Grecia, Francia, Inghilterra, Spagna… Italia. La tempesta sociale che attraversa l’Europa della crisi ha finalmente scavalcato le Alpi e ha incendiato la capitale. Qualche piccolo fuoco aveva già iniziato a scaldarci durante queste settimane di mobilitazione studentesca, eppure nessuno se l’aspettava.
Doveva essere il solito corteo nazionale pieno di innocua indignazione. La grande manifestazione dei “berlusconi pezzo di merda!” su cui La Repubblica aspettava di scrivere un bel articolo per portare un po’ di acqua al mulino del PD. Il solito corteo da cui si torna frustrati pensando “eravamo così tanti e… porco dio non abbiamo fatto nulla”. La solita giornata da cui il massimo che ci si può aspettare è qualche azione simbolica e mediatica a uso e consumo di telecamere e giornalisti.
A migliaia invece, abbiamo imposto il nostro protagonismo. Abbiamo rifiutato un copione già scritto che ci voleva relegare a pure comparse in una battaglia tutta istituzionale da giocare all’interno delle aule parlamentari e decide quale sarà il prossimo governo a sfruttare e reprimere.
“Solo stati i Black block”, “erano tutti infiltrati”, “i soliti provocatori”. Tv e stampa fanno il loro mestiere: distorcere la realtà. Troppo fastidioso ammettere che ad attaccare banche e negozi di lusso e a scontrarsi con i reparti antisommossa sono stati migliaia tra studenti, precari, giovani e giovanissimi. Nessuna regia, nessuna premeditazione. Una rivolta spontanea che ha colto di sorpresa anche i rivoltosi. Un moto di dignità di una generazione fino ad ora abituata a subire che non aspettava che esplodere.
Mentre al Senato il parlamento otteneva la fiducia, noi eravamo in piazza a ritrovare la fiducia nelle nostre forze e a sperimentare la forza della nostra determinazione. Roma è stata una grande rivincita morale di tutti i movimenti che in questi giorni, mesi, anni hanno assaggiato la violenza delle merde in divisa e dei loro manganelli. L’ordine delle cose per dei momenti si è finalmente ribaltato. Le camionette in fiamme, i poliziotti che scappano e i loro volti (non più sghignazzanti ma impauriti) ci hanno insegnato che difendersi e rispondere alla violenza di stato è possibile.
Quello di Roma è stato un gran giorno perché abbiamo fatto paura, e non solo ai celerini schierati in piazza. Roma fa paura, perché rimbomba come un monito nelle teste di governanti e padroni: il sogno post-moderno del cittadino docile sempre disponibile a calare le braghe potrebbero terminare.
Noi, la generazione di chi deve avere paura del proprio futuro. Noi che ogni giorno dobbiamo aver paura del professore e del suo giudizio, del 5 in condotta, del limite di assenze. Noi che ogni giorno dobbiamo aver paura di essere reputati merce difettata nelle fabbriche di precari che vanno sotto il nome di scuole ed università e scartati dalla selezione. Noi che dobbiamo aver paura di dire “A!” sul posto di lavoro perché potrebbe costarci il licenziamento, noi che dobbiamo aver paura di non aver sorriso abbastanza e non aver fatto finta di essere abbastanza docili al colloquio di lavoro. Noi che dobbiamo aver paura del palazzinaio a cui se non paghiamo l’affitto ci fa sfrattare. Noi che dobbiamo aver paura ogni volta che la sera incrociamo una pattuglia, consapevoli che chiunque potrebbe essere il prossimo Cucchi o Aldrovandi. Noi che ogni volta che ci ribelliamo dobbiamo aver paura delle conseguenze fisiche e penali.
Noi, martedì, non abbiamo avuto paura.
Noi, martedì, abbiamo fatto paura. E continueremo a farla.
Noi, la generazione che i padroni volevano rassegnata a questo presente, isolata in un social-network, sorda con un i-pad nelle orecchie. Noi, la generazione a cui hanno raccontato che i tempi delle lotte sono finite, che le hanno fatte già i nostri genitori e meglio di noi. Ad Atene, Parigi, Madrid Londra, Roma, una nuova generazione di oppressi ha fatto irruzione in una storia da troppo tempo determinata solo dai padroni.
Roma si lascia alle spalle questa cesura irreversibile. Il campo delle possibilità da ora è aperto.
E la rivolta, si è visto, è contagiosa.
da Firenze
Doveva essere il solito corteo nazionale pieno di innocua indignazione. La grande manifestazione dei “berlusconi pezzo di merda!” su cui La Repubblica aspettava di scrivere un bel articolo per portare un po’ di acqua al mulino del PD. Il solito corteo da cui si torna frustrati pensando “eravamo così tanti e… porco dio non abbiamo fatto nulla”. La solita giornata da cui il massimo che ci si può aspettare è qualche azione simbolica e mediatica a uso e consumo di telecamere e giornalisti.
A migliaia invece, abbiamo imposto il nostro protagonismo. Abbiamo rifiutato un copione già scritto che ci voleva relegare a pure comparse in una battaglia tutta istituzionale da giocare all’interno delle aule parlamentari e decide quale sarà il prossimo governo a sfruttare e reprimere.
“Solo stati i Black block”, “erano tutti infiltrati”, “i soliti provocatori”. Tv e stampa fanno il loro mestiere: distorcere la realtà. Troppo fastidioso ammettere che ad attaccare banche e negozi di lusso e a scontrarsi con i reparti antisommossa sono stati migliaia tra studenti, precari, giovani e giovanissimi. Nessuna regia, nessuna premeditazione. Una rivolta spontanea che ha colto di sorpresa anche i rivoltosi. Un moto di dignità di una generazione fino ad ora abituata a subire che non aspettava che esplodere.
Mentre al Senato il parlamento otteneva la fiducia, noi eravamo in piazza a ritrovare la fiducia nelle nostre forze e a sperimentare la forza della nostra determinazione. Roma è stata una grande rivincita morale di tutti i movimenti che in questi giorni, mesi, anni hanno assaggiato la violenza delle merde in divisa e dei loro manganelli. L’ordine delle cose per dei momenti si è finalmente ribaltato. Le camionette in fiamme, i poliziotti che scappano e i loro volti (non più sghignazzanti ma impauriti) ci hanno insegnato che difendersi e rispondere alla violenza di stato è possibile.
Quello di Roma è stato un gran giorno perché abbiamo fatto paura, e non solo ai celerini schierati in piazza. Roma fa paura, perché rimbomba come un monito nelle teste di governanti e padroni: il sogno post-moderno del cittadino docile sempre disponibile a calare le braghe potrebbero terminare.
Noi, la generazione di chi deve avere paura del proprio futuro. Noi che ogni giorno dobbiamo aver paura del professore e del suo giudizio, del 5 in condotta, del limite di assenze. Noi che ogni giorno dobbiamo aver paura di essere reputati merce difettata nelle fabbriche di precari che vanno sotto il nome di scuole ed università e scartati dalla selezione. Noi che dobbiamo aver paura di dire “A!” sul posto di lavoro perché potrebbe costarci il licenziamento, noi che dobbiamo aver paura di non aver sorriso abbastanza e non aver fatto finta di essere abbastanza docili al colloquio di lavoro. Noi che dobbiamo aver paura del palazzinaio a cui se non paghiamo l’affitto ci fa sfrattare. Noi che dobbiamo aver paura ogni volta che la sera incrociamo una pattuglia, consapevoli che chiunque potrebbe essere il prossimo Cucchi o Aldrovandi. Noi che ogni volta che ci ribelliamo dobbiamo aver paura delle conseguenze fisiche e penali.
Noi, martedì, non abbiamo avuto paura.
Noi, martedì, abbiamo fatto paura. E continueremo a farla.
Noi, la generazione che i padroni volevano rassegnata a questo presente, isolata in un social-network, sorda con un i-pad nelle orecchie. Noi, la generazione a cui hanno raccontato che i tempi delle lotte sono finite, che le hanno fatte già i nostri genitori e meglio di noi. Ad Atene, Parigi, Madrid Londra, Roma, una nuova generazione di oppressi ha fatto irruzione in una storia da troppo tempo determinata solo dai padroni.
Roma si lascia alle spalle questa cesura irreversibile. Il campo delle possibilità da ora è aperto.
E la rivolta, si è visto, è contagiosa.
da Firenze
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