Ci risiamo: in un processo per stupro è la vita della donna che ha
subito violenza ad essere messa sotto accusa, se non hai una vita più
che morigerata, non si può parlare di stupro; è la donna che deve
dimostrare di essersi opposta allo stupro. Uno stupro diventa una
“vicenda incresciosa”, penalmente non censurabile e con la denuncia la
ragazza “voleva rimuovere quello che considerava un suo momento di
debolezza e fragilità”.
L’ennesima sentenza “contro” le donne che osano denunciare, un insieme
di “luoghi comuni” che, in questi anni, abbiamo spesso sentito: da come
vive una donna a come si veste, se esce sola la sera…
Purtroppo, però, sentenze, dichiarazioni di personaggi istituzionali,
contribuiscono ad alimentare l'humus maschilista.
Stralci dal fatto quotidiano:
Assolti da stupro di gruppo, giudici: “Fu momento di debolezza della
ragazza”
La Corte d'Appello di Firenze ha scagionato sei imputati dall'accusa di
aver violentato una 23enne dopo una festa, vicino alla Fortezza da
Basso. I fatti risalgono al 2008.
Nelle motivazioni si legge: "La
vicenda è incresciosa, ma penalmente non censurabile. La giovane era
presente a se stessa anche se probabilmente ubriaca, l'iniziativa di
gruppo comunque non fu ostacolata". Difensore: "Giudizi morali"
Un rapporto sessuale con sei ragazzi. Poi la denuncia per violenza
sessuale e la condanna in primo grado: quattro anni e mezzo di carcere.
Secondo i giudici, i ventenni abusarono delle condizioni di inferiorità
fisica e psichica della giovane che forse era ubriaca. In secondo grado,
tutto ribaltato. Assoluzione. Perché per la Corte d’Appello la vicenda è
“incresciosa”, “non encomiabile per nessuno”, ma “penalmente non
censurabile“. In sostanza – ragionano i giudici nelle quattro pagine di
motivazioni – la ragazza con la denuncia voleva “rimuovere” quello che
considerava un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”.
La vicenda “incresciosa” è accaduta a Firenze nel 2008. In un’auto
parcheggiata fuori dalla Fortezza da Basso, dove una ragazza ebbe un
rapporto sessuale di gruppo al termine di una festa. Gli imputati, tutti
italiani, avevano fra i 20 e i 25 anni. La ragazza 23. I giudici
d’Appello adesso scrivono che il suo comportamento fa “supporre che, se
anche non sobria” fosse comunque “presente a se stessa“. Inoltre “molte
sono le contraddizioni” nel suo racconto: la sua versione è ritenuta
“vacillante” e smentita “clamorosamente” dai riscontri.
Riferendosi al rapporto, la Corte parla di una “iniziativa di gruppo
comunque non ostacolata”. I giudici ritengono poi che i ragazzi possano
aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza, me che poi non
vi sia stata “alcuna cesura apprezzabile tra il precedente consenso e il
presunto dissenso della ragazza, che era poi rimasta ‘in balia’ del
gruppo”.
Il difensore della 23enne, l’avvocato Lisa Parrini, bolla quella della
Corte come “una motivazione densa di giudizi morali“.
Il legale fa
riferimento anche alla definizione “vita non lineare” data dai giudici a
quella della ragazza, solo perché, spiega Parrini, “ha avuto due
rapporti occasionali, un rapporto di convivenza e uno omosessuale”.
“In una motivazione di sole quattro pagine – conclude l’avvocato – si
sostiene che con il suo comportamento ha dato modo ai ragazzi di pensare
che fosse consenziente”. In un passaggio i giudici definiscono la
ragazza “un soggetto fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito,
in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici
occasionali di cui nel contempo non era convinta”.
Nessun commento:
Posta un commento