ora vogliamo fermarci per guardare al futuro, cercando un’unione fra prospettive capace di connettere le nostre storie e di cogliere il tempo, secondo noi maturo, di una reazione forte e condivisa. Non partiamo da zero, no, tutte conosciamo quanto è stato già costruito a livello locale e il lavoro di connessione operato negli ultimi due anni da Nonunadimeno, e tutte sentiamo la voglia di esplodere in una nuova ondata di indignazione e presa di parola pubblica, oltre la festa e i riti dell’autunno.
Abbiamo pensato molto a tutte voi correndo dietro alle urgenze dell’autogestione di uno spazio femminista e alle emergenze scatenate dalla violenza maschile e patriarcale che colpisce tutti gli ambiti delle nostre vite, abbiamo pensato molto ai racconti fatti dalle sorelle in giro per l’Italia, quando abbiamo vissuto con difficoltà l'apertura di un nuovo centro antiviolenza o la gestione di una casa di semi autonomia. Molto abbiamo pensato prima di chiamarci a raccolta oggi perché sappiamo che all’estate seguirà un anno di lotta e non possiamo più aspettare.
Il clima in cui il paese sta calando porta con sé un grave attacco alle persone più vulnerabili e con sprezzanti provocazioni si lascia che la paura monti e che alle richieste di welfare e diritti si risponda con diffidenza o addirittura non si risponda affatto.
Giorno dopo giorno sentiamo che gli sforzi compiuti per affermare i principi dell’autodeterminazione, dell’autonomia e della solidarietà, che sono il nostro terreno di crescita e costituiscono i valori fondanti della nostra politica di donne, devono oggi misurarsi con i proclami anti migranti e gli attacchi alle libertà civili acquisite.
Siamo di fronte a politiche reazionarie che tentano di distogliere l'attenzione pubblica dai problemi che veramente travolgono le nostre esistenze - primi fra tutti l'impoverimento economico e culturale e l'indebolimento dei nessi della solidarietà sociale - per agitare spauracchi utili a costruire un popolo spaventato e governabile, dove la dignità si conferisce per decreto e si revoca per urgenza.
Le resistenze che negli ultimi anni hanno costruito e attraversato l'alternativa di un’Italia possibile vengono demonizzate nel tentativo fascista di neutralizzare le opposizioni sociali per livellare in basso il paese e alimentare lo scontro tra vari settori all’interno delle stesse classi sociali impoverite, in uno scontro prepolitico dove a vincere è il caos delle coscienze e il naufragio dei diritti e delle libertà.
Riteniamo che nessun luogo e nessuna realtà possano sentirsi al sicuro rispetto ai danni di questa ondata, i cui effetti ricadranno pesantemente su tutte e tutti. Riteniamo ancora di più che nessun luogo delle donne possa sentirsi al riparo dal tentativo di manipolazione della realtà, perché è sui nostri corpi, contro i nostri spazi e a discapito delle nostre storie che si costruisce la narrazione tossica e pesticida del presente.
Quando l’antirazzismo è degradato a buonismo e si vuole far scadere l’antifascismo in feticcio storico, il femminismo rischia di rimanere biografia autoreferenziale e l’antifemminismo diventa una minaccia ancora più pericolosa, se possibile, del maschilismo patriarcale.
Forti di quanto le piazze degli ultimi anni - costruite assieme con fatica e passione -ci hanno lasciato come riserva per i tempi duri, vogliamo guardarci negli occhi fra quelle che hanno generato e rigenerato potenza nella costruzione di spazi femministi e transfemministi, camminando sulla china di un futuro incerto, di scadenze per bandi a perdere e di convenzioni politicamente scorrette.
Noi, artigiane e costruttrici di case, sappiamo che questi luoghi non sono centri servizi al femminile o start up per il terzo settore femminilizzato, ma luoghi di autodeterminazione, ricostruzione di vissuti e di relazioni, e presidi a tutela della dignità di tutte quelle che la società patriarcale ha maltrattato e marginalizzato in contesti domestici e ghetti professionali, spazi di trasformazione dell’esistente e delle vite di molte.
L’attacco ai nostri luoghi e la precarietà in cui si intende lasciarli sono fisici e sono simbolici. Si vogliono spazzare via luoghi che, costruiti sulla solidarietà e il mutuo aiuto femminista, possono contrastare l’emergere delle forze autoritarie e reazionarie; contro gli assessori comunali accusati di stalking; contro i senatori leghisti che vorrebbero mettere mano alla legge 194; contro le mercificazioni delle miss a seno nudo a godimento del branco testosteronico; contro le amministrazioni pavide delle concessioni a mezza bocca; contro le incertezze sul futuro di 14 posti di accoglienza per donne che scelgono di uscire dalla violenza; contro le stipule delle convenzioni non rinnovate in tempi idonei per una progettualità di lungo periodo; contro l’arroganza di una istituzione che monetizza il patrimonio storico, politico e sociale dei nostri percorsi di libertà e organizzazione; contro la violazione dei diritti umani da parte del personale sanitario pubblico che obietta; contro i licenziamenti in gravidanza, lo sfruttamento delle migranti nei campi di pomodori e nelle case degli anziani; contro la violenza maschile fra le mura di casa.
Nel difendere le nostre esperienze difendiamo il diritto al dissenso. Non vogliamo essere rinchiuse nel ruolo “naturale” di madri, vogliamo essere libere di scegliere se e quando esserlo. Rifiutiamo ogni lettura che ci vuole come corpi da difendere, resistiamo e ci dichiariamo ancora tutte con orgoglio femministe e antifasciste e lo facciamo a partire dai luoghi che abbiamo conquistato con anni di lotta e di organizzazione e per i quali adesso è tempo di rivendicare riconoscimento nell’autonomia e stabilità nell’indipendenza.
Carissime compagne abbiamo voglia di Utopia.
Speriamo di vederci in tant* a Roma il 22 settembre - presso la Casa delle donne Lucha y Siesta, in Via Lucio Sestio 10 Metro A - per un incontro pensato anche come propedeutico all’assemblea nazionale di Nudm di ottobre, per costruire ragionamenti, strategie e campagne da portare e condividere con tutt*.

Gli spazi femministi - Nudm Roma

29/08/18

DALLA PARTE DELLE DONNE DELLA DICIOTTI



Da Infoaut

Quando la propaganda sovranista di governo pone al centro dell’attenzione la difesa dei confini e la riaffermazione dell’identità nazionali, il corpo delle donne diventa più che mai oggetto di contesa, terreno da difendere e controllare alla stregua del territorio nazionale. In questo modo la propaganda salviniana agisce sul corpo delle donne, facendone vittime indifese da proteggere dalla violenza dei “barbari”.
Con una banale strategia comunicativa le vicende di questo fine settimana riguardo al sequestro governativo della nave Diciotti venivano giustapposte alle notizie dei tre stupri commessi da uomini senegalesi. Ben altro risalto mediatico ha avuto lo stupro perpetrato da due allievi poliziotti italiani. La violenza sulle donne e lo stupro non hanno etnia e non hanno colore. Gli stupratori senegalesi e quelli italiani di questi giorni, assieme a tutti gli altri, sono nostri nemici. L’unica cultura che li caratterizza - e li accomuna tutti - è quella machista e patriarcale che non ha etnia e non ha colore. Noi stiamo dalla parte delle donne.
Molto meno degno di attenzione, invece, è sembrato essere il vissuto delle 11 donne che, insieme ai loro compagni di un viaggio infernale, sono rimaste sotto sequestro per quasi una settimana a bordo della nave Diciotti.
Donne che hanno riportato sui loro corpi e con le loro storie i segni di un viaggio fatto di violenze, torture, stupri. Donne che hanno avuto il coraggio di intraprendere questo viaggio consapevoli dei rischi estremi a cui andavano incontro, sopravvivendo alle violenze nelle carceri libiche, agli stupri degli scafisti, alla pericolosità del mare e ancora, alla violenza nel vedersi negata la libertà di movimento e nel diventare il bersaglio su cui scaricare i problemi di un paese intero. Tenendole in ostaggio per una settimana in mezzo al mare, Salvini ha garantito a queste persone la totale continuità con gli abusi e le torture che hanno caratterizzato il loro viaggio. Eppure, di fronte alla possibilità di scendere dalla nave per sottoporsi a cure mediche, quattro donne hanno rifiutato. Hanno rifiutato di essere divise dai loro mariti e dai loro compagni di viaggio, esprimendo così la pretesa per il rispetto della vita umana per tutte le persone a bordo di quella nave. Hanno voluto stare al fianco dei loro compagni che, malgrado la fame e gli stenti subiti durante il viaggio, trovavano ancora la forza di protestare con lo sciopero della fame.
Queste donne hanno espresso con il loro rifiuto e con la loro tenacia la forza di chi è disposto a tutto per migliorare le proprie condizioni di vita e per difendere la propria dignità. Hanno sputato in faccia a un governo che fa delle donne e dei loro corpi il campo di battaglia su cui costruire l’odio razzista, che le vorrebbe oggetti parlati e passivi, da vittimizzare e proteggere, diventando invece esempio di coraggio e dignità.
Si parla tanto del problema dell’immigrazione perché in Italia “non ci sono soldi e risorse anche per loro”, mentre per fermare le persone che vogliono raggiungere l’Europa, Italia e Unione Europea versano milioni al governo libico, complice di affari criminali commessi da funzionari governativi, carcerieri e scafisti sulla pelle dei migranti, come dimostrano recenti foto pubblicate da vari giornali. I torturatori delle carceri libiche sono quindi finanziati dal nostro governo, senza che nessuno batta ciglio su questo. Pare evidente che le donne e gli uomini che le hanno attraversate hanno molte più buone ragioni di avercela con noi di quante ne abbia qualunque italiano di avercela con loro.
E alle centinaia di italiani che dicono, facendo eco al governo, che il sequestro di 170 donne e uomini è stato uno strumento di pressione sull’Unione Europea e che anche l’ennesima tortura che queste persone hanno subito è giustificata, andrebbe risposto che loro, i neri della Diciotti, hanno passato l’inferno, le torture, gli stupri e il rischio di morire nel Mediterraneo, per cercare di migliorare la loro vita. Chi si lamenta e vorrebbe migliorare la propria, anziché giustificare e supportare chi li tortura, abbia il coraggio di fare qualcosa, di correre un rischio, anche solo in 170...
Gli stupratori, italiani o senegalesi, passati alla cronaca in questi giorni hanno agito per proprio conto. Gli stupratori delle 11 donne della Diciotti e di moltissime altre, invece, sono pagati dal nostro governo. Chi gli fa eco dicendo di “aiutarli a casa loro” è complice degli aguzzini. Noi, invece, e lo abbiamo dimostrato scontrandoci con la polizia che difendeva la barbarie governativa, siamo con le donne, e con gli uomini, della Diciotti.

28/08/18

Trentino - Agitu, pastora etiope, aggredita e minacciata: “Brutta negra, ti uccido”



Agitu Ideo Gudeta, la ragazza etiope che alleva capre felici in Trentino, aveva raccontato lo scorso anno a L'Internazionale una lunga storia, la sua storia e quella del suo paese, dal quale, come molti è dovuta scappare per la repressione feroce contro contadini e dissidenti, che si opponevano agli espropri forzati dei terreni agricoli, voluti dal governo per favorire le multinazionali che li usano per coltivare cereali e monocolture destinate all’esportazione.

Oggi Agitu vive in valle dei Mocheni dove produce formaggio di capra. Da circa un anno subisce insulti e minacce di un vicino di casa. Una sua capra è stata uccisa con una mammella asportata da un'arma da taglio, ne ha trovate morte altre due e le è sparito il cane. Poi l'aggressione fisica: "Mi ha preso per il collo e mi ha detto 'devi morire'"


Dal F.Q.

Tutto è cominciato con le prime minacce di stampo razzista e la denuncia ai carabinieri. Poi le gomme della macchina bucate, una capra uccisa con una mammella asportata da un’arma da taglio, altre due trovate morte e il cane improvvisamente sparito. Infine l’aggressione fisica. Un uomo l’ha presa per il collo: “Mi ha detto ‘brutta negra‘, ‘ti uccido‘, e ‘te ne devi andare'”. Agitu Ideo Gudeta è riuscita a liberarsi e scappare. Ora ha raccontato tutto ai giornali locali del Trentino Alto Adige. Lei, etiope innamoratosi delle montagne, da tempo vive in valle dei Mocheni dove alleva capre e produce formaggio con la sua azienda biologica “La capra felice“. Una storia d’integrazione che è stata raccontata dalla Reuters e più recentemente anche dal New York Times.
Il responsabile, riportano tutti i quotidiano regionali, è un vicino di casa.  “Chi mi sta perseguitando non è un mocheno e i carabinieri sanno bene chi è: l’ho fotografato mentre mi bucava le gomme dell’auto. E  hanno le denunce di tutti gli episodi che riguardano questa brutta vicenda”, ha raccontato Agitu all’Alto Adige. La pastora etiope tiene infatti a precisare che “in questa valle io mi trovo benissimo ed ho costruito con tanti rapporti molto belli. Qui mi sono sentita accettata dagli abitanti e ho avuto l’opportunità di avviare la mia azienda”. È da circa un anno però che ha a che fare con questo vicino: “Dispetti a non finire – ha spiegato a ilDolomiti.it – gomme bucate nella notte, danni ai macchinari e ogni volta che passiamo davanti alla sua proprietà insulti a non finire, parolacce, minacce. Ma negli ultimi mesi le cose sono degenerate. Il suo razzismo è esploso”.
Agitu, scrive l’Alto Adige, è scappata dall’Etiopia per un mandato d’arresto, dopo aver lottato con un regime corrotto e contro il land grabbing, la pratica per cui multinazionali comprano grandi appezzamenti di terra senza il consenso delle comunità che ci abitano e che la utilizzano. A Roma ha studiato Sociologia, poi il trasferimento in Trentino prima in Vallarsa e in Val di Gresta, infine in valle dei Mocheni. Qui grazie alla vendita dell’ex scuola di Frassilongo ha creato il suo caseificio dove, spiega al quotidiano di Bolzano, “do lavoro anche a tirocinanti che vogliono imparare a fare il formaggio”.

27/08/18

Ennesimo stupro in divisa contro una giovane turista, ma il governo fascio-populista, si prepara a una nuova campagna securitaria sulla pelle delle donne



Turista 20enne stuprata in hotel a Rimini: indagati due allievi poliziotti bresciani

I due ragazzi, studenti della Scuola per allievi agenti di Polizia di Brescia sono stati identificati dalla Polizia di Stato di Rimini. Le indagini affidate alla Squadra Mobile sono coordinate dal sostituto procurare Davide Ercolani. Per i due giovani, di 21 e 23 anni, indagati con l'accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di una turista tedesca, è stata avviata la procedura di sospensione dalla Scuola allievi agenti di Polizia di Stato di Brescia. agenti di Polizia di Brescia sono stati identificati dalla Polizia di Stato di Rimini. Le indagini affidate alla Squadra Mobile sono coordinate dal sostituto procurare Davide Ercolani. Per i due giovani, di 21 e 23 anni, indagati con l'accusa di violenza sessuale di gruppo ai danni di una turista tedesca, è stata avviata la procedura di sospensione dalla Scuola allievi agenti di Polizia di Stato di Brescia.

17/08/18

Genova... ora!

Riceviamo e condividiamo:

pc 16 agosto - La tragedia di Genova domanda la mobilitazione proletaria e popolare - Editoriale

Innanzitutto la solidarietà popolare verso le vittime e le loro famiglie!
Innanzitutto il sostegno alle famiglie sfollate e trattate malissimo da Governo e Amministrazioni locali!

Ancora una volta dopo che la tragedia avviene 
tutti dicono che è una tragedia annunciata,
tutti dicono che l'avevano detto,
tutti si trasformano in ingegneri che avevano o hanno la soluzione...

Il governo di turno, oggi quello fascio populista Di Maio/Salvini, che è da troppo poco tempo in carica per avere responsabilità dirette, scarica sui governi precedenti. Vero... ma tra i governi precedenti ci sono sicuramente i governi Berlusconi, sostenuti da Lega/Salvini, e sono dello stesso colore di Salvini, la Giunta Regionale e Giunta comunale, come sono anche di stampo Grillo/5stelle le dichiarazioni che il ponte non potesse crollare mai...
Per cui avrebbero fatto meglio a non lanciarsi subito nella speculazione politica che è una forma di sciacallaggio demagogico e populista. Salvini, poi, fa come al solito di peggio, tra un selfie al mare e viaggi palesemente strumentali come quello a San Luca in Calabria, dichiara subito: 'case da abbattere quelle sotto il ponte pericolante', gettando nella disperazione le famiglie sfollate - dichiarazioni fatte forse anche perchè tra gli sfollati ci sono varie famiglie ecuadoriane e di migranti.

Noi dobbiamo partire decisamente dalla solidarietà con le vittime e i dispersi, la cui storia e biografia raccontata dai giornali ci tocca profondamente, perchè ci mostra ancora una volta la verità:
che le colpe sono vostre - capitalismo, profitto, soldi, padroni, governi, organi di controllo, ruberie e corruzione - e i morti sono nostri;
che non siamo sicuri sui treni, sulle strade, come in ogni aspetto della vita quotidiana, vita che può essere spezzata da un momento all'altro per disastri di ogni genere che quando avvengono ci mostrano che questo sistema non è in grado di assicurarci un presente e un futuro.

Parlano di "sicurezza" solo in termini di polizia e carabinieri, caccia ai migranti, ai 'ladri', agli ambulanti, ai mendicanti, ecc., e invece della sicurezza vera quella della nostra vita, del nostro lavoro, delle nostre vacanze se ne fottono e ci fanno andare allo sbaraglio.

Per questo non sono credibili i vecchi governi come il nuovo quando ci assicurano che non succederà più... Purtroppo finchè ci saranno questi governi, succederà ancora!

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Il ponte Morandi è vecchio e da tempo bisognoso di manutenzione reale che non c'è stata.
Il ponte Morandi è stato fatto in tempi in cui non aveva questo gigantesco carico di trasporto con i Tir enormemente potenziati nel carico trasportabile su un solo camion.
E' vero che denunce, allarmi, documenti che ponevano il problema ce ne sono stati diversi e non se n'è tenuto conto.
Quindi le responsabilità dei gestori padroni AUTOSTRADE sono certe 
Essi hanno pensato ai profitti e non alla manutenzione! Come tutti i padroni peraltro!
Sono aumentate a dismisura le tariffe ed è peggiorato il servizio ovunque come in tutti i settori dei trasporti e servizi essenziali.
La privatizzazione produce tutto questo e la nazionalizzazione che pure è giusta è necessaria per autostrade e trasporti non è di nessuna garanzia, perchè in questo sistema borghese anche lo Stato usa gli stessi criteri dei privati, come è dimostrato dove gestisce lo Stato.
2
Le concessioni - i cui documenti sono considerati 'segreti di Stato' - e questo è davvero inaccettabile -
danno tutte le garanzie ai gestori e sono pieni di clausole e cavilli che li mettono al riparo dai danni che eventualmente compiono - e questo è sicuramente il caso di AUTOSTRADE.
Per cui effettivamente la REVOCA SAREBBE NECESSARIA ma è complicata e complessa e comunque garantisce gestione e profitti ancora per molti anni.
REVOCA, poi, per affidare a chi e a che cosa? Se tutto il sistema del profitto capitalista rimane identico?
3
I controlli. Un sottobosco in cui, tranne alcune lodevoli eccezioni ed energie che ci sono, incapacità, leggi inadeguate, pastoie burocratiche, intrecci politica/malaffare la fanno da padroni, nelle Autostrade, come sui posti di lavoro e sul territorio. "Controlli", quindi, che non permettono di intervenire realmente dove gravi problemi, come quello del ponte Morandi, ci sono e richiederebbero interventi tempestivi e radicali, che sarebbero eccome possibili!
AUTOSTRADE DICHIARA CHE PUO' RIFARE IL PONTE IN 5 MESI... E PERCHE' IN ANNI E ANNI NON LO HA FATTO? 
ALLORA PER DAVVERO SONO DEGLI 'ASSASSINI CONSAPEVOLI ' AUTORI DI OMICIDIO E DISASTRO AMBIENTALE, COME DICE LA PROCURA DI GENOVA, MA SOLO ADESSO!

I controlli, peraltro, sono competenza dei Ministeri che finora si sono susseguiti, ma  non ci risulta nè che Toninelli, nè che il cosiddetto "contratto di programma" DI MAIO/SALVINI prevedesse un intervento sul Ponte Morandi e/o su AUTOSTRADE...
Ma ora il Min. Toninelli dice che il suo Ministero si potrebbe costituire "parte civile"... Contro se stesso?

Altri fattori vanno analizzati, ma si può fare in seguito. Primi fra tutti la questione della viabilità e del carico di trasporto che pesano sull'arteria e la questione della Gronda.

Ma ora...

le famiglie sfollate denunciano che non hanno avuto gesti di solidarietà dai genovesi: "nessuno ci ha chiesto se avevamo bisogno di andare in bagno, se avevamo bisogno di qualcosa, noi che siamo stati costretti ad abbandonare le case lasciando tutto"... con tanti anziani e malati privi anche delle medicine vitali necessarie.
Questo ci fa male! Questo non doveva succedere! Genova rischia di diventare anch'essa una brutta città dove la solidarietà può morire!  
La devastazione sociale portata da questo sistema e dalle forze reazionarie e fasciopopuliste che dominano, orientano e formano la coscienza di massa porta a questa trasformazione che deve essere risolutamente contrastata e che necessita un cambio di rotta con un impegno in prima persona.

Una donna sfollata gridava "tutti alla tastiera... 'siamo con voi', ma nessuno che viene direttamente a parlare con noi ad aiutarci realmente".
Questo vale a Genova, ma vale per tutti, nessuno escluso.

Senza solidarietà e impegno diretto in prima persona nulla cambia e non si creano le condizioni e la forza materiale collettiva che può aiutare e in prospettiva cambiare le cose

Ora bisogna lottare e le famiglie lo comprendano subito. Nessun abbattimento - se le case debbono essere realmente abbandonate e abbattute - ci sia senza garanzia della casa per tutti. Solo la lotta e l'autorganizzazione popolare non altro può permettere questo risultato e tutto il movimento proletario e popolare deve sostenere questa lotta, non lasciando sole le famiglie.
Ora bisogna costruire un movimento di lotta sulla questione del ponte e tutti i problemi connessi che imponga bisogni e soluzioni .

proletari comunisti/PCm Italia
16 agosto 2018

14/08/18

Per ora un esposto... ma a Piazzale Loreto c'è ancora posto

Da NUDM Verona

Martedì 14 agosto è stato presentato alla procura di Verona il primo dei due esposti contro il consigliere di maggioranza Andrea Bacciga che lo scorso 26 luglio in aula si è rivolto ad alcune componenti del movimento Non una di Meno alzando il braccio destro teso dando vita ad una manifestazione fascista. Il gesto, ripetuto nell’aula, è stato visto da diverse persone: consiglieri comunali di opposizione e di maggioranza, esponenti della cittadinanza e naturalmente dalle esponenti del movimento Non una di meno, presenti in aula quel giorno perché era prevista la discussione di due mozioni proposte da due consiglieri della Lega Nord volte a dare ampio spazio alle associazioni cattoliche per contrastare l’aborto libero e gratuito e per sistematizzare il programma di “sepoltura dei bambini mai nati”, anche senza il consenso della donna coinvolta e a carico della sanità pubblica.
Alcune attiviste di Non Una di Meno, movimento che a livello nazionale aveva deciso di opporsi all’approvazione delle due mozioni attraverso un’azione di pressione sui social network, avevano quel giorno deciso di mettere scena, così come già avvenuto in molte altre città e paesi del mondo, una protesta pacifica, il cui messaggio era trasmesso dall’abbigliamento. Indossavano cioè vestiti simili a quelli della serie tv The Handmaid’s Tale, cioè tuniche e mantelli rossi e copricapo bianchi. Nel libro e nella serie, le donne vestite in questo modo vivono come schiave sessuali e incubatrici viventi.
In seguito ai fatti accaduti nel corso della seduta del 26 luglio 2018 il consigliere Bacciga ha rivendicato il suo gesto in un tweet nel quale (a seguito del clamore derivato dal suo gesto e dalla denuncia pubblica di Non Una di Meno che ne ha chiesto le immediate dimissioni e che ha anticipato che avrebbe agito per vie legali) citava Benito Mussolini: “Se mi assolvete mi fate un piacere se mi condannate mi fate un onore”.
Sulla sua pagina Facebook il consigliere Bacciga ha anche pubblicato i numeri di telefono cellulare di due donne appartenenti al movimento Non Una di Meno, numeri tuttora visibili così come i commenti sessisti e denigratori nei loro confronti.
Nell’esposto presentato in procura dall’avvocata Federica Panizzo si ritiene che la condotta del Consigliere Comunale Andrea Bacciga integri il reato di cui all’art. 5 della legge n. 645 del 1952 (la cosiddetta legge Scelba). Bacciga, ostentando il saluto romano, ha messo in atto una manifestazione del disciolto partito fascista, comportamento che risulta ancora più grave visto che si è svolto all’interno dell’aula del Consiglio Comunale e che è stato fatto da una persona che è stata democraticamente eletta secondo le norme della Repubblica dello Stato Italiano e della sua Costituzione.
Il primo esposto è stato presentato da Non Una di Meno, il secondo sarà presentato tra qualche giorno da decine di cittadini e cittadine, alcuni e alcune delle quali appartenenti ad associazioni che hanno saputo, dai media, quanto accaduto nella seduta del Consiglio Comunale del 26 luglio.
Tra le associazioni ci sono, per ora: Circolo Pink, Arcigay Pianeta Milk Verona - LGBT Pianeta Center A.P.S., l’associazione sindacale Orma, il Circolo della Rosa, l’ANED (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti), Isolina e.

12/08/18

Montello: giovane operaia scaricata durante la maternità

A proposito di sfruttamento nelle cooperative

Montello: se sei in maternità  non hai diritto al rinnovo del contratto

Questo è quanto successo ad una giovane operaia  della cooperativa Eko-var nell'appalto della Montello, quando alla fine di giugno 2018 alla scadenza dell'ennesima proroga del contratto determinato, dopo 18 mesi consecutivi per la coop Eko-var e 3 anni di lavoro alla Montello con altre cooperative, si è trovata senza lavoro mentre era in maternità  che terminava a fine agosto.

Così, mentre altri lavoratori hanno avuto la proroga o il contratto a tempo indeterminato a questa lavoratrice, colpevole il 6 maggio 2018 di essere diventata mamma, à stata negata questa opportunità, una evidente discriminazione verso le donne lavoratrici, doppiamente sfruttate e ricattate in quanto operaie e donne, come era emerso in maniera chiara nello sciopero dell'8 marzo: 8 ore di lavoro, devono essere pagate 8.

L'azienda ha detto alla lavoratrice che il motivo per cui non gli fanno il rinnovo del contratto è perchè ci sono rischi legati al lavoro pesante durante l'allattamento e che quindi fino a 7 mesi di vita del bambino non possono farla lavorare, di fatto solo una scusa per liberarsi della lavoratrice, in quanto l'azienda poteva comunque tenerla in forza dando continuità  al rapporto di lavoro, questo avrebbe permesso di usufruire di altra maternità  alla lavoratrice per terminare l'allattamento e poi essere assunta.

La cgil, sindacato a cui la lavoratrice era iscritta, da giugno ad oggi non aveva fatto niente, e solo dopo che lo slai cobas con la lavoratrice si è rivolto per chiedere un'intervento all'ispettorato del lavoro, la cgil ha contattato la lavoratrice per cercare di tenerla buona invitandola ad un incontro in azienda il 20 agosto, questo perchè gli uffici della cooperativa erano stati chiamati per avere informazioni  dalla dtl.
Questo ha convinto ancor di più la lavoratrice ad avere forza per non accettare di essere scaricata e fare uscire questa situazione che alla Montello non è un caso isolato, altre lavoratrici dopo la maternità non sono più tornate al lavoro..

La direzione del lavoro che in un primo momento si era resa disponibile ad aprire una segnalazione, anche perchè era risultato anche che i contratti determinati, che sono centinaia, nonostante si lavori a ciclo continuo 8 ore per minimo 6 giorni, spesso anche 7, sono part time per 30 ore settimana, ma quando si è andati dagli ispettori di turno le risposte sono state tutte di giustificazione verso le cooperative che possono fare questo e fare quello, il contratto, il jobs act.
Praticamente gli organi ispettivi non possono mettere becco sul potere dell'azienda in merito allâ'organizzazione del lavoro e quindi possono avere anche questa tipologia di contratto, anzi si sono spinti a dire che questi contratti sono giustificati anche perchè la cooperativa è legata alle proroghe degli appalti  della Montello.

Slai cobas per il sindacato di classe - Bergamo

11/08/18

- La solidarietà di classe è un'arma! DALLE MAESTRE IN LOTTA A MILANO ALLE ASSISTENTI PRECARIE DI PALERMO




























Lavoratori della Scuola Auto-Organizzati

Riceviamo, pubblichiamo ed esprimiamo tutta la nostra solidarietà e vicinanza a questa lotta che sentiamo come nostra lotta.
Ancora una volta a pagare il prezzo più alto saranno i più deboli, gli alunni disabili ai quali verrà precluso il diritto all'istruzione e le lavoratrici igienico sanitarie di Palermo che vorrebbero condannare alla disoccupazione dopo numerosi anni di servizio nella pubblica amministrazione che oltre ad esternalizzare i servizi di propria competenza sta cercando di azzerali. 

Da Milano a Palermo un'unica lotta. Sempre dalla parte giusta.

09 AGOSTO 2018
50 licenziamenti netti
su un bacino di 145
assistenti igienico-personale degli studenti disabili gravi nelle scuole
E' uscito il "nuovo" bando della Citta Metropolitana PALERMO
Nessuna clausola di salvaguardia per gli Ass.ti ig-personale, cioè tutti a rischio, nel bando della Citta Metropolitana PA
https://www.youtube.com/watch?v=lroOc1vqCsMSi fanno tavoli e tavoli , PAROLE SU PAROLE sulla disabilità e i diritti dei disabili nei vari palazzi istituzionalI, come ieri all'Assessorato regionale alla Famiglia in cui si svolgeva un tavolo di Osservatorio con vari personaggi istituzionali e dove gli Assistenti igienico-personale agli studenti disabili delle scuole superiori hanno protestato bloccando l'Assessore Ippolito, visto la normativa vigente dà competenze principali sul tema alla Regione Siciliana.
 Ma nei fatti escono bandi di gara nuovamente vergognosi e illegittimi come quello pubblicato dalla Città Metropolitana di Palermo che rimette sul piatto per l'anno scolastico prossimo venturo un licenziamento netto di più di 50 Assistenti specializzati su un bacino di 145 circa con la postilla illegale che dovrebbero essere sostituiti dai collaboratori scolastici. secondo l'interpretazione errata della "buona scuola" (DL 66/2016).
Ma quest'anno nel bando la Città Metropolitana fa un salto di qualità in peggiore: toglie la clausola di salvaguardia rendendola per le Coop Sociali assolutamente facoltativa per cui tutto il bacino deli Assistenti specializzati è a rischio serio lavorativo.
E' cosi che si vogliono difendere i diritti degli studenti disabili e dei lavoratori?
E' così che le tante parole che si spendono nei pomposi tavoli istituzionali si traducono nei fatti?
Difendiamo questi diritti da circa 10 anni e continueremo a dare battaglia
Si tratta di diritti inalienalbili che non si possono e non si devono svendere sulla pelle degli studenti disabili e di lavoratori che da anni e anni garantiscono il servizio nelle scuole
Stamattina presidio all'USR Sicilia.
Assistenti igienico-personale Slai Cobas sc Palermo

‘Come una terrorista’: il racconto di una mamma No TAP

Anna Maria Vergari è indagata per la manifestazione No TAP non autorizzata svoltasi il 6 dicembre 2017 insieme ad altre persone. Contestati i reati Danneggiamento, Oltraggio a un pubblico ufficiale, Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità. Ma lei si difende.

 
Ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, Anna Maria Vergari, una mamma e anche nonna No TAP, che la indagata per i reati di Manifestazione non autorizzata, Danneggiamento (art. 634 c.p.), Oltraggio a un pubblico ufficiale (art. 650 c.p.), Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità, in concorso con altri, nell’ambito della manifestazione del 6 dicembre 2017 svolta a San Foca.
Il reato di Danneggiamento si riferisce ad un sasso che sarebbe stato scagliato contro un’auto di Almaroma (servizio di vigilanza privata), rendendola addirittura “inservibile”. Più che un sasso sembrerebbe essere stato un macigno a colpire il mezzo.
Il reato di Oltraggio a pubblico ufficiale sarebbe dovuto, invece, ad un frase che sarebbe stata pronunciata dalla stessa nei confronti di un carabiniere: ‘E non mi tocchi! Mi ha toccato con la pancia da dietro!’. Il reato di Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità (art. 341 bis c.p.) consisterebbe nell’aver oltrepassato la “zona cuscinetto”.
La vicenda TAP molto spesso sfiora il grottesco e si ha l’impressione di una volontà di infierire con la repressione su una popolazione che proprio non si rassegna ad accettare un’opera che potrebbe avere un forte impatto il territorio, l’economia locale e fa sorgere fondati dubbi sulla sicurezza e sulle potenziali conseguenze sulla salubrità dell’ambiente, dove la volontà, la voce dei cittadini e delle istituzioni locali valgono poco più che zero.
Qui non si vuole dare un parere giuridico sull’azione degli inquirenti, ma si vuole comunque dare voce ad una persona che in ogni caso sta pagando un prezzo per l’amore verso il suo territorio ed il futuro delle prossime generazioni.
Questo il suo messaggio pubblicato su facebook:
‘Mi chiamo Anna Maria, ho 60 anni, i capelli bianchi e per una vita ho insegnato musica ai ragazzi della scuola media. Oggi sono una pensionata, vedova, madre di 2 figlie e nonna di due splendidi nipoti. Incensurata, ligia ad ogni mio dovere di cittadina italiana, mai neanche una multa per eccesso di velocità, leggo e rileggo questi 7 fogli su cui è riportato il mio nome e non riesco a capacitarmene.
AVVISO DELLA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI PRELIMINARI.
INDAGATA!
Per i reati di cui agli artt. 110 codice penale, 18 R.D N. 773 (T.U.L.P.S.), 650 codice penale, 635, 341 bis codice penale.
Vi assicuro che FA PAURA! E tanta, troppa RABBIA.
Mi si accusa di aver partecipato ad una riunione pubblica non preavvisata al Questore, cioè in pratica, mi si accusa di aver esercitato il mio diritto di manifestare sancito all’articolo 21 della Costituzione, quando, in data 6 dicembre scorso, mi sono recata con mia figlia a Melendugno per unirmi ai 6000 del corteo contro il gasdotto TAP.
Mi si accusa di aver oltrepassato, durante la manifestazione, l’area cuscinetto del gasdotto TAP (fatto che non ho mai commesso, e, se anche lo avessi fatto, la zona cuscinetto non è certo zona rossa interdetta alla circolazione!)
Mi si accusa, in unione e concorso con altre 27 persone, di aver reso in parte inservibile la carrozzeria dell’auto di servizio dell’istituto di vigilanza colpita dal lancio di un sasso. (27 persone indagate per un solo sasso ed io in quel frangente non ero neanche su territorio melendugnese!)
Mi si accusa per aver offeso l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale ed in particolare per avere rivolto al Capitano dei Carabinieri, dopo essere stata spinta, la seguente espressione oltraggiosa: “Non mi tocchi! Mi ha toccato con la pancia da dietro!” (Espressione PIU’CHEOLTRAGGIOSA… OLTRAGGIOSISSIMA direi!)
Mi si accusa e mi si colpisce nel più profondo della mia INTEGRITA’ MORALE!
In un Salento stuprato da una multinazionale che fa affari con un Paese dittatoriale quale l’Azerbaijan accusato di calpestare i diritti umani.
In un Salento avvelenato dalle mafie dei rifiuti, dalle mafie speculative sottese alle selvagge distese di fotovoltaico, e non da ultimo dal “Mafiodotto”TAP.
In un Salento reso irrespirabile da un Sistema corrotto che, guardando solo alla concentrazione degli utili in poche mani private e a lla socializzazione di danni e perdite, ci dona mostri quale ILVA, CERANO, COLACEM e TAP.
In un Salento costellato da Comuni sciolti per mafia.
In un salento terra di conquista per affaristi senza scrupoli.
In questo Salento. In questa Italia. Io sono INDAGATA!
La difesa dei diritti miei, dei miei figli e dei miei nipoti, la difesa della terra che è stata di mio padre e di mio nonno, la lotta per il diritto al futuro, all’ambiente, alla dignità… sono queste le mie uniche colpe, perseguite ogni giorno nella piena consapevolezza delle mie libertà costituzionalmente garantite.
“E non mi tocchi! Mi ha toccato con la pancia da dietro!”‘
Anna Maria Vergari