06/11/14

SIAMO SOLO DEI CONTENITORI

siamo solo contenitori oggetti da usare e da gettare non pensiamo non decidiamo non abbiamo diritti schiave ammortizzatori sociali da stuprare da ammazzare da umiliare   siamo donne!

 ma che aspettiamo a ribellarci a rispondere alla violenza di questo marcio sistema con la nostra giusta violenza!

Quello che ci appartiene

Con un tubo nell’intestino e uno in gola …. Ecco come una tragedia autorizza i medici a trasformare il corpo delle donne in un contenitore  “.
Con questa frase secca e netta il gruppo Freedon for birth commenta la vicenda della donna milanese di 36 anni, incinta di 23 settimane, clinicamente morta ma tenuta in vita con le macchine perchè il feto possa continuare a crescere fino a quando avrà speranza di vita fuori dal corpo incubatore.
Il Corriere della Sera per descrivere la situazione usa espressioni come di un corpo che diventa culla, una mamma, il cui corpo si trasforma in incubatrice per proteggere il figlio, di una vita che va e una vita che viene…; usa un’unica frase che rispecchia la realtà di questa operazione: salvare un feto dentro il corpo di una donna morta.
E’ solo quest’ultima frase che cambia la luce, da quella soft, densa di sfumature morali unidirezionali a quella fredda e dai contorni nitidi della realtà. Parlare di mamma non è lo stesso che parlare di donna.
Come ricordava Caterina Botti che avevamo citato tempo fa a proposito di un caso analogo: “… sembra che le soluzioni percorribili in un caso di gravidanza post-mortem siano infatti solo due: o si schiaccia la donna sul ruolo di madre e si pensa che si debba far proseguire in ogni caso e a ogni costo la gravidanza, indipendentemente dalla sua volontà precedente, se c’è, e indipendentemente dalla volontà attuale di chi resta; oppure si schiaccia la decisione (e quindi la donna) sui desideri di chi rimane…”.
Il dramma in questione sembra essere conforme a questa seconda opzione.
Ci chiediamo se ci sia mai, in questi casi, vera scelta, cioè se si contempli anche il rispetto dello stato di morte o se, come ricorda ancora la Botti: “il trattamento delle donne incinte in stato di morte cerebrale, rispetto all’accanimento terapeutico prima della morte, sia alla disposizione del proprio corpo dopo la morte, è quindi diverso da quello di ogni altro essere umano”.
Ecco, a proposito di accanimento, non dimentichiamo che oggi ci è stato appena ricordato che comunque, incinte o no, non possiamo disporre nemmeno della scelta su come morire.
Vomitevoli.

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