dal blog proletari comunisti
"Penso che i ragazzi siano stati gli unici, specie negli ultimi tempi, che hanno saputo alzare la voce in un’Italia che non riesce a farlo, di fronte a un orrore che dura ormai da troppi anni". Così dice Bernardo Bertolucci, in un'intervista a Il Manifesto di sabati 18 dicembre. Come spesso accade, artisti, in generale facenti parte per soldi, usi e costumi, delle classi dominanti, riescono a trovare la frase giusta per fotografare una realtà, molto più degli addetti ai lavori della politica, dei partiti, dei sindacati, dei mass media. La battaglia di Roma può essere compresa anche alla luce di questo giudizio. Il movimento degli studenti e i pezzi di settori sociali scesi in piazza con loro, a Roma, come in tutt'Italia, hanno alzato la voce contro la riforma Gelmini, contro il Governo Berlusconi come rappresentanti 'estremi' del sistema sociale che produce una riforma Gelmini, che produce un governo come quello di Berlusconi. La lotta prolungata scoppiata da mesi e innalzatasi per partecipazione e combattività nelle ultime settimane, ha fatto del 14 dicembre una giornata possente e grandiosa, per due ragioni fondamentali. La prima, perché è riuscita a rappresentare la protesta giovanile e popolare, cosa che non era avvenuta neanche con la grande manifestazione degli operai il 16 ottobre; la seconda perché ha sfondato e attaccato il gigantesco apparato repressivo messo in piedi dal governo, con il sostegno totale dell'intero parlamento, volto ad impedire che il movimento arrivasse alle porte di essi. Lo ha sfidato, lo ha attaccato, lo ha battuto sul campo, con determinazione, rabbia, m creatività, mostrando, sia pure per una sola giornata, che esso è nudo, isolato e, perfino al suo interno, scarsamente motivato. L'entusiasmante battaglia condotta da migliaia e migliaia di giovani ha ricordato le pagine di Genova 2001 e a differenza di Genova questa giornata non passa alla storia per la violenza per lo schiacciamento della protesta ma per la parziale messa in rotta delle forze di polizia. La paura dello Stato a difesa del potere era uguale, ma non abbiamo avuto un Placanica, ma un finanziere a difesa della sua arma. E tutto questo non a caso. Perché dietro il Placanica che spara vi era la determinazione di uno Stato attrezzato per massacrare alla Diaz, torturare a Bolzaneto; dietro il finanziere vi era uno Stato in difesa perché sorpreso dall'attacco. E questo non per ragioni di addestramento militare, di regia occulta o di gruppi impropriamente definiti di black blok - tutte fandonie a cui possono credere solo i miserabili dell'opposizione parlamentare, la genia degli scribacchini e anche l'addomesticato scrittore Saviano, vittima del suo stesso personaggio- ma, e qui viene il secondo aspetto della frase che abbiamo posto ad inizio articolo, la legittimità sociale, politica, democratica e rivoluzionaria nel contesto della situazione attuale, dell'esercizio della forza da parte del movimento per far valere le sue ragioni. Legittimità che viene, innanzitutto, appunto dall'orrore che dura ormai da troppi anni, rappresentato dal governo Berlusconi, dalla pseudo opposizione nel Palazzo, dal sistema generale, globale, che definiamo moderno fascista, dalla democrazia borghese che ha generato i mostri al governo, negli apparati dello Stato, nella contaminazione dell'intera società che è sotto gli occhi di tutti. Questo orrore dà legittimità all'uso della forza, alla violenza giusta, di massa, all'assedio e attacco che la battaglia di Roma ha espresso. Rabbia, disperazione, inascolto delle voci degli studenti in lotta da mesi? Certo, tutte c'erano e anche ben giustificate. Ma tutto questo spiega le iniziative che ci sono stati anche prima del 14 dicembre, delle forme di protesta quelle visibili e mediaticamente efficaci che si sono utilizzate, ma non spiegano certo la sostanza della battaglia di Roma. La battaglia di Roma è per altro ben dentro la rivolta giovanile che si esprime negli altri paesi imperialisti e capitalisti in crisi, dalla furente Grecia, alla costante Francia, alla crescente Spagna, alla esplosione di Londra. In questo senso a Roma vince una linea di condotta e un'analisi della realtà che si incarna nelle rivolte in corso e che trova in tanti ragazzi interpreti freschi, quasi sempre efficaci, che accumulano sulla propria pelle, anche con fermi, violenze, botte, pressioni e ricatti, un'esperienza al servizio dell'opposizione reale e di un'alternativa politica e sociale allo stato di cose esistenti. 2 Il 14 dicembre però non è solo una pagina entusiasmante di rivolta, ma anche una pagina tragica. E il tragico non sta certo nelle cosiddette immagini di devastazione, di fuochi e distruzioni, su cui come sciacalli si sono buttati i mostri del governo e i giullari dell'opposizione. La tragedia è l'assenza reale della classe operaia e delle posizioni proletarie ad un appuntamento che qualsiasi persona di buon senso non poteva non considerare importante, in una certa misura, decisivo, legato e intrecciato com'era allo spettacolo del voto parlamentare comprato e venduto. Il 14 era il giorno giusto del possibile sciopero generale, mezzo normale e legittimo per alzare la propria voce a fronte della politica antipopolare del governo, allo scaricamento della crisi sulla pelle degli operai e delle masse popolari, all'emergere virulento del fascismo padronale interpretato dall'uomo nero della Fiat, all'avanzamento della trasformazione reazionaria di leggi e costumi in atto nel nostro paese - questo sì con feroce regia di un governo moderno fascista e razzista, in cui si raccoglie il fondo del barile della feccia borghese. In un paese normale, come usano dire i rappresentanti politici dell'opposizione e i dirigenti sindacali della Cgil, a fronte di una manifestazione come quella del 16 ottobre, alla scesa in campo del movimento degli studenti, alle proteste degli immigrati, ai tagli a tutti i settori sociali, all'emergenza dei rifiuti e dell'ambiente, lotte ed esigenze che hanno avuto una risposta totalmente sorda o negativa, ostentatamente negativa, sarebbe stato del tutto naturale promuovere lo sciopero generale per dare una spallata a questo governo, aiutarlo nella sua morte parlamentare e porre una ipoteca sugli sviluppi futuri nel paese. Ebbene è assolutamente grave che questo sciopero generale la Cgil non lo abbia volutamente proclamato. lo abbia volutamente contrastato, e, infine, che il gruppo dirigente Fiom continua a chiedere come un disco rotto, senza indirlo, creando uno stato di fatto . Altri sindacati, in altri paesi europei, ne hanno già fatto più di uno. Il mancato sciopero generale vuol dire isolare il movimento degli studenti, consegnarlo alla repressione, salvare il governo, molto più dei parlamentari in vendita di turno. La gravità di questo non è sufficientemente compreso nel movimento operaio e in parte rilevante della opposizione sociale e politica reale Anche la serie di gruppi operaisti, comunisti, di opposizione reale che giustamente denunciano, combattono il passaggio armi e bagagli nel campo del padrone di cisl e uil sono ciechi, ottusi e opportunisti nel non cogliere che nel contesto politico della situazione attuale, il ruolo più nefasto di partito della conciliazione reale, lo svolge la Cgil con il suo gruppo dirigente e apparato Il vero tappo che deve saltare, come Lama nel '77 sia pur in condizioni diverse - è il gruppo dirigente al servizio dell'opposizione parlamentare e dello Stato. .Sappiamo benissimo che parlare di gruppo dirigente della Cgil significa anche parlare dei partiti dell'opposizione parlamentare, ex parlamentari o aspiranti parlamentari, a cui i singoli dirigenti appartengono e che ne fanno la linea generale. Ma sappiamo anche quanto siano delegittimati già e giustamente nel movimento i dirigenti di tutti questi partiti, la cui natura di politicanti è divenuta ben chiara anche in questi giorni - basti pensare che il portavoce della Federazione della Sinistra è un personaggio quale Diliberto che a fronte degli scontri di Roma, si fa fatica a distinguerlo da Maroni nelle sue dichiarazioni. La Cgil, in quanto sindacato maggioritario e di opposizione, rappresenta d l'unico potere forte in grado di svolgere una funzione effettiva di contenimento del conflitto a fronte della radicalità effettiva che esso domanda e che in una certa misura le lotte di questi ultimi mesi mettono sul tappeto. La Camusso è stata tra le prime a condividere le posizioni del governo con la sua dichiarazione "la più totale condanna della guerriglia, di questa frangia violenta. E questo lo diceva mentre tutto il suo cuore era in Parlamento, tanto a ripetere pappagallescamente le parole di Fini: "In realtà non c'è più una maggioranza politica", differenziandosi poi da Fini aggiungeva: "se non ci sono le condizioni per riavere un governo del paese, è meglio andare alle urne", portando la favola falsa, per cui: "il vero problema è che non c'è più il governo", proprio mentre questo a tamburo battente e manu militari sta approvando la riforma Gelmini, dopo aver approvato il Collegato lavoro e la caterva di leggi e provvedimenti antioperai e antipopolari. La Camusso, diventando più governativa del governo, aggiunge "saggezza e attenzione per il paese richiederebbero di determinare un'agenda che si occupi della crisi... temo, invece, che avere una situazione di instabilità e code velenose non saranno utili al paese e che sono sempre un grande rischio". Con questa posizione la Cgil non non ha certo intenzione di dichiarare lo sciopero generale; anzi, la vera possibilità è che si finisca per assistere a una nuova parodia degli scioperi "antiterrorismo" degli anni passati, a fronte di un eventuale ulteriore sviluppo di giornate di 'guerriglia e di frange violente' quali quelle del 14 dicembre. Per questo diventa sempre più insostenibile, la posizione del gruppo dirigente della Fiom, anch'esso sceso immediatamente in campo con una oscena dichiarazione nei confronti della battaglia di Roma. Oscena perché non condivisa dalla grande maggioranza dei partecipanti e perfino quella parte del drappello Fiom presente alla manifestazione che abbia occhi e onestà intellettuali per vedere quello che realmente è successo. Ma non si può tornare a parlare di sciopero generale in sindacalese, come fa Landini nell'intervista a Il Manifesto, senza dare seguito al mandato che ha già e che le proviene dalla manifestazione del 16 ottobre e dalla virulenta emergenza nelle fabbriche di rispondere al fascismo padronale, che dalla Fiat si estende a tutto il padronato. Il livello minimo della decenza è la parola d'ordine: "operai, studenti, precari, disoccupati uniti nella lotta" che si traduca in uno sciopero generale che nel contesto attuale assuma la valenza di momento unificante e decisivo per dare uno sbocco politico e sociale al movimento in corso.
"Penso che i ragazzi siano stati gli unici, specie negli ultimi tempi, che hanno saputo alzare la voce in un’Italia che non riesce a farlo, di fronte a un orrore che dura ormai da troppi anni". Così dice Bernardo Bertolucci, in un'intervista a Il Manifesto di sabati 18 dicembre. Come spesso accade, artisti, in generale facenti parte per soldi, usi e costumi, delle classi dominanti, riescono a trovare la frase giusta per fotografare una realtà, molto più degli addetti ai lavori della politica, dei partiti, dei sindacati, dei mass media. La battaglia di Roma può essere compresa anche alla luce di questo giudizio. Il movimento degli studenti e i pezzi di settori sociali scesi in piazza con loro, a Roma, come in tutt'Italia, hanno alzato la voce contro la riforma Gelmini, contro il Governo Berlusconi come rappresentanti 'estremi' del sistema sociale che produce una riforma Gelmini, che produce un governo come quello di Berlusconi. La lotta prolungata scoppiata da mesi e innalzatasi per partecipazione e combattività nelle ultime settimane, ha fatto del 14 dicembre una giornata possente e grandiosa, per due ragioni fondamentali. La prima, perché è riuscita a rappresentare la protesta giovanile e popolare, cosa che non era avvenuta neanche con la grande manifestazione degli operai il 16 ottobre; la seconda perché ha sfondato e attaccato il gigantesco apparato repressivo messo in piedi dal governo, con il sostegno totale dell'intero parlamento, volto ad impedire che il movimento arrivasse alle porte di essi. Lo ha sfidato, lo ha attaccato, lo ha battuto sul campo, con determinazione, rabbia, m creatività, mostrando, sia pure per una sola giornata, che esso è nudo, isolato e, perfino al suo interno, scarsamente motivato. L'entusiasmante battaglia condotta da migliaia e migliaia di giovani ha ricordato le pagine di Genova 2001 e a differenza di Genova questa giornata non passa alla storia per la violenza per lo schiacciamento della protesta ma per la parziale messa in rotta delle forze di polizia. La paura dello Stato a difesa del potere era uguale, ma non abbiamo avuto un Placanica, ma un finanziere a difesa della sua arma. E tutto questo non a caso. Perché dietro il Placanica che spara vi era la determinazione di uno Stato attrezzato per massacrare alla Diaz, torturare a Bolzaneto; dietro il finanziere vi era uno Stato in difesa perché sorpreso dall'attacco. E questo non per ragioni di addestramento militare, di regia occulta o di gruppi impropriamente definiti di black blok - tutte fandonie a cui possono credere solo i miserabili dell'opposizione parlamentare, la genia degli scribacchini e anche l'addomesticato scrittore Saviano, vittima del suo stesso personaggio- ma, e qui viene il secondo aspetto della frase che abbiamo posto ad inizio articolo, la legittimità sociale, politica, democratica e rivoluzionaria nel contesto della situazione attuale, dell'esercizio della forza da parte del movimento per far valere le sue ragioni. Legittimità che viene, innanzitutto, appunto dall'orrore che dura ormai da troppi anni, rappresentato dal governo Berlusconi, dalla pseudo opposizione nel Palazzo, dal sistema generale, globale, che definiamo moderno fascista, dalla democrazia borghese che ha generato i mostri al governo, negli apparati dello Stato, nella contaminazione dell'intera società che è sotto gli occhi di tutti. Questo orrore dà legittimità all'uso della forza, alla violenza giusta, di massa, all'assedio e attacco che la battaglia di Roma ha espresso. Rabbia, disperazione, inascolto delle voci degli studenti in lotta da mesi? Certo, tutte c'erano e anche ben giustificate. Ma tutto questo spiega le iniziative che ci sono stati anche prima del 14 dicembre, delle forme di protesta quelle visibili e mediaticamente efficaci che si sono utilizzate, ma non spiegano certo la sostanza della battaglia di Roma. La battaglia di Roma è per altro ben dentro la rivolta giovanile che si esprime negli altri paesi imperialisti e capitalisti in crisi, dalla furente Grecia, alla costante Francia, alla crescente Spagna, alla esplosione di Londra. In questo senso a Roma vince una linea di condotta e un'analisi della realtà che si incarna nelle rivolte in corso e che trova in tanti ragazzi interpreti freschi, quasi sempre efficaci, che accumulano sulla propria pelle, anche con fermi, violenze, botte, pressioni e ricatti, un'esperienza al servizio dell'opposizione reale e di un'alternativa politica e sociale allo stato di cose esistenti. 2 Il 14 dicembre però non è solo una pagina entusiasmante di rivolta, ma anche una pagina tragica. E il tragico non sta certo nelle cosiddette immagini di devastazione, di fuochi e distruzioni, su cui come sciacalli si sono buttati i mostri del governo e i giullari dell'opposizione. La tragedia è l'assenza reale della classe operaia e delle posizioni proletarie ad un appuntamento che qualsiasi persona di buon senso non poteva non considerare importante, in una certa misura, decisivo, legato e intrecciato com'era allo spettacolo del voto parlamentare comprato e venduto. Il 14 era il giorno giusto del possibile sciopero generale, mezzo normale e legittimo per alzare la propria voce a fronte della politica antipopolare del governo, allo scaricamento della crisi sulla pelle degli operai e delle masse popolari, all'emergere virulento del fascismo padronale interpretato dall'uomo nero della Fiat, all'avanzamento della trasformazione reazionaria di leggi e costumi in atto nel nostro paese - questo sì con feroce regia di un governo moderno fascista e razzista, in cui si raccoglie il fondo del barile della feccia borghese. In un paese normale, come usano dire i rappresentanti politici dell'opposizione e i dirigenti sindacali della Cgil, a fronte di una manifestazione come quella del 16 ottobre, alla scesa in campo del movimento degli studenti, alle proteste degli immigrati, ai tagli a tutti i settori sociali, all'emergenza dei rifiuti e dell'ambiente, lotte ed esigenze che hanno avuto una risposta totalmente sorda o negativa, ostentatamente negativa, sarebbe stato del tutto naturale promuovere lo sciopero generale per dare una spallata a questo governo, aiutarlo nella sua morte parlamentare e porre una ipoteca sugli sviluppi futuri nel paese. Ebbene è assolutamente grave che questo sciopero generale la Cgil non lo abbia volutamente proclamato. lo abbia volutamente contrastato, e, infine, che il gruppo dirigente Fiom continua a chiedere come un disco rotto, senza indirlo, creando uno stato di fatto . Altri sindacati, in altri paesi europei, ne hanno già fatto più di uno. Il mancato sciopero generale vuol dire isolare il movimento degli studenti, consegnarlo alla repressione, salvare il governo, molto più dei parlamentari in vendita di turno. La gravità di questo non è sufficientemente compreso nel movimento operaio e in parte rilevante della opposizione sociale e politica reale Anche la serie di gruppi operaisti, comunisti, di opposizione reale che giustamente denunciano, combattono il passaggio armi e bagagli nel campo del padrone di cisl e uil sono ciechi, ottusi e opportunisti nel non cogliere che nel contesto politico della situazione attuale, il ruolo più nefasto di partito della conciliazione reale, lo svolge la Cgil con il suo gruppo dirigente e apparato Il vero tappo che deve saltare, come Lama nel '77 sia pur in condizioni diverse - è il gruppo dirigente al servizio dell'opposizione parlamentare e dello Stato. .Sappiamo benissimo che parlare di gruppo dirigente della Cgil significa anche parlare dei partiti dell'opposizione parlamentare, ex parlamentari o aspiranti parlamentari, a cui i singoli dirigenti appartengono e che ne fanno la linea generale. Ma sappiamo anche quanto siano delegittimati già e giustamente nel movimento i dirigenti di tutti questi partiti, la cui natura di politicanti è divenuta ben chiara anche in questi giorni - basti pensare che il portavoce della Federazione della Sinistra è un personaggio quale Diliberto che a fronte degli scontri di Roma, si fa fatica a distinguerlo da Maroni nelle sue dichiarazioni. La Cgil, in quanto sindacato maggioritario e di opposizione, rappresenta d l'unico potere forte in grado di svolgere una funzione effettiva di contenimento del conflitto a fronte della radicalità effettiva che esso domanda e che in una certa misura le lotte di questi ultimi mesi mettono sul tappeto. La Camusso è stata tra le prime a condividere le posizioni del governo con la sua dichiarazione "la più totale condanna della guerriglia, di questa frangia violenta. E questo lo diceva mentre tutto il suo cuore era in Parlamento, tanto a ripetere pappagallescamente le parole di Fini: "In realtà non c'è più una maggioranza politica", differenziandosi poi da Fini aggiungeva: "se non ci sono le condizioni per riavere un governo del paese, è meglio andare alle urne", portando la favola falsa, per cui: "il vero problema è che non c'è più il governo", proprio mentre questo a tamburo battente e manu militari sta approvando la riforma Gelmini, dopo aver approvato il Collegato lavoro e la caterva di leggi e provvedimenti antioperai e antipopolari. La Camusso, diventando più governativa del governo, aggiunge "saggezza e attenzione per il paese richiederebbero di determinare un'agenda che si occupi della crisi... temo, invece, che avere una situazione di instabilità e code velenose non saranno utili al paese e che sono sempre un grande rischio". Con questa posizione la Cgil non non ha certo intenzione di dichiarare lo sciopero generale; anzi, la vera possibilità è che si finisca per assistere a una nuova parodia degli scioperi "antiterrorismo" degli anni passati, a fronte di un eventuale ulteriore sviluppo di giornate di 'guerriglia e di frange violente' quali quelle del 14 dicembre. Per questo diventa sempre più insostenibile, la posizione del gruppo dirigente della Fiom, anch'esso sceso immediatamente in campo con una oscena dichiarazione nei confronti della battaglia di Roma. Oscena perché non condivisa dalla grande maggioranza dei partecipanti e perfino quella parte del drappello Fiom presente alla manifestazione che abbia occhi e onestà intellettuali per vedere quello che realmente è successo. Ma non si può tornare a parlare di sciopero generale in sindacalese, come fa Landini nell'intervista a Il Manifesto, senza dare seguito al mandato che ha già e che le proviene dalla manifestazione del 16 ottobre e dalla virulenta emergenza nelle fabbriche di rispondere al fascismo padronale, che dalla Fiat si estende a tutto il padronato. Il livello minimo della decenza è la parola d'ordine: "operai, studenti, precari, disoccupati uniti nella lotta" che si traduca in uno sciopero generale che nel contesto attuale assuma la valenza di momento unificante e decisivo per dare uno sbocco politico e sociale al movimento in corso.
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