Riceviamo e pubblichiamo, ma non crediamo che Telefono rosa rifiuterà l'offerta di Valentini. Già ai tempi di sommosse ci bacchettava perché eravamo troppo "sommosse" con la nostra rumorosa presenza nei presidi di solidarietà femminista. 
Per il giudice dell’Aquila è diffamazione. Per noi è solidarietà femminista. 
Il
 5 luglio 2019 all’Aquila un giudice Giuseppe Romano Garganella ha 
condannato la solidarietà femminista. Ma il processo ha dimostrato che 
la solidarietà tra donne è arma potente contro la violenza sessista che 
ancora attraversa le aule dei tribunali.
Questa
 una breve ricostruzione dei fatti: a oltre due anni dall’inizio del 
processo, il Tribunale dell’Aquila ha condannato in primo grado tre 
attiviste
 accusate di diffamazione aggravata da Antonio Valentini, difensore 
dell’ex militare Francesco Tuccia, condannato in via definitiva per 
violenza sessuale su una studente universitaria di 20 anni, ridotta in 
fin di vita e abbandonata al gelo dopo lo stupro avvenuto nel piazzale 
di una discoteca di Pizzoli.
Durante
 il processo, le tre attiviste, sostenute da un’ampia rete femminista, 
da avvocate ed esperte di diritto, hanno dimostrato come il processo per
 lo stupro commesso da Tuccia, abbia esposto la giovane vittima a nuove 
umiliazioni e traumi, proprio dallo stesso Valentini. Con rabbia, 
pazienza e tenacia, questa rete di solidarietà ha trasformato il 
processo in occasione per mettere a nudo come i tribunali riproducano la
 violenza sessista sulle donne. Ha inoltre impedito che lo stesso 
avvocato Valentini potesse varcare la porta della Casa Internazionale 
delle donne dove era stato invitato per un convegno dall’associazione 
Ilaria Rambaldi Onlus. 
Durante
 i processi per violenza, ancora oggi in Italia le donne si trasformano 
in imputate e messe sotto accusa per la loro condotta sessuale, per gli 
abiti che indossano e per presunti comportamenti trasgressivi. Questo 
accade nonostante una norma introdotta nel 1996, in seguito alla 
pressione dei movimenti delle donne, vieti in modo esplicito di porre 
domande riguardanti la sfera intima.
Ma
 la condanna delle tre attiviste dimostra che i tribunali sono anche 
luogo dove si mette sotto processo la solidarietà tra donne e si scambia
 per diffamazione il diritto di criticare prassi e procedure che 
puniscono le donne.
Il
 5 luglio, nonostante la pm Ilaria Prezzo avesse derubricato l’accusa di
 diffamazione aggravata in semplice e chiesto il minimo della pena, il 
giudice Romano Gargarella ha stabilito una pena di 1000 euro di multa 
per ognuna delle tre attiviste, oltre a 2000 come cifra provvisoria del 
risarcimento, la cui entità si determinerà in sede civile. L’avvocata di
 Antonio Valentini, Marzia Lombardo, ha dichiarato che il risarcimento 
sarà devoluto a Telefono Rosa. Siamo certe che questa offerta verrà 
rifiutata.
Questa condanna non è giustizia, ma un tentativo di restaurazione patriarcale.
Dentro
 e fuori i tribunali, le femministe continuano a lottare per farla 
finita con ogni forma di violenza contro le donne. Con la violenza di 
chi stupra, quella di chi trasforma le vittime in imputate e vuole 
punire la solidarietà. Perché questa condanna riguarda tutte.
 
 
 
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