LA SIENA CHE NON DISPIACE A STAMPA E PARTITI.
Con una battuta potremmo dire che in generale è andata come da regia della
Comencini, a parte qualche fuori programma di salutari, benchè troppo
limitate, contestazioni alla Bindy, alla Perini di Fli, alla Camusso, e
qualche intervento bello, soprattutto delle giovani, fuori da copione.
Ma è andata in scena la sproporzione oggettiva tra la grande partecipazione
(più di 2000 donne) che dimostra una voglia di mobilitazione vasta,
articolata delle donne, con al centro soprattutto il doppio attacco alle
condizioni di lavoro; la sproporzione tra la forte denuncia fatta dal palco,
ma soprattutto dal Prato di Sant'Agostino, di alcune realtà di donne, di
lavoratrici, ragazze (di cui solo grazie al resoconto delle compagne del
mfpr di Milano, Bologna possiamo sapere qualcosa),
e l'indirizzo/incanalamento istituzionale che le promotrici hanno fatto di
questa potenzialità.
Questa contraddizione è stata anche visiva: da un lato lo striscione portato
dalle compagne di Bologna e del Mfpr "Costruiamo lo sciopero delle donne"
che è stato un punto visibile, con una parola d'ordine chiara che sintetizza
una linea e strada alternativa, uno striscione che anche Tv e stampa hanno
dovuto riportare; dall'altro a una compagna del movimento val Susa - il
movimento, in cui ci sono tantissime donne, tantissime ragazze, in questo
momento quello più radicale, più contro Governo, contro lo Stato di polizia,
ma anche contro il PD e la falsa opposizione di "sinistra" - che esponeva
una bandiera No Tav le è stato detto di toglierla, dimostrando che a
"destra" si proclama la fine di steccati, ideologie, l'inclusione, per cui
vanno bene tutte; a "sinistra" invece si elevano gli "steccati".
Ufficialmente è andata in scena una linea che nel denunciare una "politica"
che discrimina le donne, vuole costruire un movimento/rete e una politica
che chiama le donne ad entrare in questa "politica" per "trasformarla a
nostra immagine", che critica i partiti ma - come ha detto in conclusione
una delle organizzatrici, Maria Serena Sapegno - subito afferma: "non
vogliamo sostituirci ai partiti anzi vogliamo che tornino a far politica se
possibile sui bisogni delle persone."; che invita le donne a "lavorare per
noi" che però coincide col "lavorare per l'Italia", dare una "svolta al
paese", essere "cittadine del loro paese" . Cioè che chiama le donne ad
essere in prima fila nel migliorare questo paese senza mettere in
discussione che è un paese capitalista; che chiama le donne a mettere le
"tendine rosa" al "carcere" che è questo sistema sociale fondato sullo
sfruttamento di milioni di proletari e masse popolari e sulla doppia
oppressione, violenza verso le donne, senza dire che occorre il suo
rovesciamento.
Parlare dell'"Italia" senza aggiungere sempre la natura dell'Italia è unirsi
oggi ai cori, da Berlusconi a La Russa, da Bersani e Napolitano,
Marcegaglia, ecc. sulla loro Italia.
Le organizzatrici di "Se non ora quando" in una situazione in cui
giustamente tante donne, lavoratrici, precarie, ragazze che vedono messe
sotto i piedi dignità, condizioni di vita e futuro, denunciano e si
allontanano dalla politica ufficiale, dai partiti parlamentari, dicono alle
donne di riavvicinarsi - eliminando, per carità!, qualsiasi "contro" ("non
siamo contro nessuno" - ha precisato la Sapegno).
Di fatto un'operazione da serve del potere.
A Siena il problema non è stato tanto l'interclassismo - di fatto scontato
per questo tipo di manifestazione - ma il fatto che la mobilitazione delle
donne è stata ristretta e riferita ad una solo classe quella delle donne
medio borghesi che in questo "paese" capitalista vogliono avere spazio,
rappresentanza; per questo, usano la parola "femminile" al posto di
"femminismo" perché comunque vogliono oscurare/esorcizzare una parola che
allude alla ribellione delle donne.
Si è parlato molto del lavoro, dell'attacco ai diritti delle donne, di
maternità, del doppio attacco alle donne della controriforma Gelmini, ecc. E
questo è un bene. Su questo si sono cominciate a fare alcune proposte di
piattaforma (su ripristino divieto di dimissioni in bianco, su congedi
parentali, ecc.). Ma ad alcuni interventi di realtà di forte denuncia, che
hanno anche posto la necessità della lotta, si è di fatto contrapposta tutt'altra
linea che
o inserisce gli obiettivi rivendicativi in una logica ultraparziale di
vedere l'albero e non la foresta, di vedere l'effetto e non la causa - un
esempio è la questione dell'uso del tesoretto frutto dei risparmi per
allungamento età pensionabile delle donne su cui l'associazione Pari e
Dispare ha proposto una mobilitazione, anche contro una finanziaria
misogina, davanti a Montecitorio, ma nulla ha detto sul respingere l'attacco
alle pensioni;
o chiede che la politica, che è maschile, sia più attenta alle donne e alla
loro "agenda";
o chiede una presenza di donne nei posti che contano, a partire dalle liste
(le elezioni sono dietro l'angolo), affinchè ci sia il 50% di donne.
Per fortuna dalla piazza ci sono state le contestazioni, i fischi alle
parlamentari venute o a fare una difesa d'ufficio della "destra", del
sistema parlamentare (Perina del Fli); o venute a dire di "superare le
appartenenze di destra e di sinistra e di votare solo i partiti che fanno
gli interessi delle donne e le mettono in lista." (Giulia Bongiorno del
Fli), quindi venute a dire che non ci sono più ideologie, valori differenti
e contrapposti, per affermare di fatto l'unica ideologia, la loro; o venute
a fare una squalificante propaganda di partito. "chiederò al mio partito di
venire fra voi" (Rosy Pindi del Pd) a cui l'unica risposta dovrebbe essere:
"grazie No, No! Abbiamo già tanti problemi causati anche dal tuo partito.";
.
Ma in particolare, giustamente si sono levati fischi contro la Camusso -
certo, troppo insufficienti. Mentre parlava, una donna diceva: "sì, viene a
parlare quà di difesa del lavoro delle donne, ma poi ha firmato
l'accordo...". La Camusso che va a Siena per dire "senza lavoro le donne
saranno sempre più deboli... vengono buttate fuori appena arriva la crisi",
mentre è ancora fresca dell'abbraccio con la Marcegaglia per l'accordo che
permette alle aziende di poter adattare diritti, condizioni lavorative
secondo le loro esigenze produttive e di mercato, e quindi di poter buttare
fuori per prima le donne, come sta già avvenendo ormai senza neanche più
nasconderlo da parte dei padroni, andava cacciata. La Camusso si è
comportata come i tanti politicanti e sindacalisti maschi, che sui palchi
dicono una cosa e poi fanno altro. E il fatto che comunque abbia potuto
parlare e riceve anche applausi è la normale nefasta conseguenza della
ideologia "purchè siano donne, tutto va bene.", del ceto politico,
culturale, sindacale presente, della prevalente composizione di classe della
2 giorni di Siena.
Queste donne, questo uso da parte delle donne del "potere" non dispiace agli
uomini al potere economico e politico, dai partiti di destra come di
opposizione, in primis il PD, perché non mette in discussione la sostanza
del loro potere - anche la costruzione di questa manifestazione a Siena ha
visto un concerto di forze e contributi sospetto (dalla Fondazione Monte dei
Paschi di Siena, al Sindaco di Siena, da imprenditori locali, all'eco dato
dalla stampa anche esplicitamente padronale, come il Corriere della Sera,
ecc.).
Si tratta di storie di ordinaria servitù; che diventano ancora più
pericolose quando, come oggi, si tratta di servitù in un sistema politico di
moderno fascismo e di fascismo padronale, che soprattutto per le donne porta
avanti un moderno medioevo.
Non basta certo denunciare a parole tutto questo. E' necessaria un'altra
strada, un'altra politica indipendente da questo vecchio e nuovo
politicantismo, un'altra ideologia 'di parte', un altro movimento di lotta.
Un movimento che sappia unire la rivolta di dignità delle donne del 13 feb.
e di Siena con la battaglia delle operaie, lavoratrici, donne Fiom, con le
precarie, disoccupate che già lottano, con le donne della Val Susa, con le
ragazze ribelli, le studentesse del 14 dicembre, ecc. Un movimento che sia
femminista per esprimere con forza, determinazione la ribellione delle donne
contro tutti gli aspetti di oppressione di questo sistema e dei/delle loro
lacchè; che sia proletario, cioè della maggioranza delle donne, lavoratrici,
precarie, disoccupate di oggi o di domani, che sono doppiamente sfruttate e
oppresse; che sia rivoluzionario perché la liberazione, la battaglia di
dignità delle donne, la lotta contro i pesanti attacchi alle condizioni di
lavoro e di vita, non è frutto di un'entrata delle donne in questo sistema,
ma del suo rovesciamento.
Oggi questa strada richiede lo sciopero totale delle donne, che intrecci la
ribellione di genere alla ribellione di classe. Uno sciopero che sicuramente
non piacerà né alle Camusso, né ai Bersani, né alle Marcegaglia; uno
sciopero che sicuramente non vedrà accorrere benevole testate di stampa o
televisioni, che anzi faranno di tutto per oscurarlo o attaccarlo; uno
sciopero che sicuramente non vedrà nessuna regista mettere la sua esperienza
a sostegno di questa che sarebbe un'effettiva novità. Ma uno sciopero
necessario per aprire una strada necessaria.
Occorre unire le forze, lavorare per questo sciopero. Altrimenti anche ogni
giusta denuncia della due giorni di Siena resta impotente e, come è già
successo dopo il 13 febbraio - nonostante varie e importanti lotte di
lavoratrici, precarie, disoccupate, donne nei territori - ciò che va avanti,
chi ha "voce", chi si pone come "rappresentante" dei bisogni delle donne
sono quelle che escono sulla grande stampa, e che non dispiacciono al ceto
politico, sindacale.
Con una battuta potremmo dire che in generale è andata come da regia della
Comencini, a parte qualche fuori programma di salutari, benchè troppo
limitate, contestazioni alla Bindy, alla Perini di Fli, alla Camusso, e
qualche intervento bello, soprattutto delle giovani, fuori da copione.
Ma è andata in scena la sproporzione oggettiva tra la grande partecipazione
(più di 2000 donne) che dimostra una voglia di mobilitazione vasta,
articolata delle donne, con al centro soprattutto il doppio attacco alle
condizioni di lavoro; la sproporzione tra la forte denuncia fatta dal palco,
ma soprattutto dal Prato di Sant'Agostino, di alcune realtà di donne, di
lavoratrici, ragazze (di cui solo grazie al resoconto delle compagne del
mfpr di Milano, Bologna possiamo sapere qualcosa),
e l'indirizzo/incanalamento istituzionale che le promotrici hanno fatto di
questa potenzialità.
Questa contraddizione è stata anche visiva: da un lato lo striscione portato
dalle compagne di Bologna e del Mfpr "Costruiamo lo sciopero delle donne"
che è stato un punto visibile, con una parola d'ordine chiara che sintetizza
una linea e strada alternativa, uno striscione che anche Tv e stampa hanno
dovuto riportare; dall'altro a una compagna del movimento val Susa - il
movimento, in cui ci sono tantissime donne, tantissime ragazze, in questo
momento quello più radicale, più contro Governo, contro lo Stato di polizia,
ma anche contro il PD e la falsa opposizione di "sinistra" - che esponeva
una bandiera No Tav le è stato detto di toglierla, dimostrando che a
"destra" si proclama la fine di steccati, ideologie, l'inclusione, per cui
vanno bene tutte; a "sinistra" invece si elevano gli "steccati".
Ufficialmente è andata in scena una linea che nel denunciare una "politica"
che discrimina le donne, vuole costruire un movimento/rete e una politica
che chiama le donne ad entrare in questa "politica" per "trasformarla a
nostra immagine", che critica i partiti ma - come ha detto in conclusione
una delle organizzatrici, Maria Serena Sapegno - subito afferma: "non
vogliamo sostituirci ai partiti anzi vogliamo che tornino a far politica se
possibile sui bisogni delle persone."; che invita le donne a "lavorare per
noi" che però coincide col "lavorare per l'Italia", dare una "svolta al
paese", essere "cittadine del loro paese" . Cioè che chiama le donne ad
essere in prima fila nel migliorare questo paese senza mettere in
discussione che è un paese capitalista; che chiama le donne a mettere le
"tendine rosa" al "carcere" che è questo sistema sociale fondato sullo
sfruttamento di milioni di proletari e masse popolari e sulla doppia
oppressione, violenza verso le donne, senza dire che occorre il suo
rovesciamento.
Parlare dell'"Italia" senza aggiungere sempre la natura dell'Italia è unirsi
oggi ai cori, da Berlusconi a La Russa, da Bersani e Napolitano,
Marcegaglia, ecc. sulla loro Italia.
Le organizzatrici di "Se non ora quando" in una situazione in cui
giustamente tante donne, lavoratrici, precarie, ragazze che vedono messe
sotto i piedi dignità, condizioni di vita e futuro, denunciano e si
allontanano dalla politica ufficiale, dai partiti parlamentari, dicono alle
donne di riavvicinarsi - eliminando, per carità!, qualsiasi "contro" ("non
siamo contro nessuno" - ha precisato la Sapegno).
Di fatto un'operazione da serve del potere.
A Siena il problema non è stato tanto l'interclassismo - di fatto scontato
per questo tipo di manifestazione - ma il fatto che la mobilitazione delle
donne è stata ristretta e riferita ad una solo classe quella delle donne
medio borghesi che in questo "paese" capitalista vogliono avere spazio,
rappresentanza; per questo, usano la parola "femminile" al posto di
"femminismo" perché comunque vogliono oscurare/esorcizzare una parola che
allude alla ribellione delle donne.
Si è parlato molto del lavoro, dell'attacco ai diritti delle donne, di
maternità, del doppio attacco alle donne della controriforma Gelmini, ecc. E
questo è un bene. Su questo si sono cominciate a fare alcune proposte di
piattaforma (su ripristino divieto di dimissioni in bianco, su congedi
parentali, ecc.). Ma ad alcuni interventi di realtà di forte denuncia, che
hanno anche posto la necessità della lotta, si è di fatto contrapposta tutt'altra
linea che
o inserisce gli obiettivi rivendicativi in una logica ultraparziale di
vedere l'albero e non la foresta, di vedere l'effetto e non la causa - un
esempio è la questione dell'uso del tesoretto frutto dei risparmi per
allungamento età pensionabile delle donne su cui l'associazione Pari e
Dispare ha proposto una mobilitazione, anche contro una finanziaria
misogina, davanti a Montecitorio, ma nulla ha detto sul respingere l'attacco
alle pensioni;
o chiede che la politica, che è maschile, sia più attenta alle donne e alla
loro "agenda";
o chiede una presenza di donne nei posti che contano, a partire dalle liste
(le elezioni sono dietro l'angolo), affinchè ci sia il 50% di donne.
Per fortuna dalla piazza ci sono state le contestazioni, i fischi alle
parlamentari venute o a fare una difesa d'ufficio della "destra", del
sistema parlamentare (Perina del Fli); o venute a dire di "superare le
appartenenze di destra e di sinistra e di votare solo i partiti che fanno
gli interessi delle donne e le mettono in lista." (Giulia Bongiorno del
Fli), quindi venute a dire che non ci sono più ideologie, valori differenti
e contrapposti, per affermare di fatto l'unica ideologia, la loro; o venute
a fare una squalificante propaganda di partito. "chiederò al mio partito di
venire fra voi" (Rosy Pindi del Pd) a cui l'unica risposta dovrebbe essere:
"grazie No, No! Abbiamo già tanti problemi causati anche dal tuo partito.";
.
Ma in particolare, giustamente si sono levati fischi contro la Camusso -
certo, troppo insufficienti. Mentre parlava, una donna diceva: "sì, viene a
parlare quà di difesa del lavoro delle donne, ma poi ha firmato
l'accordo...". La Camusso che va a Siena per dire "senza lavoro le donne
saranno sempre più deboli... vengono buttate fuori appena arriva la crisi",
mentre è ancora fresca dell'abbraccio con la Marcegaglia per l'accordo che
permette alle aziende di poter adattare diritti, condizioni lavorative
secondo le loro esigenze produttive e di mercato, e quindi di poter buttare
fuori per prima le donne, come sta già avvenendo ormai senza neanche più
nasconderlo da parte dei padroni, andava cacciata. La Camusso si è
comportata come i tanti politicanti e sindacalisti maschi, che sui palchi
dicono una cosa e poi fanno altro. E il fatto che comunque abbia potuto
parlare e riceve anche applausi è la normale nefasta conseguenza della
ideologia "purchè siano donne, tutto va bene.", del ceto politico,
culturale, sindacale presente, della prevalente composizione di classe della
2 giorni di Siena.
Queste donne, questo uso da parte delle donne del "potere" non dispiace agli
uomini al potere economico e politico, dai partiti di destra come di
opposizione, in primis il PD, perché non mette in discussione la sostanza
del loro potere - anche la costruzione di questa manifestazione a Siena ha
visto un concerto di forze e contributi sospetto (dalla Fondazione Monte dei
Paschi di Siena, al Sindaco di Siena, da imprenditori locali, all'eco dato
dalla stampa anche esplicitamente padronale, come il Corriere della Sera,
ecc.).
Si tratta di storie di ordinaria servitù; che diventano ancora più
pericolose quando, come oggi, si tratta di servitù in un sistema politico di
moderno fascismo e di fascismo padronale, che soprattutto per le donne porta
avanti un moderno medioevo.
Non basta certo denunciare a parole tutto questo. E' necessaria un'altra
strada, un'altra politica indipendente da questo vecchio e nuovo
politicantismo, un'altra ideologia 'di parte', un altro movimento di lotta.
Un movimento che sappia unire la rivolta di dignità delle donne del 13 feb.
e di Siena con la battaglia delle operaie, lavoratrici, donne Fiom, con le
precarie, disoccupate che già lottano, con le donne della Val Susa, con le
ragazze ribelli, le studentesse del 14 dicembre, ecc. Un movimento che sia
femminista per esprimere con forza, determinazione la ribellione delle donne
contro tutti gli aspetti di oppressione di questo sistema e dei/delle loro
lacchè; che sia proletario, cioè della maggioranza delle donne, lavoratrici,
precarie, disoccupate di oggi o di domani, che sono doppiamente sfruttate e
oppresse; che sia rivoluzionario perché la liberazione, la battaglia di
dignità delle donne, la lotta contro i pesanti attacchi alle condizioni di
lavoro e di vita, non è frutto di un'entrata delle donne in questo sistema,
ma del suo rovesciamento.
Oggi questa strada richiede lo sciopero totale delle donne, che intrecci la
ribellione di genere alla ribellione di classe. Uno sciopero che sicuramente
non piacerà né alle Camusso, né ai Bersani, né alle Marcegaglia; uno
sciopero che sicuramente non vedrà accorrere benevole testate di stampa o
televisioni, che anzi faranno di tutto per oscurarlo o attaccarlo; uno
sciopero che sicuramente non vedrà nessuna regista mettere la sua esperienza
a sostegno di questa che sarebbe un'effettiva novità. Ma uno sciopero
necessario per aprire una strada necessaria.
Occorre unire le forze, lavorare per questo sciopero. Altrimenti anche ogni
giusta denuncia della due giorni di Siena resta impotente e, come è già
successo dopo il 13 febbraio - nonostante varie e importanti lotte di
lavoratrici, precarie, disoccupate, donne nei territori - ciò che va avanti,
chi ha "voce", chi si pone come "rappresentante" dei bisogni delle donne
sono quelle che escono sulla grande stampa, e che non dispiacciono al ceto
politico, sindacale.
Margherita Mfpr Taranto
13.7.11
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