41-bis = tortura
L'Aquila 25 giugno
ore 11 manifestazione in città, concentramento in Viale Gran Sasso
ore 14 presidio sotto il carcere di Preturo
Da circa un anno chi è sottoposto al regime previsto dall’art. 41-bis
dell’ordinamento penitenziario non può più ricevere libri, né qualsiasi
altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia
con i parenti sia con gli avvocati. Libri e stampa in genere possono ora
entrare nelle celle a 41-bis soltanto se acquistati tramite
l’amministrazione penitenziaria.
Inizialmente, nel novembre del 2011, la circolare del DAP
(Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, l’organo del ministero
di giustizia preposto al comando nelle carceri) che impone il divieto a
ricevere libri nelle sezione a 41-bis, fu bloccata dalle ordinanze di alcuni Magistrati di Sorveglianza (MdS), che accoglievano le ragioni dei reclami di alcuni prigionieri e prigioniere.
I ricorsi opposti da almeno tre pubblici ministeri contro
queste ordinanze furono confermati in Cassazione, con una sentenza del
16 ottobre 2014, che stabilisce il potere assoluto, non sindacabile,
delle circolari del DAP, poiché considerate alle stregua di semplici
provvedimenti amministrativi interni, rendendo così definitiva questa
nuova vigliacca restrizione.
Questa ulteriore censura – e non di poco conto vista l’importanza
vitale della lettura nelle sezioni di isolamento totale – va ad
aggiungersi a un lungo elenco di gravi restrizioni che sono state
oggetto, in questi ultimi anni, di ragionamenti critici e di diverse
mobilitazioni davanti alle carceri, tra le quali ricordiamo L’Aquila,
nel 2007 e 2011, Parma nel 2012, e, nell’aprile di quest’anno,
Opera-Milano, Parma, Cuneo, Tolmezzo-Udine, Terni, Bancali-Sassari.
Anche se con un diverso orientamento, riflessioni critiche arrivano anche da ambiti istituzionali.
A tal proposito basti qui citare l’ “indagine conoscitiva sul 41-bis”,
dell’aprile di quest’anno, visibile sul sito del Senato, lo sciopero dei
penalisti del settembre scorso indetto dall’Unione delle Camere Penali
contro l’applicazione e l’estensione del processo in videoconferenza,
come pure le ordinanze con le quali diversi magistrati di
sorveglianza hanno tentato di disapplicare questa ennesima restrizione.
In particolare, con una recente ordinanza in merito all’ennesimo
reclamo, il MdS di Spoleto, competente su Terni, ha deciso di
“sospendere il procedimento in corso sino all’esito del giudizio
incidentale di legittimità costituzionale”, un segnale che la faccenda,
anche sotto il profilo giuridico, è tutt’altro che conclusa.
Il regime del 41-bis è l’elemento trainante nella scala del
trattamento differenziato che caratterizza il sistema carcerario
italiano. Adottato trent’anni fa, si è via via inasprito e esteso.
Questa condizione detentiva è imposta oggi ad oltre 700 prigionieri e
prigioniere, fra loro una compagna e due compagni rivoluzionari,
militanti delle BR-PCC, trasferiti in queste sezioni da dieci anni.
Il 41-bis è attualmente in vigore in 13 sezioni interne alle carceri di:
Novara, Parma, Opera-Milano, Tolmezzo-Udine, Ascoli Piceno, Viterbo,
Secondigliano-Napoli, Terni, Spoleto, L’Aquila, Rebibbia-Roma,
Bancali-Sassari e Uta-Cagliari.
La quotidianità in 41-bis è fondata su:
isolamento individuale per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria
è possibile incontrare altri/e prigionieri/e, comunque al massimo tre, e
solo con questi è possibile parlare);
colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) nel quale è
impedito per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto
diretto;
l’esclusione a priori dall’accesso ai “benefici”;
la censura-restringimento nella consegna di posta, stampe e libri dei quali è possibile tenerne in cella soltanto tre;
“processo in videoconferenza” in cui l’imputato/a detenuto/a segue il
processo da solo/a in una cella attrezzata del carcere, tramite un
collegamento video gestito a discrezione da giudici, pm e forze
dell’ordine, quindi privato/a della possibilità di essere in aula con
tutte le limitazioni che ciò implica sul piano della solidarietà, della
visibilità del processo, della comunicazione (tra coimputati, con amici e
familiari, con il “pubblico”) e della difesa legale che ne risulta
fortemente compromessa;
rapporto disciplinare delle guardie (che esclude, per
esempio, dall’accesso alla liberazione anticipata di 45 giorni ogni
semestre) in caso di saluto, anche solo a voce, di un altro prigioniero;
utilizzo dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della
polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle
carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001.
Le motivazioni accampate per la detenzione al 41-bis sono pretestuose
poiché il fine di evitare il perdurare dei legami con l’associazione è
secondario rispetto a quello di estorcere informazioni che portino a
nuove accuse, a nuove incarcerazioni.
E’ sotto gli occhi di tutti/e come più di vent’anni di 41-bis non
abbiano di certo arginato l’influenza della cosiddetta criminalità
organizzata che invece permea sempre più l’economia così come la
politica, rendendo palese la natura criminale ed assassina del
capitalismo.
Non dimentichiamo l’arroganza con cui lo Stato e i padroni hanno
imposto la gestione “emergenziale” del post terremoto all’Aquila e
nemmeno le risate con cui la cricca politico-affaristico-mafiosa si
sfregava le mani pregustando gli affari sulla ricostruzione. Presi da
una sorta di sindrome di Stoccolma in una specie di carcere a cielo
aperto, rinchiusi nelle tendopoli militarizzate della Protezione Civile,
narcotizzati dalla propaganda di regime e poi dissolti, isolati nei
villaggi di cartapesta dei Berlusconi e Bertolaso, gli aquilani non
dovevano unirsi e non dovevano capire chi fossero i veri sciacalli e i
veri responsabili di 309 morti.
Per contro ciò che ha mantenuto intatta la sua funzione è il carcere di
Preturo, con più di 100 celle adibite al regime di 41-bis e la sua
tortura quotidiana che è diventata parte integrante e stabile della
quotidianità in ogni tipo di galera.
Infatti, con il passare del tempo, le leggi e le norme di natura
emergenziale si consolidano cosicché ogni restrizione adottata nelle
sezioni a 41-bis prima o poi, con nomi e forme diverse, penetra nelle
sezioni dell’Alta Sicurezza e in quelle “comuni”, specialmente contro
chi osa alzare la testa.
Così la censura, il carcere preventivo, l’isolamento punitivo applicato
con l’art. 14-bis o.p., il processo in videoconferenza, i rapporti disciplinari per
i più umani gesti sociali, specialmente se espressi da persone
immigrate, insieme ai sempre esistenti pestaggi – che troppo spesso si
concludono in “suicidio” cioè nella morte di chi viene colpito –
costituiscono oggi non l’eccezione ma la normalità della condizione
detentiva.
Una condizione che attraverso la differenziazione, l’individualizzazione
del “trattamento”, il ricatto della premialità e l’utilizzo della
violenza di stato per chi resiste alla sottomissione, è lo specchio del
più generale sfruttamento, a cominciare dall’imposizione di condizioni
di lavoro misere e umilianti, fatte anche di lavoro gratuito e
schiavile.
Le libertà di leggere, scrivere, comunicare, parlare sono forme
sociali che la classe dominante devasta con i suoi lugubri mass-media,
per imporsi sulle persone e così facilitare la realizzazione dei suoi
interessi, a cominciare dalle guerre saccheggiatrici in Afghanistan,
Siria, Libia e Iraq, dove oggi l’Italia è la seconda forza militare di
occupazione presente.
Inebetiti dalla martellante propaganda di guerra sotto la bandiera della
“lotta alla mafia”, al “terrorismo”, all’“immigrazione” assistiamo
quasi inermi alla generalizzazione e all’approfondimento di forme di
controllo, coercizione e deterrenza che accompagnano una fase storica
segnata dalla recessione globale e dall’apertura di nuovi e preoccupanti
fronti di guerra.
Basti qui citare la recente legge “antiterrorismo”, dell’aprile
dell’anno scorso, che se da una parte crea nuove fattispecie di reato
tanto generiche e arbitrarie quanto lo è il concetto di terrorismo,
dall’altra, rifinanzia decine di missioni militari italiane all’estero
per diverse centinaia di milioni di euro.
Nel mentre le città vengono via via militarizzate, sorgono veri e propri
campi di internamento, si applicano leggi speciali per reprimere il
dissenso (come l’utilizzo del reato di “devastazione e saccheggio” per
reprimere le manifestazioni di piazza), vengono smantellate pezzo dopo
pezzo la sanità, la scuola, l’edilizia pubblica, viene data libertà di
licenziamento e di sfruttamento…
La giornata di mobilitazione a L’Aquila non è dunque soltanto
espressione di lotta contro il carcere, di solidarietà e sostegno a chi
anche nel carcere di Preturo tiene la testa alta, a chi anche in quel
carcere ha fatto reclamo scritto contro la circolare del DAP, fra cui
Nadia, Salvatore e chissà quanti altri dei quali nulla si sa fuori.
Essa vuole essere parte della più vasta mobilitazione contro le guerre
saccheggiatrici, lo sfruttamento, la repressione, dai fogli di via
passando per le espulsioni delle persone arrivate in Europa perché messe
in fuga dalle guerre. Dagli arresti domiciliari, fino all’isolamento e
alla tortura che lo stato adopera per dividere, intimidire, per imporre
interessi devastanti in ogni senso. In quest’ottica, fa proprio
l’appello alla mobilitazione lanciato dalle carceri, per i primi di
giugno di quest’anno, contro l’ergastolo ostativo.
Togliere al sistema penale, di cui le carceri ne sono la base, la
capacità di esercitare la violenza per dividere la classe sfruttata è
oggi più che mai necessità vitale.
Confrontarsi, approfondire la conoscenza della realtà in cui siamo
immersi è necessario per costruire unità effettiva nella lotta; segno
che anche questa giornata vuole vivere, comunicare.
Giugno 2016
Campagna “pagine contro la tortura”
Adesione
Da tempo stiamo portando avanti una campagna contro il 41bis applicato ai detenuti politici, per la difesa delle loro condizioni di vita, e in particolare per la difesa delle condizioni di Nadia Lioce, unica donna prigioniera politica sottoposta a strette restrizioni nel carcere de L'Aquila.
Contro il 41bis è in corso una campagna di “pagine contro la tortura” che sta centrando le iniziative su un aspetto, particolarmente odioso e repressivo del regime 41bis.
La nostra mobilitazione è principalmente rivolta per quei detenuti politici rivoluzionari, verso cui lo Stato agisce con particolare repressione, appunto applicando il 41bis, perchè non si sono pentiti e rivendicano la lotta contro questo Stato borghese.
Con l'applicazione del 41 bis ai detenuti politici è la lotta rivoluzionaria che lo Stato vuole colpire.
Siamo per la liberazione dei prigionieri politici, siamo per la difesa delle loro condizioni nelle
carceri.
Questa battaglia è interna alla lotta contro la repressione, lo Stato di polizia e il moderno fascismo.
Questa manifestazione a L'Aquila è all'interno delle manifestazioni che si sviluppano in tutto il mondo a difesa dei prigionieri politici rivoluzionari. E in particolare segnaliamo le manifestazioni del 19 giugno – 30° anniversario della resistenza eroica dei prigionieri politici e di guerra peruviani e del loro massacro – e comunichiamo la nostra adesione alla manifestazione nazionale per George Ibrahim Abdallah
MOVIMENTO FEMMINISTA PROLETARIO RIVOLUZIONARIO
SOCCORSO ROSSO PROLETARIO