14/10/24

Protesta al convegno di Federvita a Torino, Roccella: «Sinistra è contro le donne e la legge 194» - info


Dalla stampa - Anche la Diocesi di Torino esprime «sconcerto per le contestazioni, bisogna garantire il pluralismo»
In Piemonte è ancora scontro politico e sociale tra associazioni pro-choice contro movimenti antiabortisti e contro il loro maggiore promotore istituzionale in Consiglio, l’assessore regionale al welfare Maurizio Marrone. Esploso due anni fa a causa del fondo Vita Nascente istituito dalla giunta Cirio per sostenere le donne che non interrompono una gravidanza indesiderata, e alimentato poi dalla recente apertura della stanza dell’ascolto interna all’ospedale femminile sant’Anna di Torino offerta in dote ai movimenti antiabortisti, ieri si è consumato un ennesimo conflitto (verbale) tra le parti. L’occasione? Un convegno organizzato da Federvita Piemonte, organo federativo dei principali movimenti antiabortisti locali, come i Movimenti Vita del Piemonte e i Centri aiuto Vita e che promuovono «la diffusione di una cultura rispettosa del valore della vita umana dal concepimento naturale alla morte naturale». 
Contrari ai principi ispiratori del convegno dal titolo «per una vera tutela sociale della maternità», alcuni collettivi femministi hanno organizzato un presidio davanti al collegio San Giuseppe di Torino, che lo ospitava. Già dalla tarda notte di venerdì, inoltre, l’edificio è stato imbrattato con slogan contro l’assessore Marrone e i rappresentanti dei movimenti antiabortisti.
... il collettivo femminista Non Una di Meno ha precisato che «l’aborto non può essere una questione di religione o di morale e noi non staremo zitte». 

Operaie Stellantis Mirafiori: "da marzo ho prestato servizio in linea a Mirafiori solo 8 giorni...". MA

Ma non serve solo lamentarsi...
Leggi l'articolo del blog proletari comunisti:

L’operaia Stellantis: «Negli ultimi sette mesi ho lavorato 8 giorni. Tavares? Non è un manager che stringe la mano agli operai»
La vita in Cig di Sabrina De Luca, addetta alla 500 elettrica: «Lavoro da 24 anni in fabbrica. Più di dieci li ho trascorsi in cassa integrazione. E da marzo ho prestato servizio in linea a Mirafiori solo 8 giorni. Così non si può andare avanti, non con uno stipendio da Cig di mille euro al mese e due figli da sfamare e da mandare a scuola». Sabrina De Luca è una delle 2.800 tute blu delle Carrozziere di Mirafiori, chiuse fino al 4 novembre e con poche speranze di varcare quei cancelli prima del nuovo anno, che giovedì parteciperà all’assemblea di piazza davanti alla palazzina di corso Agnelli. Cinquantadue anni, sposata, due figli, ha vissuto sulla sua pelle tutti i testacoda dell’automotive torinese dell’ultimo quarto di secolo: «operaia Bertone a Grugliasco, 9 anni filati di cassa, poi l’arrivo di Sergio Marchionne, le speranze, e il rilancio dello stabilimento nel segno di Maserati fino alla vendita della fabbrica e al trasferimento a Mirafiori dell’era Tavares».
Signora De Luca, come si vive con mille euro al mese?
«Male. Ovviamente io e mio marito non possiamo comprare un’auto nuova, e viaggiamo con una Lancia Ypsilon vecchia di dieci anni con il tubo di scappamento mezzo rotto. Si capisce poi perché il mercato dell’auto in Italia è fermo. Non ci sono soldi per andare in pizzeria, infatti io la preparo in casa per risparmiare, figurarsi per comprare una vettura elettrica o modelli Maserati scontati, come l’azienda ha avuto il coraggio di proporci qualche settimana fa. Faccio fatica a capire come siamo finiti a questo punto. Prima vivevamo un sogno ora un incubo».
Quando ha vissuto il sogno?
«I giorni di Marchionne. Io ero operaia alla Bertone, 9 anni filati di cassa integrazione e il fallimento. Poi siamo stati acquistati da Fca.
Come immagina il suo futuro?
«Grigio. Non so neppure quando e come andrò in pensione dopo una vita di cassa integrazione. Oggi il pensiero va ai miei figli, fanno le superiori. Tutto costa caro: libri per la scuola, le scarpe, il cibo, i vestiti e il mutuo da pagare. Per fortuna mio marito, che lavora in Stellantis, non è in cassa, ma il budget familiare resta risicato».
L’azienda propone trasferte ben pagate in Polonia e Francia dove il lavoro non manca.
«L’azienda vuole lavoratori sani al 100%. In tanti alle Carrozzeria abbiamo più di un acciacco, l’età media dei lavoratori è sopra i 54 anni. Io sono reduce da un tumore che mi ha lasciato un’invalidità. Non posso far altro che aspettare la riapertura delle Carrozzerie e tornare allo stipendio standard di 1.500 euro».
A Mirafiori soffrono le Carrozzerie ma vanno bene gli impianti dei cambi ibridi e l’hub di Economia Circolare. Perché non chiede il trasferimento?
«Perché sono al completo a quanto mi risulta. Tanti colleghi delle Carrozzerie si sono già trasferiti, altri arrivano da altri stabilimenti».
Di cosa si occupa in linea?
«Oggi di diagnosi della vettura. Prima ero deliberatrice a fine linee, ovvero verificavo che tutto fosse a posto».
Stellantis chiede incentivi per ripartire.
«Chi in Europa ha deciso di passare alla mobilità elettrica non ha fatto i conti con la realtà. E oggi se non c’è lavoro non compreremo né diesel né elettrico».

09/10/24

Lettera di Maja - Abbiamo liberato dal carcere di Orban Ilaria Salis, liberiamo Maja!


Lettera di Maja
Da Osservatorio repressione
    ottobre 08, 2024 in antifascismo Edit 
Lettera scritta da Maja, dal carcere di Budapest dove è reclusa, in occasione della manifestazione che si è tenuta a Jena il 28 febbraio. Oltre alla denuncia delle terribili condizioni detentive, alla brutalità della polizia e all’avanzata delle destre in tutta europa, va sottolineato come più volte nella lettera faccia riferimento all’importanza della solidarietà dal basso ed alla vicinanza di tutte le persone che si organizzano per lottare per “una società queer, inclusiva, antifascista, femminista, critica, antirazzista, aperta e solidale.”

"Voglio essere sincer* con voi, oscillo tra lo sconforto e l’allegria sfrenata, tra la tristezza e la rabbia, incatenata a paure, dubbi e desideri. Mi faccio forza, tocco il fondo, sono euforica e poi nuovamente vicino alla disperazione, pensieri presuntuosi seguono una rassegnazione meschina.
Questa accettazione, unita all’impotenza, mi ha corroso sempre di più negli ultimi mesi, prima con la prigione in Germania, la discriminazione strutturale intorno a me, la costante repressione, le storie di vita che vengono spietatamente annientate perché sono pochi i detenuti che hanno una rete sociale abbastanza forte da assorbire la dura realtà carceraria. Questo rende ancora più importante intendere il carcere come un luogo di aggregazione, ma anche questo mi è stato negato.
Poi è arrivato il volo notturno in elicottero e il primo giorno nell’ignoto. All’inizio ero scioccata, inorridita dalla brutalità e dalla desolazione che regnavano qui, ma ora lo sono raramente, non ne ho la forza. L’isolamento, quasi 24 ore da sol*, una telecamera che riprende ogni mio movimento. Essere incatenat* e perquisit* dalla testa ai piedi quotidianamente, funzionari che si limitano ad amministrarci, la mancanza di contatto con le persone, la lista è lunga…
È un veleno che si diffonde lentamente nel corpo, paralizzandolo, dicendoci che non c’è alternativa all’accettazione di questa procedura disumanizzante di repressione e prigionia. Semina il dubbio, un dubbio che è quasi cresciuto in me a tal punto che non volevo iniziare a scrivere queste righe.
Mi sono convint* che non avesse senso, che non avessi la forza di dire la cosa giusta per ottenere qualcosa di cui spesso non ho un’idea concreta. La speranza porta fiducia? O semplicemente compassione e solidarietà? Non voglio fare prediche, non voglio implorare e soprattutto non voglio crogiolarmi nella sofferenza. Vorrei comunque dire qualcosa, dato che questo non è il momento giusto per tacere. Sì, vorrei dire un sincero “grazie”, trovare le parole come fate voi, per riuscire a farmi andare avanti.
Aggiungo che resterò critic* e vigile, solidale e sempre con il cuore pieno di speranza, nonostante l’oscurità.
Non c’è bisogno che ve lo dica io, sono passate solo tre settimane dalle elezioni regionali, tre settimane da Solingen [attentato del 23 agosto rivendicato dall’ISIS con 3 morti e 8 feriti a cui è seguita una grave stretta nelle politiche migratorie in Germania. NdT], settimane di dolore, di rabbia e di impotenza ricorrente, perché tutti abbiamo vissuto questa merda abbastanza a lungo, tutti abbiamo dovuto sperimentare come l’indicibile diventi dicibile, come alle parole seguano i fatti, violenti ed emarginanti, come una politica stenda il tappeto rosso ai suoi nemici per paura di una società libera.
Il veleno strisciante, l’accettazione.
Probabilmente è questo che mi spinge a scrivere questo discorso, l’orgoglio, l’ammirazione per quelle persone che lottano e rendono visibile ogni giorno una società queer, inclusiva, antifascista, femminista, critica, antirazzista, aperta e solidale.  Questo siete voi, voi che state qui, voi che agite, su grande e piccola scala. Quando il cielo si fa buio, guardatevi l’un l’altro, come potrebbero le persone non trovare sostegno qui? Vorrei incoraggiarvi a dire e a mostrare quanta forza alberga in voi e quanto riusciate a realizzare ogni giorno, in grande o in piccolo.
Nonostante il veleno presente nella società, dalla repressione autoritaria al populismo folle, unitevi, saldi, e fate molto di più che gridare frasi vuote nel mondo. La vostra solidarietà sarà riconosciuta, siatene certi, incoraggiatevi per continuare a lottare, potete fare la differenza.
Sì, non è stato possibile impedire la mia estradizione, anche se le autorità sono ben consapevoli di quanto siano disumane le condizioni qui, di quanto l’Ungheria sia lontana dall’essere un paese con stato di diritto e di quanto poco valgano qui le direttive dell’UE. È stato un calcolo cieco, cieco solo per le vittime che comporta, hanno voluto spezzare e portare allo stremo le persone, i processi costituzionali sono stati a lungo una spina nel fianco della polizia regionale e dei suoi procuratori.
Il fatto che molte persone si rifiutino di accettarlo mi dà speranza ed è questo che serve, oltre alla fiducia e al coraggio. Spetta a tutti noi garantire che una simile estradizione non si ripeta, c’è bisogno di tutti i nostri occhi vigili affinché ciò che troppo spesso diamo per scontato non si spazzato via.
È deprimente preservare solo ciò per cui si è faticosamente lottato, per difendere quello che una volta era un consenso democratico contro politiche reazionarie. Quando sento come le persone voltano le spalle alla Turingia e vanno avanti per la loro strada, mi scoraggio e mi chiedo: “Perchè proprio ora!?”
Non posso prendermela, soprattutto con chi è esposto quotidianamente all’odio e a campagne diffamatorie o con chi non ha un sostegno concreto. Ciò che gli ultimi mesi in carcere mi hanno mostrato è che è anche possibile, persino necessario, sopravvivere nel posto sbagliato per prendere coscienza del bisogno interiore di cambiamento e giustizia. C’è davvero una linea sottile tra l’essere buoni a parole e l’accettare con sconforto. La via di mezzo mi è sembrata spesso piena di nebbia, impraticabile, ma osare percorrerla comunque è ciò che costituisce la forza.
E questo mi riporta al motivo per cui ho deciso di scrivere queste righe. Può sembrare patetico, ma per me è sempre stata una fonte di forza fare questi passi difficili senza la paura di rimanere sol@. Mi ha sempre ricordato di non intraprendere mai un cammino senza empatia, senza amore, il cui terreno è grondante di disprezzo. Siete stati voi a togliermi la paura negli ultimi mesi e a esortarmi silenziosamente di non accettare, per quanto disperati possano sembrare, alcuni giorni. Non smettiamo di dissentire da coloro che ci combattono così aspramente, che cercano di smascherarci, denigrarci e rapirci di notte. Sanno di sbagliare, da qui la loro durezza, che altro non è che sintomo di paura. Mostriamo invece la nostra forza con l’amicizia, la solidarietà e l’allegria, sempre con la porta aperta a chi osa mettersi in discussione criticamente.

Rimango con un pensiero di solidarietà, Maja

traduzione a cura di Free All ANTIFAS – Italy

Sulla vicenda giudiziaria di Maja sentiamo l’europarlamentare Ilaria Salis, liberata grazie all’elezione dopo una prigionia di 16 mesi in Ungheria, dove rischiava una pesantissima condanna per aver partecipato a manifestazioni antinaziste, accusata senza prove di aver percosso militanti neofascisti. Ascolta o scarica

A un mese dalla morte di Mara Malavenda - dirigente operaia dello Slai cobas Pomigliano - la vogliamo ricordare così






Nel 1995 ci fu un nuovo periodo di grandi manifestazioni delle donne, femministe. Noi compagne del Mfpr - nato allora - partecipammo con Mara, altre operaie di Napoli e compagne di altre città alla manifestazione che si tenne a Roma, formando insieme un contingente proletario.

Le sue battaglie per le donne erano sempre al centro delle sue parole, della sua azione; un esempio di combattività per tutte noi.