Contro il sionismo e l'imperialismo, contro la complicità del governo Renzi, che manda al massacro le donne Nigeriane invece di accoglierle e concedergli asilo politico e continua a sostenere la guerra genocida di Israele contro il popolo palestinese
NOI NON SIAMO COMPLICI
SIAMO CON LE SORELLE NIGERIANE E PALESTINESI
SIAMO INTERNAZIONALISTE E PROLETARIE
SIAMO ANTIMPERIALISTE
e continuiamo con forza a gridare:
IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE
INTERNAZIONALISMO, RIVOLUZIONE
Da una mail dell'UDI di Napoli:
Mediterranea
- UDI Catania
ORRORI “LONTANI” - settembre 2015
Settembre 2015 - Rapporto ONU sulle vittime di BOKO HARAM
Quasi un milione e mezzo di bambini sono oggi profughi tra
Nigeria, Camerun, Niger e Chad
La recente relazione delle agenzie dell’ONU che assistono le popolazioni
dell’area in Africa
elenca il numero e le condizioni delle vittime di Boko Haram - tra le
popolazioni che fuggono e
cercano ricovero nei paesi vicini un numero impressionate di bambini,
che ha avuto una
accelerazione nei mesi estivi. Di questo milione e mezzo di bambini,
circa la metà ha un’età
inferiore ai 5 anni e il numero maggiore si è riversato nei territori
nord della Nigeria.
Continua la relazione dell’ONU: si continua a uccidere, rapire e usare
donne e bambini come
bombe umane, nonostante gli sforzo congiunti dei paesi minacciati da
Boko Haram i terroristi
continuano ad attaccare i villaggi per procurasi beni di sussistenza, si
moltiplicano gli attacchi ai
luoghi di culto, ai mercati, alle fermate degli autobus.
Chi sono i terroristi protagonisti degli attacchi suicidi, la forma più
sanguinaria di violenza
praticata da Boko Haram al prezzo della vita di bambine e bambini
ignari? Leggiamo in un
comunicato degli uffici dell’ONU in Chad del luglio scorso, distribuito
tra il personale per
tentare di individuare i kamikaze: hanno la pelle chiara nella parte
inferiore del viso, perché si
sono rasati da poco, sono vigili e concentrati, parlano da soli - forse
stanno pregando -, portano
abiti pesanti e sporchi.
La maggior parte di loro sono adolescenti
vulnerabili.
In Camerun sono venditrici di datteri, bambine che chiedono l’elemosina,
non hanno alcuna
ideologia e spesso non sanno di trasportare esplosivo, sono state
avvicinate in cambio di poche
monete.
In Nigeria invece molte ragazze tra quelle che nei mesi precedenti sono
state rapite dai loro
villaggi e che sono state ‘consegnate’ ai combattenti, dopo la morte in
azione del kamikaze
decidono di dedicarsi alla causa e a loro volta “scelgono” di darsi la
morte: è una terribile
maniera di mettere fine a un calvario di cui non sperano più la fine.
Si intensificano i controlli sulle scuole coraniche, individuate un po’
ovunque come possibili
luoghi di indottrinamento ideologico, ma i risultati sono scarsi.
Il coordinatore delle attività ONU in zona denuncia che nello stesso
tempo stanno venendo a
mancare i mezzi finanziari per il sostegno di base alla massa di
rifugiati riparati nei vari ‘campi’:
da febbraio 2015 mancano vestiti, letti, protezioni contro gli insetti e
le prossime piogge.
In alcuni campi i rifugiati mangiano una sola volta al giorno e la
fornitura di medicinali è sempre
precaria.
Nessuna assistenza è possibile per lo stato di choc e psicosi
soprattutto di più piccoli
provenienti da aree della Nigeria in cui i raid di Boko Haram sono
diventati un incubo
quotidiano.
Settembre 1982 – Sabra e Shatila, trentatre anni fa, all’alba
La strage nel quartiere-campo palestinese di Sabra e Shatila, a Beirut,
il 18 settembre, in azione
i falangisti libanesi con il supporto logistico dell’esercito israeliano
di Ariel Sharon.
Oltre 3000
civili trucidati.
Da un articolo di Maurizio Musolino
Trentatré anni sono passati dalla strage di Sabra e Shatila e da allora
ogni anno si rinnova la
catarsi di un ricordo che è anche un guardarsi indietro, verso la
propria storia fatta di sconfitte
e speranze, e un cercare in quel drammatico evento le ragioni per andare
avanti alla ricerca di
un futuro difficile da individuare. Oggi come allora, infatti, si cerca
di negare al popolo di Palestina
il presente; ieri con la mattanza messa in atto dai falangisti alleati
di Israele e oggi attraverso
l’assenza di diritti e vessazioni di ogni tipo, disperdendoli nel mondo
per cancellarne la
memoria e la possibilità di futuro.
«Mio nonno era un palestinese e abitava in Galilea, poi venne la guerra,
bruciarono i nostri villaggi.
Ci rifugiammo prima in Libano, poi a Damasco. Da allora la mia famiglia
divenne palestinese
rifugiata in Siria. Io sono nata a Yarmuk, non ho mai capito bene cosa
ero: palestinese, ma
anche siriana… Non potevo negare le mie origini, la Palestina, ma la
Siria era il paese che aveva
accolto la mia famiglia e io ci vivevo bene. Poi la Siria è esplosa,
Yarmuk è diventato teatro di
scontri e violenze e sono fuggita in Libano, divenendo così una
palestinese rifugiata in Siria che
vive da profuga in Libano. Mio figlio oggi non vuole restare qui, ha 23
anni e vuole raggiungere
un suo zio in Norvegia. Cosa diventerà? Non sappiamo più cosa siamo!».
Parole semplici e nello
stesso tempo piene di disperazione, dette da Amal, una dei tantissimi
profughi che sono arrivati
in questi mesi dalla Siria. Fra questi sono circa 40mila quelli di
origine palestinese. Uno spaccato
della tragedia di un popolo. Per lei il massacro di Sabra e Chatila è
solo un ricordo, uno dei tanti
brutti ricordi.
Sono in tanti a voler scacciare l’ombra del massacro compiuto dalle
falangi libanesi (cristiani
maroniti). Lo fanno da sempre gli esecutori, che continuano a negare
spudoratamente quel crimine.
Lo fa anche una parte della popolazione palestinese, frustrata dalle
troppe ingiustizie
subite e schiacciata da un futuro inesistente. Ma quel ricordo, quella
memoria, resta viva, come
una ferita aperta. Una ferita che si palesa negli occhi dei familiari
delle vittime, che ostinatamente
chiedono giustizia per i loro cari. Donne e anziani che portano sulle
spalle la responsabilità di traghettare la memoria del popolo
palestinese alle nuove generazioni.
MEDITERRANEA UDI Catania
A cura di Carla Pecis - 20 settembre 2015
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