un articolo di Elisabetta Teghil
Martina Levato è una donna condannata a quattordici anni di reclusione per l’aggressione con l’acido al suo ex.
La notte di sabato 15 agosto, nella clinica Mangiagalli di Milano, dove era stata portata dal carcere di San Vittore, ha partorito un bambino, figlio del suo nuovo compagno, anch’egli in carcere per lo stesso reato. Una volta dimessa avrebbe dovuto essere portata all’ICAM, la struttura per madri detenute con figli piccoli di Milano, come aveva disposto il pm incaricato delle indagini, decisione approvata dal gip e dal tribunale del riesame.
Ma subito dopo il parto il piccolo è stato immediatamente sottratto alla madre su istanza della pm Annamaria Fiorillo della Procura dei Minori di Milano che ha avviato l’iter per l’adottabilità del neonato.
Annamaria Fiorillo ha fatto esplicito riferimento nel suo ricorso alla perizia psichiatrica depositata alla nona sezione penale che ha condannato Martina Levato per l’aggressione. Gli psichiatri avevano escluso qualsiasi forma di incapacità di intendere e di volere, anche parziale e descrivevano Martina come una donna con una personalità a tratti “borderline”, sarebbe stata lei ad accollarsi il compito di agire e a lanciare l’acido. Inoltre, sempre il pm Fiorillo, dichiara che la separazione del bambino è stata necessaria affinché i giudici prendano decisioni in assenza di condizionamenti derivanti da aspettative da parte delle persone coinvolte e nell’unico interesse del minore. E, infatti, i giudici hanno deciso che Martina Levato può vedere il figlio una volta al giorno, per un’ora soltanto, sotto sorveglianza, non lo può allattare al seno e hanno aperto la procedura per l’adottabilità.
Giuseppe Magno, già direttore del Dipartimento sulla Giustizia minorile del ministero della Giustizia rincara la dose dichiarando che i due imputati, vale a dire la donna e l’attuale compagno, avrebbero dimostrato “mancanza di rispetto per il prossimo” e “non denotano un particolare equilibrio psico-affettivo” e che quindi “la prima cosa da fare è un’operazione chirurgica di distacco per limitare i danni al bambino”.
Questa è la vicenda scarna, ma gli scenari che apre sono estremamente inquietanti.
I principi di base del diritto borghese ci dicono che qualsiasi persona commetta un reato deve essere giudicata ed eventualmente condannata solo e soltanto per il reato che ha commesso. Invece, da diversi anni ormai, le donne in carcere subiscono troppo spesso la pena suppletiva di vedersi togliere i figli.
Il distacco della donna dal bambino è chiaramente una pena accessoria, del tutto gratuita che ricorda i supplizi medioevali quando un condannato o una condannata al carcere o alla pena di morte, era previsto che subissero torture e atroci tormenti perché dovevano soffrire e questo doveva essere di monito a tutti e tutte le altre/i.
Sulla stampa mainstream che si dichiara, bontà sua, di “sinistra”, sono apparse interviste a eminenti psichiatri che hanno dichiarato tra l’altro che una donna che ha sfregiato con l’acido il suo ex e covato la vendetta ed è stata condannata non può essere una buona madre e che non può allevare suo figlio…”di certo l’aggressività del suo gesto è un elemento di rischio verso il figlio. Un delitto pianificato. Una coppia diabolica. Con risvolti psichiatrici tutti da valutare. Difficile ritenere questa donna idonea a fare la madre”.
Il reato commesso da Martina Levato, che ci ricorda che, di solito, sono gli uomini ad usare questa violenza nei confronti delle donne, è di forte impatto sociale e, come succede spesso, viene utilizzato per veicolare principi di controllo e repressione e, comunque, aberranti.
Chi decide come e quando una madre detenuta è “degna” di prendersi cura del proprio figlio?
Ci vengono in mente subito le così dette “terroriste” o le donne di mafia o semplicemente le detenute in carcere per droga o le Rom che “portano i figli a mendicare”…..che cosa significa essere una personalità “borderline” o non avere un “equilibrio psico-affettivo”? e chi lo decide questo? Gli esperti del comportamento che la socialdemocrazia ha elevato ad ipse dixit o i servizi sociali che ormai hanno una connotazione poliziesca? E chi controlla i controllori?
E tutto questo non riguarda solo le madri detenute, ma tutte quelle che vengono giudicate fuori dalle righe, ai margini della legalità, non ligie alla scala di valori dominante. “Se non vi allontanate da quella casa io la bambina ve la allontano” ..”Trovati un lavoro se non vuoi stare da tuo suocero, altrimenti io la bambina la metto in affidamento” queste sono le parole con cui una funzionaria dei servizi sociali a Benevento si rivolge ad una madre che ha occupato una casa e così continua senza mezzi termini “Sei una mamma irresponsabile tu, se ti metti in mezzo a quella gentaglia “…” se arriva uno sgombero i bambini vi saranno tolti e affidati a una casa famiglia”.
Una madre NoTav ha scritto tempo fa una lettera aperta “Ciao a tutti, segnalo che stanno arrivando a casa convocazioni presso gli uffici di assistenza sociale, richiesti dalla Procura di Torino-Tribunale dei minorenni-per i ragazzi, minorenni appunto, che prendono parte a presidi, sit-in, volantinaggi, manifestazioni, attività NoTav, senza che ci sia una configurazione di un reato. Si tratta di ragazzini identificati dalle forze dell’ordine, mentre, pacificamente, manifestavano in Valle di Susa, a fine settembre. Non essendoci presenza di reato, perché la Procura “segnala” i ragazzini ai servizi sociali? Per vedere se il loro sano attivismo è sintomo di patologie o disagi familiari? Se hanno genitori violenti, oppressivi che li costringono a manifestare per i diritti civili e politici? Manifestare diviene sintomo di disagio per i rappresentanti della legge?…”
Questa è una società di stampo nazista perché lo Stato si arroga il diritto di giudicare e intervenire nei comportamenti personali assumendosi un ruolo etico ed è una società medioevale per il disprezzo totale che ha della vita dei “sudditi” al di là del buonismo di facciata e dell’attenzione pelosa, compulsiva e falsa ai diritti compresi quelli dei minori che avviene attraverso il “politicamente corretto” della socialdemocrazia e che maschera soltanto la pretesa di un serrato controllo sociale.
Speriamo che il figlio di Martina Levato, che si chiama Achille e mai nome fu più adatto per un bambino che si porterà sempre dietro il tallone scoperto di questa nascita, riescano ad adottarlo i genitori della madre o del padre, ma questo nulla toglie all’aberrazione del principio introdotto, alla violenza senza confini delle pene suppletive che vengono inflitte alle donne.
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