Nel seminario di Palermo
del 6- 7 giugno 2015 per il 20° anniversario del movimento femminista
proletario rivoluzionario ci siamo rese conto di aver prodotto poco sulle donne
nella Resistenza antifascista, considerazione che non poteva sfuggirci proprio nel
70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo.Pertanto, abbiamo deciso di
colmare questa lacuna partendo da un lavoro di ricerca della pubblicistica
disponibile “perché per la nostra lotta è essenziale, perché una parte delle
cose che diciamo si sono già fatte. Quindi è una ricchezza e ce la dobbiamo
riprendere tutta e riconsegnarla” (vedi gli atti del seminario di Palermo del
6-7 giugno 2015)
Iniziamo, quindi, a
presentare un lavoro su donne e Resistenza, una sorta di work in progress. Certamente
un lavoro non ordinato, in questa prima
fase, ma necessario per non ricominciare sempre da zero. Senza memoria non c’è
futuro e questo, per le donne, vale doppiamente. Ci baseremo su raccolte di
testimonianze orali, atti di convegni, memorialistica delle operaie,
studentesse, casalinghe, intellettuali che hanno dato il loro contributo nella
lotta contro il fascismo e nella Resistenza partigiana, testi che, oggi, a 70
anni di distanza dalla Liberazione sono di fondamentale importanza per la
ricchezza di elementi di conoscenza, la comprensione anche delle contraddizioni
interne, la doppia, tripla lotta che le
donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convezioni
sociali sia contro la diffidenza
nell’accettarle nella lotta partigiana. Del resto le concezioni oscurantiste e
reazionarie contro le donne profuse a piene mani dal regime fascista avevano
avuto tutto il tempo di attecchire e permeare profondamente la società.
In molti dei racconti
orali si dipana un filo rosso da inizio secolo con le lotte contro la guerra,
la miseria, i bassi salari, le condizioni di lavoro, insomma un forte conflitto
di classe sia nelle campagne che nelle fabbriche, sfociato nelle occupazioni
delle fabbriche- il biennio rosso-, con una successiva forte repressione con
licenziamenti delle avanguardie e le “liste nere”, gli attacchi squadristi, la
repressione fino a carcere, confino, messa fuori legge dei partiti, censura
della stampa, il lavoro clandestino durante il fascismo con un grosso sforzo di
propaganda. Ritroveremo le comuniste, le donne comunque che avevano riferimenti
ideologici ed organizzativi prima del fascismo attive e instancabili nell’
attività clandestina e poi, appena uscite dal carcere o “liberate” dal confino
o rientrate dall’estero, nell’organizzare la Resistenza. A tante di loro
dobbiamo il lavoro teorico fatto negli anni successivi la Liberazione sul ruolo
delle donne nella Resistenza.
Serve, quindi, inquadrare
brevemente, per comprendere l’enorme contributo che le donne diedero alla lotta
contro il fascismo, come il regime fascista abbia intrecciato la difesa degli
interessi della borghesia con l’impianto ideologico dell’inferiorità delle
donne, la centralità della famiglia e il ruolo, in essa delle donne, di mere
riproduttrici della razza italica (si veda anche il dossier Donne fascismo
Resistenza a cura del mfpr). Le donne della Resistenza portano un forte vento
di ribellione contro l’odiosa oppressione subita durante il fascismo e istanze
di un mondo migliore, contro le discriminazioni, vita misera dal punto di vista
economico e sociale, negazione di accesso alla cultura, orizzonti angusti in
cui sprecare le proprie vite.
Naturalmente, il fascismo
organizzò anche il consenso femminile. Inizialmente “attrae” il femminismo
democratico con l’ accoglimento delle istanze del diritto di voto alle donne e
del divorzio: con le leggi speciali successive viene definitivamente smentito;
sarà soprattutto con l’ Unione delle massaie rurali, prima, e della Sezione
Operaie e Lavoratrici a Domicilio poi, che il regime “irreggimenta” le grandi
masse femminili, ma, soprattutto, sarà l’opera del femminismo cattolico con la
mistica della “missione materna” a dare al fascismo un pieno sostegno assumendo un ruolo attivo
di diffusione degli “ideali fascisti”. “L’ organizzazione”, l’indottrinamento
dei giovani, invece, avviene attraverso la scuola.
Queste brevi note
basterebbero già da sole a far comprendere la necessità, oggi, di riprendere
gli insegnamenti che ci vengono dalla Resistenza: gli attacchi ai diritti al
lavoro e sul lavoro non hanno precedenti; gli attacchi al diritto d’aborto non
si sono mai fermati; la centralità della famiglia viene tutti i giorni evocata
e il suo ruolo di ammortizzatore sociale è un fatto materiale, “normale”,
ancora una volta, soprattutto in tempi di crisi.
Nel primo dopoguerra, al
ritorno dei soldati dal fronte, si scatena la prima “guerra” contro le operaie,
lavoratrici che avevano sostituito gli uomini nelle fabbriche, nelle campagne,
in diversi comparti. La disoccupazione, anche per effetto della crisi, oltre
che per il ritorno dei soldati dal fronte si cerca di “risolverla” prima con il
dimezzamento del salario delle operaie che, in questo modo venivano spinte a
lasciare il lavoro agli uomini poi con le famose leggi discriminatorie verso il
lavoro delle donne, ma, soprattutto, con la centralità della famiglia e la
divisione dei ruoli in essa. Non è un caso che, durante il regime fascista, si
hanno scioperi nelle fabbriche tessili, delle tabacchine e delle mondariso. Ricordiamo,
pertanto, l’ esclusione delle donne dall’insegnamento delle lettere e della
filosofia nei licei, perché non idonee alla formazione ideologica della nuova
gioventù littoria, a cui farà seguito l’esclusione delle donne dal ruolo di
preside e direttore delle scuole; l’aumento delle tasse universitarie per le
donne che contribuirà ad aumentare il divario nell’ accesso all’ istruzione; il
Codice Rocco che istituzionalizza l’inferiorità della donna e il suo ruolo
subordinato nella famiglia, introducendo la distinzione tra adulterio e concubinato
con cui le donne che tradivano venivano condannate a pene molto più severe
dell’uomo; ma, soprattutto nell’ambito della politica demografica, l’aborto
viene considerato un crimine contro lo Stato. Un insieme di eventi
contribuiscono a creare malcontento, a incrinare il consenso al fascismo.
Le leggi razziali, la
partecipazione alla guerra di Spagna prima e alla seconda guerra mondiale poi
con i soldati morti, ma anche i bombardamenti delle città con morti, fame,
mancanza di legna e carbone-tutte le risorse devono essere canalizzate al
sostegno dello “sforzo bellico”- mancanza di case…sempre più il fascismo viene
riconosciuto come responsabile del disastro verso cui sempre più rapidamente
stava precipitando un intero paese.
Ma sono soprattutto gli
scioperi del marzo 1943, le proteste di gruppi di donne sempre più numerosi
contro la penuria di viveri danno visibilità, diremmo oggi, alla volontà di
farla finita col fascismo. Il 10 luglio 1943 gli americani sbarcano in Sicilia
e in breve tempo la conquistano. Il 16 luglio il re chiama Badoglio e gli
prospetta la possibilità di sostituire Mussolini. Il 24 luglio viene
presentato, durante la riunione del Gran Consiglio l’ordine del giorno per
chiedere le dimissioni di Mussolini. Il 25 luglio il governo viene affidato a
Badoglio, Mussolini arrestato. Le manifestazioni di gioia popolare sono
immediate con assalti alle case del fascio. I fascisti cercano di rendersi
invisibili. Cortei, manifestazioni per chiedere la liberazione immediata dei
detenuti politici. In tutte c’è una grande partecipazione delle donne. Già il
27 luglio il generale Roatta emana una circolare contro queste manifestazioni e
si hanno arresti di manifestanti, in alcuni casi la forza pubblica spara contro
i dimostranti.
Partiamo dal lavoro di Bianca
Guidetti Serra e la sua preziosissima raccolta di testimonianze orali di
partigiane, tutte proletarie e che hanno vissuto ed operato in Piemonte. “Nei
libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre
del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai
combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa
facessero, quali finalità perseguissero…” (1)
Già questa considerazione
basta a spiegare, da un lato, il fiorire, in particolare, intorno agli anni ’70
di lavori con al centro la partecipazione delle donne alla Resistenza,
l’urgenza e la necessità di salvaguardare la memoria storica, dall’ altro
dimostra che le donne devono lottare doppiamente, sempre, per non essere ricacciate
indietro, marginalizzate, sminuite nel loro contributo e ruolo effettivo; parte
della necessaria lotta contro la sottovalutazione delle donne, anche nel
contesto di una guerra di popolo, come fu la Resistenza. L’aspetto che accomuna
tutte le testimonianze, anche di dirigenti di alto livello, che generosamente,
da subito hanno scritto pagine importantissime ed impareggiabili non solo sulla
loro diretta esperienza e contributo alla lotta, è il contestualizzare il loro
racconto riportando anche la loro vita vissuta che non è separata dall’attività
ora sindacale ora più squisitamente politica
“..Hanno raccontato
queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno
accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad
altri, ai giovani soprattutto..”(1)
“La scelta antifascista,
infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più
giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e,
per quasi tutte, anche dopo. La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni
appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena
rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”(1)
Guidetti Serra raccoglie
le testimonianze di operaie, comuniste, socialiste e, in un caso, di una donna
anarchica, tutte di origine proletaria della Torino industriale; un filo rosso
si dipana dalle testimonianze, nell’intreccio tra storia personale ed eventi
storici di cui sono state parte attiva, delle più anziane che, ancora giovanissime,
partecipano alle lotte contro la guerra, la miseria, della 1^ Guerra mondiale,
alle occupazioni delle fabbriche, molte subiscono la repressione del regime
fascista con licenziamenti, carcere, esilio, confino, ma anche gli assalti, le
aggressioni delle squadre fasciste, in
condizioni durissime continuano con la costruzione della rete clandestina in
primis del PCI clandestino, la diffusione della stampa che avrà, negli anni bui
del fascismo prima e del nazifascismo poi, un’ importanza straordinaria.. le
stesse fabbriche degli scioperi del ’43 e dello sciopero insurrezionale del 18
aprile del ’45. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva
accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole
e come collettività..” (1)
Ma anche un racconto vivo
della vita delle proletarie: tutte smettono giovanissime di andare a scuola per
occuparsi dei fratelli più piccoli e/o per andare a lavorare troppo
precocemente. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi
culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento
della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere.
Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume
mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne… Destino di
donne che si perpetua nell’età matura. A “casa” dal lavoro con destinazione
“casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più
fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie
per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale
mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il
contemporaneo espletamento dei due ruoli…….quale era la scelta alternativa al lavoro
di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosidetto terziario, talvolta
quello a domicilio”(1)
(1) Bianca Guidetti Serra, Compagne (Einaudi), La Resistenza italiana spiegata ai ragazzi (NdA press)
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