Donne nella Resistenza: Emilia Romagna
i bollettini della GNR continuavano a sottolineare ˂l’opera disfattista-pacifista della donna˃(..).
Già al principio del ’44, il carattere di questo risveglio è inequivocabile, per es. nello sciopero di notevole consistenza che porta le operaie della Mangelli (Forlì) a protestare per le nuove elezioni indette dai fascisti,………..; episodi analoghi hanno luogo a Bologna, tuttavia ancora slegati fra loro, nonostante la buona volontà degli organizzatori. Ma già nel marzo la situazione muta, si arricchisce di motivi, e gonfia il fiume della protesta. Fin dai prime del mese, soprattutto nel bolognese, ma un po’ ovunque, specie nel reggiano (..) le proteste delle donne, mondine soprattutto (che manifestano davanti ai municipi, che vi irrompono dentro e si fanno ascoltare dalle autorità locali) diventano l’occasione per precisare la loro crescente consapevolezza della fine imminente del fascismo; esse interessano certo il problema fondamentale dei razionamenti (richieste di aumenti della razione di pane, di latte, di riso) e quello delle condizioni di lavoro (che sarà il punto accentuato nel periodo successivo); ma già, insieme, l’ostilità alla precettazione in Germania carica di memorie risorgimentali la sensibilità antinazista.
Un primo risultato viene ottenuto a metà mese: le autorità fasciste sono costrette a precisare che le mondariso saranno esentate dalla precettazione (di riso c’era bisogno urgente). Il metodo fascista, tipico, di frazionare la protesta popolare ponendo le varie categorie in lotta fra loro, è quello che ispira questa risposta alle prime manifestazioni di massa. Da parte antifascista,……. la consapevolezza della situazione era chiara, e ispirava per questo una risposta chiara: di fronte alla decisione degli organi fascisti di esentare dalla precettazione le lavoratrici madri, gli organi della resistenza, nelle fabbriche bolognesi, che avevano avanzato in primo luogo quella richiesta, rispondono che nessuna donna deve essere ˂precettata˃ per lavorare in Germania. La richiesta di fondo emerge ormai con chiarezza; nessun lavoratore, né uomo né donna, deve essere deportato in Germania. […] .
I giorni che precedono e seguono l’8 marzo 1944, il primo otto marzo di ripresa democratica in Italia, fino alla fine del mese successivo, vedono un susseguirsi di manifestazioni che investono la Romagna e l’Emilia meridionale, soprattutto nelle campagne. Alla fine d’aprile un corteo di 60 donne provenienti da Bubano e da Mordano verso Imola, e che chiedono ad alta voce ˂Fuori i tedeschi!˃ dà origine a una manifestazione che il giorno dopo, il 29, porta qualche centinaio di donne davanti al municipio, per protestare contro il proseguimento della guerra e le razioni di fame. La GNR (la polizia fascista) chiamata dalle autorità del luogo, spara sulle dimostranti e ne uccide due: una, Rosa Zanotti, madre di 7 figli (di cui uno era operaio alla Cogne, e tre in guerra) muore sul colpo; l’altra Maria Venturini, morirà il giorno dopo. In questa zona, dove fin dal gennaio le mondine avevano avanzato le loro rivendicazioni, la risposta dei fascisti era stata chiara.
Dalla piazza, la protesta raggiungeva la fabbrica, la Cogne, all’interno della quale gli operai avanzavano una serie di obiettivi di lotta, durante uno sciopero di protesta, per l’eccidio del giorno prima. Non a caso i bollettini della GNR continuavano a sottolineare ˂l’opera disfattista-pacifista della donna˃(..). Sono infatti le manifestazioni per la pace che nel 1944 saldano insieme vecchio e nuovo antifascismo e dissolvono i miti dell’ideologia fascista, fondata sull’esaltazione della guerra e della violenza. Sono proprio le donne di Medicina, che bruciano in piazza le cartoline-precetto dei richiamati per la Germania, il 29 marzo ’44, a preoccupare i fascisti. Anche la manifestazione di Parma per la salvezza dei 35 partigiani della Griffith indicati dai fascisti come ˂disertori˃, è una manifestazione di protesta contro la guerra. (…) Amedea Gandolfi e Gianna Pecorari trovarono anche il modo di far arrivare i soccorsi ai prigionieri, che durante il processo le donne seguirono il dibattito, organizzando insieme la protesta popolare, ecc., per capire il clima di un’azione che provocò, sotto l’occupazione tedesca, (fatto quasi incredibile), l’assoluzione dei partigiani.
Nel maggio le richieste fasciste nei confronti delle mondine, si fecero pressanti. La Gazzetta dell’Emilia notava che occorrevano almeno 10.000 donne per la monda e, in più, un migliaio di uomini (il ˂sussidio˃ promesso era di L.15 al giorno per le donne e di L. 20 per gli uomini): furono soltanto 300 le mondine che partirono in giugno per il vercellese, secondo lo stesso giornale. Scongiurato il pericolo della deportazione in Germania, le mondariso si ponevano l’obiettivo di contrastare anche il lavoro in regioni lontane, in condizioni disagiate, un lavoro che, oltretutto, contribuiva a tenere in piedi il nazifascismo. […]
In provincia di Ferrara, le braccianti riescono a ottenere un aumento di 800 lire per la torcitura della canapa, e intanto (˂confrontandoci con gli agrari˃, nota Silvana Lodi) organizzano il movimento femminile antifascista, proprio sulla base della rivendicazione salariale. […]
Fonti fasciste e naziste confermano la consistenza di questi moti per i generi alimentari, che dal gennaio (protesta delle donne di Argelato e degli operai di Bologna per l’aumento delle razioni) arrivano a coprire tutta la primavera (3 donne ferite dalla GNR durante una manifestazione sempre ad Argelato, in aprile; sciopero al Canapificio tra aprile e maggio; protesta di 300 donne a Castellargile, in aprile che si prolunga fino alla manifestazione delle operaie e delle mondine a Baricella e a Buzzano, davanti al municipio) e sfocia nello sciopero delle mondine, uno di quei momenti alti della resistenza popolare che giustificano il giudizio di L. Arbizzani sulle mondariso come elemento trainante, decisivo, dei movimenti di massa di quel periodo”.
L’
eccezionale diffusione della stampa sia il giornale La mondariso sia
manifestini oltre che assolvere al compito di strumento
organizzativo, porta anche alla legalizzazione della stampa stessa,
in quanto esprimeva esattamente le rivendicazioni delle mondariso che
portano il “loro” giornale direttamente al tavolo delle
trattative. In questa fase le mondariso rifiutano di farsi
rappresentare dai sindacati fascisti.
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