Durante le proteste contro il
presidente Morsi al Cairo, il 27 gennaio. (Mohamed Abd El Ghany,
Reuters/Contrasto)
I violenti scontri in Egitto
degli ultimi cinque giorni hanno portato a un aumento degli abusi sulle donne.
Dopo i “test di verginità” sulle attiviste da parte dell’esercito nel 2011,
almeno venticinque donne hanno subìto violenze sessuali nel corso delle
proteste a piazza Tahrir, denunciano le organizzazioni per i diritti umani.
La dinamica è sempre la stessa:
un gruppo di uomini circonda una donna e comincia a spogliarla e a
palpeggiarla. La donna aggredita è poi abbandonata nuda per strada. Nei casi
più gravi ha subìto uno stupro o è stata ferita con armi da taglio.
Per combattere questa pratica gli
attivisti si sono organizzati in gruppi per fornire alle vittime assistenza
medica, legale e psicologica. Uno di questi è l’Operation anti-sexual
harassment, che il 25 gennaio ha registrato diciannove casi di violenze in cui
le donne erano state spogliate e violentate in pubblico. “È stata una delle
peggiori giornate di cui siamo testimoni”, ha detto al Guardian Leil-Zahra
Mortada, portavoce dell’organizzazione.
“Tra gli attivisti ci sono donne
che in passato hanno subìto violenze. Pur conoscendo il pericolo a cui vanno
incontro, si mettono lo stesso a disposizione”, scrive Tom Dale del sito Egypt
Independent, che ha assisto personalmente a un attacco durante le
manifestazioni di venerdì.
“Stavo camminando in un’area
della piazza dove di solito viene posizionato il palcoscenico e, trenta metri
più avanti, ho visto formarsi un crocicchio di persone con al centro una donna
che urlava. Ho cercato di avvicinarmi. Quando l’ho vista era completamente nuda
e terrorizzata. Era difficile avvicinarsi perché molti di quelli che dicevano
di volerla aiutare erano in realtà i suoi aggressori”, racconta il giornalista.
Il racconto di Dale è simile a
quello che una vittima ha scritto per il sito del gruppo femminista Nazra ed
esperienze simili sono state raccolte su Twitter da @TahrirBodyguard, un’altra
organizzazione in difesa delle donne.
“Mi vergogno per l’Egitto, il
paese in cui vivo da ormai dieci anni”, scrive Ursula Lindsey sul blog The
Arabist. “Questi atti dobbiamo chiamarli per quello che sono: stupri di gruppo.
Non corrispondono alla mia esperienza dell’Egitto, dove le continue molestie e
la misoginia sono sempre state bilanciate da una sensazione generale di
sicurezza”.
Non è chiaro chi siano i
responsabili delle violenze sessuali, ma secondo Operation anti-sexual
harassment, sono commesse da chi si oppone alle proteste. “Si tratta di
attacchi organizzati perché capitano sempre negli stessi angoli di piazza
Tahrir e seguono lo stesso schema”, sostiene Mortada.
Secondo un rapporto del 2008
redatto dall’Egyptian centre for women’s rights, l’83 per cento delle egiziane
ha subìto molestie sessuali. Il problema è reso più grave dal fatto che i
colpevoli raramente sono puniti.
“Non possiamo più accettare che
succeda”, dichiara un esponente di Tahrir Bodyguard, secondo cui gli attacchi
derivano da una cultura maschilista dominante: “Dobbiamo affrontare il problema
non solo al Cairo, ma in tutto l’Egitto”.
http://www.internazionale.it/news/egitto-africaemedioriente/2013/01/28/gli-stupri-di-piazza-tahrir/
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