Riprendiamo stralci da un opuscolo dal titolo "360°" prodotto nel 2019 in cui abbiamo riportato l'analisi e il dibattito che si svolse tra compagne e lavoratrici in un seminario estivo di quell'anno, e in particolare riprendiamo la sezione - Analisi delle tendenze nel movimento femminista in Italia oggi - Nudm che riteniamo valida e attuale nella sua essenza perchè, come abbiamo scritto "...Noi sappiamo tutte le lotte che facciamo, potremmo fare un elenco che non finisce mai, però non parliamo delle tendenze teoriche che influenzano le lotte. Ora, dobbiamo cominciare ad entrare nel merito. L’analisi delle tendenze nel movimento femminista non è per tenerla per noi, ma per fare una battaglia, e non solo nelle realtà femministe organizzate, nelle assemblee, ma verso tutto il movimento delle donne, tutte le donne proletarie. Le donne proletarie devono dare forza alla loro condizione, la loro condizione è una forza di ribellione, ma deve essere una forza anche teorica...
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parte 3°
Sciopero globale o sciopero delle donne?
Una delle armi, di fase necessaria sul
piano dell' autonomia del femminismo
proletario rivoluzionario è lo
sciopero delle donne, ma lo sciopero
delle donne vero a fronte dell’analisi
della realtà concreta che vive nel nostro
paese la maggioranza delle donne,
a fronte di politiche sempre più oppressive,
discriminatorie, (le donne lavoratrici
le prime ad essere licenziate,
precarizzate, tagli ai servizi sociali,
sanitari, scuole, asili, il lavoro di cura
sempre più scaricato sulle donne, su cui
scaricare doppiamente la crisi del sistema
capitalista/imperialista, l’humus
sessista e maschilista diffuso dall’alto,
legittimazione della violenza dall’alto
a livello di massa, l’uso/abuso del potere
per usare/abusare delle donne,).
Uno sciopero reale che si estenda in
tante fabbriche, in tante realtà di lavoro,
sottolavoro, precariato, in realtà in
cui non è difficile che arrivi anche il
messaggio: le braccianti, le immigrate
ipersfruttate e schiavizzate, ecc.
Uno
sciopero vero in carne e ossa, e non
virtuale o simbolico, che partendo dai
e nei posti di lavoro si estenda, si allarghi
e si intrecci con tutti gli ambiti e
aspetti dell’oppressione delle donne,
case, scuole, territori martoriati, ecc..
Sciopero vero significa sporcarsi le
mani, andare alla fonte, dalle lavoratrici,
spiegare e diffondere il messaggio
dello sciopero delle donne, organizzarlo
partendo anche da piccoli numeri
ma significativi ed espressione
della necessità di una vera rottura; uno
sciopero come sfida, che crei “danni”
ai padroni, allo Stato, alla “sacra famiglia”;
ma anche di rottura nel movimento
sindacale e tra gli stessi lavoratori,
oscillanti spesso tra sessismo e
paternalismo riformista.
Se è così lo sciopero delle donne è
un’arma che ha un impatto non solo economico
ma anche ideologico, politico,
culturale perché ponendo una denuncia
che riguarda l’insieme della maggioranza
delle donne mette in discussione tutto,
il lavoro e il non lavoro, le
discriminazioni che ci sono nei posti
di lavoro, il ruolo di oppressione nella
famiglia e la stessa “sacra famiglia”
come la vuole questa società borghese.
In questo senso lo sciopero delle donne
non riguarda solo la questione di alcune rivendicazioni, ma è uno strumento
di fase.
Esso, però, non deve sostituirsi alla
più ampia lotta rivoluzionaria delle
donne divenendo il tutto, come invece
viene posto nel movimento odierno.
Lo sciopero delle donne è una tappa
di un percorso che pone sul tappeto
chiaramente la questione della lotta rivoluzionaria
e non riformista perché
“tutta la vita deve cambiare”, della necessità
di una società diversa, di rapporti
sociali diversi, fino ai rapporti
uomo/donna che non si possono riformare
dall’interno di questa società. Significa
dire alle donne: siete voi, siete
voi donne più sfruttate e oppresse che
dovete prendere la vostra vita e la lotta
nelle vostre mani!
Quindi, un’arma da impugnare che
però non deve essere trasformarsi in un
rituale annuale “normalizzato” e “normalizzante”.
Anche la piattaforma elaborata “sul
campo” dalle stesse lavoratrici, precarie,
disoccupate, immigrate, braccianti,
ecc. in anni di lotte, lavoro, iniziative
sui posti di lavoro e fuori, nei quartieri,
nei caseggiati, esprime tutto questo
“…Il valore di questa piattaforma e
ciò che la distingue dalle altre è di essere
arma di lotta oggi delle donne su
tutti i fronti, ma mostrando, nello scontro
con questo sistema sociale borghese
che non solo nega i diritti alla maggioranza
delle donne, soprattutto proletarie,
ma sempre più li toglie, anche
quelli conquistati con grandi movimenti
femministi di lotta, che per ottenere questi
obiettivi “normali” per la vita, la
dignità, l'autodeterminazione delle donne,
occorre una nuova società, una società
socialista, in cui le donne abbiamo
potere e possano dare l'assalto al
cielo e conquistarselo.” - Da un comunicato
Mfpr pre 8 marzo.
Nelle assemblee di NUDM sullo
sciopero delle donne, le lavoratrici si
citano, se ne parla, si dice che ci deve
essere un collegamento tra le femministe
e le lavoratrici sfruttate sul lavoro,
che si deve cercare di entrare nei posti
di lavoro, di fare inchiesta, si fanno anche
buone denunce, ma il movimento
delle donne l’8 marzo, nella rappresentazione
di NUDM, poi nei fatti “dimentica”
lo sciopero concreto sui posti di
lavoro, e i cortei, presidi, iniziative di
piazza, pomeridiane/serali, prendono il
posto dello sciopero.
Lo sciopero delle donne nel movimento
femminista piccolo borghese,
chiamato “globale” soffoca la questione
della lotta di classe, nella maggioranza
delle espressioni arriva anche a
cancellarla, pone come principale la
contraddizione di genere, non una linea/piano di lotta per una vera trasformazione
sociale, e quindi si pone alternativo
alla rivoluzione.
Allo sciopero “globale” si aggiunge
anche “transfemminista”, si parla di
sciopero dei e dai generi. Anche questo
concetto depotenzia, sottovaluta la
lotta di classe, si resta appunto sul piano
sovrastrutturale e sul conflitto di genere.
In questo discorso del
“transfemminismo”, il riferimento è, implicitamente
o esplicitamente, ad un
femminismo che si è sviluppato negli
Stati Uniti negli anni '70, in particolare
da parte di collettivi di donne di colore
che ponevano la discriminante dell’oppressione
di razza, del fatto appunto
che essendo di colore non avrebbero
potuto combattere la stessa lotta insieme
alle femministe bianche; altre dicevano
che il genere maschio/femmina è
un costrutto socio culturale imposto al
momento della nascita; che il concetto
è la percezione che ciascuno ha di sé,
quindi l’identità di genere, di cui “la
donna può essere una delle tante identità del sè..." (dal libro di Anuradha Ghandi).
Una delle frasi del trans-femminismo
(queer) afferma: «che 100 nuovi generi
nascano».
Tutto ruota, quindi, attorno all’identità
di genere e si resta circoscritti alla
questione della contraddizione sessuale
avulsa dalla lotta sul piano della
classe; non c’è l’appartenenza di classe
(sei un/una proletario/a o un/una borghese
capitalista non ci sarebbe differenza),
è come se sparissero i ruoli sociali.
Questo porta anche alla critica
alle organizzazioni “identitarie” e rivoluzionarie
e di fatto contrasta la questione
dell’organizzare collettiva, perché
nelle sue estremizzazioni è un processo
di individualizzazione, di
automizzazione. Tutto questo rafforza la
concezione e posizione che è principale
la contraddizione di genere, la lotta
per i diritti dei generi, non la lotta di
classe di cui la lotta delle donne è parte
determinante e arricchente.
Ora anche in questo movimento alcune
voci parlano di “intreccio genere e
classe”. Ma esso non va inteso in senso
di “conciliazione” o di fronte/alleanza
tra classe oppressa e genere oppresso;
ma deve significare guardare la
condizione e la battaglia delle donne
con le lenti di classe, comprendendo che
la lotta delle donne - che è lotta di classe
-in termini ideologici, politici, pratici
è una marcia in più per trasformare la
terra e il cielo.
La “marcia in più” è un principio teorico,
che tutte le organizzazioni proletarie,
comuniste devono assumere e
capirne la sua ricchezza anche pratica.
La condizione e lotta delle donne mostra
in maniera chiara che non c'è nessun
problema, ma proprio nessuno, che
si possa risolvere senza rivoluzione.
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Questa valutazione critica del movimento
Nudm pone la necessità che il
femminismo proletario rivoluzionario
stia con un “piede dentro e un piede fuori”
in questo movimento - in cui la questione
centrale è costruire e rendere forte
il “piede fuori” per stare con il piede
giusto dentro. E’ importante quello
che tu fai autonomamente, che costruisci,
il tuo lavoro, questo è importante;
perché non si tratta neanche di starci,
punto e basta, di starci solo per portare
un volantino nel corteo, ma starci sapendo
che cos’è questo movimento, capirne
la natura, le tendenze, le differenze,
quali obiettivi è giusto che abbia,
quali sono le linee invece di contro tendenza,
stare perché il movimento cresca
e diventi rivoluzionario.
Ci possono essere due atteggiamenti
sbagliati: partecipare perchè siamo tutte
donne, siamo tutte in lotta, quindi questo
basta. Ma questo non va bene perchè
alle idee corrispondono pratiche, giuste,
o pratiche che non solo non sono
giuste ma possono essere dannose, frenare
un effettivo movimento di lotta e
far andare indietro.
Un altro atteggiamento sbagliato è
dire: va bene, ma tutte quelle sono tutte
piccolo borghesi e quindi non ci possiamo
avere niente a che fare, le lotte
delle donne lavoratrici, precarie, proletarie
non possono stare in mezzo alle
piccolo borghesi. Ma anche questo atteggiamento
sarebbe sbagliato, uno,
perchè sarebbe superficiale – che significa
liquidarle dicendo solo “sono
piccolo borghesi”? Devi fare una critica
a quelle teorie, allora devi conoscerle
e analizzarle criticamente, e farlo
apertamente; due, perchè noi non possiamo
dire: “piccolo borghesi” e poi
ci sono 200mila donne in piazza. Se ci
sono 200mila donne in piazza le donne
proletarie, le donne rivoluzionarie lì ci devono stare e assumere tutte le battaglie,
non solo quelle più immediate, per
il lavoro, le sue condizioni, per il salario,
perchè ci vogliono togliere le ore...,
perchè queste sono solo una parte, contro
le donne c'è l'attacco all'aborto, alle
conquiste che sembravano consolidate,
c'è l’attacco ideologico sessista, c'è
la violenza sessuale (di cui le donne
proletarie spesso sono ben vittime)...
Il femminismo proletario rivoluzionario,
le donne proletarie organizzate e in lotta che rappresentano il settore più
sfruttato e oppresso delle donne,
maggioritario anche in una società
imperialista, che si occupano già e intervengono
su tutto - dalla condizione
delle detenute politiche nelle carceri,
alle migranti dei ghetti, ecc. - sta nel
movimento femminista. Qui interviene,
lotta, comprende, fa la lotta di posizione,
lavora ad unire l’area combattiva,
ribelle, portando sempre avanti una battaglia
di classe e rivoluzionaria.
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