25/01/16

Nuovo Lavoro su "donne e Resistenza" a cura del Mfpr - presentazione e introduzione



Nel seminario di Palermo del 6- 7 giugno 2015 per il 20° anniversario del movimento femminista proletario rivoluzionario ci siamo rese conto di aver prodotto poco sulle donne nella Resistenza antifascista, considerazione che non poteva sfuggirci proprio nel 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.Pertanto, abbiamo deciso di colmare questa lacuna partendo da un lavoro di ricerca della pubblicistica disponibile “perché per la nostra lotta è essenziale, perché una parte delle cose che diciamo si sono già fatte. Quindi è una ricchezza e ce la dobbiamo riprendere tutta e riconsegnarla” (vedi gli atti del seminario di Palermo del 6-7 giugno 2015)
Iniziamo, quindi, a presentare un lavoro su donne e Resistenza, una sorta di work in progress. Certamente un lavoro  non ordinato, in questa prima fase, ma necessario per non ricominciare sempre da zero. Senza memoria non c’è futuro e questo, per le donne, vale doppiamente. Ci baseremo su raccolte di testimonianze orali, atti di convegni, memorialistica delle operaie, studentesse, casalinghe, intellettuali che hanno dato il loro contributo nella lotta contro il fascismo e nella Resistenza partigiana, testi che, oggi, a 70 anni di distanza dalla Liberazione sono di fondamentale importanza per la ricchezza di elementi di conoscenza, la comprensione anche delle contraddizioni interne, la doppia, tripla  lotta che le donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convezioni sociali sia contro  la diffidenza nell’accettarle nella lotta partigiana. Del resto le concezioni oscurantiste e reazionarie contro le donne profuse a piene mani dal regime fascista avevano avuto tutto il tempo di attecchire e permeare profondamente la società.
In molti dei racconti orali si dipana un filo rosso da inizio secolo con le lotte contro la guerra, la miseria, i bassi salari, le condizioni di lavoro, insomma un forte conflitto di classe sia nelle campagne che nelle fabbriche, sfociato nelle occupazioni delle fabbriche- il biennio rosso-, con una successiva forte repressione con licenziamenti delle avanguardie e le “liste nere”, gli attacchi squadristi, la repressione fino a carcere, confino, messa fuori legge dei partiti, censura della stampa, il lavoro clandestino durante il fascismo con un grosso sforzo di propaganda. Ritroveremo le comuniste, le donne comunque che avevano riferimenti ideologici ed organizzativi prima del fascismo attive e instancabili nell’ attività clandestina e poi, appena uscite dal carcere o “liberate” dal confino o rientrate dall’estero, nell’organizzare la Resistenza. A tante di loro dobbiamo il lavoro teorico fatto negli anni successivi la Liberazione sul ruolo delle donne nella Resistenza.


Serve, quindi, inquadrare brevemente, per comprendere l’enorme contributo che le donne diedero alla lotta contro il fascismo, come il regime fascista abbia intrecciato la difesa degli interessi della borghesia con l’impianto ideologico dell’inferiorità delle donne, la centralità della famiglia e il ruolo, in essa delle donne, di mere riproduttrici della razza italica (si veda anche il dossier Donne fascismo Resistenza a cura del mfpr). Le donne della Resistenza portano un forte vento di ribellione contro l’odiosa oppressione subita durante il fascismo e istanze di un mondo migliore, contro le discriminazioni, vita misera dal punto di vista economico e sociale, negazione di accesso alla cultura, orizzonti angusti in cui sprecare le proprie vite.
Naturalmente, il fascismo organizzò anche il consenso femminile. Inizialmente “attrae” il femminismo democratico con l’ accoglimento delle istanze del diritto di voto alle donne e del divorzio: con le leggi speciali successive viene definitivamente smentito; sarà soprattutto con l’ Unione delle massaie rurali, prima, e della Sezione Operaie e Lavoratrici a Domicilio poi, che il regime “irreggimenta” le grandi masse femminili, ma, soprattutto, sarà l’opera del femminismo cattolico con la mistica della “missione materna” a dare al fascismo  un pieno sostegno assumendo un ruolo attivo di diffusione degli “ideali fascisti”. “L’ organizzazione”, l’indottrinamento dei giovani, invece, avviene attraverso la scuola.

Queste brevi note basterebbero già da sole a far comprendere la necessità, oggi, di riprendere gli insegnamenti che ci vengono dalla Resistenza: gli attacchi ai diritti al lavoro e sul lavoro non hanno precedenti; gli attacchi al diritto d’aborto non si sono mai fermati; la centralità della famiglia viene tutti i giorni evocata e il suo ruolo di ammortizzatore sociale è un fatto materiale, “normale”, ancora una volta, soprattutto in tempi di crisi.
Nel primo dopoguerra, al ritorno dei soldati dal fronte, si scatena la prima “guerra” contro le operaie, lavoratrici che avevano sostituito gli uomini nelle fabbriche, nelle campagne, in diversi comparti. La disoccupazione, anche per effetto della crisi, oltre che per il ritorno dei soldati dal fronte si cerca di “risolverla” prima con il dimezzamento del salario delle operaie che, in questo modo venivano spinte a lasciare il lavoro agli uomini poi con le famose leggi discriminatorie verso il lavoro delle donne, ma, soprattutto, con la centralità della famiglia e la divisione dei ruoli in essa. Non è un caso che, durante il regime fascista, si hanno scioperi nelle fabbriche tessili, delle tabacchine e delle mondariso. Ricordiamo, pertanto, l’ esclusione delle donne dall’insegnamento delle lettere e della filosofia nei licei, perché non idonee alla formazione ideologica della nuova gioventù littoria, a cui farà seguito l’esclusione delle donne dal ruolo di preside e direttore delle scuole; l’aumento delle tasse universitarie per le donne che contribuirà ad aumentare il divario nell’ accesso all’ istruzione; il Codice Rocco che istituzionalizza l’inferiorità della donna e il suo ruolo subordinato nella famiglia, introducendo la distinzione tra adulterio e concubinato con cui le donne che tradivano venivano condannate a pene molto più severe dell’uomo; ma, soprattutto nell’ambito della politica demografica, l’aborto viene considerato un crimine contro lo Stato. Un insieme di eventi contribuiscono a creare malcontento, a incrinare il consenso al fascismo.
Le leggi razziali, la partecipazione alla guerra di Spagna prima e alla seconda guerra mondiale poi con i soldati morti, ma anche i bombardamenti delle città con morti, fame, mancanza di legna e carbone-tutte le risorse devono essere canalizzate al sostegno dello “sforzo bellico”- mancanza di case…sempre più il fascismo viene riconosciuto come responsabile del disastro verso cui sempre più rapidamente stava precipitando un intero paese.
Ma sono soprattutto gli scioperi del marzo 1943, le proteste di gruppi di donne sempre più numerosi contro la penuria di viveri danno visibilità, diremmo oggi, alla volontà di farla finita col fascismo. Il 10 luglio 1943 gli americani sbarcano in Sicilia e in breve tempo la conquistano. Il 16 luglio il re chiama Badoglio e gli prospetta la possibilità di sostituire Mussolini. Il 24 luglio viene presentato, durante la riunione del Gran Consiglio l’ordine del giorno per chiedere le dimissioni di Mussolini. Il 25 luglio il governo viene affidato a Badoglio, Mussolini arrestato. Le manifestazioni di gioia popolare sono immediate con assalti alle case del fascio. I fascisti cercano di rendersi invisibili. Cortei, manifestazioni per chiedere la liberazione immediata dei detenuti politici. In tutte c’è una grande partecipazione delle donne. Già il 27 luglio il generale Roatta emana una circolare contro queste manifestazioni e si hanno arresti di manifestanti, in alcuni casi la forza pubblica spara contro i dimostranti.
Partiamo dal lavoro di Bianca Guidetti Serra e la sua preziosissima raccolta di testimonianze orali di partigiane, tutte proletarie e che hanno vissuto ed operato in Piemonte. “Nei libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa facessero, quali finalità perseguissero…” (1)





Già questa considerazione basta a spiegare, da un lato, il fiorire, in particolare, intorno agli anni ’70 di lavori con al centro la partecipazione delle donne alla Resistenza, l’urgenza e la necessità di salvaguardare la memoria storica, dall’ altro dimostra che le donne devono lottare doppiamente, sempre, per non essere ricacciate indietro, marginalizzate, sminuite nel loro contributo e ruolo effettivo; parte della necessaria lotta contro la sottovalutazione delle donne, anche nel contesto di una guerra di popolo, come fu la Resistenza. L’aspetto che accomuna tutte le testimonianze, anche di dirigenti di alto livello, che generosamente, da subito hanno scritto pagine importantissime ed impareggiabili non solo sulla loro diretta esperienza e contributo alla lotta, è il contestualizzare il loro racconto riportando anche la loro vita vissuta che non è separata dall’attività ora sindacale ora più squisitamente politica
“..Hanno raccontato queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad altri, ai giovani soprattutto..”(1)
“La scelta antifascista, infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e, per quasi tutte, anche dopo. La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”(1)

Guidetti Serra raccoglie le testimonianze di operaie, comuniste, socialiste e, in un caso, di una donna anarchica, tutte di origine proletaria della Torino industriale; un filo rosso si dipana dalle testimonianze, nell’intreccio tra storia personale ed eventi storici di cui sono state parte attiva, delle più anziane che, ancora giovanissime, partecipano alle lotte contro la guerra, la miseria, della 1^ Guerra mondiale, alle occupazioni delle fabbriche, molte subiscono la repressione del regime fascista con licenziamenti, carcere, esilio, confino, ma anche gli assalti, le aggressioni delle squadre fasciste,  in condizioni durissime continuano con la costruzione della rete clandestina in primis del PCI clandestino, la diffusione della stampa che avrà, negli anni bui del fascismo prima e del nazifascismo poi, un’ importanza straordinaria.. le stesse fabbriche degli scioperi del ’43 e dello sciopero insurrezionale del 18 aprile del ’45. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole e come collettività..” (1)


Ma anche un racconto vivo della vita delle proletarie: tutte smettono giovanissime di andare a scuola per occuparsi dei fratelli più piccoli e/o per andare a lavorare troppo precocemente. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere. Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne… Destino di donne che si perpetua nell’età matura. A “casa” dal lavoro con destinazione “casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il contemporaneo espletamento dei due ruoli…….quale era la scelta alternativa al lavoro di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosidetto terziario, talvolta quello a domicilio”(1)


(1) Bianca Guidetti Serra, Compagne (Einaudi), La Resistenza italiana spiegata ai ragazzi (NdA press)

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