"Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono
lanciati mille sassi, diventa un’azione politica. Se si dà fuoco a una
macchina, il fatto costituisce reato. Se invece si bruciano centinaia di
macchine, diventa un’azione politica. La protesta è quando dico che una
cosa non mi sta bene. L’opposizione è quando faccio in modo che quello
che adesso non mi piace non succeda più”.
Ulrike Marie Meinhof, Ulrike Marie Meinhof (Oldenburg, 7 ottobre 1934 –
Stoccarda, 9 maggio 1976) fu una giornalista,co-fondatrice della
formazione politica tedesco-occidentale di estrema sinistra, Rote Armee
Fraktion.
(dal sito il minatore rosso)
Il 9 maggio ricorre l’anniversario dell’assassinio di Ulrike Meinhof, nel carcere di Stammheim. I suoi aguzzini dissero che si era impiccata, che l’avevano trovata la mattina alle 7:30 con ancora un piede poggiato sulla sedia, morta da ore … in realtà (e l’autopsia dimostra più che chiaramente) fu un delitto, un’esecuzione programmata a conclusione di un lungo periodo di torture. Così come lo furono (escuzione e torture) quelle che subirono i tre compagni prigionieri della Banda Baader-Meinhof (R.A.F. – Rote Armee Fraktion). Ulrike Meinhof fu trovata impiccata nella sua cella. La corda era fatta da pezzi dell’asciugamano. Il corpo fu rimosso in fretta, nessuno poté vederlo. L’autopsia fu condotta senza la presenza di un legale della famiglia della vittima né un medico di fiducia. Le veline dello Stato erano già pronte, con la ricostruzione di tensioni tra i prigionieri che avevano provocato la volontà suicida. Tutto falso! Di nascosto fecero un’autopsia al cervello e lo conservarono in luogo segreto. Due giorni prima della morte Ulrike aveva avuto un colloquio con l’avvocato italiano Cappelli, col quale aveva discusso delle condizioni detentive dei prigionieri delle Brigate rosse. La ricostruzione della dinamica del presunto suicidio non convinse nessuno se non i media cialtroni e servi del potere. La commissione investigativa internazionale ridicolizzò tutta la messinscena: il cappio era troppo piccolo perché ci passasse la testa; la dinamica della sedia risultò sbagliata, aveva davanti lo schienale e lei non poteva fare il passo nel vuoto; ed addirittura alcuni testimoni del carcere non videro la sedia sotto al corpo. Infine la commissione affermò non esservi neppure la certezza che la morte fosse causata da impiccagione: mancavano i sintomi tipici del soffocamento. Dunque un ASSASSINIO! Un brutale assassinio dello Stato, del sistema politico, delle classi dirigenti, del sistema economico-militare e della stampa ad essi asservita. Un assassinio necessario in quella Germania che si avviava a diventare la grande “locomotiva d’Europa” e non poteva accettare intralci di oppositori.
(dal sito il minatore rosso)
Il 9 maggio ricorre l’anniversario dell’assassinio di Ulrike Meinhof, nel carcere di Stammheim. I suoi aguzzini dissero che si era impiccata, che l’avevano trovata la mattina alle 7:30 con ancora un piede poggiato sulla sedia, morta da ore … in realtà (e l’autopsia dimostra più che chiaramente) fu un delitto, un’esecuzione programmata a conclusione di un lungo periodo di torture. Così come lo furono (escuzione e torture) quelle che subirono i tre compagni prigionieri della Banda Baader-Meinhof (R.A.F. – Rote Armee Fraktion). Ulrike Meinhof fu trovata impiccata nella sua cella. La corda era fatta da pezzi dell’asciugamano. Il corpo fu rimosso in fretta, nessuno poté vederlo. L’autopsia fu condotta senza la presenza di un legale della famiglia della vittima né un medico di fiducia. Le veline dello Stato erano già pronte, con la ricostruzione di tensioni tra i prigionieri che avevano provocato la volontà suicida. Tutto falso! Di nascosto fecero un’autopsia al cervello e lo conservarono in luogo segreto. Due giorni prima della morte Ulrike aveva avuto un colloquio con l’avvocato italiano Cappelli, col quale aveva discusso delle condizioni detentive dei prigionieri delle Brigate rosse. La ricostruzione della dinamica del presunto suicidio non convinse nessuno se non i media cialtroni e servi del potere. La commissione investigativa internazionale ridicolizzò tutta la messinscena: il cappio era troppo piccolo perché ci passasse la testa; la dinamica della sedia risultò sbagliata, aveva davanti lo schienale e lei non poteva fare il passo nel vuoto; ed addirittura alcuni testimoni del carcere non videro la sedia sotto al corpo. Infine la commissione affermò non esservi neppure la certezza che la morte fosse causata da impiccagione: mancavano i sintomi tipici del soffocamento. Dunque un ASSASSINIO! Un brutale assassinio dello Stato, del sistema politico, delle classi dirigenti, del sistema economico-militare e della stampa ad essi asservita. Un assassinio necessario in quella Germania che si avviava a diventare la grande “locomotiva d’Europa” e non poteva accettare intralci di oppositori.
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