In our country, we don’t beg for fascists to take responsibility ! Bullets do the work!’’ say TKP ML - TIKKO
31/10/15
Onore alla compagna rivoluzionaria DILEK DOGAN! Fuoco e non schede contro il regime fascista di Erdogan, le sue creature ISIS, i suoi padroni imperialisti
Da Proletari Comunisti
28/10/15
forte solidarietà alle precarie Coop in lotta a Palermo
ANCHE A PALERMO COME NELLE ALTRE CITTA' LE FORZE DELL'ORDINE CARICANO CHI SCENDE IN PIAZZA PER RIVENDICARE I PROPRI DIRITTI,
ORA COLPISCONO LE PRECARIE COOP MA TUTTO QUESTO NON FA ALTRO CHE ALIMENTARE LA NOSTRA RABBIA LA NOSTRA RIBELLIONE, NON CI FERMERANNO LE LORO AZIONI DI REPRESSIONE.
LE PRECARIE CHE IL 25 NOVEMBRE 2013 SONO STATE L'ANIMA DELLO SCIOPERO DELLE DONNE A PALERMO SANNO BENISSIMO CHE LA REPRESSIONE NON CI FA PAURA E CHE IL NUOVO SCIOPERO DELLE DONNE DEVE SERVIRE X DENUNCIARE LA PRECARIETA' E PER LA LOTTA COSTANTE CONTRO QUESTO SISTEMA CAPITALISTICO MARCIO.
ORA COLPISCONO LE PRECARIE COOP MA TUTTO QUESTO NON FA ALTRO CHE ALIMENTARE LA NOSTRA RABBIA LA NOSTRA RIBELLIONE, NON CI FERMERANNO LE LORO AZIONI DI REPRESSIONE.
LE PRECARIE CHE IL 25 NOVEMBRE 2013 SONO STATE L'ANIMA DELLO SCIOPERO DELLE DONNE A PALERMO SANNO BENISSIMO CHE LA REPRESSIONE NON CI FA PAURA E CHE IL NUOVO SCIOPERO DELLE DONNE DEVE SERVIRE X DENUNCIARE LA PRECARIETA' E PER LA LOTTA COSTANTE CONTRO QUESTO SISTEMA CAPITALISTICO MARCIO.
GRANDE SOLIDARIETA' ALLE PRECARIE COLPITE!
LE COMPAGNE DEL MOVIMENTO FEMMINISTA PROLETARIO RIVOLUZIONARIO DI PALERMO
Forte solidarietà alle lavoratrici delle cooperative sociali in lotta a Palermo aggredite e ferite dalla polizia.
Siamo con voi! la repressione non può fermare la giusta lotta per il lavoro e i diritti.
Siamo con voi! la repressione non può fermare la giusta lotta per il lavoro e i diritti.
Lavoratrici Slai cobas sc Taranto
BENCHE’ SIAMO DONNE…
FORTE SOLIDARIETA’ ALLE PRECARIE DELLE COOP SOCIALI DI PALERMO, ADERENTI ALLO SLAI COBAS S.C., DA TEMPO IN LOTTA PER DIFENDERE IL POSTO DI LAVORO, COLPITE, IERI, DALLA REPRESSIONE DELLO STATO DI POLIZIA
PAURA NON ABBIAMO…!
LA REPRESSIONE ALIMENTA LA RIBELLIONE!
Stamane abbiamo appreso con grande rabbia,ma senza alcuno stupore, dato l’avanzare sempre più dello stato di polizia, che ieri le precarie delle coop sociali, che assistono gli studenti disabili gravi delle scuole superiori di Palermo, sono state fortemente respinte dalle forze dell’ordine borghese, davanti la sede della Provincia, mentre cercavano di chiedere un incontro con il dirigente, al fine di scongiurare gli annunciati licenziamenti.
Alcune di loro, grazie al pronto intervento dei “SERVI DEI SERVI”, che continuano a parare il culo a chi detiene il potere, ai ladri di stato che continuano ad arricchirsi sulla pelle delle classi più deboli, senza andare mai in galera, sono finite al pronto soccorso.
questi alcuni “REGALI” alle suddette precarie, della politica affamatrice, antipopolare, della MACELLERIA SOCIALE, del governo Renzi, che taglia a più non posso i fondi sociali, perfino quelli destinati ai disabili, privando gli aventi diritto di un servizio indispensabile, e i precari, del diritto al lavoro.
Ovviamente il governo regionale non è da meno, pur di mantenersi in sella, tra impasti e rimpasti, si adegua allegramente al governo nazionale, fregandosene del tutto finanche dei disabili gravi.
Ma come dicevano le nostre sagge nonne : “UN TIEMPU UN DURA SIEMPRI UN TIEMPU!” E noi donne, che la storia la facciamo tutti i giorni e che continuiamo ad impararla sulla nostra vita, aggiungiamo che ci stiamo via via attrezzando perché il “questo tempo, il tempo della borghesia e dei padroni abbia al più presto fine!”
LICENZIAMENTI, DISOCCUPAZIONE,PRECARIETA’,
REPRESSIONE,MISERIA E CAROVITA, CON QUESTI GOVERNI
E QUESTO SISTEMA,FACCIAMOLA FINITA!
Facciamo sentire ancora più forte la nostra voce, la nostra rabbia, la nostra RIBELLIONE e BI-SOGNO di RIVOLUZIONE, costruendo insieme un nuovo ed imminente SCIOPERO DELLE DONNE!
Lavoratrici SLAI COBAS s.c. Policlinico Palermo
27/10/15
CONTINUA IL MASSACRO DELLE DONNE
CONTINUA
IL MASSACRO DELLE DONNE
IL
FEMMINICIDIO SI PUO’ FERMARE SOLO SPAZZANDO VIA
L’ATTUALE MISOGINA E BARBARA SOCIETA’
La storia di
ogni giorno ci mostra/insegna che è la sola via, e che tutto il resto sono solo
chiacchiere disperse nel vento!
In questi ultimi giorni, altre due donne sono
state massacrate dai propri “AMORI”: il 25 ottobre, a Cesena, una donna è stata
uccisa dal marito con 3 coltellate alle spalle, davanti ai suoi tre bambini. Il
giorno dopo, a Niscemi (CL), una donna di 23 anni, romena, viene ammazzata, per
gelosia, dal suo convivente con diversi colpi di pistola.
Ma ciò che è altrettanto grave è che oramai si
tratta di una TRAGICA NORMALITA’ che non stupisce più, a cui, giorno dopo
giorno, rischiano di abituarsi pure le tesse donne.
Anche le femministe, le compagne, sembra ci stiano
facendo il callo. Mobilitarsi sono per le ricorrenze annuali: il 25 novembre e
l’8 marzo, non basta.
NON CI SI PUO’
E NON CI SI DEVE ABITUARE
A QUESTA
MATTANZA DI GENERE!
Sappiamo tutte e tutti bene che il femminicidio
non è una casualità, esso è il frutto più barbaro di questo sistema, che vuole
fare delle donne le schiave, sotto ogni aspetto, degli uomini e della società.
La maggioranza delle donne che viene uccisa da
mariti, compagni, fidanzati, ex, ha la sola “colpa” di essersi RIBELLATA
all’oppressione, alla repressione, alla violenza fisica e psicologica, oltreché
al ruolo di schiava del “sacro focolare domestico”: cellula base e “culla” del
sistema capitalistico e della schifosa società che da esso deriva.
PER OGNI
DONNA UCCISA NON BASTA IL LUTTO…!
Il sangue versato da queste donne, che hanno avuto
il coraggio di RIBELLARSI pagando anche con la propria vita pur di liberarsi
dall’oppressore, dall’aguzzino, dal carnefice,
DEVE SERVIRE DA GRANDE ESEMPIO per tutte le donne, a cominciare da
quelle che si dicono rivoluzionarie.
Questo sistema è una cancrena ed un pericolo
costante per la vita dell’altra metà del cielo, considerata meno di un
embrione, carne da macello. E la pazienza delle donne deve avere un limite!
Un noto
proverbio cinese dice: “Temi la furia di un uomo paziente”
Un detto femminista
proletario rivoluzionario afferma: “ Temi la furia e la violenza rivoluzionaria
di una donna cosciente…!”
FEMMINICIDI,
VIOLENZA,SFRUTTAMENTO,PRECARIETA’,
DOPPIA
OPPRESSIONE/DONNE IN LOTTA PER LA RIVOLUZIONE!
Lavoratrici SLAI Cobas
s.c./MFPR –Policlinico Palermo
Pa, 27.10.2015
LA POLIZIA AGGREDISCE LE PRECARIE IN PROTESTA A PALERMO IN LOTTA PER IL LAVORO
DURANTE
UN ALTRO MOMENTO DI SCONTRO CON LA POLIZIA ALCUNE PRECARIE SI SONO
FATTE MALE, E' STATO CHIAMATO IL 118 E UNA DELEGATA E' GIA' STATA
PORTATA AL CIVICO, MENTRE UN'ALTRA E' A TERRA IN ATTESA DI UN'ALTRA
AMBULANZA...
Ogg: LA POLIZIA AGGREDISCE LE PRECARIE IN PROTESTA DAVANTI PALAZZO COMITINI
Comunicato stampa - Palermo, 27/10/2015
Comunicato stampa - Palermo, 27/10/2015
LA POLIZIA AGGREDISCE LE PRECARIE IN PROTESTA DAVANTI LA PROVINCIA
OGGI
CONTINUA LA PROTESTA DELLE PRECARIE E DEI PRECARI, ASSISTENTI AI
DISABILI NELLA SCUOLE SUPERIORI, STUDENTI CHE ANCORA NON VANNO A SCUOLA
DOPO DUE MESI DALL'INIZIO, DAVANTI LA EX PROVINCIA DI PALERMO PER
SCONGIURARE I LICENZIAMENTI.
DA STAMATTINA LE PRECARIE E I
PRECARI CERCANO DI AVERE UN INCONTRO CON I DIRIGENTI, DOPO AVER PRESO
ATTO DELL'APERTURA DELLE BUSTE PER LA GARA D'APPALTO DEL SERVIZIO PER I
RAGAZZI DISABILI, E DISCUTERE TRA LE ALTRE COSE DELLE RISORSE NON SPESE E
QUINDI DEL RIENTRO DEI LICENZIAMENTI.
DURANTE UN TENTATIVO
DI AVVICINAMENTO ALL'INGRESSO DELLA PROVINCIA PER PRETENDERE L'INCONTRO
CON MUNAFO' LA POLIZIA PRESENTE HA SPINTONATO FORTEMENTE LE PRECARIE PER
RESPINGERLE (AD UNA SI SONO ROTTI GLI OCCHIALI MENTRE UN'ALTRA HA LA
SPALLA LUSSATA...).
COME AL SOLITO LA POLIZIA
AGGREDISCE CHI DENUNCIA LO STATO DI COSE PRESENTI E PRETENDE CHE I
DIRITTI VENGANO RISPETTATI, DI FATTO DIFENDENDO POLITICI E PERSONAGGI
PUBBLICI VARI, CHE PRIMA O POI FINISCONO PER ESSERE INDAGATI. SONO
QUESTE LE ISTITUZIONI, IL CUI VERO VOLTO E' QUELLO DELLA VIOLENZA!
A FRONTE DI DIRITTI SEMPRE PIU' NEGATI I RESPONSABILI DOVRANNO PAGARE PURE QUESTO...
PRECARIE/I SLAI COBAS PER IL SINDACATO DI CLASSE PALERMO
Ancora sull'inchiesta alla Fiat di Melfi
Pubblichiamo, in allegato,
un'altra parte dell'utile inchiesta fatta dalla Fiom Basilicata
quest'estate alla Fca-Sata di Melfi.
Ma occorre dire chiaro che
la direzione Fiom non può trasformare, rendere questa inchiesta
viva, farla diventare carne e sangue sia di una "guerriglia"
quotidiana, sia soprattutto di una ripresa della lotta generale
degli operai e operaie contro Marchionne.
Non lo può nè vuole fare,
per due ragioni di fondo:
- non comprensione del
carattere di fascismo padronale della politica della Fca - che
sta dettando la strada all'intero padronato; le condizioni di
lavoro, di supersfruttamento, di mancanza di sicurezza, di
attacco alla salute, sono pienamenti interne, sono gli effetti
della politica di Marchionne. Senza quelle condizioni la
Fca-Fiat non potrebbe vantare il suo buono stato, la ripresa, i
profitti. Per cui è impossibile pensare di migliorare le
condizioni degli operai senza una lotta contro il fascismo
padronale.
- non volontà di sviluppare
una nuova stagione di lotta vera e dura - che proprio la Sata
invece ha dimostrato di poter fare: nessuno dimentichi i famosi
21 giorni di blocco della Fiat nel 2004, in cui i "pacifici"
lucani si trasformarono in determinati combattenti. D'altra
parte la Fiom non è credibile tra gli operai, alcuni dei quali
dicono che la Fiom si limita a parlare, denunciare ma non
organizza neanche mezza lotta anche su un singolo aspetto delle
condizioni di lavoro.
Tornando all'inchiesta e
alla sua utilità da un lato e al suo "restare nei cassetti"
dall'altro, c'è da dire che la Fiom non è nuova a questa
politica. Nel 2008 fece un importante inchiesta sulle operaie
metalmeccaniche che coinvolse 4000 imprese, con 100mila
questionari, a cui risposero 20mila lavoratrici. Una inchiesta
che "gridava" il doppio sfruttamento e la doppia oppressione
delle donne lavoratrici, l'intreccio tra condizione di classe e
condizione di genere. Ma un'inchiesta totalmente sprecata
nelle mani della Fiom
Il Movimento Femminista
Proletario Rivoluzionario la riprese anni dopo, la pubblicò l'8
marzo 2013 nel libro "S/catenate! Donne-lavoro-non lavoro. Una
lotta di classe e di genere" ed essa costituì una base
importante per lo Sciopero delle donne del novembre 2013.
Ora, nella preparazione del
nuovo Sciopero delle donne, faremo sì che anche questa inchiesta
sulla Sata di Melfi non rimanga sprecata...
NEI PROSSIMI GIORNI LE COMPAGNE, LAVORATRICI DEL MFPR DI TARANTO SARANNO A MELFI PER INCONTRARE ALCUNE OPERAIE
MFPR
***
INCHIESTA
FIOM - Primi risultati dell’inchiesta condizioni di lavoro e rischio sicurezza
FCA SATA di Melfi
Tab. 1 – Alcune criticità ancora presenti nelle condizioni di lavoro e nella sicurezza sul lavoro per UTE e Unità di Produzione dello stabilimento SATA
UTE STAMPAGGIO
UTE 1-2
Carichi di lavoro maggiori allo scarico
padiglioni modelli 334 e 540 (pressa Komatsu);
rinuncia da parte dell’azienda al sistema di supporto allo
scarico
I minori casi di interruzione delle
attività di stampaggio rendono comunque pesanti le postazioni
LASTRATURA
UTE 4
Produzione di fumi da parte del vecchio
forno c/o UTE 4 per insufficiente capacità delle cappe di aspirazione (un
motore spento, due vanno male)
Nell’unità operativa più in generale
La pavimentazione contiene a tratti
delle buche che rendono pericoloso il percorso fatto dai carrellisti con i bull
e le tradotte
Problemi per l’inserimento dei
contenitori nei binari da parte dei carrellisti; vari problemi di carattere
operativo nella logistica
Cappe di aspirazione dei caricabatteria
dei bull rotte o malfunzionanti, che non assorbono per intero i fumi di
ricarico
Da Bologna, corteo in solidarietà con il popolo curdo
(da tavolo 4)
In solidarietà con la resistenza di Kobanê contro i terroristi di ISIS BASTA CON L’EMBARGO CONTRO IL ROJAVA
La
resistenza delle donne e degli uomini kurdi in Rojava (Kurdistan
occidentale in Siria), ha ispirato persone in tutto il mondo quando
l’assedio della citt{ da parte di Stato Islamico in Siria (ISIS) è stato
respinto con successo appena un anno fa. Il 1 novembre 2014 è stato
lanciato un appello urgente per una giornata globale di azione per
Kobanê chiedendo a tutte e tutti di mostrare solidarietà con Kobanê e di
dare assistenza umanitaria e materiale. A un anno dall’appello alla solidarietà attiva con Kobanê cosa è successo? Non
solo non c’è stata l’apertura di un corridoio umanitario, ma il governo
turco, ovvero il dittatore Erdogan: per mesi ha aperto il confine tra
Kobanê e Suruç per i jihadisti di Isis e lo ha blindato per profughi,
feriti, aiuti umanitari e giornalisti, e continua a offrire a Isis anche
supporto logistico e a prendersi cura dei suoi feriti negli ospedali di
Istanbul; da giugno con la scusa di attaccare i "terroristi" continua a
mettere sotto assedio militare le città che perseguono l’autonomia , a
licenziarne le co-sindache, che rappresentano l’attuazione effettiva
della parità di genere e sono state votate dall’80% della popolazione;
partecipa attivamente al femminicidio attraverso arresti, torture,
stupri e uccisioni di resistenti e civili curde e turche; siamo sicure
che è implicato negli attacchi terroristici
all’Hdp
(Partito democratico dei Popoli), perché mette in pericolo la sua
dittatura in vista delle elezioni del 1° novembre 2015 e i suoi servizi
segreti sono direttamente coinvolti nei femminicidi politici di Sakiné
Cansiz, Fidan Doğan e Leyla Şoleymez a Parigi a gennaio del 2013 ed è
per noi coinvolto nel femminicidio della giornalista inglese Jacqueline
Anne Sutton all’aeroporto di Istanbul. E i governi europei cosa fanno? Oltre
a continuare a intrattenere rapporti economici e militari con la
Turchia, ora le propongono un’intesa per fermare i profughi in Anatolia.
D’altronde la segregazione di kurdi e siriani è iniziata questa estate,
quando Ankara ha annunciato la costruzione di un muro lungo il confine
meridionale per fermare l’afflusso di profughi kurdi siriani che
venivano da Kobanê. In Rojava, Ankara ha imposto una safe-zone per
ammassare i profughi kurdi e impedire loro di raggiungere la Turchia,
consentono l’embargo e l’isolamento totale sia dalla Turchia che
dall’Iraq, continuano ad insinuare che ci sia il PKK dietro gli
attentati contro i kurdi e i turchi a loro solidali!!!, alimentano le
guerre in Medio Oriente, per riuscire a mettere le mani sul petrolio. Chi
sono i veri terroristi? Perché la resistenza dei popoli che lottano per
la loro autodeterminazione e contro il terrorismo vengono etichettati
come terroristi? Perché i regimi in Medio oriente,che reprimono,
torturano, stuprano e uccidono civili nell’impunità, non vengono
chiamati terroristi? E gli Stati Uniti e i governi europei, che
alimentano le guerre in Medio Oriente? E’ indecente che degli stati con
le mani sporche di sangue definiscano terrorista il popolo kurdo che nel
Rojava sta costruendo una società migliore. NOI FEMMINISTE CONTINUEREMO
A SCENDERE IN PIAZZA, SOLIDALI CON LE KURDE/I E I POPOLI CHE SI SONO
UNITI A LORO PER DIFENDERSI DA ISIS, MA ANCHE PERCHE’ STANNO COSTRUENDO
INSIEME UNA VERA ALTERNATIVA ALLO STATO NAZIONE, basata su un sistema
assembleare in cui donne e uomini hanno veramente lo stesso potere
decisionale. E per urlare forte che : il PKK dovrebbe essere tolto dalle
liste dei terroristi e ci andrebbe messo il governo turco e tutti i
governi che trattano con Erdogan per motivi economici e di controllo del
Medio Oriente e dei profughi scaturiti dalle guerre provocate
dall’occidente, a partire dall’Iraq.
CORTEO IN SOLIDARIETA’ COL POPOLO KURDO DOMENICA 1° NOVEMBRE 2015 A PIAZZA XX SETTEMBRE ORE 16
ore 15.30: organizzazione spezzone di donne e lesbiche a Porta Galliera Donne e lesbiche femministe di Bologna
Mario sorrentino, il maresciallo che violentava i ragazzini perché "depresso"
Nei tribunali come sempre i guanti bianchi verso i criminali in divisa: “era depresso il maresciallo accusato di abusi”
Mario Sorrentino non agì con intenzioni sessuali. Il suo comportamento si spiega con un eccesso di zelo nell’imporre il rispetto dell’autorità che lui stesso incarnava, in qualità di carabiniere. A fargli perdere il senso del limite sarebbe stata una patologia psichiatrica depressiva, di cui all’epoca dei fatti il maresciallo soffriva. Ad arrivare a queste conclusioni, presentate ieri nel corso di una nuova udienza del processo che vede alla sbarra, per il reato di violenza sessuale su tre giovani, il luogotenente Sorrentino, è stata la perizia psichiatrica condotta da Antonio Pellegrino di Torino. A consigliare l’esame, poi richiesto dal Tribunale, era stata la consulente di parte Patrizia De Rosa. Sorrentino sarebbe quindi stato affetto da un vizio parziale di intendere e volere quando, nell’estate del 2014, portò in stazione a Mottalciata un minorenne, molestandolo. La prossima udienza è ora stata fissata per il 21 gennaio.
Mario Sorrentino non agì con intenzioni sessuali. Il suo comportamento si spiega con un eccesso di zelo nell’imporre il rispetto dell’autorità che lui stesso incarnava, in qualità di carabiniere. A fargli perdere il senso del limite sarebbe stata una patologia psichiatrica depressiva, di cui all’epoca dei fatti il maresciallo soffriva. Ad arrivare a queste conclusioni, presentate ieri nel corso di una nuova udienza del processo che vede alla sbarra, per il reato di violenza sessuale su tre giovani, il luogotenente Sorrentino, è stata la perizia psichiatrica condotta da Antonio Pellegrino di Torino. A consigliare l’esame, poi richiesto dal Tribunale, era stata la consulente di parte Patrizia De Rosa. Sorrentino sarebbe quindi stato affetto da un vizio parziale di intendere e volere quando, nell’estate del 2014, portò in stazione a Mottalciata un minorenne, molestandolo. La prossima udienza è ora stata fissata per il 21 gennaio.
“Non avete una sposa? Ve la trova il partito”
Da La sposa turca, di Fatih Akın |
Il fascista Erdogan pur di vincere le elezioni promette all'elettorato maschile una moglie che sfornerà i tre figli che tutte le donne turche dovrebbero avere!
Le violenze e le sopraffazioni sulle donne in Turchia, si contano sul web, ma l'europa di Renzi e della Merkel, oltre a mantenere una stretta cooperazione economica, militare e poliziesca con il governo fascio-islamico turco, ne finanzia ora direttamente la campagna elettorale pur di fermare i rifugiati nel tritacarne turco e finire il lavoro dell'ISIS.
(dalla Stampa)
Polemiche per la frase del premier turco Davutoglu a un comizio elettorale. L’Akp e il presidente Erdogan puntano a riconquistare la maggioranza assoluta, ma i sondaggi non li premiano (per ora)
«Avete un lavoro, un salario, il cibo – ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu nel corso di un comizio a Sanliurfa, una delle zone più conservatrici del Paese - Che cosa vi manca? Una sposa. Il nostro partito vuole che le persone si riproducano sul suo territorio. Quando dite che volete una moglie, andate dai vostri genitori, e, speriamo, ne troveranno una appropriata. Se non ci riescono, venite da noi, vi daremo un lavoro, una casa e una sposa».
«Avete un lavoro, un salario, il cibo – ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu nel corso di un comizio a Sanliurfa, una delle zone più conservatrici del Paese - Che cosa vi manca? Una sposa. Il nostro partito vuole che le persone si riproducano sul suo territorio. Quando dite che volete una moglie, andate dai vostri genitori, e, speriamo, ne troveranno una appropriata. Se non ci riescono, venite da noi, vi daremo un lavoro, una casa e una sposa».
Parole destinate a lasciare uno strascico di polemiche fino al giorno del voto, il prossimo primo novembre. Da tempo l’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Svilupo, al governo dal 2003 è accusato di aver letteralmente invaso la vita privata del popolo. L’attuale presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, è salito più volte agli onori delle cronache per le sue invettive contro l’aborto, ma soprattutto per gli inviti alle donne di fare almeno tre figli. Adesso il premier Davutoglu, in una delle zone più critiche del Paese, dove le donne fanno già fatica ad andare a scuola, ha pensato bene di trasformarsi in una improbabile agenzia matrimoniale.
Sono giorni molti delicati in Turchia, che fra poco più di una settimana andrà alle urne per la seconda volta in pochi mesi, dopo che, in seguito alle elezioni di giugno, i partiti non sono stati in grado di formare un governo di coalizione. Dopo la strage di Ankara, che il governo imputa a Pkk Isis e servizi segreti siriani e una parte del Paese al Presidente Erdogan, l’allerta terrorismo rimane altissima. A Istanbul sono stati arrestati una decina di sospetti militanti nelle file del Califfato, ma il terrore è che vi siano in giro decine di persone pronte a prendere il loro posto, se non addirittura a compiere un nuovo attentato, come testimoniano i 2500 chili di esplosivo trovati a Gaziantep, sempre nel sud-est del Paese, insieme a 10 vestiti molti simili a quelli utilizzati di solito dai kamikaze.
L’Akp e soprattutto il presidente Erdogan puntano a conquistare nuovamente la maggioranza assoluta dei seggi come accaduto nelle ultime tre elezioni. Anche questa volta però, se il partito curdo dovesse passare la soglia del 10%, l’obiettivo rimarrebbe un sogno. Per questo, i toni della campagna elettorale si stanno rivelando particolarmente duri proprio contro l’Hdp, che per motivi di sicurezza, dopo la strage di Ankara, ha annullato tutti i comizi ed è stato accusato dal premier Davutoglu di essere un nemico della nazione.
Le dichiarazioni del primo ministro sul matrimonio sono arrivate a poca distanza da quelle di Van, dove Davutoglu ha detto che se l’Akp non conquisterà la maggioranza assoluta, allora nel Paese tornerà l’epoca delle Toros bianche, auto prodotte per la Turchia, usate dai membri dello Stato Profondo, un’organizzazione parallela ed eversiva che ha destabilizzato il Paese per anni.
I sondaggi sono più o meno tutti allineati: salvo imprevisti dell’ultimo momento, l’Akp non dovrebbe farcela a conquistare la maggioranza assoluta. Ma al voto mancano ancora 10 giorni e se c’è una lezione che la Mezzaluna ha imparato fin troppo bene, è che non si può mai dare niente per certo. Senza contare, e questo è il vero aspetto che preoccupa tutti, che, una volta dopo il voto, se non ci sarà nessun partito in grado di governare da solo, bisognerà trovare il modo di formare un governo di coalizione.
Marta Ottaviani
Sono giorni molti delicati in Turchia, che fra poco più di una settimana andrà alle urne per la seconda volta in pochi mesi, dopo che, in seguito alle elezioni di giugno, i partiti non sono stati in grado di formare un governo di coalizione. Dopo la strage di Ankara, che il governo imputa a Pkk Isis e servizi segreti siriani e una parte del Paese al Presidente Erdogan, l’allerta terrorismo rimane altissima. A Istanbul sono stati arrestati una decina di sospetti militanti nelle file del Califfato, ma il terrore è che vi siano in giro decine di persone pronte a prendere il loro posto, se non addirittura a compiere un nuovo attentato, come testimoniano i 2500 chili di esplosivo trovati a Gaziantep, sempre nel sud-est del Paese, insieme a 10 vestiti molti simili a quelli utilizzati di solito dai kamikaze.
L’Akp e soprattutto il presidente Erdogan puntano a conquistare nuovamente la maggioranza assoluta dei seggi come accaduto nelle ultime tre elezioni. Anche questa volta però, se il partito curdo dovesse passare la soglia del 10%, l’obiettivo rimarrebbe un sogno. Per questo, i toni della campagna elettorale si stanno rivelando particolarmente duri proprio contro l’Hdp, che per motivi di sicurezza, dopo la strage di Ankara, ha annullato tutti i comizi ed è stato accusato dal premier Davutoglu di essere un nemico della nazione.
Le dichiarazioni del primo ministro sul matrimonio sono arrivate a poca distanza da quelle di Van, dove Davutoglu ha detto che se l’Akp non conquisterà la maggioranza assoluta, allora nel Paese tornerà l’epoca delle Toros bianche, auto prodotte per la Turchia, usate dai membri dello Stato Profondo, un’organizzazione parallela ed eversiva che ha destabilizzato il Paese per anni.
I sondaggi sono più o meno tutti allineati: salvo imprevisti dell’ultimo momento, l’Akp non dovrebbe farcela a conquistare la maggioranza assoluta. Ma al voto mancano ancora 10 giorni e se c’è una lezione che la Mezzaluna ha imparato fin troppo bene, è che non si può mai dare niente per certo. Senza contare, e questo è il vero aspetto che preoccupa tutti, che, una volta dopo il voto, se non ci sarà nessun partito in grado di governare da solo, bisognerà trovare il modo di formare un governo di coalizione.
Marta Ottaviani
26/10/15
Kerala, India: le raccoglitrici di tè vincono contro una multinazionale e contro i sindacati complici
Scrivevamo, a proposito delle terribili condizioni di lavoro e di vita delle braccianti in Puglia e in Sicilia, che lo SCIOPERO DELLE DONNE è la risposta necessaria e inevitabile per cambiare lo stato di cose presente.
La coraggiosa lotta delle raccoglitrici del tè, delle lavoratrici delle campagne che in India si sono ribellate alla doppia oppressione, ha ottenuto una prima vittoria e ci dimostra che l'unità e la ribellione delle donne proletarie è la sola via da percorrere contro il capitalismo e il patriarcato, verso un secondo sciopero delle donne che veda in prima linea, anche qui in Italia, le donne più sfruttate e oppresse.
(dal blog proletari comunisti)
Per oltre un mese le piantagioni di tè del Kerala, India meridionale, sono state il teatro di un’agitazione mai vista. Migliaia di raccoglitrici hanno bloccato strade, assediato gli uffici delle piantagioni, fermato il lavoro, ma era molto più di una semplice battaglia sindacale: quelle donne erano in lotta contro i padroni delle piantagioni e anche contro i sindacalisti, contro condizioni di lavoro da schiavi, contro i loro stessi uomini, e contro l’indifferenza dello stato e dei media. E alla fine hanno vinto: sia aumenti di salario, sia soprattutto un po’ di voce.
Piantagione di te, distretto di Munnar, Kerala |
La battaglia è cominciata ai primi di settembre. Le piantagioni di tè in India sembrano rimaste all’era coloniale, salvo che i padroni non sono più britannici: in Kerala sono ad esempio la Kannan Devan Hill Plantation (controllata dalla multinazionale Tata, proprietaria del marchio Tetley) o la Harrison Plantation, le più grandi di una cinquantina di aziende in Kerala.
Le piantagioni di tè sono stupende alla vista, colline ondulate coperte di un verde intenso, ma lavorarci è un inferno: significa raccogliere foglie per lunghe ore, per una paga da miseria, e vivere nelle baracche messe a disposizione dall’azienda, baracchette di una stanza, senza gabinetto né altri comfort essenziali.
Le raccoglitrici sono per lo più donne e sono dalit (fuoricasta, o “intoccabili”: lo scalino più basso e discriminato della gerarchia sociale indiana). Per i loro figli non c’è scuola; i loro mariti fanno lavoro altrettanto malpagati, oppure si consumano con l’alcool.
La rabbia è esplosa quest’estate, quando la Kannan Devan Hill Plantation ha deciso di tagliare il bonus pagato fino ad allora alle lavoratrici – circa il 20 per cento su una paga di 230 rupie al giorno (pari a 3,5 dollari). Un giorno di inizio settembre un gruppo di lavoratrici ha deciso di formare un collettivo che hanno chiamato Pombilai Orumai, «unità delle donne». Quello stesso giorno a gruppi hanno camminato fino agli uffici dell’azienda, nella cittadina di Munnar. Chiedevano di ripristinare il bonus e anche di aumentare i salari; protestavano per lo sfruttamento del loro lavoro, le loro baracche senza cesso e la loro vita tanto dura.
I loro slogan però non erano diretti solo ai padroni delle piantagioni. Anzi, se la prendevano quasi più con i dirigenti del sindacato che in teoria doveva rappresentarle, riferisce il giornale web indiano Catch. Urlavano «Noi fatichiamo tutto il giorno, voi ci saccheggiate». «Noi portiamo foglie di tè nei nostri fagotti, voi portate pacchi di soldi». «Noi viviamo in minuscole baracche, voi vi concedete comodi bungalow».
Le piantagioni di tè sono stupende alla vista, colline ondulate coperte di un verde intenso, ma lavorarci è un inferno: significa raccogliere foglie per lunghe ore, per una paga da miseria, e vivere nelle baracche messe a disposizione dall’azienda, baracchette di una stanza, senza gabinetto né altri comfort essenziali.
Le raccoglitrici sono per lo più donne e sono dalit (fuoricasta, o “intoccabili”: lo scalino più basso e discriminato della gerarchia sociale indiana). Per i loro figli non c’è scuola; i loro mariti fanno lavoro altrettanto malpagati, oppure si consumano con l’alcool.
La rabbia è esplosa quest’estate, quando la Kannan Devan Hill Plantation ha deciso di tagliare il bonus pagato fino ad allora alle lavoratrici – circa il 20 per cento su una paga di 230 rupie al giorno (pari a 3,5 dollari). Un giorno di inizio settembre un gruppo di lavoratrici ha deciso di formare un collettivo che hanno chiamato Pombilai Orumai, «unità delle donne». Quello stesso giorno a gruppi hanno camminato fino agli uffici dell’azienda, nella cittadina di Munnar. Chiedevano di ripristinare il bonus e anche di aumentare i salari; protestavano per lo sfruttamento del loro lavoro, le loro baracche senza cesso e la loro vita tanto dura.
I loro slogan però non erano diretti solo ai padroni delle piantagioni. Anzi, se la prendevano quasi più con i dirigenti del sindacato che in teoria doveva rappresentarle, riferisce il giornale web indiano Catch. Urlavano «Noi fatichiamo tutto il giorno, voi ci saccheggiate». «Noi portiamo foglie di tè nei nostri fagotti, voi portate pacchi di soldi». «Noi viviamo in minuscole baracche, voi vi concedete comodi bungalow».
Durante lo sciopero delle raccoglitrici di tè in Kerala |
Le aziende sono state colte di sorpresa, e anche i sindacalisti. Le piantagioni di tè non conoscevano agitazioni da tempo immemore, almeno da quando hanno trovato un accomodamento con i dirigenti sindacali, a cui garantiscono posti stipendiati e privilegi. Alcuni dirigenti sindacali sono diventati deputati al parlamento dello stato, altri sono di fatto parte di una burocrazia parastatale. Inutile dire che hanno sempre gestito le relazioni industriali in modo più che morbido.
Sta di fatto che quando un padrone delle piantagioni ha deciso di andare a parlare con le donne, queste l’hanno aggredito a colpi di sandali (pare che sia accorsa la polizia a salvarlo).
In breve, lo sciopero è cresciuto; alla fine circa 6.000 lavoratrici da numerose piantagioni, anche distanti, si erano riversate nella cittadina di Munnar, dove hanno assediato gli uffici delle piantagioni – e anche del sindacato. Negozi chiusi, la vita si è bloccata (per recuperare terreno, anche i sindacati allora hanno proclamato uno sciopero per aumenti salariali). La stampa indiana, che all’inizio aveva ignorato la storia, ha cominciato a parlarne.
Infine quelle lavoratrici senza nessuna esperienza sindacale, e spesso semianalfabete, hanno vinto – almeno in parte. Hanno costretto la Kannan Devan Hill (cioè Tata) a ripristinare il bonus. Infine hanno accettato un accordo per un salario di 301 rupie giornaliere: non sono le 500 rupie che loro chiedevano, ma è pur sempre un aumento del 30 percento. Forse ancora più importante, hanno costretto i rappresentanti delle aziende e i sindacalisti a fare i conti con loro.
«Hanno portato alla luce le terribili condizioni di vita e di lavoro in piantagioni ancora coloniali», commenta il quotidiano The Hindu. «Migliaia di donne dalit hanno … rappresentato se stesse in una coraggiosa ribellione contro il capitalismo e il patriarcato, inclusa una struttura sindacale dominata da uomini». Hanno chiamato in causa uno stato assente («le piantagioni sono mini-imperi … l’assenza dello stato è un’eredità coloniale»), sindacati apatici o complici, e un’industria delle piantagioni fondata sullo sfruttamento. (In settembre la Bbc aveva descritto una situazione altrettanto terribile nelle piantagioni dell’Assam, nel nord).
Sta di fatto che quando un padrone delle piantagioni ha deciso di andare a parlare con le donne, queste l’hanno aggredito a colpi di sandali (pare che sia accorsa la polizia a salvarlo).
In breve, lo sciopero è cresciuto; alla fine circa 6.000 lavoratrici da numerose piantagioni, anche distanti, si erano riversate nella cittadina di Munnar, dove hanno assediato gli uffici delle piantagioni – e anche del sindacato. Negozi chiusi, la vita si è bloccata (per recuperare terreno, anche i sindacati allora hanno proclamato uno sciopero per aumenti salariali). La stampa indiana, che all’inizio aveva ignorato la storia, ha cominciato a parlarne.
Infine quelle lavoratrici senza nessuna esperienza sindacale, e spesso semianalfabete, hanno vinto – almeno in parte. Hanno costretto la Kannan Devan Hill (cioè Tata) a ripristinare il bonus. Infine hanno accettato un accordo per un salario di 301 rupie giornaliere: non sono le 500 rupie che loro chiedevano, ma è pur sempre un aumento del 30 percento. Forse ancora più importante, hanno costretto i rappresentanti delle aziende e i sindacalisti a fare i conti con loro.
«Hanno portato alla luce le terribili condizioni di vita e di lavoro in piantagioni ancora coloniali», commenta il quotidiano The Hindu. «Migliaia di donne dalit hanno … rappresentato se stesse in una coraggiosa ribellione contro il capitalismo e il patriarcato, inclusa una struttura sindacale dominata da uomini». Hanno chiamato in causa uno stato assente («le piantagioni sono mini-imperi … l’assenza dello stato è un’eredità coloniale»), sindacati apatici o complici, e un’industria delle piantagioni fondata sullo sfruttamento. (In settembre la Bbc aveva descritto una situazione altrettanto terribile nelle piantagioni dell’Assam, nel nord).
24/10/15
Violenze e sfruttamento Le donne fantasma delle serre
Donne che lavorano nelle campagne in Sicilia: Sfruttate, picchiate, violentate, costrette a vivere in condizioni disumane...
LO SCIOPERO DELLE DONNE DEVE ESSERE LA NECESSARIA RISPOSTA!
MFPR Palermo
LO SCIOPERO DELLE DONNE DEVE ESSERE LA NECESSARIA RISPOSTA!
MFPR Palermo
(dal blog proletari comunisti)
Riportiamo le orribili notizie di questo dossier sulle donne che lavorano nelle serre della Sicilia con la puntualizzazione che queste necessarie denunce, se non lette nella maniera corretta, finiscono però per “legittimare” le istituzioni, rendendole al massimo “neutre”, come se la colpa fosse del caporale o del padrone di turno (il giornalista lo scrive con le virgolette, forse perché non le piace la parola mentre effettivamente si tratta di padrone nel senso giuridico e nel pieno senso di classe!)
E invece le istituzioni sono direttamente
o indirettamente coinvolte (che cosa sono i “padroni” se non quelle stesse
persone che partecipano alle elezioni locali o nazionali, fanno parte di enti
ecc. ecc.) quando non fanno controlli seri, non fanno leggi e le fanno
applicare veramente… se fossero onesti, e non lo sono, direbbero che non
possono fare tutto questo perché appunto fanno parte del sistema!
***
Violenze e sfruttamento
Le donne fantasma delle serre
Marina di Acate
Alina trasporta due cassette di
melenzane alla volta con il suo enorme pancione. Ha 25 anni, è al nono mese di
gravidanza, non ha mai fatto un’ecografia né un controllo e continua a lavorare
senza tregua. Lili di anni ha 46, la schiena piegata in due dal dolore, ha
imparato in fretta a stare in equilibrio su quella sorta di carrello “a pedali”
che le serve per raccogliere i prodotti in alto della serra. Mariana, invece,
non riesce più a trovare un contratto. Lei è una delle epoche che ha osato
denunciare quel “padrone” che la faceva lavorare senza pagarle quanto pattuito,
se n’è andata e adesso nessun altro la vuole. Di Valentina invece non si sa più
niente. È la più giovane di loro, ha solo 19 anni.
Nove ore al giorno nelle serre e
poi, dal tardo pomeriggio alla era, in un casolare a soggiacere ai piaceri del
padrone e dei suoi amici. Gratis, o quasi, naturalmente. Il suo fidanzato, un
bracciante tunisino, ha provato a difenderla, a tirarla fuori da lì, ha chiesto
aiuto agli operatori di una associazione onlus di cui ha deciso di fidarsi, ma Valentina
non ha voluto sentirne, terrorizzata di paura. Lui lo hanno massacrato di
botte, lei è sparita, portata via in un’altra 2campagna”, lontano da occhi
indiscreti.
Benvenuti nell’inferno di
Macconi, un triangolo di terra tra Acate Vittoria e Scoglitti, decine di
chilometri di “plastica”, una sconfinata distesa di serre, zona franca, un Far
west assoluto che è diventata allo stesso tempo terra promessa e prigione delle
schiave romene del terzo millennio.
Sfruttate, picchiate, violentate,
costrette a vivere in condizioni disumane nell’assoluta (o quasi) indifferenza
della popolazione locale e, soprattutto, rassegnate ad una condizione
drammatica dalla quale difficilmente accettano di essere aiutate ad uscire
perché il loro unico scopo è quello di guadagnare quel che serve loro per
mantenere i loro figli rimasti in patria o per ricostruirsi una casa nel loro
paese dove comunque intendono tronare.
Il miraggio delle tante Alina,
Cornelia, Mariana sono le 52 giornate di lavoro, naturalmente
contrattualizzato, che servono loro per poi ottenere l’indennità di
disoccupazione agricola. Poco importa se poi le giornate di lavoro effettivo
sono più del doppio, se non vengono pagate più di venti euro al giorno per
dieci, dodici ore di lavoro, e seppur di avere quel maledetto contratto a
condizioni falsate devono sopportare di tutto. Anche di esser violentate sotto
la minaccia di una pistola o di essere costretta a improvvisarsi ballerine di
lap dance e prostitute in una delle discoteche della zona.
Il martedì, all’ospedale di
Vittoria, è giorno di aborti. Qui sono quasi tutti obiettori di coscienza e
così l’equipe medica arriva dagli ospedali vicini. C’è una domanda altissima da
soddisfare, Vittoria (in percentuale rispetto al numero degli abitanti) ha il
più alto numero di interruzioni di gravidanza d’Italia, più di cento all’anno
di queste il 40 per cento riguardano donne romene.
“Ma sono molte di più - spiega
Francesca Commissario, una delle operatrici della associazione Proxima che è
riuscita a guadagnarsi un rapporto di fiducia con molte di queste donne – bisogna
considerare che questi numeri riguardano solo chi ha i documenti a posto e può
usufruire dei servizi sanitari. Moltissime donne che restano incinte vengono
messe sul primo autobus per la Romania, mandate ad abortire lì dove tutto è più
facile e con meno regole visto che praticano interruzioni di gravidanza anche
dopo il terzo mese, e poi fatte tornare. Qui, riuscire ad approdare ai servizi
essenziali, per questa gente è una fatica improba. Basti pensare che per molti
dei loro bambini non riusciamo neanche ad ottenere una visita pediatrica, per
altro dovuta per legge”.
I bambini, anche loro qui, tra
questa immensa teoria di serre dove è impossibile orientarsi, dove non esistono
indirizzi, dove se chiami un’autoambulanza non riesce ad arrivare, dove polizia
e carabinieri non entrano e dove, naturalmente, non arrivano i servizi
pubblici, sono dei “fantasmi” che vivono in assoluto isolamento in balia dei “padroni”
delle campagne in cui lavorano i genitori. Pochissimi sono quelli che vanno a
scuola, gli altri aspettano chiusi in questi tuguri che di giorno sembrano
deserti, abbandonati da anni e che solo all’imbrunire si animano con
l’accensione di qualche piccola luce o di un braciere su cui cuocere quel poco
che c’è da mangiare.
Ad aprile, quando finalmente
hanno arrestato il suo padrone-aguzzino, che l’aveva mandata ad abortire be
quattro volte, Lucia, con il pensiero ai sei figli rimasti in Romania pe i
quali ha subito un inferno durato nove anni, ha detto: “io sono convinta che
queste serre molti di ni ci sono morte, tanto qui non se ne accorgerebbe nessuno”.
Come nessuno si è accorto di
alcune terribili morti, di otto braccianti tunisini stroncati giovani da tumori
probabilmente causati dal lavoro a mani nude e senza alcun dispositivo di
sicurezza a contatto quotidiano con sostanze chimiche.
A sollevare il caso la Cgil
tunisina che si è fatta portavoce delle domande delle giovani vedove che ora
reclamano, ovviamente con possibilità quasi nulle, una pensione di reversibilità
all’Italia,
Purtroppo questa è una condizione
che non riguarda solo gli immigrati – dice Peppe Scifo delle Cgil – non
esistono protezioni per i lavoratori né nelle grandi né nelle piccole aziende.
Nel Ragusano la presenza della comunità tunisina è fortissima ormai da 30 anni
e ora, evidentemente, si cominciano a evidenziare le conseguenze di una così
lunga esposizione al rischio. Non abbiamo ancora dei numeri, stiamo cercando di
fare una ricognizione”.
L’emporio su cui sventola la
bandiera romena fino a qualche tempo fa era l’unico punto di aggregazione di
questa comunità che resta sfilacciata. Adesso, però, a Macconi, il presidio
della Caritas due volte la settimana è diventato un riferimento certo. Vengono
a decine, anche facendo chilometri a piedi, per chieder un aiuto nell’ottenere
documenti, per una visita di base con i medici volontari, per chiedere farmaci,
ama anche per u giro alla “boutique”, da cui escono con grandi sacchi pieni di
vestiti domenica c’è un battesimo e bisogna vestirsi eleganti.
“L’invisibilità di questa gente –
dice Ausilia Cosentini, coordinatrice di Proxima – è l’elemento fondante di
questa condizione di schiavitù perché consente alla comunità locale e alle
istituzioni di non occuparsene, il nostro lavoro è quello di inserire le donne
vittime di sfruttamento in programmi di protezione e interazione sociale, ma
facciamo una grande fatica perché il loro stato di vulnerabilità è tale che
quasi sempre preferiscono accettare la condizione di assoggettamento e
continuare a lavorare. I numeri la dicono lunga: in dieci anni ci sono state
solo due denunce di abusi sessuali. E negli ultimi due anni delle 269 persone
che abbiamo contattato con i nostri servizi di emersione solo 23, meno del
dieci per cento, hanno accettato di intraprendere un percorso di salvezza”.
La Repubblica Palermo
20/10/15
Torino: educatrice licenziata perché indossa una t-shirt No tav
TORINO –Licenziata per una maglietta “No Tav” e per un abbraccio con una attivista vicina agli Angela Giordano, educatrice a contratto che ha perso il posto di lavoro nella casa circondariale Lorusso e Cutugno di Torino dove lavorava fino a questa estate.
anarchici: è la storia di
Almeno questa è la versione che lei stessa ha raccontato a Jacopo Ricca di Repubblica, proprio all’indomani della sentenza che ha prosciolto lo scrittore Erri De Luca dall’accusa di istigazione a delinquere per aver parlato di “sabotare la Tav” durante un’intervista.
Angela Giordano è rimasta senza lavoro il 17 settembre. Prima dell’estate aveva indossato una maglietta “No Tav” mentre faceva terapia con i propri pazienti. Il 30 settembre la sospensione è stata confermata dalla guardia all’ingresso del carcere, che le ha detto che il permesso d’accesso le era stato negato per “motivi di sicurezza”. A rendere definitiva la sospensione è stato il direttore del penitenziario, Domenica Minervini.
La motivazione ufficiale, riferisce Ricca su Repubblica, fa riferimento a due episodi: “Essersi intrattenuta scambiando baci e abbracci con simpatizzanti dell’area anarco-insurrezionalista” ed “aver pubblicato sul suo profilo Facebook numerose fotografie di anarchici recentemente arrestati”.
Scrive Ricca:
anarchici: è la storia di
Almeno questa è la versione che lei stessa ha raccontato a Jacopo Ricca di Repubblica, proprio all’indomani della sentenza che ha prosciolto lo scrittore Erri De Luca dall’accusa di istigazione a delinquere per aver parlato di “sabotare la Tav” durante un’intervista.
Angela Giordano è rimasta senza lavoro il 17 settembre. Prima dell’estate aveva indossato una maglietta “No Tav” mentre faceva terapia con i propri pazienti. Il 30 settembre la sospensione è stata confermata dalla guardia all’ingresso del carcere, che le ha detto che il permesso d’accesso le era stato negato per “motivi di sicurezza”. A rendere definitiva la sospensione è stato il direttore del penitenziario, Domenica Minervini.
La motivazione ufficiale, riferisce Ricca su Repubblica, fa riferimento a due episodi: “Essersi intrattenuta scambiando baci e abbracci con simpatizzanti dell’area anarco-insurrezionalista” ed “aver pubblicato sul suo profilo Facebook numerose fotografie di anarchici recentemente arrestati”.
Scrive Ricca:
“Tutto però è iniziato con una maglietta, indossata prima dell’estate, dove campeggiava la scritta No Tav .Una t-shirt di quelle comprate per finanziare la lotta contro il treno ad Alta velocità che non è passata in osservata e ha suscitato le critiche dei superiori: «Non è un abbigliamento consono, può essere visto come una provocazione» gli avvertimenti fatti all’educatrice che da quel momento aveva smesso di mettere la maglietta e non si sarebbe aspettata di perdere il lavoro per quello.
La donna conferma di essere simpatizzante del movimento No Tav, ma assicura di non aver mai avuto rapporti con gli anarchici e l’incontro cui si fa riferimento nel provvedimento è avvenuto a metà settembre, quando era stato organizzato un presidio in solidarietà degli otto arrestati dove uscendo del lavoro è stata chiamata da una sua amica che partecipava alla manifestazione. E anche le foto, ancora visibili sul suo profilo social, ritraggono i giovani che avevano assaltato il cantiere di Chiomonte e che non appartengono all’area anarchica, ma all’autonomia torinese. Il suo legale, Roberto Lamacchia, spera che si sia trattato di un malinteso: «Non era mai successa una cosa simile e le motivazioni che abbiamo non rispondono alla realtà – spiega l’avvocato – Nei prossimi giorni cercheremo di ottenere una revoca».
Sette donne e un ragazzo migranti al cimitero di Taranto- il nostro cordoglio e la nostra rabbia.
Esprimiamo il nostro profondo cordoglio e dolore,
solidarietà ai parenti degli 8 migranti che da ieri si trovano nel
nostro cimitero di Taranto, in attesa di riconoscimento e di essere
sepolti. La nostra solidarietà anche a tutti gli altri migranti che sono
sbarcati nella nostra città.
Tra gli 8 migranti morti, sette sono donne. Erano a bordo
ammassati fino a soffocare su un gommone al largo della Libia su cui
viaggiavano altre 112 persone. Provengono da Nigeria, Ghana, Camerun,
Togo, Mali e Burkina Faso.
Nei prossimi giorni, quando finiranno le operazioni di
riconoscimento, andremo al cimitero a dare il nostro saluto e a
manifestare la nostra determinazione a proseguire la lotta anche per
loro.
Ma vogliamo esprimere soprattutto la nostra rabbia. Il
governo, lo Stato dell'Italia imperialista mentre spende miliardi per
fare la guerra, dall'Iraq, all'Afghanistan, e prossima la Libia; e
decide con i paesi europei di rimandare indietro i migranti a rischiare
nuovamente la vita nei loro paesi, non vuole investire soldi, mezzi,
uomini per organizzare un corridoio umanitario. Stanno sulla sponda del
mare ad aspettare come avvoltoi che succedano le tragedie, come questa,
l'ennesima.
7 donne sono arrivate morte, alcune di loro sono nigeriane.
Ma poco tempo fa è stato proprio lo Stato italiano a respingere 69
donne nigeriane, in buona parte vittime di tratta, e trattenute nel CIE
di Ponte Galeria a Roma, rimandandole a una vita da incubo o, più
sicuramente, a finire ammazzate.
O morte affogate perchè non vengono salvate, o morte perchè cacciate!
ASSASSINI!
O morte affogate perchè non vengono salvate, o morte perchè cacciate!
ASSASSINI!
Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario - Taranto
Inchiesta sulle condizioni di lavoro alla Sata di Melfi
Nell'ambito
dell'iniziativa che stiamo preparando alla Fca/Sata di
Melfi, all'interno del lavoro per un nuovo sciopero delle
donne che abbia al centro le operaie e le lavoratrici più
sfruttate e discriminate, pubblichiamo stralci di una utile
inchiesta fatta all'inizio dell'estate dalla Fiom Basilicata
sulle attuali condizioni di lavoro degli operai e operaie di
Melfi.
Con
contatti diretti con alcune operaie della Sata, stiamo
ulteriormente approfondendo cosa comportano per le donne
queste condizioni.
MFPR
Dall’indagine promossa dalla FIOM CGIL Basilicata sulle condizioni di lavoro e i rischi per la sicurezza all’interno delle singole UTE dello stabilimento FCA SATA.
1. Gli investimenti alla SATA di Melfi e gli
attuali livelli produttivi e occupazionali
A
circa un anno dall’avvio della produzione della JEEP Renegade,
cui ha fatto seguito all’inizio di quest’anno (febbraio)
quella della 500X, nello stabilimento sono state prodotte alla
fine di giugno poco più di 100 mila Renegade e circa 70 mila
500X. L’attuale produzione per turno è sulla nuova linea di
400 vetture (1.200 per giorno), ma l’obiettivo dell’azienda è
di arrivare a 450.
Per
questa linea ricordiamo che i turni di lavoro sono 20,
considerato che la domenica mattina si
svolgono
attività di manutenzione (ma in alcuni casi si sono verificati
anche attività di recupero produzione). Rispetto al mix
produttivo attualmente la produzione è per metà di JEEP
Renegade e per metà di 500X.
Sull’altra
linea del Montaggio dove è ancora in produzione la Grande
Punto, la produzione è di 360 vetture giornaliere su 2 turni
(turni che nel complesso per questa linea sono 12). Dal primo
settembre è cessata la produzione delle Grandi Punto con
motore diesel euro 5, in attesa che nello stabilimento polacco
di FCA entri a regime la produzione dell’euro 6. È
ipotizzabile, tuttavia, che nei prossimi mesi l’azienda se la
produzione della punto diminuisce possa accorpare le 2 squadre
su una sola. I lavoratori non più utilizzati su questa linea
finirebbero in questo modo per essere impiegati sulla linea
della Jeep e della 500X.
Attualmente
secondo nostre stime gli addetti dello stabilimento dovrebbero
essere circa 8 mila, considerati i 7.400 a libro paga della
SATA1 e i 400 trasfertisti di Cassino e Pomigliano, cui vanno
aggiunti i circa 250 addetti assunti più di recente con
contratto di somministrazione, considerato che l’impresa
potrebbe rivedere la previsione di assunzione di altri 250
addetti entro l’anno, soprattutto
se si
dovesse verificare una riduzione del fabbisogno sulla linea
della 1.
Questo
numero comprende i 1.427 addetti entrati inizialmente con un
contratto di somministrazione e poi rinnovati alla fine di
luglio di quest’anno attraverso la nuova riformulazione del
contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti
per cui non si applicano le tutele per i licenziamenti di
natura economica ancora validi per il resto dei dipendenti.
Nello stesso modo non sono stati rinnovati 73 rapporti di
lavoro sui 1.500 complessivi della prima tornata di nuove
assunzioni.
2. Metodologia e obiettivi dell’indagine
Tra
maggio e giugno di quest’anno i delegati Fiom della FCA SATA
di Melfi hanno distribuito e successivamente raccolto nelle
diverse UTE delle schede per la rilevazione dei principali
rischi sulla sicurezza del lavoro.
Le
schede sono state distribuite a singoli lavoratori per avere
un quadro illustrativo per UTE e Unità Operativa (Stampaggio,
Lastratura, Verniciatura e Montaggio). Nel complesso sono
state raccolte alla fine della rilevazione circa 80 schede.
Contemporaneamente
sono state realizzate circa 20 interviste in profondità con
delegati e iscritti della Fiom al fine di indagare più nel
dettaglio alcune delle problematicità emerse nel corso della
rilevazione.
3. Primi risultati dell’indagine
Nonostante
gli investimenti realizzati in occasione della messa in
produzione della JEEP Renegade e della 500X... gli
investimenti sulla nuova linea si sono concentrati
principalmente su impianti e macchinari e meno sulle
condizioni di lavoro. Gli stessi interventi che sono stati
promossi dall’azienda, in occasione del fermo produttivo per
la pausa estiva di quest’anno, sono stati alquanto marginali e
non in grado di superare le problematicità che abbiamo
raccolto nel corso dell’indagine.
Le
principali criticità che
emergono dall’indagine, al di là dell’insostenibilità della
prestazione di lavoro nel suo complesso per quanto attiene al
nuovo regime di turnazione (nel passaggio da 15 a
20
turni) sono risultate le seguenti (una loro illustrazione per
Unità Operativa e per turno è contenuta nella tabella 1 – che
pubblicheremo in seguito - ndr):
a) l’incremento della
velocità delle linee ha
frazionato maggiormente i tempi e aumentato la ripetitività
delle mansioni (in prevalenza quelle del Montaggio) con il
rischio di una maggiore
probabilità
del verificarsi di danni muscolo-scheletrici come
epicondilite, tunnel carpale e cuffia rotatoria;
b) il layout della
nuova linea evidenzia in alcuni casi una eccessiva
concentrazione degli addetti su alcuni tratti, in
particolare nelle prime UTE del Montaggio e alla Meccanica,
dove si
hanno
difficoltà nello svolgimento del lavoro in spazi molto
ridotti;
c) insufficienza dei
sistemi di abbattimento dei fumi e di areazione in LASTRATURA e
nella UTE FINAL del MONTAGGIO;
d)
alcuni investimenti
realizzati dall’azienda, migliorativi delle condizioni
di lavoro, appaiono ad oggi sacrificati
per gli obiettivi di produzione (superamento dei
vincoli tecnici UTE TRIM 1 e 2 del Montaggio; mancato utilizzo
partner, servo-mezzi e altri strumenti di supporto);
d) si
è verificato un aumento
delle saturazioni su molte postazioni del Montaggio, a causa dell’ERGO-UAS
e dell’organizzazione della produzione, anche perché il
MONTAGGIO non riesce a stare sempre dietro alla produzione
della LASTRATURA e della VERNICIATURA;
e) la
modifica del regime di TURNAZIONE
risulta avere conseguenze particolarmente pesanti in
relazione ai turni del sabato sera e della domenica
pomeriggio; di fatto ogni lavoratore nell’arco del mese
vede interessata la domenica per effetto dei turni che
terminano con il sabato sera o la domenica sera, senza
considerare il turno pomeridiano della domenica;
f) i giorni di riposo
si collocano soprattutto nell’arco della settimana con il risultato
di azzerare i momenti di socialità e quelli dedicati alla
famiglia nel fine settimana, un sacrificio particolarmente gravoso
per le lavoratrici.
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