la doppia violenza di genere e di classe è sempre più schifosa, in India le donne più povere subiscono violenze persino in sala parto. Le donne devono essere l'avanguardia delle masse proletarie in rivolta contro la doppia oppressione del capitale, la rivoluzione proletaria sarà la liberazione dallo sfruttamento e dalla schiavitù dal capitalismo.
Il governo indiano sta promuovendo i parti nelle cliniche ospedaliere
per ridurre il tasso di mortalità materna, senza tener conto delle
violenze da parte del personale
di Sabika Shah Povia
di Sabika Shah Povia
Tre donne in stato di gravidanza nella città di Anand, in India. Credit: Mansi Thapliyal
Nel villaggio di Santhal a Birbhum, distretto dell'India orientale, nessuno ha un certificato di nascita. Alle donne tribali non piace andare all'ospedale per partorire. Dicono che il personale le tratta male: “Noi trattiamo con molta più cura le nostre capre e i nostri bufali, rispetto a come loro trattano i pazienti”.
Sotto le pressioni della comunità internazionale, per raggiungere l'Obiettivo di sviluppo del Millennio di ridurre il tasso di mortalità materna a 109 morti per ogni 100.000 bambini nati vivi entro il 2015, il governo indiano sta cercando di istituzionalizzare il parto, ovvero renderlo obbligatorio in cliniche pubbliche o private ufficialmente riconosciute.
Infatti, si pensa che i decessi durante il parto siano principalmente dovuti alle scarse condizioni igieniche e all'assistenza prestata da persone che non hanno le competenze adeguate.
Eppure, le donne indiane non amano partorire in ospedali pubblici. Piuttosto rischiano la vita partorendo in casa.
La classe media e l'élite del Paese possono permettersi di andare in cliniche private, ma non la maggior parte delle donne indiane; quelle che si presentano negli ospedali pubblici appartengono di fatto alle classi sociali più basse. Forse è anche per questo che durante il ricovero e il parto vengono derise, insultate, offese e volte anche picchiate.
“Tutti i miei compagni del corso hanno preso a schiaffi le pazienti. È quasi un rito di passaggio,” ha raccontato a Quartz Romit, giovane medico di un'ospedale nella città di Calcutta. “Una volta c'era un ragazzo così timido che non perdeva mai la pazienza. Il giorno in cui ha dato il suo primo schiaffo a una paziente lo abbiamo costretto a offrirci la cena per festeggiare”.
Romit non riesce neanche a ricordare la prima volta che ha usato la violenza in sala parto.
Dal 2005, per istituzionalizzare il parto e allo stesso tempo contenere la crescita della popolazione, il governo indiano ha introdotto il Janani Suraksha Yojana (JSY), un programma secondo il quale chi accetta di partorire in ospedale riceve un compenso economico. Per ricevere il compenso dal terzo parto in poi, però, la donna deve acconsentire obbligatoriamente anche alla sterilizzazione.
Il governo indiano è stato criticato in quanto mette a punto programmi come il JSY e cerca di incoraggiare le donne a partorire negli ospedali, ma senza tener conto dell'atteggiamento del personale degli ospedali nei confronti delle pazienti. Le ispezioni commissionate dalla National Health Mission - iniziativa intrapresa dal governo indiano per migliorare le condizioni di salute della popolazione in aree rurali - infatti tengono in considerazione la qualità delle cure ospedaliere in termini di infrastrutture e pulizia, ma non giudicano il comportamento del personale.
I racconti dei maltrattamenti e gli abusi sono ancora troppo numerosi.
Nel villaggio di Santhal a Birbhum, distretto dell'India orientale, nessuno ha un certificato di nascita. Alle donne tribali non piace andare all'ospedale per partorire. Dicono che il personale le tratta male: “Noi trattiamo con molta più cura le nostre capre e i nostri bufali, rispetto a come loro trattano i pazienti”.
Sotto le pressioni della comunità internazionale, per raggiungere l'Obiettivo di sviluppo del Millennio di ridurre il tasso di mortalità materna a 109 morti per ogni 100.000 bambini nati vivi entro il 2015, il governo indiano sta cercando di istituzionalizzare il parto, ovvero renderlo obbligatorio in cliniche pubbliche o private ufficialmente riconosciute.
Infatti, si pensa che i decessi durante il parto siano principalmente dovuti alle scarse condizioni igieniche e all'assistenza prestata da persone che non hanno le competenze adeguate.
Eppure, le donne indiane non amano partorire in ospedali pubblici. Piuttosto rischiano la vita partorendo in casa.
La classe media e l'élite del Paese possono permettersi di andare in cliniche private, ma non la maggior parte delle donne indiane; quelle che si presentano negli ospedali pubblici appartengono di fatto alle classi sociali più basse. Forse è anche per questo che durante il ricovero e il parto vengono derise, insultate, offese e volte anche picchiate.
“Tutti i miei compagni del corso hanno preso a schiaffi le pazienti. È quasi un rito di passaggio,” ha raccontato a Quartz Romit, giovane medico di un'ospedale nella città di Calcutta. “Una volta c'era un ragazzo così timido che non perdeva mai la pazienza. Il giorno in cui ha dato il suo primo schiaffo a una paziente lo abbiamo costretto a offrirci la cena per festeggiare”.
Romit non riesce neanche a ricordare la prima volta che ha usato la violenza in sala parto.
Dal 2005, per istituzionalizzare il parto e allo stesso tempo contenere la crescita della popolazione, il governo indiano ha introdotto il Janani Suraksha Yojana (JSY), un programma secondo il quale chi accetta di partorire in ospedale riceve un compenso economico. Per ricevere il compenso dal terzo parto in poi, però, la donna deve acconsentire obbligatoriamente anche alla sterilizzazione.
Il governo indiano è stato criticato in quanto mette a punto programmi come il JSY e cerca di incoraggiare le donne a partorire negli ospedali, ma senza tener conto dell'atteggiamento del personale degli ospedali nei confronti delle pazienti. Le ispezioni commissionate dalla National Health Mission - iniziativa intrapresa dal governo indiano per migliorare le condizioni di salute della popolazione in aree rurali - infatti tengono in considerazione la qualità delle cure ospedaliere in termini di infrastrutture e pulizia, ma non giudicano il comportamento del personale.
I racconti dei maltrattamenti e gli abusi sono ancora troppo numerosi.
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