24/06/17

Torino - il coraggio di una compagna e l'indegna vigliaccheria di sbirri e giudici



 La polizia e i giudici, storie di ordinaria impunità.

Mentre si moltiplicano i casi di cronaca che vedono uomini in divisa abusare dei propri poteri sfogando i loro più bassi istinti e le loro frustrazioni su donne ed uomini rei di opporsi alla prevaricazione ed ai soprusi o più semplicemente di tentare di sopravvivere, la magistratura torinese continua a prodigarsi nell’assicurare impunità a questi eroi.
Mentre Maya con coraggio denuncia le umiliazioni e le botte subite in via Veglia, Marta vede negarsi giustizia per l’ennesima volte. I due poliziotti per i quali era già intervenuta una scandalosa archiviazione per i reati di violenza sessuale, minacce, ingiurie, lesioni ed abuso di autorità contro arrestati, possono ora gloriarsi di una nuova archiviazione per il reato di calunnia.
I due agenti (anche loro in allora in servizio presso il Reparto Mobile dove Maya è stata trattenuta e picchiata pochi giorni fa) nella notte del 19.7.2013, dopo avere oscenamente palpeggiata e brutalmente picchiato Marta, l’avevano anche denunciata per violenza aggravata a pubblico ufficiale e lesioni in quanto, così si legge nelle loro annotazioni,  “facente parte del gruppo dei manifestanti violenti”. I due avevano specificato di aver visto la donna mentre scappava: “non riusciva a dileguarsi poiché lo stato dei luoghi, costituito da terreno sconnesso ed il concentrarsi nello stesso punto di personale delle FF.OO. e manifestanti, le faceva perdere l’equilibrio, rovinando a terra, verosimilmente procurandosi delle lesioni al viso e su parti del corpo”. L’allora capo della Digos, Petronzi, in ragione delle annotazioni dei due agenti, aveva redatto una comunicazione di notizia di reato con la quale dava atto che Marta era stata indagata “essendo certa la sua partecipazione ai gravi incidenti determinati dai manifestanti”. Sentiti successivamente dalla Procura però gli stessi due agenti avevano invece all’unisono sostenuto: “a pochi metri davanti a me  vidi una persona riversa a terra con il volto appoggiato al suolo e le braccia spalancate…mi avvicinai alla persona, che poi mi accorsi essere una donna… guardandola in volto vidi che era tutto sporco di terra ed aveva una ferita dalla quale sgorgava sangue…”. Tale improvviso cambio di versione consentì alla Procura ed al GIP di archiviare la denuncia di Marta, sostenendo che la stessa si era fatta male da sola o per colpa dei suoi compagni e che i ritenuti abusi sessuali erano in realtà semplici ed amorevoli manovre di soccorso. Il caso venne dunque archiviato con lode agli eroici agenti.
Ma allora se gli agenti che prima avevano visto Marta agire tra i “violenti” per poi scappare cadendo e ferendosi da sola, l’avevano poi invece vista inerme a terra dopo la fuga dei suoi compagni, PERCHE’ MARTA E’ STATA TRATTENUTA, PORTATA IN CASERMA, TRATTATA COME UN’ARRESTATA, INDAGATA E PROCESSATA?
Marta se l’è chiesto ed ha dunque denunciato per calunnia i due agenti che in prima battuta l’avevano segnalata come “facente parte dei violenti” e che quindi avevano dato il via a tutto il trattamento che, come i suoi numerosi coindagati anch’essi assolti, aveva dovuto subire. Perché delle due l’una: o gli agenti hanno mentito quando l’hanno indagata perché “facente parte dei violenti” o hanno mentito dopo quando hanno riferito ai P.M. di averla trovata inerme a terra in mezzo al bosco da sola e già ferita. Nel primo caso, a norma del codice penale, si tratterebbe di calunnia (accusare falsamente qualcuno di aver commesso dei reati), nel secondo caso  si tratterebbe di una menzogna che ha consentito la vergognosa archiviazione di cui abbiamo già riferito. Ma non sempre la logica ed il codice dettano le decisioni dei magistrati. E così il gip ha archiviato anche questa denuncia nei confronti dei due agenti perché “la differenza riscontrata fra il contenuto delle relazioni di servizio redatte dagli indagati e le precisazioni dai medesime rese in sede di sommarie informazioni testimoniali…..rappresenta una imprecisione ininfluente ai fini della integrazione dei delitti oggetto del presente procedimento, tenuto anche conto del fatto che, sin dal momento della comunicazione di notizia di reato, alla Camposano non è mai stata attribuita alcuna specifica condotta di violenza o resistenza”. Dunque, proviamo a ricapitolare: Marta era alla manifestazione. Marta è caduta da sola e si è ferita da sola. Marta non ha fatto nulla, ma siccome si trovava alla manifestazione comunque bene hanno fatto ad indagarla. E soprattutto: raccontare prima di vedere qualcuno tra coloro che commettono atti violenti per poi cambiare idea e raccontare di aver visto quello stesso qualcuno inerme e ferito a terra costituisce una semplice ininfluente imprecisione. Si, vabbè, voi direte: MA INTANTO E’ STATA INDAGATA E PROCESSATA….ma che volete che sia!
Giusto per mettere i puntini sulle i: attestare in atti la commissione di un reato è atto dovuto e facente fede; se si scopre che è stato attestato il falso attribuendo un reato si risponde di calunnia e non si viene graziati per ININFLUENTE IMPRECISIONE. Indagare qualcuno semplicemente per aver partecipato ad una manifestazione quando non viene “attribuita alcuna specifica condotta di violenza o resistenza” è demenziale, come peraltro attestato dalla giurisprudenza. CONTINUARE A COPRIRE LE VIOLENZE DELLE FORZE DELL’ORDINE. SIGNIFICA ALIMENTARLE E SVILIRE IL PROPRIO MANDATO ISTITUZIONALE.
Marta ieri, Maya oggi e centinaia di altri in mezzo continueranno con coraggio a denunciare gli atti vili degli uomini in divisa non perché credono nella capacità della magistratura di dare giustizia ma semplicemente perché una traccia di quelle violenze deve restare e perché prima o poi certa magistratura dovrà vergognarsi dei suoi atti e verrà chiamata a risponderne.

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