06/07/19

Il 9 luglio alle ore 15 saremo ancora sotto il carcere di L’Aquila con Nadia, Anna, Silvia, Natascia, con tutte le detenute e i detenuti in lotta



Comunicato di Nadia Lioce, da 14 anni in regine di 41 bis, dal 18 giugno in battitura di protesta in solidarietà delle compagne anarchiche in sciopero della fame

Da Rete Evasioni

Questo è un documento scritto da Nadia Lioce, inviato al Direttore del Carcere de L’Aquila e, per conoscenza, al Magistrato di Sorveglianza de L’Aquila e al Garante Nazionale dei detenuti, attraverso il quale comunica che il giorno 18/06/2019 ha iniziato una battitura quotidiana di 20 minuti, in solidarietà allo sciopero della fame di Anna e Silvia.
Un comunicato che con determinazione e coraggio denuncia, ancora una volta, la funzione del 41bis di annichilimento della persona e della sua dignità e del tentativo, da parte dello Stato, di estenderlo al resto delle sezioni, in particolare a quelle di Alta Sicurezza.
Lo diffondiamo condividendone l’analisi e riconoscendone la combattività e la tenacia.

Il 9 luglio, dalle 15:00, saremo davanti il carcere di L’Aquila al fianco di chi lotta.

Al Direttore del carcere de L’Aquila
per conoscenza al
– Magistrato di Sorveglianza de L’Aquila
– Garante Nazionale dei Detenuti


Il 18 giugno 2019 alle ore 12:00 ho iniziato una battitura di venti minuti al giorno delle sbarre della finestra della camera detentiva come gesto di solidarietà e condivisione della protesta attuata con sciopero della fame dal 29/05/2019 da due detenute, anarchiche, della “sezione gialla” del carcere de L’Aquila attualmente classificata AS2 femminile.
La protesta è contro il regime del 41bis e la pressione permanente che esercita sul prigioniero, innanzitutto tramite la segregazione, e poi con tutto ciò che essa rende possibile praticare all’Amministrazione Penitenziaria in termini afflittivi/punitivi.
Pressione che, nel vantaggio politico ottenuto dal DAP con quelle sentenze della Magistratura che vanno sottraendo le misure restrittive e di azzeramento delle libertà residue dei detenuti a 41bis al controllo giurisdizionale, si sta estendendo anche a settori di alta sicurezza, quale la sezione gialla, riclassificata AS2 alla sua riapertura nel febbraio del 2018.
Una sezione decenni prima adibita ad area di isolamento del reparto femminile, poi chiuso; rimessa in funzione quando il Ministero nel 2005 decise di dislocarvi le “politiche” sottoposte a 41bis e che fu chiusa nuovamente a fine 2012, quando il 41bis femminile fu trasferito in reparto.
Essendo stata in origine area di isolamento l’attuale AS2 femminile è una sezione particolarmente angusta, vi possono essere detenute soltanto quattro prigioniere in altrettante celle, e quelle ora presenti sono vigilate da personale GOM come lo sono i detenuti in 41bis.
Infatti il tipo di segregazione a cui soggiacciono è simile a quanto prevede il regime speciale.
Diverso per numero e modalità di colloqui, telefonate e ore d’aria, non lo è affatto invece sia per esiguità di rapporti sociali, essendo presenti tutt’al più tante detenute quante costituiscono il tetto massimo del “gruppo di segregazione” con cui in 41bis dal 2009 è stata normalizzata l’ “area riservata” a suo tempo stigmatizzata dalla CEDU, sia per le misure di regolamentazione della vita quotidiana che sono in gran parte le stesse del “carcere duro”, motivo per cui alla vigilanza è deputato il GOM.
Limitazioni di stampa, pretese di censura della corrispondenza, rapporti disciplinari ad ogni sciocchezza, e tutto il resto, sono espressioni dello spirito del 41bis, di sospensione di tutti quegli ordinari diritti e facoltà del detenuto dei circuiti comune/alta sicurezza, almeno per quel tempo occorrente all’iter giudiziario di un ricorso che – eventualmente – disponga diversamente e per il quale di norma occorrono anni, non giorni, saturata com’è l’agibilità delle prime istanze giudiziarie di garanzia con la creazione da parte dell’Amministrazione di innumerevoli ragioni di reclamo, con ovvio pregiudizio dell’effettività della tutela giurisdizionale.
Anche la “sterilizzazione” del tempo trascorso insieme agli altri ai passeggi, con ciò intendendo l’impossibilità di recare con sé un libro, un giornale, un caffè, qualunque cosa che possa fare da materiale di una socializzazione concreta tra esseri umani civilizzati, è tipica della condizione di prigionia in 41bis.
Lo stato estremo di segregazione che caratterizza la vita del detenuto in 41bis, un’ipotesi – ad oggi – per sempre, è stato nella “sezione gialla” generalizzato anche alla condizione del detenuto ad alta sicurezza.
La logica segregativa e punitivo/afflittiva, volta ad esercitare una pressione costante e crescente sul nemico da sottomettere o annichilire, è uscita dalla originaria eccezionalità ed emergenzialità del 41bis che l’aveva fatta apparire plausibile a suo tempo ed è diventata dapprima perpetua e, avendo sempre rappresentato l’istanza eminentemente politica che la muove, fin dalla definizione di “carcere duro” comunemente adottata e sbandierata ma anche nelle motivazioni di deterrenza verso il referente sociale dei militanti BR e rivoluzionari prigionieri, contenute nei loro decreti di 41bis, si è insinuata nel circuito dell’alta sicurezza e perfino in quello comune, come dimostrano anche recenti proteste e addirittura rivolte provocate dalla direttiva DAP di spegnimento delle televisioni a mezzanotte che generalizza quanto dispose in merito il regolamento del DAP del 2017 per il 41bis.
Né del resto poteva essere diversamente una volta legiferato, e legittimato, che il 41bis potesse essere un trattamento perpetuo in assenza di collaborazione; implicare divieti di parlare al di fuori del gruppo di segregazione – tale diventato di fatto e di diritto – e prevedendo che chi faccia comunicare un detenuto in 41bis con “l’esterno”, a prescindere dalla “reità” del contenuto della comunicazione, sia penalmente sanzionabile.
L’ultimo tassello necessario era quello di ottenere il vantaggio di alcuni riconoscimenti giudiziari alla pretesa dell’Amministrazione di sottrarsi al controllo giurisdizionale, se esso non si adatta a restituire mera legittimazione della sua arbitrarietà, così da garantirsi, in ipotesi il regime speciale in sé dovesse decadere in generale o per il singolo, che la sua sostanza rimanga impregiudicata e faccia da modello di un ordinamento penitenziario libero da vincoli di un sistema giuridico di tipo costituzionale.
In un carcere come quello de L’Aquila che secondo la relazione del Garante dei detenuti del 2019 si pregia del primato delle sanzioni disciplinari irrogate – il 74% del totale degli undici reparti di 41bis del paese -, cioè è il carcere duro più duro di tutti, l’istituzione dell’unica sezione AS2 femminile e, prima di essa, della sezione 41bis femminile a cui furono assegnate le “politiche”, può apparire persino una scelta con un profilo anche di misoginia, aspetto che sempre integra un quadro culturale-sociale retrogrado quale quello che è invalso e si è andato strutturando in ambito penitenziario eppure in generale nel paese negli ultimi decenni. 
Un aspetto però eventualmente del tutto secondario rispetto al contesto più complessivo che inevitabilmente ha condotto, e va da sé continuerà a condurre, a resistenze di ogni tipo, spesso estreme per qualche verso, come lo sono le condizioni detentive a cui siamo sottoposti.
La segregazione che ci è imposta del resto attacca l’integrità della persona che sociale lo è in se stessa non circostanzialmente, ne suscita perciò una resistenza a propria difesa proporzionale al sopravvivere.
Condividere questa condizione fa sì che la resistenza di Anna e Silvia sia anche la mia come di altri detenuti e che sia interesse di ognuno che l’AS2 femminile de L’Aquila venga chiusa e venga messo termine a ciò che rappresenta.

L’Aquila, 25/06/19

Nadia Lioce


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