17/09/24

Le conseguenze dello stigma dell’aborto

Il 9 agosto, in provincia di Parma, in un campo era stato trovato  sotterrato il corpo di un neonato.
Qualche giorno fa, un secondo corpo, apparentemente di un neonato, sepolto nello stesso campo, deceduto dopo il parto. Attraverso l’analisi del DNA  è stata identificata la madre, una 22enne del posto, così come il padre, coetaneo della ragazza.
Queste storie impongono alcune riflessioni che sono necessarie a partire dall'ennesimo caso di infanticidio. Sarebbe importante interrogarsi sul rapporto tra politiche di negazione del diritto di aborto o di stigma sociale rispetto all’accesso all’aborto ed episodi di questo tipo. 
presidio all'ospedale di Torino

Bisogna dirlo, in questo paese le donne non sono libere di abortire, non sono libere di scegliere di interrompere volontariamente una gravidanza senza cedere sotto il peso della tagliola del giudizio, dello stigma sociale, dello stigma familiare. Ma sarebbe molto interessante capire quanto la negazione del diritto di aborto incida sulla salute mentale delle persone, quanto le politiche reazionarie rispetto ai diritti riproduttivi incidano rispetto a violenze ed episodi violenti come in questo caso. 
Attualmente noi viviamo in uno situazione al limite, tale per cui il diritto all’aborto è garantito soltanto su carta, non lo è nei fatti. Manca il rispetto della volontà che le donne possano scegliere in maniera libera.
Viviamo in un paese in cui l'aborto è un tabù, in cui le donne che scelgono di abortire continuano ad essere tacciate, oggi dal Papa, domani dalla ministra di turno, dopodomani ancora dai familiari, amici, partner e parenti, di essere delle assassine. Non viviamo in un paese in cui le donne sono realmente libere di scegliere. E’ inutile continuare a parlare di leggi, diritti e dati se non continuiamo a interrogarci concretamente sul peso che lo stigma sociale assume sulla scelta delle donne.
In Italia chi abortisce non si sente libera di raccontarlo senza sentirsi gli occhi addosso, il dito puntato; gli antiabortisti giudicanti ce li abbiamo in casa, negli ospedali, nei consultori, in politica, ovunque, la riprovazione sociale e culturale sono i primi strumenti di controllo sui corpi e sulle scelte delle donne. 
Il diritto all’autodeterminazione delle donne è sotto attacco. Il governo, oltre a procedere nello smantellamento del servizio sanitario pubblico, nella carenza strutturale di consultori e personale medico rispetto ai percorsi sulla salute di genere, elargisce consistenti finanziamenti alle associazioni antiabortiste.
L’ultima mossa è la creazione della “stanza dell’ascolto” inaugurata dall’ospedale pubblico Sant’Anna di Torino. Si tratta di uno sportello gestito da volontari/e di un’associazione antiabortista, il “movimento per la vita”, senza nessuna competenza scientifica, con lo scopo di fornire una presunta assistenza alle donne che vogliono interrompere la propria gravidanza e – nel caso in cui non lo facessero – un sostegno economico. La “stanza dell’ascolto” riceve soldi pubblici che vengono elargiti ad associazioni che entrano nei luoghi pubblici con l’unico scopo di iniziare un lavaggio del cervello della donna, “ma perché lo fai”, “non capisco questa negazione della maternità”, “ti sentirai per sempre in colpa”. In altre parole,  non te la faccio passare semplice se decidi di abortire.  
Lotteremo perché lo spazio della sanità rispetti il diritto di scelta delle donne sulla propria vita e sul proprio corpo; combatteremo il tabù dell’aborto rompendo il silenzio che affligge questo tema, oggi più che mai. 

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