PROCESSO PER ATIKA: ERGASTOLO, CON MOVENTE DI FEMMINICIDIO
Apprendiamo dell’avvenuta sentenza della Corte d’assise d’appello di Bologna che riconferma in toto quella di primo grado nei confronti dell’assassino di Atika Gharib.
Ben comprendiamo la fermezza con cui la famiglia ha rimandato al mittente le scuse e un pentimento che mai Mohamed Chameck aveva sentito il bisogno di esprimere, né al momento dell’arresto né nelle successive fasi processuali.
In concomitanza con l’inizio del primo processo prese vita il Comitato 23 settembre, in nome del quale tantissime volte ci siamo espresse su questa pagina purtroppo in altrettante occasioni di femminicidi che ogni giorno continuano a colpire le donne.
La sentenza di ergastolo senza attenuanti ha usato per la prima volta il movente di femminicidio creando un precedente giuridico parzialmente utile, crediamo, a minare la convinzione ancora troppo diffusa che le donne possano essere proprietà di un uomo, giustificato (se pure da una perizia psichiatrica) nel punirle perché hanno derogato da un comportamento di giusta sottomissione!
Come già abbiamo sottolineato, il rigore, riconfermato in questa sentenza utile per il futuro, non solo non può ridare una madre a quelle figlie in difesa delle quali Atika aveva avuto il coraggio di denunciarne il molestatore, ma non basta a scalfire la colpevolezza dello Stato nell’incrementare sempre di più tutte le mancanze e le difficoltà che gravano come un macigno sulla vita delle donne: occupazionale, economica e di Servizi, per autodeterminare dignitosamente la propria esistenza, senza essere esclusivo pilastro di una famiglia che in troppi casi la opprime e la uccide.
27 dicembre
Comitato 23 settembre
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