La
prigioniera politica Nurcan Bakir (47 anni di età, in carcere da 28
anni e gravemente ammalata) si è tolta la vita in cella per
protestare contro la repressione nelle carceri turche e denunciare le
condizioni indegne in cui versano i detenuti.
Contro
la sua volontà Nurcan era stata trasferita dal carcere femminile di
Gezbe a quello speciale di Burhaniye, prigione chiusa di tipo T che
sorge nei pressi di Mardin (provincia Balikesir, nella regione
di Marmara).
Una
ritorsione – tale trasferimento – per la sua partecipazione allo
sciopero della fame di massa indetto l’anno scorso per protestare
contro l’isolamento totale imposto al leader curdo Ocalan.
Al
suo rilascio definitivo mancavano ancora due anni e lei si era quindi
rivolta alla Corte di Giustizia Europea per i Diritti Umani affinché,
date le sue condizioni di salute, potesse essere rilasciata prima.
Nel
suo ultimo contatto con familiari (una telefonata del giorno
precedente) aveva detto di non voler “tacere di fronte alla
repressione”, ma soprattutto di ricordare “ogni notte nei sogni i
suoi figli assassinati dal regime”.
Inizialmente il suo corpo era stato portato all’Istituto di Medicina Forense di Bursa e qui trattenuto in quanto pare mancassero alcuni documenti.
Altri
problemi dalla direzione del cimitero di Bursa che ha reso
problematica (rifiuto di un mezzo di trasporto, proibizione di
trasportarlo in aereo) la restituzione della salma alla famiglia.
Nurkan
Bakir verrà sepolta nel villaggio di Kayakdere (nel distretto Omerli
di Mardin) dove nel pomeriggio di questo 16 gennaio i suoi parenti si
stanno dirigendo trasportandone i resti con i propri mezzi.
Seguiti
e controllati da uno spiegamento di polizia. Sicuramente le forze
dell’ordine cercheranno di impedire che la cerimonia funebre si
svolga pubblicamente diventando un momento di lotta e protesta contro
Erdogan.
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