25/09/15

Orrori lontani... ma non abbastanza per non esserne complici!

Contro il sionismo e l'imperialismo, contro la complicità del governo Renzi, che manda al massacro le donne Nigeriane invece di accoglierle e concedergli asilo politico e continua a sostenere la guerra genocida di Israele contro il popolo palestinese
NOI NON SIAMO COMPLICI
SIAMO CON LE SORELLE NIGERIANE E PALESTINESI
SIAMO INTERNAZIONALISTE E PROLETARIE
SIAMO ANTIMPERIALISTE
e continuiamo con forza a gridare:
IL PROLETARIATO NON HA NAZIONE
INTERNAZIONALISMO, RIVOLUZIONE

Da una mail dell'UDI di Napoli:

Mediterranea - UDI Catania ORRORI “LONTANI” - settembre 2015 Settembre 2015 - Rapporto ONU sulle vittime di BOKO HARAM Quasi un milione e mezzo di bambini sono oggi profughi tra Nigeria, Camerun, Niger e Chad La recente relazione delle agenzie dell’ONU che assistono le popolazioni dell’area in Africa elenca il numero e le condizioni delle vittime di Boko Haram - tra le popolazioni che fuggono e cercano ricovero nei paesi vicini un numero impressionate di bambini, che ha avuto una accelerazione nei mesi estivi. Di questo milione e mezzo di bambini, circa la metà ha un’età inferiore ai 5 anni e il numero maggiore si è riversato nei territori nord della Nigeria.
Continua la relazione dell’ONU: si continua a uccidere, rapire e usare donne e bambini come bombe umane, nonostante gli sforzo congiunti dei paesi minacciati da Boko Haram i terroristi continuano ad attaccare i villaggi per procurasi beni di sussistenza, si moltiplicano gli attacchi ai luoghi di culto, ai mercati, alle fermate degli autobus.
Chi sono i terroristi protagonisti degli attacchi suicidi, la forma più sanguinaria di violenza praticata da Boko Haram al prezzo della vita di bambine e bambini ignari? Leggiamo in un comunicato degli uffici dell’ONU in Chad del luglio scorso, distribuito tra il personale per tentare di individuare i kamikaze: hanno la pelle chiara nella parte inferiore del viso, perché si sono rasati da poco, sono vigili e concentrati, parlano da soli - forse stanno pregando -, portano abiti pesanti e sporchi.
La maggior parte di loro sono adolescenti vulnerabili. In Camerun sono venditrici di datteri, bambine che chiedono l’elemosina, non hanno alcuna ideologia e spesso non sanno di trasportare esplosivo, sono state avvicinate in cambio di poche monete. In Nigeria invece molte ragazze tra quelle che nei mesi precedenti sono state rapite dai loro villaggi e che sono state ‘consegnate’ ai combattenti, dopo la morte in azione del kamikaze decidono di dedicarsi alla causa e a loro volta “scelgono” di darsi la morte: è una terribile maniera di mettere fine a un calvario di cui non sperano più la fine. Si intensificano i controlli sulle scuole coraniche, individuate un po’ ovunque come possibili luoghi di indottrinamento ideologico, ma i risultati sono scarsi. Il coordinatore delle attività ONU in zona denuncia che nello stesso tempo stanno venendo a mancare i mezzi finanziari per il sostegno di base alla massa di rifugiati riparati nei vari ‘campi’: da febbraio 2015 mancano vestiti, letti, protezioni contro gli insetti e le prossime piogge. In alcuni campi i rifugiati mangiano una sola volta al giorno e la fornitura di medicinali è sempre precaria.
Nessuna assistenza è possibile per lo stato di choc e psicosi soprattutto di più piccoli provenienti da aree della Nigeria in cui i raid di Boko Haram sono diventati un incubo quotidiano.
 
Settembre 1982 – Sabra e Shatila, trentatre anni fa, all’alba La strage nel quartiere-campo palestinese di Sabra e Shatila, a Beirut, il 18 settembre, in azione i falangisti libanesi con il supporto logistico dell’esercito israeliano di Ariel Sharon.
Oltre 3000 civili trucidati. Da un articolo di Maurizio Musolino Trentatré anni sono passati dalla strage di Sabra e Shatila e da allora ogni anno si rinnova la catarsi di un ricordo che è anche un guardarsi indietro, verso la propria storia fatta di sconfitte e speranze, e un cercare in quel drammatico evento le ragioni per andare avanti alla ricerca di un futuro difficile da individuare. Oggi come allora, infatti, si cerca di negare al popolo di Palestina il presente; ieri con la mattanza messa in atto dai falangisti alleati di Israele e oggi attraverso l’assenza di diritti e vessazioni di ogni tipo, disperdendoli nel mondo per cancellarne la memoria e la possibilità di futuro. «Mio nonno era un palestinese e abitava in Galilea, poi venne la guerra, bruciarono i nostri villaggi. Ci rifugiammo prima in Libano, poi a Damasco. Da allora la mia famiglia divenne palestinese rifugiata in Siria. Io sono nata a Yarmuk, non ho mai capito bene cosa ero: palestinese, ma anche siriana… Non potevo negare le mie origini, la Palestina, ma la Siria era il paese che aveva accolto la mia famiglia e io ci vivevo bene. Poi la Siria è esplosa, Yarmuk è diventato teatro di scontri e violenze e sono fuggita in Libano, divenendo così una palestinese rifugiata in Siria che vive da profuga in Libano. Mio figlio oggi non vuole restare qui, ha 23 anni e vuole raggiungere un suo zio in Norvegia. Cosa diventerà? Non sappiamo più cosa siamo!».
Parole semplici e nello stesso tempo piene di disperazione, dette da Amal, una dei tantissimi profughi che sono arrivati in questi mesi dalla Siria. Fra questi sono circa 40mila quelli di origine palestinese. Uno spaccato della tragedia di un popolo. Per lei il massacro di Sabra e Chatila è solo un ricordo, uno dei tanti brutti ricordi. Sono in tanti a voler scacciare l’ombra del massacro compiuto dalle falangi libanesi (cristiani maroniti). Lo fanno da sempre gli esecutori, che continuano a negare spudoratamente quel crimine. Lo fa anche una parte della popolazione palestinese, frustrata dalle troppe ingiustizie subite e schiacciata da un futuro inesistente. Ma quel ricordo, quella memoria, resta viva, come una ferita aperta. Una ferita che si palesa negli occhi dei familiari delle vittime, che ostinatamente chiedono giustizia per i loro cari. Donne e anziani che portano sulle spalle la responsabilità di traghettare la memoria del popolo palestinese alle nuove generazioni.
MEDITERRANEA UDI Catania A cura di Carla Pecis - 20 settembre 2015

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