19/06/09

Milano - Finanzieri stuprano prostituta

fonte: repubblica

I due militari di 25 e 30 anni, del gruppo pronto impiego, sono indagati per violenza sessuale. Oltre al fermo per stupro, la contestazione di un'altra mezza dozzina di reati: fra questi il peculato, l'omissione di atti d'ufficio, l'abuso di potere e l'abbandono di posto, che da solo comporta fino a tre anni di carcere

Hanno accostato con la pattuglia di servizio. Un normale controllo antiprostituzione, all'apparenza, uno dei tanti previsti dalle ordinanze del Comune. Il cliente, impaurito, ha fatto scendere la ragazza, ha messo in moto ed è sgommato via. Lei, romena, una ventina d'anni, davanti ai due uomini in divisa grigia e basco verde era pronta a recitare la solita formula: «Non ho documenti, non ho un fidanzato, qui si lavora poco, la multa non so come pagarla». Invece di vedersi recapitato il verbale da 450 euro, la lucciola è stata invitata a seguire il capopattuglia in auto. Qui è stata costretta a un rapporto orale, poi ancora a un rapporto completo mentre l'autista, fuori, voltava lo sguardo da un'altra parte.

Adesso i due militari di 25 e 30 anni, del gruppo pronto impiego della guardia di finanza, sono indagati per violenza sessuale. Ore 2 di lunedì notte, viale De Gasperi, oltre la circonvallazione esterna. Tra le viuzze laterali dello stradone che porta all'i mbocco dell'Autolaghi e dell'A4 c'è la solita attività notturna di prostitute e clienti. La Fiat Bravo blu notte con bande laterali verde e gialla punta i fari su un'auto in sosta isolata. Dal finto controllo all'aggressione della lucciola, è un attimo. Lo stupro si consuma in meno di mezz'ora. La ragazza è scossa, si produce in un pianto ininterrotto, disperato. L'autista della pattuglia, racconterà più tardi la ragazza alla polizia, le si avvicina senza dire nulla e senza saper bene se per consolarla o filar via in fretta. Quando la pattuglia delle Fiamme gialle rimette in moto, ci sono un paio di compagne di marciapiede attorno alla ragazza. Raccolgono i suoi singhiozzi. Una di loro prende la targa della pattuglia e fa il 113.

Agli agenti delle volanti la ragazza fa un racconto dettagliato, lucido, prima di essere portata al soccorso violenze sessuali della Mangiagalli per le visite di rito, il tampone e il referto. I due finanzieri vengono portati in questura di prima mattina, la loro auto parcheggiata nel piazzale e a disposizione della scientifica per i rilievi. Dopo qualche titubanza, il graduato e il sottufficiale ammettono: «Abbiamo fatto una cazzata».

La loro posizione, tralasciati gli ovvi imbarazzi di Questura e comando provinciale della Gdf, è delicatissima. I due militari rischiano, oltre al fermo per stupro, la contestazione di un'altra mezza dozzina di reati. Tra questi il peculato, l'omissione di atti d'ufficio, l'abuso di potere e l'abbandono di posto, che da solo comporta una pena fino a tre anni di carcere. Oltre a uno scontato provvedimento disciplinare --- e la «piena collaborazione» con la magistratura, fanno sapere i vertici milanesi delle Fiamme gialle --- e a un possibile approfondimento d'indagini per verificare se i due militari avessero già commesso violenze in passato.

(16 giugno 2009)

18/06/09

OLTRE LA CASA NON POSSIAMO PERDERE IL LAVORO...

OLTRE LA CASA NON POSSIAMO PERDERE IL LAVORO...

Mandiamo solidarietà alle lavoratrici e lavoratori call center della Transcom di Pettino – L'Aquila in lotta contro i licenziamenti.

“...oltre alla casa non possiamo perdere anche il lavoro”. Questo hanno gridato alcune lavoratrici nella manifestazione contro i licenziamenti che la loro azienda la Transcom ha annunciato.

Come i padroni stanno approfittando della crisi, ora stanno approfittando anche del terremoto.
La Transcom, una delle più importanti aziende dell'aquilano, vuole chiudere i battenti e andare via, licenziando 276 lavoratori e trasferendo 77 a Bari, Lecce, Roma, Cernusco sul Naviglio.

All'annuncio della scorsa settimana più di 200 le lavoratrici e i lavoratori si sono riuniti avvisandosi tra di loro con sms, e dopo un'accesissima assemblea si sono avviati in corteo non autorizzato proprio in quella zona, Coppito, che tra qualche giorno diventerà “zona rossa” per il G8 (dicendo: “Ma quale G8! Non mi danno da mangiare né Obama bè Berlusconi: io devo passare per difendere il posto di lavoro”), hanno paralizzato il traffico, sfidato i blocchi dei baschi verdi della Guardia di Finanza in tenuta antisommossa.

Ma perchè questi licenziamenti? Domenica 14 giugno noi siamo state a L'Aquila, abbiamo visto e parlato con la gente del posto e abbiamo saputo che lo stabilimento della Transcom non ha subito affatto grossi danni tanto che ora potrebbe riaprire e l'azienda non ha perso le commesse. La Transcom, in realtà, sembra cogliere a volo l'occasione del terremoto unicamente per tagliare i costi del lavoro. Aumentare i suoi profitti, mentre i lavoratori devono perdere tutto, andare a gonfiare il numero dei lavoratori “assistiti” (per fare se mai anche da “vetrina pietosa” di Berlusconi verso potenti del G8), o, i pochi, lasciare la loro terra – così più del terremoto potè la Transcom!

Mercoledì 17 giugno c'è l'incontro tra azienda e sindacati e noi auguriamo alle lavoratrici e ai lavoratori che la loro battaglia si concluda subito con la ripresa per tutti del lavoro a L'Aquila. Ma, già nei giorni scorsi i lavoratori hanno contestato alcuni dirigenti sindacali, più impegnati anch'essi nella campagna elettorale (in cui la stragrande maggioranza della popolazione non ha votato per protesta) che nella difesa del lavoro.

Facciamo arrivare a queste lavoratrici, lavoratori il nostro appoggio, dalle altre città e posti di lavoro, dai lavoratori di altri call center, facciamo conoscere la loro lotta.

Chiunque volesse mandare messaggi di solidarietà, li può inviare al e mail: e noi li faremo arrivare direttamente alle lavoratrici e ai lavoratori della Transcom.

Per i terremotati de L'Aquila non serve solo la solidarietà materiale, ma ora, come il 'pane' c'è bisogno anche della solidarietà di lotta e di classe

Lavoratrici Slai cobas per il sindacato di classe – Taranto.
16.6.09

Bari - Uccisa dal pacchetto sicurezza

fonte: osservatorio repressione bari

Ha cominciato a perdere sangue, probabilmente per un aborto spontaneo, si è sentita male ma non ha voluto chiedere aiuto. Ha avuto paura. Paura di perdere il lavoro appena trovato, paura, forse, di essere giudicata. Così è morta Vira Orlova, che si faceva chiamare Ylenia, una donna che avrebbe compiuto 40 anni l'11 giugno prossimo, di nazionalità ucraina, arrivata - forse due anni fa - in Italia, come tante donne dei Paesi dell'Est, per fare la badante. Il suo corpo è stato trovato in una pozza di sangue in un appartamento di via Grotta Regina, nella località costiera barese di Torre a Mare. Di lei si sa poco. Gli investigatori stanno cercando di rintracciare le sue amiche per poter ricostruire i suoi ultimi giorni di vita, anche per risalire alla data di arrivo in Italia. Per il momento i carabinieri hanno trovato il suo passaporto nella stanza che occupava: sanno il suo nome, la sua età, sanno anche che era una clandestina perchè sul passaporto non ci sono visti di ingresso in Italia, e sanno che in quell'abitazione di Torre a Mare Ylenia accudiva da pochi giorni un'anziana non autosufficiente. È stato proprio il figlio dell'anziana a dare l'allarme ai carabinieri e a raccontare agli investigatori che Ylenia - questo il nome riferito dall'uomo - «era in prova». Secondo il racconto dell'uomo, Ylenia era in quella casa solo da pochi giorni. Secondo quanto finora è stato accertato dai carabinieri, la badante durante la notte, mentre probabilmente era sola in casa con l'anziana, avrebbe avuto una forte emorragia, forse causata da un aborto spontaneo. La donna ha raccolto il sangue che perdeva in una bacinella, che è stata trovata dagli investigatori nella sua camera da letto. Chiusa nella sua stanza, Ylenia aspettava e sperava di star meglio. Poi è uscita dalla camera da letto per andare in bagno, ma è stata colta da malore ed è caduta per terra, in seguito alla forte perdita di sangue. È morta senza chiedere aiuto. Il passaporto della donna è stato trovato in un appartamento di Mola di Bari, a pochi chilometri dal capoluogo pugliese, nel quale lei si recava, ospite di amiche, nei giorni di riposo. Donne che i carabinieri ritengono siano clandestine e delle quali si ha traccia nel racconto fatto ai carabinieri dal proprietario dell'appartamento dove lavorava. Non è stato per ora possibile rintracciarle. Ylenia pare fosse separata e madre di un figlio ormai grande. Tra i suoi effetti personali i carabinieri non hanno trovato alcun riferimento che possa condurre ai familiari: solo alcuni medicinali con caratteri cirillici, giornali in lingua russa e un portafoglio contenente 30 euro. Il suo attuale datore di lavoro ha riferito ai carabinieri che prima di giungere a Torre a Mare la donna aveva vissuto per un periodo a Mola di Bari. Il corpo della donna è stato trasferito all'ospedale di Acquaviva delle Fonti (Bari) per l'autopsia disposta dal sostituto procuratore di turno Ada Congedo.

11/06/09

27 giugno a Roma

Dopo la manifestazione nazionale del 18 aprile a Taranto "per la sicurezza sui luoghi di lavoro contro la salute negata e la precarietà", a cui hanno partecipato centinaia e centinaia di donne, ragazze che hanno dato forza e visibilità all'attacco alla vita e alla salute delle donne che spesso è messo sotto silenzio e che ha molti aspetti legati proprio alla condizione generale di doppio sfruttamento e oppressione di noi donne; a cui hanno partecipato mogli, sorelle, madri di operai morti che hanno portato la loro toccante denuncia ma anche la l'appello a tutti gli altri familiari, soprattutto alle donne a combattere, organizzarsi, a continuare la lotta per la giustizia e la verità.

IL 27 GIUGNO AL MATTINO c'è a Roma l'assemblea nazionale della Rete per la sicurezza sui posti di lavoro, alle ore 9.30 - dopolavoro ferroviario stazione Termini sala Pettinelli, a cui chiamiamo lavoratrici, compagne, collettivi del Tavolo 4, delegate Rsu/Rls, ad essere presenti, per continuare l'importante discorso come donne lavoratrici e decidere nuove iniziative sui posti di lavoro, nelle città e sul piano nazionale. Sul tema abbiamo preparato e porteremo all'assemblea un opuscolo analitico sulla condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici.

NEL POMERIGGIO - massimo verso le tre - utilizzando lo stesso luogo in cui si tiene l'assemblea della Rete, con le compagne presenti faremmo una riunione come Tavolo 4, per riprendere il filo dal 24 gennaio ad oggi, sullo sciopero delle donne, per discutere sulle iniziative fatte, sui contenuti e materiali prodotti in questi mesi, sulla piattaforma dello sciopero delle donne, sugli strumenti utilizzati e da sviluppare, come il blog.

FATECI SAPERE CHI E QUANTE VENITE, in maniera da organizzarci soprattutto per il pomeriggio, inviando e mail al solito indirizzo: Tavolo4flat@inventati.org o tel a 3475301704 (Margherita).

10/06/09

Da una donna sfollata alla redazione di anno zero

Non abbiamo intenzione, noi aquilani, di essere triturati dalla società dello spettacolo: alle menzogne mediatiche opporremo la nostra intelligenza, volontà e coraggio….e la nostra rabbia.
L’Aquila è la mia, la nostra città e non è in vendita, per nessuno!

Cara Redazione,

sono Pina Lauria e sono residente a L’Aquila; attualmente “abito” presso la tendopoli ITALTEL 1, perché alla mia casa, che devo ancora finire di pagare, è stata assegnata la lettera E, che in questo drammatico alfabeto significa “danni gravissimi”.
Scrivo per illustrarvi alcune considerazioni, di carattere generale e, più in particolare, relative alla qualità della vita nei campi.
Intanto, evidenzio la grande confusione che c’è nella città: a quasi due mesi dal terremoto, viviamo ancora uno stato di emergenza. Uno dei grandi nemici di questi giorni, e dei prossimi, è il caldo: arriveranno i condizionatori ma risolveranno ben poco perché, come sicuramente sapete, il condizionatore funziona in una casa, con le pareti di cemento e con le finestre chiuse, non in una tenda, dove il sole batte a picco e da dove si esce e si entra….inoltre, la tenda non è che si chiude ermeticamente!
Allora, il problema vero è questa lunga permanenza nella tendopoli alla quale saremo costretti fino ai primi di novembre. E’ assurdo ed inconcepibile che, per saltare una “fase”, come ha detto il Presidente del Consiglio, bisogna aspettare circa sette mesi per avere una casa, comunque sia. E a novembre, se le cifre rimangono quelle dette dal Governo e dalla Protezione Civile, saranno soltanto 13 mila i cittadini aquilani che potranno lasciare le tende. Su questo vorrei chiarire che si sta assistendo ad un balletto delle cifre che nasconde una amara verità. Mi spiego. Queste cifre si riferiscono alle verifiche finora effettuate ed alle risultanze avute. Si sta ragionando in questi termini: se su un tot di case verificate, è risultata una agibilità pari al 53%, e mantenendo questo trend, allora le case inagibili saranno all’incirca 5.000 per 13 mila persone.
L’agibilità è stata dichiarata per le abitazioni dei paesi vicini a L’Aquila; i quartieri nelle immediate vicinanze del centro storico, a ridosso delle mura (Sant’Anza (il quartiere dove abito), Valle Pretara, Santa Barbara, Pettino, tutti molto popolosi, hanno le case inagibili. Inoltre, bisogna considerare che il centro storico ancora non viene sottoposto ad alcun tipo di verifica perché, a tutt’oggi, è zona rossa. Nel centro storico risiedono circa 12 mila cittadini, senza contare i domiciliati, soprattutto gli studenti fuori sede. Allora, a novembre dovrebbero avere la casa almeno 26.000 cittadini, facendo un calcolo al ribasso perché, considerando anche gli abitanti dei quartieri distrutti, gli immobili da recuperare con interventi molti consistenti e, quindi, con tempi necessariamente lunghi, sicuramente le abitazioni necessarie dovrebbero essere sull’ordine delle 45 mila persone.
Questo è il futuro che ci aspetta e lo tengono nascosto! Ma il Presidente del Consiglio ha detto che, comunque, le tende sono già dotate di impianto di riscaldamento, e quel“già” mi ha molto inquietato.
Non possiamo accettare di restare nelle tende fino a novembre, e sicuramente fino a marzo del 2010!
Questo ragionamento lo stavo facendo alcuni giorni fa al campo: prima con alcune persone, poi si sono avvicinati altri ed eravamo diventati un bel gruppetto: dopo alcuni minuti dal formarsi dell’”assembramento non autorizzato”, sono arrivati i carabinieri, in servizio all’esterno del campo. Ho chiesto se ci fosse qualche problema. Mi hanno risposto che non c’era alcun problema, ma restavano anche loro ad ascoltare. Conclusione: dopo alcuni minuti, tutti ce ne siamo ritornati nelle tende.
Racconto questo episodio, e ne posso citare tanti altri (ad alcuni componenti di vari comitati cittadini, che stavano raccogliendo le firme per il contributo del 100% per la ricostruzione o ristrutturazione della casa, è stato vietato l’accesso nei campi), per denunciare quello che definisco la sospensione dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione: libertà di opinione, di parola, di movimento.
Ora, posso comprendere, anche se non giustificare, un tale comportamento nel primo mese, che secondo me rappresenta la vera fase di emergenza, ma far passare tale logica antidemocratica per 7 mesi, ed anche di più, somiglia più ad un colpo di Stato che ad una “protezione civile”.
Adesso mi trovo per qualche giorno a Bologna, presso mia figlia Mara che sta ultimando un dottorato in Diritto del Lavoro (senza borsa, perché l’Alma Mater non aveva i fondi a sufficienza per finanziare tutte e quattro i posti messi a bando: Mara si è posizionata terza, paga una tassa di iscrizione al dottorato di circa 600 euro l’anno e un affitto di 500 euro mensili, più le spese); proprio questa mattina ho dovuto chiamare il responsabile del mio campo perché la famiglia che abita con me mi ha informato che si stavano effettuando i controlli per assegnare il nuovo tesserino di residente al campo (ne possiedo già uno). Mi ha preso una tale agitazione tanto da sentirmi male: questa procedura che si ripete spesso nei campi, l’esibizione del documento e l’autorizzazione di accesso per gli “esterni”che ti vengono a fare visita, e magari sono i tuoi fratelli, sorelle, madri e padri che hanno trovato sistemazione in altri campi o luoghi, il fatto che adesso, nonostante avessi preventivato di stare un po’ di tempo con mia figlia, debba rientrare per avere di nuovo il tesserino, dietro presentazione di un documento di riconoscimento, anche se sono già tre volte che i responsabili del campo hanno annotato il numero della mia carta di identità, mi scuote in maniera incredibile. Ma la Protezione Civile mi deve proteggere in maniera civile o mi deve trattare come se fossi in un campo di concentramento? Il responsabile del mio campo, quando gli ho parlato questa mattina, mi ha detto che non c’era alcun problema, che potevo tornare quando volevo, riconsegnare il vecchio tesserino e prendere il nuovo, e comunque dovevo comunicare l’allontanamento dal campo, la prossima volta che ciò sarebbe accaduto. Mi chiedo: perché devo comunicare i miei spostamenti? La tenda, adesso, è la mia casa ed ho timore che lo sarà per molto tempo, almeno fino a novembre. Quale è la norma che mi impone di comunicare i miei spostamenti? Se mi si risponde che si è in presenza di una situazione di emergenza, e che tale situazione durerà mesi e mesi, allora siamo veramente in presenza di un pauroso abbassamento del livello di democrazia!
Non sono “vaporosa”, non sono arrabbiata: sono esacerbata!
Ritengo che la nostra città stia diventando non una città da ricostruire, ma una città “laboratorio”, in cui si vuole sperimentare il nuovo modello di società: privo di diritti, passivo, senza bisogni: quello che ti do è frutto della buona volontà dei volontari o dell’imperatore e lo prendi dicendo anche grazie! Mi rifiuto! E si rifiutano i cittadini aquilani! Sui nostri corpi, sulle nostre menti, sulle nostre coscienze, sulle nostre memorie nessuno ha il diritto di mettere le mani!
Un’altra considerazione: le tende dell’emergenza sono tutte di otto posti, per poter accogliere, in tempi molto brevi dopo l’evento catastrofico, il maggior numero di persone. Di conseguenza, ci sono moltissime situazioni di promiscuità (la vivo io stessa, con un’altra famiglia che ha due bambini piccoli). Ritorno sempre alla considerazione di prima: una situazione di promiscuità può essere proposta ed accettata, a causa del disorientamento totale in cui ognuno si trova dopo un evento così terribile, per un mese, ma non per 7 o più mesi!
In alcune tende sono insieme anche tre nuclei familiari! Mi chiedo: non si vogliono utilizzare i containers, ma allora il Presidente del Consiglio, che ha tante bellissime idee (sulle donne, sui giudici, sul Parlamento, sulla Costituzione) perché non pensa a far arrivare tende da quattro? O meglio, perché non riesce a garantire, da subito, una sistemazione dignitosa, senza costringermi ad andare sulla costa o in appartamenti situati nell’ambito della Regione Abruzzo, sicuramente non a L’Aquila, dove vi è la distruzione totale?
Proprio ieri, un gruppo di psicologi ha affermato che tale situazione di promiscuità sta distruggendo le famiglie perché, a parte le discussioni che ci sono, dalle cose più grandi a quelle più piccole (pensate che si sta litigando anche per i condizionatori, quelli che li hanno, perché alcuni li vogliono accesi, i “coinquilini” li vogliono spenti; chi vuole guardare la televisione e chi vuole riposare), la mancanza di intimità e di momenti privati determina nervosismo e sensazione di annullamento di ogni sentimento, senza considerare che nei campi non esiste nessun momento di intimità, né nei bagni, né nelle docce, né a pranzo né a cena.
Non posso restare in silenzio ed accettare passivamente: voglio essere protagonista della mia vita e della ricostruzione della mia città, e non voglio sentirmi come una partecipante del Grande Fratello!
Non abbiamo intenzione, noi aquilani, di essere triturati dalla società dello spettacolo: alle menzogne mediatiche opporremo la nostra intelligenza, volontà e coraggio….e la nostra rabbia.
L’Aquila è la mia, la nostra città e non è in vendita, per nessuno!
Spero che questa mia lettera venga da voi presa in considerazione: sono forte, coraggiosa…come tutti voi e spero che possiate darmi voce.
Vi ringrazio, di cuore…anche se spezzato!
Ciao a tutti

Pina Lauria

07/06/09

Testimonianze e denunce di donne dalle tendopoli dell'Aquila

Carne avariata e personale della protezione civile con la scritta "Io sono Hitler"

Controinformazione e denuncia al femminile dalle tendopoli abbruzzesi. Qui sotto pubblichiamo un'intervista a cura della rete di soccorso popolare

02/06/09

Teramo, denuncia la Asl per una gravidanza indesiderata

Ad una donna di Tortoreto era stata negata da diversi centri sanitari del teramano la pillola del giorno dopo. Si è così verificata una gravidanza non voluta affrontata in solitudine dato che il partner non ha voluto riconoscere il bambino. La donna ha così citato in giudizio l’Azienda Sanitaria chiedendo un risarcimento danni di 500mila euro.

di Cinzia Rosati

TORTORETO - Nessun medico vuole prescriverle la pillola del giorno dopo e cita in giudizio la Asl di Teramo per la gravidanza non voluta.

Una donna di 37 anni di Tortoreto chiede 500mila euro di risarcimento all'Azienda Sanitaria poichè per un medicinale negato ha dovuto suo malgrado intraprendere un non voluto percorso di maternità, per di più in solitaria dato che il partner non ha rconosciuto il bimbo nato.

La vicenda risale a tre anni fa, quando durante un rapporto sessuale, la rottura del preservativo causa la dispersione del liquido seminale. Da qui la successiva richiesta in numerosi centri sanitari della zona di rilasciare alla donna la pillola del giorno dopo, che è stata puntualmente negata per motivi di obiezione di coscienza.

In base a quanto raccontato dalla trentasettenne, a negarle il farmaco sarebbero stati la guardia medica di Tortoreto, il Pronto Soccorso di Giulianova e il reparto di Ginecologia dove era stata successivamente indirizzata, e la guardia medica di Giulianova. Solo dopo alcuni giorni un ginecologo le avrebbe prescritto la ricetta per la pillola, il cui effetto però era ormai vanificato. Il medicinale infatti, deve essere assunto entro le 72 ore consecutive al rapporto sessuale.

La donna ha vissuto in ansia 28 giorni sperando di non essere rimasta incinta, ma i fatti sono andati diversamente. Oltre ad aver dovuto affrontare una gravidanza indesiderata, non ha potuto contare nemmeno sul supporto economico e psicologico del padre del bambino, che non ha voluto procedere al riconoscimento.

«Il ritardo con cui la sanità pubblica le ha prestato soccorso per interrompere la gravidanza prima della formazione del feto - si legge ancora nella denuncia - è stato deleterio». Una omissione considerata grave ed ingiustificata da parte della donna che ha deciso, ora, di chiedere un risarcimento danni all'Asl di Teramo di 500 mila euro poiché dalla vicenda ha subito «un danno morale, biologico, esistenziale, patrimoniale e di vita di relazione».

Le parti di incontreranno in Tribunale per la prima udienza il prossimo 17 giugno.

01/06/09

Il 27 giugno a Roma

Dopo la manifestazione nazionale del 18 aprile a Taranto "per la sicurezza sui luoghi di lavoro contro la salute negata e la precarietà", a cui hanno partecipato centinaia e centinaia di donne, ragazze che hanno dato forza e visibilità all'attacco alla vita e alla salute delle donne che spesso è messo sotto silenzio e che ha molti aspetti legati proprio alla condizione generale di doppio sfruttamento e oppressione di noi donne; a cui hanno partecipato mogli, sorelle, madri di operai morti che hanno portato la loro toccante denuncia ma anche la l'appello a tutti gli altri familiari, soprattutto alle donne, a combattere, organizzarsi, a continuare la lotta per la giustizia e la verità.

IL 27 GIUGNO AL MATTINO c'è a Roma l'assemblea nazionale della Rete per la sicurezza sui posti di lavoro, alle ore 9.30 - dopolavoro ferroviario stazione Termini sala Pettinelli, a cui chiamiamo lavoratrici, compagne, collettivi del Tavolo 4, delegate Rsu/Rls, ad essere presenti, per continuare l'importante discorso come donne lavoratrici e decidere nuove iniziative sui posti di lavoro, nelle città e sul piano nazionale.
Sul tema abbiamo preparato e porteremo all'assemblea un opuscolo analitico sulla condizione di (in)sicurezza delle lavoratrici.

NEL POMERIGGIO - massimo verso le tre - utilizzando lo stesso luogo in cui si tiene l'assemblea della Rete, con le compagne presenti faremmo una riunione come Tavolo 4, per riprendere il filo dal 24 gennaio ad oggi, sullo sciopero delle donne, per discutere sulle iniziative fatte, sui contenuti e materiali prodotti in questi mesi, sulla piattaforma dello sciopero delle donne, sugli strumenti utilizzati e da sviluppare, come il blog.

Tavolo4flat@inventati.org o tel a 3475301704 (Margherita).

MFPR Taranto

Volantino dalle compagne del Tavolo4 di Bologna

Volantino distribuito al Festival sociale delle culture antifasciste (http://fest-antifa.net/) che si tiene a Bologna fino al 2 giugno.

Verso lo Sciopero delle Donne

Anche solo considerando i dati dell’Istat, che certo sottostimano il fenomeno, in Italia la violenza di genere è compiuta per il 98% da uomini su donne; in massima parte gli stupratori sono cittadini italiani; la violenza maschile resta la prima causa di morte e di invalidità permanente delle donne. Oggi politici e giornalisti si sforzano di strumentalizzare gli episodi più eclatanti di stupro per legittimare politiche autoritarie e xenofobe. Ma va ribadito che la violenza di genere attraversa verticalmente tutta la società e che stupri e femminicidi non sono che la punta emergente di un fenomeno ben più ampio e stratificato: quello di una generale discriminazione delle donne, nel lavoro, nella vita quotidiana, nella negazione della nostra libertà, nella violazione dei nostri corpi, nella costrizione al silenzio.

Denunciare e contrastare la violenza sessuale non sarà allora sufficiente se non si mettono in questione anche le forme strutturali della discriminazione e del sessismo: la rappresentazione istituzionalizzata del «femminile», le immagini sessiste di Tv, giornali, libri di scuola, ma anche i processi di precarizzazione del lavoro femminile, le disparità di salario e di carriera nei posti di lavoro, l’attribuzione diseguale, solo alle donne, della cura gratuita della casa, dei bambini, degli anziani. Proprio la crescente discriminazione del lavoro femminile diventa, in tempi di crisi economica, il fulcro materiale di un rinnovato autoritarismo sul corpo delle donne, costrette a lavori malpagati e, di conseguenza, sempre più vincolate alla casa in posizione di subalternità e dipendenza economica.

Solo ora ci si sta rendendo conto della gravità e dell’estensione della crisi finanziaria che sempre più investe e disgrega l’«economia reale» lasciando sul campo milioni di disoccupati. È una crisi che scuote violentemente parametri e assetti consolidati, tanto che c’è chi ha parlato dell’aprirsi di una «nuova fase del capitalismo» dagli esiti imprevedibili. Né è un caso che nei paesi occidentali la «politica per la famiglia» assuma oggi nuova importanza: l’Unione Europea raccomanda a governi e imprese di «sostenere la famiglia» e di «investire nelle risorse umane e nell’uso efficiente del capitale umano».

Ma i nuovi «aiuti familiari» comportano un forte risvolto di normatività, di controllo e di disciplinamento della vita delle donne: le politiche statali mirano oggi a distinguere tra «decorose» famiglie regolari (che riproducono lavoratori-consumatori) e lavoratori usa e getta, non garantiti, da sfruttare al massimo grado. In questo quadro, sono le donne a pagare il prezzo più alto: discriminate sul posto di lavoro, subordinate in famiglia, costrette gratuitamente al «lavoro di cura».

Non si tratta quindi di cercare risposte in una falsa coesione, ma nelle lotte e nel conflitto sociale promosso dalle donne. Oggi crediamo sia importante creare reti autonome di lotta femminista e forme di autoassistenza sviluppando e potenziando quegli esperimenti che già esistono di economia alternativa, dal basso, solidaristica.

Ma occorre altresì interrogarsi sui risvolti disciplinari dei nuovi progetti di Welfare: rivendicare una garanzia di reddito dalle istituzioni («reddito di cittadinanza», «reddito di esistenza», «salario garantito») riesce davvero a contrastare efficacemente le politiche sociali autoritarie? è adeguato portare avanti parole d’ordine che solo ieri apparivano utopiche e ora diventano strumento differenziale di governo e di disciplinamento?

Si pensi solo al progetto del «mutuo sociale per la casa» portato avanti in questi anni dai neofascisti di CasaPound e reso operativo di recente dal sindaco Alemanno. Anziché riproporre l’edilizia popolare o calmierare in qualche modo il mercato degli affitti, il comune di Roma preferisce erogare soldi alle famiglie avvantaggiando chi ha già disponibilità economiche e favorendo insieme la speculazione edilizia dei «palazzinari». Ma chi non ce la fa a pagare l’affitto non potrà certo permettersi di comprare una casa, anche con un mutuo agevolato. Quello del «mutuo sociale» è un programma politico di controllo e di promozione della famiglia italiana, «sana», disciplinata. Lo stesso potrebbe dirsi per la campagna del comitato «Tempo di essere madri», legato a CasaPound, che promuove in questi giorni una proposta di legge per il part-time alle madri lavoratrici italiane mantenendo lo stipendio pieno. Sono proposte del tutto coerenti con il nuovo «neoliberismo nazional-populista». Con una mano deregolamentano il lavoro; con l’altra tendono il pane, ma solo ad alcuni: a coloro che sono capitale umano, madri e padri fedeli al dovere, famiglia sana e perbenista. Queste politiche, infatti, sono basate su una pesante selezione degli aventi diritto e su condizioni inflessibili e ricattatorie per non decadere dagli «aiuti».

I provvedimenti a raffica di questi mesi; la proposta di elevare l’età pensionabile delle donne; la legge Gelmini che colpisce anzitutto le lavoratrici della scuola e le donne con figli; gli accordi discriminatori sui salari per cui a parità di lavoro sarà corrisposto minor salario; le lettere di dimissioni in bianco per liberarsi di donne in maternità; il ricorso alla cassintegrazione come anticamera, soprattutto per le donne, della perdita definitiva del lavoro; i licenziamenti delle operaie da fabbriche grandi e piccole e delle precarie dai call center; la sempre più dura condizione lavorativa delle tante donne immigrate prese nelle maglie della precarietà, dello sfruttamento, fino a forme di moderno schiavismo: tutto questo è parte di un attacco sempre più pesante alle donne che viene portato avanti dai padroni e dal governo. Oggi le donne sono le prime a pagare la crisi.

Di fronte a una situazione come quella attuale pare sempre più necessario un impegno di lotta femminista a tutto campo. Nella riunione nazionale del 24 gennaio, il Tavolo 4 «Lavoro/precarietà/reddito» della rete femminista e lesbica delle Sommosse ha deciso di lanciare l’idea di uno «Sciopero delle Donne», costruito in modo autonomo dalle lavoratrici, dalle operaie, dalle precarie, dalle disoccupate, dalle giovani, dalle migranti, per denunciare una disparità che perdura e peggiora ogni giorno.

Per questo proponiamo di prefigurare insieme, dal basso, uno «Sciopero delle Donne», con presidi, sit in, manifestazioni, volantinaggi, assemblee, raccolte di firme, iniziative di protesta, azioni simboliche (vedi http://femminismorivoluzionario.blogspot.com). Non pagheremo noi la vostra crisi! Non ci piegheremo alle politiche patriarcali che vogliono sottrarci quel poco di libertà che ci siamo conquistate!

CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE SESSISTA E PATRIARCALE!

ORA E SEMPRE RESISTENZA!

Tavolo 4 Bologna