13/07/15

Direttrice di negozio mobbizza lavoratrice perché mamma. "Speravo fossi sterile!"

"Le donne, così come gli uomini, sono reazionarie, centriste o rivoluzionarie. Di conseguenza non possono combattere insieme la stessa battaglia. Nell'attuale panorama umano, la classe differenzia gli individui più del sesso".
(Mariategui)


Offese e minacce a una lavoratrice da parte della responsabile del negozio di telefonia dove lavorava.
In appello deciso un risarcimento da 10mila euro
di MASSIMO MUGNAINI


Alla soglia dei 40 anni è riuscita, dopo tante difficoltà, a concepire due gemelline. Ma quando è tornata al lavoro dopo il congedo per maternità - commessa di un negozio di telefonia in un centro commerciale - è iniziato il suo calvario: prima la direttrice dell'esercizio commerciale le ha "suggerito" di non rientrare proprio, avendo assunto un'altra persona per sostituirla. Poi le ha negato il part-time e infine una mattina, non appena la madre lavoratrice l'ha chiamata temendo di non arrivare in tempo in negozio a causa di un problema di salute della figlia, l'ha subissata di offese e minacce. La commessa, difesa dagli avvocati Francesco e Fabio Rusconi, si è rivolta al giudice del lavoro del tribunale di Firenze tramite l'ex consigliera di Parità della Toscana, Marina Capponi. In primo grado ha perso ed è stata costretta a pagare le spese legali alla direttrice del negozio e suo marito, il titolare. È stata la Corte d'Appello pochi giorni fa a ribaltare il giudizio: la mamma, che nel frattempo si è licenziata, ha subìto "discriminazione di genere" e va risarcita con 10 mila euro.
 
L'episodio chiave ricostruito dal collegio formato dal presidente Giovanni Bronzini e dai consiglieri Gaetano Schiavone e Simonetta Liscio, è del 16 giugno 2010. La commessa è rientrata a lavorare a tempo pieno da tre giorni, orario 15.30-22.10. Alle 10 sua figlia si riempie di macchie rosse sulla pelle. Mentre corre in auto in ospedale la donna chiama la direttrice, le spiega il problema e chiede una sostituzione qualora non riesca a liberarsi in tempo. In auto c'è anche la sorella che sente tutto in vivavoce. «Per colpa tua e dei tuoi figli ho dovuto assumere un'altra persona, se non vieni al lavoro alle 15.30 in punto ti faccio il culo, mi sono rotta i c… di te e dei tuoi figli e non me ne frega un c… se tua figlia sta male – esordisce la sua superiore – procurati una fottuta baby sitter, vendi l'auto se non puoi pagartela, devi rientrare al lavoro di corsa e stai attenta perché questo è l'ultimo avvertimento che ti do». Una volta rassicurata dalla visita pediatrica, la commessa richiama l'azienda per confermare che rispetterà l'orario di entrata e chiede spiegazioni sulla telefonata precedente.
 
La direttrice, difesa dagli avvocati Marco Tagliaferri e Andrea Bini, rincara la dose: «col tuo atteggiamento da mamma mi offendi, hai rotto con questa malattia, ricordati che ho soldi, conoscenze e potere per rovinarti, non mangio grazie al punto vendita e posso tirare fuori i soldi per farti il culo in due». La commessa attacca.
 
Poi richiama. Sente dirsi: «scordati il part time che mi hai chiesto, devi farti il c… a lavorare dato che sei una super mamma e hai voluto dei figli… vedremo quanto sei dura; ti ho assunto sperando fossi sterile ed è solo grazie alle terapie che me lo hai tirato in c…». Per il giudice di primo grado queste telefonate, confermate da più testimoni, rappresentavano "un deprecabile diverbio". Per quelli dell'Appello, mobbing puro.

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