Nel giugno del 2013 la trentatreenne 
Purvi Patel arrivò all’ospedale di South Bend (capoluogo della Contea di
 St. Joseph, nello Stato dell’Indiana), dolorante e con una emorragia in
 corso conseguenza di un aborto spontaneo di un feto di 30 settimane. Il
 medicò che la esaminò riportò il caso alle autorità giudiziarie perché 
notò il resto di un cordone ombelicale.
Per
 la procura la donna avrebbe preso farmaci per abortire ma, nonostante 
una denuncia sul Washington Post secondo cui la donna è stata 
interrogata in ospedale senza la presenza di un legale, e che dall’esame
 tossicologico non è stata riscontrata presenza di alcun medicinale 
abortivo nell’organismo di Purvi o del feto, la donna è stata condannata
 a 20 anni di detenzione per feticidio.
scelgono
 le donneCosì uno degli Stati più conservatori degli USA, come 
l’Indiana, torna a far discutere. Dopo aver approvato una legge sulla 
“libertà religiosa” fortemente discriminatoria e che colpisce i diritti 
LGBT, ora è anche il primo Stato ad emettere un condanna per feticidio 
che, per le associazioni in difesa dei diritti delle donne che si stanno
 organizzando a fianco a Purvi Patel, rappresenta “un pericolosissimo 
precedente”.
La vera posta in gioco 
oggi, in Usa come in altri paesi del mondo, è la tutela del diritto 
delle donne all’aborto, un diritto che negli Usa è stato sancito nel 
1973 da una sentenza della Corte Suprema nota come “Roe vs Wade” che 
concesse, sotto la pressione di manifestanti e giuristi, la libertà di 
abortire a Jane Roe. Negli ultimi quattro anni c’è stata però un’ondata 
di misure restrittive che, in oltre la metà degli Stati nordamericani, 
ha limitato il diritti all’interruzione volontaria della gravidanza. 
Restrizioni che hanno portato alla chiusura di molte cliniche, in molte 
zone il ricorso all’aborto protetto è diventato praticamente impossibile
 e le donne sono tornate agli aborti clandestini o fai da te, con 
conseguenze importanti fino alla morte delle donne.
In
 un comunicato stampa del National Advocates for Pregnant Women (NAPW), 
Sara Ainsworth esprime tutta la preoccupazione dell’organizzazione: 
“L’Indiana si unisce così ad altri paesi dove le donne con gravidanze 
indesiderate si suicidano a ritmo allarmante… e dove le donne non solo 
vanno in carcere per avere abortito ma ora anche per aver avuto un 
aborto spontaneo”.
La condanna di 
Purvi Patel in Indiana rappresenta un nuovo giro restrittivo sull’aborto
 che, secondo Lynn Maltrow, direttrice esecutiva del NAPW, si basa su 
una legge locale che vieta di interrompere una gravidanza 
“consapevolmente o intenzionalmente”.
Consapevolmente
 o intenzionalmente, due avverbi che la dicono lunga sulla 
considerazione che certi Stati (e non stiamo parlando di paesi musulmani
 ma del democratico e civile Nordamerica) hanno delle donne. Perché ciò 
che si vuole colpire, giuridicamente e culturalmente, è proprio il 
diritto delle donne all’autodeterminazione, al controllo dei propri 
corpi e di decidere, “consapevolmente”, quando e se diventare madri.
Purvi
 Patel ovviamente ricorrerà in appello contro l’assurda sentenza che la 
vorrebbe in carcere per 20 anni, e al suo fianco ci saranno molte 
organizzazioni impegnata nella difesa dei diritti delle donne.
Da Pop Off quotidiano
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