Sembra in alcuni momenti che le parti si siano invertite, ora sono gli immigrati ad “accogliere” gli italiani. Ieri fuori dal campo, nei prati antistanti dove ormai stanno gli immigrati che non si fanno 4 o 6 chilometri per andare ad Oria o al paese di Manduria, noi, la delegazione dello Slai cobas per il sindacato di classe e di Proletari comunisti, come altri compagni, siamo stati accolti con gioia, abbracci, calorose strette di mano; ed erano loro che ci offrivano l'acqua, i mandarini, ecc.
Ieri alle 15 era indetta una manifestazione antirazzista a livello regionale. La polizia, nonostante il divieto di manifestare fatto dal prefetto di Taranto, ha fatto un blocco soft soprattutto verso le macchine; un tentativo di indurirlo verso realtà che provenivano dal brindisino è stato subito sventato dalla protesta dei compagni.
Appena arrivati gli immigrati ci hanno aiutato a fare gli striscioni, poi appesi sul muretto di cinta del campo, insieme a una strisciata di foto della rivolta di sabato 2 aprile – molto apprezzata dagli immigrati – e all'unica bandiera rossa di tutta la manifestazione, quella dello slai cobas.
Negli striscioni e nel mini volantino, entrambi in francese, erano sintetizzate, insieme alla ripresa degli obiettivi (permesso di soggiorno per tutti – niente espulsioni, niente detenzione – libertà di circolazione), le parole d'ordine di questa fase:
“La lutte a commencé à gagner, mais nous devons continuer pou les papier ed les drois a vivre ed travailler” - “Liberté! Unitè travailleurs immigrès / travailleurs italiens”.
Come nei giorni precedenti abbiamo continuato a parlare con loro, a discutere sulla fase attuale – ancora di “attenta attesa” visti i vari ostacoli, politici e pratici che l'accordo e la risposta degli Stati europei pongono – sulla nostra attività, sulla realtà del governo Berlusconi (verso cui, chiaramente ora, a un primo giudizio la valutazione non è negativa, ma poi l'opinione cambia subito soprattutto quando si parla dell'amicizia/legame Berlusconi-Ben Alì, Mubarak, ecc. e degli attacchi fascisti ai diritti dei lavoratori italiani), e ancora sulla rivolta in Tunisia, ecc.
La discussione sulla rivolta contro Ben Alì e sulla situazione attuale in Tunisia è stata la più interessante. Un tunisino che parla bene l'italiano, riconosciuto dalla maggiorparte del campo come portavoce degli immigrati – dato che lui è arrivato con il primo gruppo, conosce, appunto, la nostra lingua per i rapporti con autorità del campo, interviste, ecc, e soprattutto si prodiga verso gli altri a dare informazioni, a raccogliere esigenze, ecc. - ci ha raccontato di episodi della tremenda repressione in Tunisia del governo di Ben Alì, delle torture nelle carceri, verso anche democratici, giovani intellettuali; uno, poco prima della rivolta, è stato spinto al suicidio.
Molti dei giovani che stanno ora a Manduria hanno partecipato alla rivolta. A questo punto, noi abbiamo chiesto del perchè, dopo la rivolta, hanno preferito lasciare la Tunisia e non sono rimasti a continuare la lotta. Lui ha detto che sì sarebbe stato giusto restare, ma che la situazione dopo la rivolta non è cambiata per quanto riguarda il lavoro, la difficoltà di vivere: “quando c'è una rivoluzione ci vuole un po' di tempo...”. Ora – ha continuato – a luglio ci sono le elezioni, prima vi era un solo partito, ora ce ne sono ben 49 che si mettono l'uno contro l'altro. Tutti parlano della rivolta, ma tutti si sono dimenticati che è il popolo tunisino che ha fatto la rivoluzione. “Ma noi non siamo stupidi!” ha concluso.
La realtà del campo di Manduria continua ad essere diversa. Gli immigrati esprimono una coscienza politica e sociale, una visione e risoluzione collettiva nella attuale situazione, la necessità della lotta collettiva – da riprendere se necessaria. Non si sentono posizioni qualunquiste, o inutilmente individualiste. Anche singoli episodi di atteggiamenti sbagliati con le popolazioni locali (ma stiamo parlano di 2 immigrati, che invece la stampa amplifica in maniera assurda e anche falsa), vengono condannati e bloccati dagli stessi tunisini.
Chiaramente sabato 2 aprile è stato il punto importante di svolta. E l'intreccio tra “scintilla esterna” la presenza dello slai cobas, di un'area di compagni antirazzisti e lotta interna continua a produrre una situazione che fa di Manduria un esempio diverso e positivo.
E' la rivolta collettiva di sabato scorso e questo intreccio che soprattutto hanno permesso di trasformare da un giorno all'altro la situazione. Così come di sbaragliare i fascisti e chi faceva le ronde (benchè ieri si sono visti ad un certo punto due che facevano nei giorni scorsi le ronde passare con la moto, avvicinarsi alla polizia e chiedere, in tono complice, se serviva una mano...). Un fascistello anziano che continua pervicacemente a stare davanti al campo, in maniera assolutamente indolore, ieri appena ha tentato di uscire un cartello è stato cacciato a malo modo da una nostra compagna e ha fatto una rapida ritirata.
Anche ieri la polizia/Digos non calava un attimo l'attenzione arrivando a fotografarci per il solo fatto che parlavano con gruppi di immigrati.
Infine, la manifestazione di ieri. Organizzata da realtà della regione antirazziste, dal cobas confederazione, ecc., è durata poco tempo, un presidio davanti al campo con pochi interventi – la cosa più positiva è proprio il fatto che c'è stata, che si è ribadito il legame area di sinistra/immigrati e che ha rotto il tentativo di divieto di prefetto e questore. Ma l'impostazione generale è stata prevalentemente solidaristica. Questo ha fatto sì che l'unico striscione portato era un grandissimo telone nero (senza nulla sopra) a simboleggiare il lutto per i circa 300 immigrati morti in mare. Giusta la denuncia, ma non in sintonia con il clima del campo che è più volto a sottolineare la lotta.
Il resto del pomeriggio e della serata è stato di discussioni con gli immigrati, ma anche di musica, balli.
Dalle compagne del Mfpr presenti ieri
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