19/10/15

Siamo come i salmoni che risalgono la corrente quando cerchiamo di recuperare la postazione; siamo i robot instancabili che non devono conoscere le festività; siamo i topolini di un nuovo esperimento. Siamo le fortunate operaie di Melfi.

Da clashcityworkers 

Ripubblichiamo questo racconto di alcune operaie della Sata (FCA) di Melfi. La produttività tanto decantata da Marchionne cosa significa per la vita dei lavoratori, e delle donne in particolare, dato il doppio carico di lavoro cui sono sottoposte? Cosa significa lavorare anche la domenica? Cambiare continuamente turno? Essere costretti a lavorare a ritmi sempre maggiori? 

Da qualche settimana è iniziata la sperimentazione dei nuovi turni alla Fca di Melfi ed è già possibile descrivere una situazione tutt’altro che felice per noi donne.
Si lavora 6 mattine, dalle 6 alle 14, da lunedì a sabato; poi si riattacca domenica sera alle 22, per 4 notti di seguito; poi due giorni di riposo, 3 pomeriggi di lavoro (compresa una domenica), due giorni di riposo, 3 notti di lavoro, due riposi e altri 4 pomeriggi di lavoro. Finalmente una domenica di sosta, ma lunedì alle 6 si ricomincia daccapo. E' come vivere in un continuo cambio di fuso orario.
Già i primi 10 giorni ci hanno sfinite, le ore in fabbrica si trascorrono in piedi davanti a una catena sempre più veloce perché, grazie al “sistema migliorativo Ergo uas”, tutto il materiale ci arriva direttamente in postazione su carrellini trainati dai robot automatizzati che spesso perdono pezzi per strada o si fermano e non vogliono saperne di ripartire. Loro non sentono le minacce dei capi, decidono di non lavorare più e così è se vi pare.
Le operazioni sono tutte cronometrate e le postazioni saturate; in teoria dovremmo star ferme ad assemblare comodamente tutto ciò che ci arriva ma in realtà si cammina, anzi, si insegue la linea e ci si “imbarca”, ossia ci si allontana sempre di più dai confini della postazione disegnati sul pavimento. Basta un qualunque imprevisto, una vite sfilettata o un semplice starnuto, per rendere spasmodica la risalita. A volte ci paragoniamo ai salmoni e speriamo che non ci attenda la stessa sorte.
Quando si avvicina la pausa c’è il conto alla rovescia dei minuti e scherzando ci chiediamo cosa riusciremo a fare in quei 10 minuti: andiamo al bagno, fumiamo o mangiamo qualcosa? Magari potremmo fare la fila davanti al bagno mangiando il panino, nella peggiore delle ipotesi almeno una cosa l’avremo fatta!
I bagni sono pochi rispetto al numero delle persone, così anche i distributori di caffè e merende circondati da sei o sette sedie – pochissime – a creare una piccola area relax; le file sono lunghe e il caffè conviene dividerlo con uno o due colleghi. Abbiamo chiesto più bagni o qualche minuto in più di pausa: qualche capo spiritoso ci ha suggerito di non bere per ridurre le esigenze fisiologiche. Chi trascorre la pausa in postazione si appoggia ai cassoni o si siede su una cassettina vuota e, anche se non si potrebbe fare, mangia qualcosa.
I primi dieci giorni consecutivi di lavoro sono stati devastanti, avevamo i polsi, i polpastrelli e tutti i muscoli indolenziti. I due giorni di riposo li avremmo dedicati alle faccende di casa, in teoria, ma la stanchezza era tanta e non siamo riuscite a fare tutto. Al rientro in fabbrica avevamo la sensazione di non esserne mai uscite, nessuna di noi è riuscita a realizzare tutti i propositi in quei due giorni e qualche capo, sempre più spiritoso, ha suggerito di mettere “un aiuto in casa”... Magari che si occupi anche dei nostri affetti? No grazie!
Seguire i bambini e aiutarli nei compiti è un’altra impresa: durante il turno di pomeriggio non riusciamo quasi a vederli, mentre con i turni di mattina e notte cerchiamo di recuperare e di dare il massimo. A volte tentiamo di colmare l’assenza facendo loro dei regali, oppure siamo eccessivamente tolleranti, altre volte invece ci si arrabbia per poco o niente a causa del nervosismo e della stanchezza. Sono molti i casi di coniugi che si sono separati e lavorano in squadre diverse per far sì che uno dei due sia a casa in assenza dell’altro, ma con la nuova turnazione ci ritroviamo a fare anche due turni diversi nella stessa settimana e se uno dei coniugi è stato posizionato sulla linea di produzione della Grande Punto, dove si lavora una settimana di mattina e una di pomeriggio, capita di ritrovarsi nello stesso turno per cui bisogna cercare una persona affidabile che accudisca i bambini in nostra assenza e che abbia la possibilità seguire questi nuovi orari.
Intanto sono arrivati i nuovi assunti, tanti ragazzi e ragazze che potrebbero avere l’età dei nostri figli; alcuni hanno iniziato con entusiasmo, altri con rassegnazione: tutti hanno portato una ventata di freschezza e di novità. I loro giovani volti sono già segnati dalle occhiaie, spesso l’auto dell’infermeria passa per soccorrerli, qualcuno ha già mollato, qualcun altro è stato più fortunato e si trova a svolgere un lavoro meno faticoso. Lavorare con questi ragazzi in difficoltà mette una grande tristezza e la voglia di aiutarli in qualche modo, ma non poterlo fare ci da un senso di impotenza.
E’ opinione comune che noi topolini di questo grande laboratorio siamo fortunati: a Melfi si lavora! E in effetti ci sentiamo stanche e indolenzite ma anche fortunate. Viene da chiedersi se non sarebbe più giusto ripartire questa “grande fortuna” con altri operai, diminuendo le ore di lavoro e aggiungendo altri turni come hanno fatto i nostri colleghi tedeschi in passato, con ottimi risultati.
Siamo come i salmoni che risalgono la corrente quando cerchiamo di recuperare la postazione; siamo i robot instancabili che non devono conoscere le festività; siamo i topolini di un nuovo esperimento. Siamo le fortunate operaie di Melfi.

Nessun commento: