28/12/20

Dalle assemblee donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 6 - Le lavoratrici delle pulizie, dei servizi in lotta contro la precarietà e la pandemia

LAVORATRICI DEGLI ASILI DI TARANTO "...sicuramente la lotta paga. Però bisogna essere costanti bisogna essere uniti e bisogna andare oltre..."
Le lavoratrici ausiliare degli asili di Taranto, dopo aver con lunghe lotte conquistato alcuni risultati, oggi vogliono parlare di una nuova tappa: dell'internalizzazione del lavoro, contro la precarietà pluridecennale. Noi lavoriamo in servizi essenziali, obbligatori, nei comparti sanità e della scuola come ad esempio l’ausiliariato negli asili comunali o l’assistenza igienico personale verso i disabili nelle scuole di ogni grado; parliamo di servizi strutturali di interesse pubblico, la cui continuità e efficienza va a beneficio della collettività, questo criterio deve prevalere necessariamente sulla logica del profitto dei privati.
Dobbiamo cercare di unire tutte le forze e andare verso questa direzione.
Insieme dobbiamo rivendicare nei part time un orario non inferiore alle 30 ore settimanali, dobbiamo cercare di ottenere il lavoro nei mesi estivi di luglio e agosto, là dove nel contratto non è previsto. 
Noi siamo lavoratrici che da venti, venticinque, trent’anni stiamo in questa situazione di precariato dove ogni tre anni si susseguono varie ditte, si susseguono situazioni sempre di precarietà per cui non riusciamo a fare progetti per il futuro, ne per noi né per le nostre famiglie. Dal primo di ottobre scorso siamo passate a tre ore mentre prima eravamo a un’ora e cinquanta al giorni, siamo riuscite anche ad ottenere la qualifica superiore per le mansioni di ausiliariato, quindi diciamo che una prima tappa è stata vinta, dopo circa una decina d’anni di lotte, incontri, sit-in, situazioni anche da noi abbastanza calde. Abbiamo portato i lor signori padroni anche in tribunale. Quindi sicuramente la lotta paga. Però bisogna essere costanti bisogna essere uniti e bisogna andare oltre, proseguire e lottare tutti insieme, se possibile, sul territorio nazionale. Sappiamo che ci sono altre situazioni simili alla nostra tarantina, ci sono altre altre realtà che vivono le nostre problematiche, a Roma nella ristorazione, nella rete delle scuole materne, anche dalle parti di Modena, nell’Alitalia, ecc. Sarebbe necessaria una rete, un legame tra tutte noi per riuscire a ribaltare un pò questa situazione di precariato... 
Questo Covid rende più grave e inaccettabile le varie situazioni lavorative, infatti noi sono diversi mesi che dal rientro al lavoro dal lockdown stiamo portato avanti una battaglia sulla sicurezza sul posto di lavoro. La nostra azienda ha sottovalutato il rischio da contagio e nei posti dove tutti i giorni lavoriamo e dove nella maggior parte del tempo c'è una presenza di vario personale, compresi i bambini, ci sono stati vari contagi sia dei bambini che del personale educativo e ausiliario. Abbiamo chiesto alla nostra azienda una serie di tutele, anzitutto la differenziazione degli orari di servizio del personale, al fine di evitare assembramenti, con fasce orarie non sovrapponibili, l’uso di termo scanner per rilevare la temperatura prima di entrare nelle strutture, la fornitura frequente di mascherine guanti e gel sanificante, la sanificazione settimanale dei vari locali e delle strutture, test rapidi presso le strutture idonee a carico ovviamente dell'azienda, abbiamo chiesto anche la predisposizione del tampone in caso di contagio e la corresponsione della normale retribuzione in caso di quarantena, e infine abbiamo chiesto a tutela delle lavoratrici fragili il pagamento integrale della malattia per tutta la durata del periodo pandemico. Ora dobbiamo pretendere in ogni posto di lavoro che le aziende, le istituzioni rispettino i vari provvedimenti anti covid per evitare i contagi, i ricoveri e le morti, anche nell'interesse di poter far continuare a far funzionare questi servizi che sono essenziali all'interno del comparto scuola oppure sanità. 
Anche questa battaglia, queste tutele le dobbiamo portare avanti tutte insieme su ogni posto di lavoro anche perché con il covid non si scherza, l'abbiamo visto, lo stiamo vivendo da quasi un anno e anche le testimonianze che abbiamo appena ascoltato ci danno ragione che sul posto di lavoro la prevenzione aiuta di più che la cura. 

LAVORATRICI DELLE PULIZIE DELLE STRUTTURE SANITARIE DI ALESSANDRIA
Da una nota da parte delle lavoratrici delle pulizie e della sanificazione delle strutture ospedaliere, sono lavoratrici del sindacato di base ADL Cobas di Alessandria e la casa delle donne di Alessandria: “chiediamo che vengano presi in tempi rapidi i seguenti provvedimenti: le lavoratrici devono essere sottoposte ai tamponi covid per la loro sicurezza, quella dei pazienti e dei loro familiari; sembra incredibile che nessuna di loro fino a questo momento sia stata sottoposta al tampone covid quando lavorano nelle strutture sanitarie, per mesi nessuno né la ditta appaltante né l’azienda sanitaria né i sindacati confederali si è occupato e preoccupato di risolvere questo problema; gli spogliatoi in cui le lavoratrici si cambiano ogni giorno devono essere spostati e collocati in ambiente sicuro, mentre ora si trovano in uno spazio adiacente all'entrata dei pazienti positivi al covid; devono essere istituiti dispositivi di sicurezza in quantità sufficiente...". L'altra cosa che poi pongono è il problema del contratto collettivo nazionale che è scaduto da ormai più di 7 anni, quello multiservizi, in cui la paghe orarie previste sono tra le più basse in assoluto. 
Anche questa battaglia non la possiamo assolutamente delegare ai sindacati confederali che finora hanno firmato piattaforme che invece di dare addirittura toglievano, vedi la questione del salario sostituito con i bonus, ecc. Sul salario noi dobbiamo rivendicare nel contratto Multiservizi dove c'è la paga oraria più bassa che si ottengano almeno 9 € nette l'ora. L'anno scorso ne avevano parlato esponenti del governo, ora non se ne parla più. Invece noi ne dobbiamo parlare, dobbiamo porre con forza che sotto quella cifra, che comunque è minima, non si può andare. Ma anche su questo è decisiva la nostra lotta.

LAVORATRICI DEGLI ALBERGHI - MILANO
...Il settore alberghiero versa in una situazione tragica perché gli alberghi sono chiusi da marzo e in una città come Milano  non riapriranno fino al 2021 e la cassa integrazione arriverà al massimo a novembre; per cui ci saranno una serie di licenziamenti e, poi, potranno accedere a delle Naspi ridicole perché la maggior parte delle lavoratrici ha dei contratti “formali” part time, perciò con delle cifre molto basse, quasi ridicole. Finora hanno ricevuto solo parte della cassa integrazione, infatti stanno aspettando quella di giugno e noi stiamo organizzando parecchi presidi sia per sensibilizzare e sia per allargare la solidarietà affinché si dia più voce a questa lotta, la maggior parte delle lavoratrici sono quasi tutte immigrate e molte di loro sono donne sole con figli...
...con grande dignità hanno cercato durante il lockdown di affrontare le privazioni per sé e per i figli a causa delle precarie e scarse risorse economiche... sulla salute spesso debbono ricorrere alla malattia, soprattutto per i dolori alla schiena, agli arti a causa dei continui spostamenti di materassi e mobili per pulire le camere, ed essere ammalate significa non guadagnare perché i contratti sono part time, ma poi le ore lavorate sono molte di più, per tutto ciò nessuna tutela è prevista. E pensare che lavorano per alberghi di lusso... non è facile parlare di “cose” sindacali... lo sforzo che si sta cercando di fare è quello di metterle insieme ed aiutarle a capire che solidarizzando e socializzando le loro difficoltà lavorative possono trovare il modo per affrontarle.

LAVORATRICI DEGLI ALBERGHI - LONDRA

Le conseguenze del lockdown si sentono anche qui. Io sono una lavoratrice licenziata. Lavoravo nel settore alberghiero come servizi alle camere. 
Il lockdown ha portato via un pò tutto, lavoro, promozione e tutto...
Mentre inizialmente tendevo a giustificare le decisioni della compagnia alberghiera credendo nella loro buonafede, dopo una accurata riflessione, ho capito che non c’è niente da giustificare, perché in realtà chi poi piange effettivamente la crisi siamo noi che veniamo licenziate, che rimaniamo ai livelli più bassi, la forza lavoro. 
Questa politica vuole ottenere il massimo profitto con il minimo sforzo, sfruttando al massimo chi rimane a lavorare. Adesso mi ritrovo a cercare un nuovo impiego. Naturalmente non è facile perché non sono soltanto io a ritrovarmi in questa situazione. La maggior parte delle persone giovani e non giovani che abitano qui a Londra hanno difficoltà al momento a trovare un lavoro, non è semplice ma si tiene duro, ecco.
Non demordo, tengo duro lotto nel mio piccolo e provo ad andare avanti, molti miei connazionali, molti italiani che io conosco sono rientrati in Italia perché scoraggiati, io fin quando potrò terrò duro..."

26/12/20

Parà americano stupra ragazza vicentina. E' "extracomunitario ma di quelli intoccabili, solo un'indagine formale, neanche una sanzione per violazione delle misure anti covid

Stupro in caserma, giovane violentata da un soldato Usa


Una ragazza vicentina di 19 anni ha denunciato di essere stata vittima di una violenza sessuale avvenuta qualche settimana fa all’interno della base militare Del Din.
Sotto inchiesta un militare della 173esima Airborne Brigade, una delle più potenti unità di paracadutisti dell’esercito americano. La giovane, insieme ad alcune amiche, aveva conosciuto i soldati statunitensi qualche settimana prima in città. Era stata quindi invitata, insieme a due coetanee, a una festa organizzata all’interno della base Del Din: una festa con musica, balli e alcool, ma la serata si sarebbe trasformata in un incubo per la ragazza. Nella denuncia ai carabinieri della Setaf, il presidio dell’Arma di stanza alla caserma Ederle di Vicenza, la ragazza ha raccontato nei dettagli i particolari della violenza, ribadendo più volte di essersi rifiutata in tutti i modi.
Il procuratore Orietta Canova ha attivato le procedure previste in caso di stupro, con la visita in ospedale e il supporto psicologico. Contestualmente è scattata anche la perquisizione nella camerata del soldato, con il sequestro del telefonino e degli effetti personali.
La Procura di Vicenza ha disposto anche l’esame genetico per comparare il dna del militare con quello isolato nei vestiti che la ragazza indossava alla festa. Il parà, difeso dall’avvocato Alessandro Bontà del foro di Vicenza, è quindi formalmente indagato per violenza sessuale. Sono stati sentiti anche alcuni commilitoni, per incrociare i loro racconti con le testimonianze rese dalla ragazza e dalle sue amiche.


Nell'India in fiamme il ruolo straordinario delle donne

L'informazione e la solidarietà saranno parte dalla giornata nazionale di mobilitazione delle lavoratrici - 15 gennaio 2021 - decisa dall'assemblea nazionale telematica delle donne lavoratrici

Naufragio di Natale: 20 vittime, 19 erano donne e 4 di loro incinte

Un femminicidio di massa dell'imperialismo europeo e italiano con la complicità del regime reazionario e asservito tunisino

Migranti, naufragio al largo della Tunisia: almeno 20 vittime. I corpi recuperati in mare e riportati sulla terraferma: il videoL'imbarcazione stava tentando la traversata del Mediterraneo verso l'Italia, ma era sovraccarica e in cattive condizioni. Al momento si sono salvati solo in 4 Tutte donne tranne uno. Quattro di loro erano incinte. Sono 20 le vittime del naufragio di un’imbarcazione che stava tentato la traversata del Mediterraneo, dalla Tunisia all’Italia. E 19 di loro erano appunto donne. Il naufragio è avvenuto giovedì, nel giorno della vigilia di Natale. Le informazioni arrivano dai primi dati in possesso delle autorità di Sfax. Le ricerche proseguono nel tentativo di trovare altre 13 persone che risultano disperse. Sempre secondo i dati forniti dal portavoce, quattro migranti sono stati salvati: uno resta sotto supervisione medica e un altro è fuggito dall’ospedale.

L’imbarcazione, sovraccarica e in cattive condizioni, trasportava 37 persone di cui tre originarie della Tunisia e le altre dell’Africa sub-sahariana. Al momento le imbarcazioni della guardia costiera e i sub della Marina, impegnati nelle ricerche, non hanno ritrovato oggi altri corpi né sopravvissuti, anche in considerazione di forti venti e onde alte che ci sono nella zona. I 20 corpi sono stati recuperati da agenti della guardia costiera e pescatori locali, che li hanno portati a riva.

Le autorità tunisine fanno sapere che recentemente hanno intercettato diverse imbarcazioni cariche di migranti, ma rilevano che il numero di tentativi è in crescita in particolare tra la regione di Sfax e l’isola di Lampedusa. Le barche di migranti spesso partono dalle coste della Tunisia e dalla vicina Libia, con a bordo persone provenienti dal resto dell’Africa ma recentemente anche un crescente numero di tunisini in fuga. 

24/12/20

Gli interventi dalle assemblea donne/lavoratrici del 17 sett e 19 nov - 5 - Le lavoratrici della sanità: "Le donne sono sempre le più provate"

Lavoratrice sanità Milano
In questi mesi di lockdown al lavoro dovevo comunque andare perché  bisogna dare assistenza agli ammalati e quindi nella sanità non si può chiaramente usufruire del lavoro smart working e cose varie. La mia bambina, essendo che le scuole erano chiuse, è dovuta  rimanere  a casa da sola anche perché siamo soltanto io e lei; la mia vicina di casa non se l’è sentita più di prendersi cura della bambina  perché ha detto chiaramente: guarda tu lavorando a Milano sei a rischio  noi siamo anziani mio marito ha pluri patologie, e quindi non me la sento di tenere la bambina perché puoi portare il virus. E quindi la bambina si è gestita da sola in casa a fare i compiti e inviarli agli insegnanti. Ha fatto tutto lei. Ma la questione non è finita qui, perché ci sarà l’altra ondata sicuramente e non siamo tranquilli per niente
Purtroppo non c’è stata la possibilità di unità con le altre lavoratrici per cercare di difendersi da questa situazione e prendere delle iniziative a tutela della nostra condizione.
Infermiera Milano 
Sono infermiera e lavoro a Milano. In ambito sanitario questa emergenza qui nella nostra città ha stravolto le nostre vite dal punto sociale e lavorativo etc. 
Io lavoro in un ospedale. Inizialmente non si capiva bene l’importanza di questo fenomeno e per cui era stato quasi vietato tutto, perché nessuno si rendeva conto ai piani alti della pericolosità di questa pandemia.
Quando si è capita la pericolosità abbiamo iniziato a usare le mascherine, i dispositivi di protezione individuale. Da quel momento ci sono stati grosse carenze sia per quanto riguarda l’approvvigionamento dei materiali sia per quanto riguardava le carenze di organico.
Carico di lavoro aumentato le direttive che continuavano  a mutare, a cambiare la confusione etc
Io sono stata fortunata perché non sono mai stata contagiata, molti miei colleghi si sono ammalati, tantissimi sono guariti, la cronaca la conosciamo tutti, molti sono deceduti in seguito a questo virus.
Le donne sono state sempre le più provate dal punto del carico lavorativo. I congedi parentali li prende sempre la donna con il 50% della retribuzione che vivendo a Milano vuol dire fare la fame. 
Ci siamo trovate tutte con i bambini a casa con la scuola on line e vari disagi.
Lavoratrice sanità Lazio
Come operatrice sanitaria, io, come anche altri lavoratori della sanità pubblica, abbiamo subito una vera e propria sospensione dei diritti, in quanto sia durante il periodo di lockdown che anche dopo per un lungo periodo, sono state sospese le ferie, sia quelle maturate che quelle dell'anno precedente. Questo perché manca sempre, endemicamente questo personale; per cui tra chi si ammalava, il marasma generale che comunque c'era in quel momento e il grande bisogno di personale che c'era, sono state revocate le ferie.
Le condizioni di lavoro erano a dir poco allucinanti. Al clima di incertezza e opacità dell’informazione - non si sapeva bene quello che si stava affrontando, non si sapeva bene il tipo di diffusione del virus e quant'altro - si è aggiunta la mancanza e inadeguatezza di presidi.
Potete immaginare quindi all'interno dell'ospedale quello che si subiva!
Invece che le mascherine a noi sono stati forniti gli Swiffer, i panni da spolvero, che assolutamente non erano adeguati a fermare il virus. Però intanto dovevamo lavorare con queste cose. Io a un certo punto mi sono dovuta comprare le mascherine da sola, le ffp3, proprio per evitare sia di trasmettere il virus che di prenderlo. Ma soprattutto di diffonderlo, perché era quella la condizione. Siamo arrivati a fare delle cose paradossali in quel periodo e probabilmente anche noi, personale, abbiamo diffuso il virus, perché non c'era possibilità di avere altro personale e anche se eravamo potenzialmente infetti, dovevamo continuare a lavorare! E questo è proprio da criminali.
Io sono stata attenta, mi sono bardata. Ho cercato di stare meno a contatto coi pazienti fragili e di andare selezionate. Anche perché poi ci siamo organizzati. Ovviamente tra noi, senza che poi l'amministrazione sapesse.
Nella mia esperienza personale, ho deciso un isolamento volontario prima che ci fosse la chiusura generale, molti altri operatori e operatrici hanno deciso di non tornare a casa per evitare di contagiare i familiari. Io sono stata fortunata, si fa per dire, perché il mio compagno mi ha ceduto il suo appartamento che è molto vicino all'ospedale e ho evitato bus e metropolitane, tanti e tante invece preferivano restare in ospedale piuttosto che tornare a casa col dubbio di portare l'infezione. Abbiamo vissuto così per circa due mesi, le videochiamate sono stati i nostri unici contatti, con la consapevolezza da parte mia che per quel giorno c'eravamo ed eravamo in salute, ma in qualsiasi momento una situazione così precaria, così ai limiti della sopravvivenza poteva cambiare e non li avrei più rivisti neanche per un ultimo abbraccio come purtroppo è successo a tante altre colleghe. 
Il covid è riconosciuto tra le malattie professionali se il tuo lavoro prevede il contatto diretto o indiretto coi malati, c'è la copertura Inail anche in itinere in quanto ti puoi infettare sui mezzi di trasporto e in sanità. Un nostro infermiere però, pur presentando tutti sintomi, compresa la polmonite bilaterale, non è riuscito a dimostrare la malattia professionale perché sia il tampone che l'esame sierologico erano negativi. 
Ma il dato interessante è che il 75% dei contagi in sanità riguarda le donne, e in ordine statistico infermiere, fisiorerapiste, operatrici sociosanitarie, ausiliarie e addette alle pulizie. 
Il personale degli ambulatori, dei day hospital, dei servizi che sono stati soppressi durante il lockdown, è stato smistato verso il centralino di assistenza dedicata al covid dopo un corso di formazione irrisorio, con uno o due giorni di corso di addestramento, per rispondere sia ai pazienti che ai familiari. E voi immaginate con quale stato d'animo e con quale condizione psicologica potevano rispondere al telefono a persone che poi sapevano che comunque non potevano essere seguite in ospedale, che comunque non potevano ricevere cure adeguate, gente che magari poi è deceduta dentro casa!
C'è poi tutto il resto contingente al non covid. Cioè le persone che non accedono ai servizi perché i servizi sono sospesi; le persone che magari rinunciano ad andare al pronto soccorso perché hanno paura di ammalarsi, o che non vengono prese in considerazione se non ammalate. E quindi assolutamente per l'utente è una sospensione di quasi tutti i servizi.
Ci sono ambulatori che visitano attualmente solo due persone. Come riabilitazione a noi il day hospital non è stato ancora aperto. Quindi ci sono tutta una serie di persone che hanno bisogno di fare la fisioterapia, persone che sono paraplegiche e tetraplegiche, che hanno problematiche abbastanza complesse e gravose che non possono accedere al servizio. 
Per non parlare che  tutto l'accesso dei familiari verso il malato è ancora negato! Ci sono pazienti che stanno 6-7 mesi ricoverati in ospedale, magari perché le condizioni sono complesse: il familiare lo vedrà quando uscirà, fra 6-7 mesi! Quando poi la presenza del familiare, l'addestramento del familiare e la vicinanza del familiare, è parte integrante anche della terapia e della ripresa del paziente; perché voi immaginate gli eventi scioccanti, drammatici, pensate alle persone con neoplasie, oppure che sono state operate per cose abbastanza complesse, ebbene, ancora adesso non gli è possibile, non gli è consentito vedere familiari! 
Sappiamo che ci dobbiamo convivere con questa cosa, ma ci stiamo rimettendo, veramente, più di quanto non ci ha fatto rimettere il virus. 
Noi abbiamo fatto molti esposti e anche molte proposte: facciamo una stanza isolata, con dei parapetti in plexiglass, però fateglielo vedere il paziente; o mettiamoci anche a disposizione per portare i pazienti in un posto, magari all'aperto, quando era d'estate, però niente, l'amministrazione è sorda, per lo meno la mia azienda, e l'effetto di questa causa è più deleterio della causa che lo ha provocato.