10/07/15

Emiliano viene a Taranto, contestazioni e cariche della polizia, una disoccupata dello Slai cobas in ospedale


Maria (la prima a sinistra nella foto),è stata spinta e buttata a terra davanti alla Prefettura, dai poliziotti antisommossa. Ha quasi perso conoscenza, ha vomitato e per un periodo non ricordava nulla. E' stata portata in Ospedale, verso le 13 esolo alle 18,30 è uscita. I medici le hanno diagnosticato una forte contusione alla spina dorsale.
Lo Slai cobas farà una denuncia formale contro la polizia. 
I poliziotti fin da questa mattina sembravano cercassero l'occasione per caricare.
Quando un folto gruppo di giovani, ambientalisti, agricoltori, si è avvicinato alla Prefettura tentando di entrare in massa, la polizia ha subito scatenato una violenta carica, con manganelli, scudi.
SLAI COBAS per il sindacato di classe - Taranto
(dalla stampa) - Momenti di tensione all’esterno della Prefettura di Taranto dove era convocata la prima del nuovo governatore: tra i manifestanti, un 23enne prova a prendere a calci il presidente, ma viene fermato.
Forse si attendeva un’accoglienza diversa il neo presidente regionale, Michele Emiliano, che ha voluto convocare la prima giunta (a ranghi ridotti, mancando tre elementi dell’esecutivo nelle caselle al momento rifiutate da M%S) nella prefettura di Taranto: e, invece, prima dell’incontro, all’esterno del palazzo, il presidente ha ricevuto una contestazione verbale molto dura con momenti di tensione.
Erano circa 250 persone ad attenderlo all’esterno della Prefettura: all’arrivo di Emiliano è scattata la contestazione, con urla, spintoni e striscioni sul tema del lavoro come “Ora prima di tutto il lavoro” o “L’altoforno che uccide va fermato, l’operaio tutelato”. Un ragazzo uscito dal cordone di sicurezza ha tentato di colpire il governatore alle spalle con un calcio, che ha invece preso un agente di polizia: il giovane, un 23enne è stato bloccato, identificato e subito rilasciato. Un altro gruppo ha tentato di entrare all’interno, ma la polizia, in tenuta anti-sommossa, ha fatto muro.
Emiliano dal canto suo ha commentato: “Sappiamo che questa è una città che soffre: siamo qui proprio per risolvere i problemi”.
Quindi, l’insediamento ufficiale, il discorso e l’audizione di 38 tra associazioni, parti sociali e rappresentanti istituzionali.
E' INTERVENUTA ANCHE UNA COMPAGNA DELLO SLAI COBAS CHE HA INIZIATO L'INTERVENTO CON LA DENUNCIA DI QUANTO ERA SUCCESSO A MARIA.

Interrotto il servizio di interruzione volontaria di gravidanza al Bassini

Da anni le associazioni di ginecologi, collettivi di donne denunciano che nell'arco di pochi anni in tantissimi ospedali tanti tra i pochi ginecologi non obiettori andranno in pensione e l'impossibilità, per le donne, di poter ricorrere all' IVG si estenderà ulteriormente. Da anni ci battiamo per un miglioramento della L. 194 a partire dall'eliminazione in essa dell'obiezione di coscienza. E' una battaglia che si rende sempre più urgente e necessaria, visto che già l'obiezione di coscienza raggiunge punte elevatissime, sopratutto al Sud, costringendo le donne al pendolarismo e/o a rimedi fai da te, comunque con gravi ricadute sulla salute fisica e psicologica delle donne. 
Riceviamo e pubblichiamo Da Consultoria Autogestita 
 Attenzione! Interrotto il servizio di interruzione volontaria di gravidanza all’ospedale Bassini Da qualche giorno siamo a conoscenza del fatto che al Bassini il servizio di IVG è stato interrotto: niente più ginecologi non obiettori di coscienza. Abbiamo aspettato a pubblicare la notizia, perché quando abbiamo chiamato per la prima volta ci avevano detto che stavano già facendo un concorso per trovare un nuovo (un solo?!) ginecologo che potesse portare avanti il servizio, e che quest’ultimo sarebbe stato ripristinato in pochi giorni. Abbiamo richiamato, e le cose stanno come segue:
– Al Bassini sarà possibile accedere al servizio di IVG il 14 luglio e il 25 agosto, dalle ore 8.
– Verranno accettate, per ciascun giorno, le prime 10 donne che si presentano. Non saranno accettate altre donne, anche se vicine al termine della dodicesima settimana. Nei prossimi giorni, cercheremo di capire meglio la situazione, chiedendo conto direttamente al primario e alla Direzione Sanitaria dell’ospedale Bassini, che – lo ricordiamo – è accorpato con quello di Sesto San Giovanni: al momento, quindi, il servizio di IVG risulta scoperto per una vasta area metropolitana. Intanto, ribadiamo quello che sappiamo da tempo: al Bassini i ginecologi non obiettori di coscienza erano due, gettonisti e vicini alla pensione. Non poche donne ci hanno riferito di un servizio precario, e di complicanze in seguito all’intervento (complicanze che le hanno costrette a rivolgersi in Pronto Soccorso). Ci sentiamo in grado di affermare che quello che sta accadendo adesso al Bassini è la “naturale evoluzione” di un lento smantellamento del servizio di IVG, di favoreggiamento dei ginecologi obiettori di coscienza, del tentativo di fare una vera e propria “obiezione di struttura” e del disprezzo della salute delle donne. Seguiranno aggiornamenti. Fuori gli obiettori dagli ospedali e dalle nostre vite!

09/07/15

Teleperformance: palette per andare in bagno...

Una cosa indegna, attacco squallido verso le donne!
Le lavoratrici del Movimento Femminista Proletario Rivoluzionario di Taranto denunciano l'ultima trovata di Teleperformance, mentre ancora è in corso il tentativo di licenziamenti; ed esprimono tutta la solidarietà, alle lavoratrici in particolare.
Teleperformance non si ferma di fronte a nessun attacco e scopre il suo aspetto anche di discriminazione maschilista verso le donne.

Sosteniamo ogni iniziativa di risposta delle lavoratrici: ma sempre di più serve uno sciopero delle donne!


MFPR Taranto

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(da il Quotidiano) - L’iniziativa dell’azienda ormai ha suscitato scalpore e inviperito gli animi: per andare in bagno, si alzi la bandierina.


Dalle postazioni lavorative ci si può alzare segnalando la propria assenza con l’ausilio di palette. Sembra uno scherzo ma non lo è....

Nella diffida fatta dalla Cgil alla multinazionale francese si sottolinea come la disposizione sia “radicalmente illegittima ma soprattutto lesiva dei più fondamentali diritti della dignità umana e discriminatoria, con particolare riferimento alle donne le quali, come è ben noto, hanno esigenze particolari e di certo diverse da quelle dell’uomo”. Pleonastiche ulteriori specificazioni al riguardo.

In buona sostanza, si creerebbe una situazione del genere, qualora vi siano due bandierine alzate: in una sala con circa 90 persone, la maggior parte donne, non ci si può alzare dalla propria postazione se non previa comunicazione di una “specifica urgenza” al responsabile di sala e solo dopo il benestare di un responsabile di campagna.
Un quadro grottesco che susciterebbe ilarità e ironie se non fosse che si è a un giorno dal dentro o fuori. E non da una toilette...".

FASCISTI IN DIVISA, STATO DI POLIZIA, POLITICI INFAMI…TUTTI INSIEME VI SPAZZEREMO VIA!!!

Patrizia Aldrovandi ritira le querele contro Giovanardi, Forlani e Maccari. E spiega perché
Patrizia Moretti ha detto basta. Con un lungo messaggio pubblicato sul sito della 'Fondazione Federico Aldrovandi', dedicata al figlio vittima di malapolizia, la donna ha annunciato di aver ritirato le querele per diffamazione presentate a suo tempo contro il senatore Carlo Giovanardi (Ncd), Paolo Forlani (uno dei quattro agenti condannati per l'omicidio di suo figlio) e Franco Maccari (Coisp). Ha anche spiegato il perché, la signora Moretti, in quello che rappresenta un durissimo atto d'accusa. «Ho perso Federico che aveva 18 anni la notte del 25 settembre di dieci anni fa per l’azione scellerata di quattro poliziotti che vestivano una divisa dello stato, e forti di quella divisa hanno infierito su mio figlio fino a farlo morire – si legge nella lettera apparsa online - . Non avrebbero mai più dovuto indossarla». E ancora: «Il delitto è stato accertato, le sentenze per omicidio emesse. Invece le divise restano sulle spalle dei condannati fino alla pensione. Fine del discorso. L’orrore e gli errori, con la morte e dopo la morte di Federico. La mancanza di provvedimenti non guarda al futuro, non protegge i diritti e la vita: non tutela nemmeno l’onestà delle forze dell’ordine. Il processo è stato per me, mio marito Lino e mio figlio Stefano una fatica atroce, ma era necessario prendervi parte e lottare ad ogni udienza: ci ha sostenuti l’amore per Federico. Su quel processo e da quel processo in tanti hanno espresso un’opinione. E’ stato un modo per crescere». Segue l'affondo, il momento in cui la pazienza di Patrizia Moretti ha trovato il proprio limite. E basterà ricordare, a questo punto, semplicemente i motivi delle querele: Maccari e Giovanardi per aver detto che la Moretti aveva artefatto le fotografie del cadavere di suo figlio solo per dare addosso alle forze dell'ordine, Forlani perché definì Federico Aldrovandi «cucciolo di maiale» in un post su Facebook.
«Alcuni hanno colto l’occasione per offendere me, Federico e la nostra famiglia – prosegue così la lettera -. Qualcuno l’ha fatto per quella che ritengo gratuita sciatteria e volgarità, altri per disegni politici volti a negare o a sminuire la responsabilità per la morte di Federico. Avevo chiesto alla giustizia di tutelarci ancora. In quel momento era l’unica strada, e non me ne pento. Sono passati due anni dai fatti per cui ho sporto querela. Ci sono state le reazioni pubbliche e anche quelle politiche. Però poi non è cambiato niente. Ho riflettuto a lungo e ho maturato la decisione di dismettere questa richiesta alle Procure e ai Tribunali: non perché non mi ritenga offesa da chi ha stoltamente proclamato la falsità delle foto di mio figlio sul lettino di obitorio, di chi ha definito mio figlio un “cucciolo di maiale”, o da chi mi ha insultata, diffamata e definita faccia da culo falsa e avvoltoio.
Non dimenticherò mai le offese che mi ha rivolto Paolo Forlani dopo la sentenza della Cassazione: è stati lui, sconosciuto e violento, ad appropriarsi degli ultimi istanti di vita di mio figlio. Le sue offese pubbliche, arroganti e spavalde le ho vissute come lo sputo sprezzante sul corpo di mio figlio. E lo stesso sapore ha ogni applauso dedicato a quei quattro poliziotti. Applausi compiaciuti, applausi alla morte, applausi di morte. Per me non sono nulla di diverso. Rappresentano un modo di pensare molto diverso dal mio».
La richiesta, in fin dei conti, è sempre la stessa: quei poliziotti dovrebbero perdere la divisa, per sempre. È difficilmente accettabile che degli agenti condannati per omicidio continuino ad andare in giro per le strade. Eppoi, se uno dovesse incontrarli di notte, si sentirebbe poi così tranquillo?
«Da Forlani e dai suoi colleghi avrei voluto in quest’ultimo processo solo la semplice verità, tutta – prosegue Patrizia Moretti -. Chi ha ucciso Federico sa perfettamente quale strazio sta dando ad una madre, un padre e un fratello privandoli della piena verità dopo avergli strappato il loro figlio e fratello. Nessun onore di indossare la divisa dello stato, nessun onore. E nessun onore neanche a chi da dieci anni cerca nella morte di mio figlio l’occasione per dire che in fondo andava bene così: i poliziotti non possono aver sbagliato, in fondo deve essere stata colpa di Federico se è morto in quel modo a 18 anni.
Costruite pure su questo le vostre carriere e la vostra visibilità. Dite pure, da oggi in poi, che il mio silenzio è la vostra vittoria. Muscoli, volantini, telecamere, libri, convegni e applausi. Per dire che non c’è stato nessun problema il 25 settembre 2005. E per convincere voi stessi e il vostro pubblico che il problema l’hanno creato solo Federico Aldrovandi e sua madre Patrizia Moretti».
La conclusione: «Vi esorto soltanto, da bravi cattolici quali vi dichiarate, a ricordare il quinto comandamento: non uccidere. Non spenderò più minuti della mia vita per queste persone e per i loro pensieri. Mi voglio sottrarre a questo stillicidio: una fatica soltanto mia che nulla aggiungerebbe utilmente e concretamente a nessuno se non alla loro ansia di visibilità. Trovo stancante anche pronunciare i loro nomi. Inutile commentare le loro dichiarazioni pubbliche.
A dieci anni dalla morte di Federico per il mio ruolo di madre, ma anche per le mie aspirazioni e per la mia attuale visione del mondo, penso che il dedicare anche solo alcuni minuti a persone che disprezzo sia un’imperdonabile perdita di tempo. Non voglio più doverli vedere né ascoltare o parlare di loro.
Perciò ritirerò le querele ancora in corso.

Tortura e violenza sessuale sulle Prigioniere Politiche in Chhattisgarh India - portiamo la denuncia e la mobilitazione nella iniziativa a Roma sotto l'ambasciata indiana in programmazione per il 16 luglio


Hidme Kawasi fa capolino docilmente da dietro la tenda. Il suo giovane volto angelico con gli zigomi alti non tradisce la sua storia, ma i suoi occhi tristi marrone scuro, si. Dopo lusinghe, Hidme spunta da dietro la tenda. Sono ancora incerto se questa è la ragazza per la quale ho viaggiato per ore per conoscerla.
Questa ragazza di 23 anni adivasi (tribali)  in Dantewada, Chhattisgarh, ora vive con la 40enne Soni Sori, un' insegnante e un' attivista.

Entrambe le donne sono state arrestate con l'accusa di essere naxaliti in questo stato dell' India centrale colpito dai maoisti . Entrambe sono state torturate in carcere e sessualmente sfruttate da uomini in uniforme. Ora,  hanno promesso di salvare le altre che sono state erroneamente incarcerate in una battaglia tra lo Stato e i Rossi.

Gli attivisti stimano che ci sono quasi 2.000  casi in cui i tribali vengono lasciati a marcire in carcere da due a sette anni. Hidme è stata recentemente assolta dopo sette anni e mezzo di reclusione.
"Tutte le donne nelle carceri in Chhattisgarh hanno storie simili di atrocità. Mi ricordo di questa detenuta che era incinta di due mesi durante il suo arresto e come era stata incatenata anche durante il parto ", ricorda Soni, che si reca in villaggi remoti documentando la violenza contro i tribali, nonostante la sua fragile salute.

Anche dopo che ha avuto un cesareo le hanno incatenato mani e piedi per le prossime due settimane nell' ospedale del carcere, mormora Soni. "Lei non era in grado di nutrire il suo bambino e avrebbe continuato a richiedere al carceriere di sciogliere una mano alla volta, mentre nutre la figlia. Il carceriere urlava verso di lei e le diceva di non cercare scuse. Infine, avrebbero ceduto. "

Dopo sei anni, l'amica di Soni in carcere ha dovuto lasciare andare la figlia dato che un bambino non può stare con la madre in carcere dopo l'età di sei anni.
 "Sono passati due anni da allora, e le manca sua figlia. È stata falsamente accusata di essere un naxalita, come la maggior parte di noi. Dopo diversi anni di incarcerazione, queste donne vengono assolte. Ci sono 80-90 donne tribali incriminate che stanno sopportando questo destino in quel carcere ", spiega Soni.
Dopo la sua tortura e la violenza sessuale in carcere e nelle stazioni di polizia, Soni sente che la sua lotta non è solo sua, ma è di tutti.
Hidme guarda Soni mentre articola il dolore del suo popolo - sia uomini che donne - ingiustamente arrestati, torturati, violentati e sfollati dalla loro terra da uno stato deciso ad aumentare il PIL del paese a loro discapito.

Soni ci racconta la storia di un altro amico che è stato preso quando era minorenne. "Poiché siamo tribali, non sappiamo la nostra età, perché non visitiamo gli ospedali per la consegna di bambini. Molti minori sono stati incarcerati perchè la polizia non accerta la loro età. Pratibha (nome cambiato) aveva 15 anni quando è stata portata con l'accusa di essere una naxalita "dice Soni.
Dopo un'inchiesta, Soni ha scoperto che Pratibha era "una semplice abitante del villaggio che stava cercando di sfuggire alle forze di sicurezza prima di essere sparata al braccio". Pratibha si nascondeva dalla polizia per paura, e ora ha trascorso 8 anni in carcere, aggiunge.
Hidme che è tranquillamente seduta sul letto accanto a Soni e non vuole parlare dei punti sul suo stomaco. Lei è stata presa dalla polizia durante una fiera nel gennaio 2008, ed è stata accusata dalle leggi draconiane come la Legge di Pubblica Sicurezza del Chhattisgarh , la Legge di Prevenzione di Attività Illecite attività illecite (UAPA) - una legge che consente allo Stato di trattenere le persone colpevoli per associazione in India.

Durante i suoi 15 giorni di fermo della polizia presso Borguda, Sukma e le stazioni di polizia nel Dantewada sette anni e mezzo fa, a 16 anni Hidme fu violentata e picchiata con bastoni da parte della polizia. Presto notò sangue nelle urine, Soni ci dice.
L'Utero di Hidme scivolò fuori dopo le torture che ha subito. Nonostante il dolore, ha cercato di rimetterlo senza successo. Il giorno dopo, ha cercato di tagliare con una lama. Fu allora, gli altri detenuti sono intervenuti e 'stata portata in ospedale dove è stata operata. Quei 12 punti ricordano av Hidme dei giorni dei quali non parlerà mai - il giorno in cui ha cercato di mettere il suo utero di nuovo nel suo corpo.

La storia di Hidme risuona in Soni . Dopo l'incarcerazione di Soni nel carcere di Tihar , è stata portata al carcere Raipur, in gravi condizioni. È stato aggredita così brutalmente, lei non era in grado di stare in piedi.
Ricordando il suo primo incontro con Hidme in carcere, Soni ricorda, "Ero sporca. In qualche modo, sono finita in cella di Hidme. Non avevo idea di chi fosse. Il mio corpo era gonfio dato che mi avevano presa a calci. Quel giorno, sono stata forzatamente dimessa dall'ospedale Raipur dalla polizia, che tirò le gocce saline dalle mie braccia. "

"Stavo dormendo quando ho sentito qualcuno tirare ai miei piedi. Ero spaventata perché pensavo che qualcuno stava cercando di uccidermi. Era Hidme. Qualcuno le aveva detto che ero del Bastar, così ha cominciato a parlare con me in Gondi. Mi sedetti di soprassalto. Poi mi ha raccontato la sua storia. Ci siamo sedute a parlare per tutta la notte. Da quel momento in poi, siamo sempre rimaste insieme in carcere, "racconta  Soni.

Circostanze eccezionali danno origine alle amicizie eccezionali e il legame tra  Soni e  Hidme è ben descritto nella parole di Soni come "indistruttibile".

Dopo due anni di carcere, Soni stava per essere rilasciata. Questo rattristò Hidme che poteva perdere l'unica amica. "Hidme iniziò a piangere. Le ho assicurato che avrei lavorato per la sua liberazione. Ma ha detto che non sarebbe mai uscita e che sarebbe morta lì. Le ho promesso ", spiega Soni. Un anno dopo, la promessa di Soni fatta, Hidme rimase soddisfatta.

Hidme è "molto speciale" e ci spiega perché. "Quando non  ero in grado di muovermi, lei mi bagnava e mi aiutava a sedermi sotto il sole come un bambino. Quando mi hanno dato le scosse elettriche sulle piante dei piedi, sono diventate nere. Hidme passava ore a massaggiarmi i piedi. Non dimenticherò mai quello che ha fatto per me ", Soni mostra degli occhi lucidi mentre Hidme la guarda in silenzio.

Dopo il suo rilascio, Hidme vive con Soni ed i suoi figli mentre lei non ha una famiglia. Hidme confida in Soni. " Hidme dice che io sono la sua amica, sua madre, il suo tutto. Mi dice i suoi segreti più intimi ... anche le sue ferite più dolorose. E' felice quando è intorno a me e anche a me mi piace averla intorno. E' ancora malata e non mangia molto. Penso che ha bisogno di cure a Delhi. La porterò li presto. Poi aiuteremo molte altre donne come noi uscite di prigione a guarire. "
Infine, Hidme annuisce  e irrompe in un sorriso raggiante.

Contro la "buona scuola" 7 luglio a Roma - report


Arrivati intorno alle 16.00 all'Anagnina da subito si è organizzato un piccolo corteo con slogan continui che hanno raccolto la solidarietà di chi si trovava in metropolitana e un artista di strada gli ha dedicato un pezzo rap. Intorno alle 17.00 sono giunti nei pressi del Parlamento e dopo aver riformato il corteo si stanno dirigeno verso la piazza. Tra i primi commenti fatti dalle lavoratrici della scuola vi è stato questo: "se Renzi voleva la divisione dei lavoratori ha ottenuto l'effetto opposto".

In più di un migliaio hanno riempito la piazza. Precari, docenti, studenti, tutti determinati a non accettare questa infame riforma. Come detto dalla cronista di Radio Popolare, Milano, in piazza si è da subito acceso un dibattito su come continuare la mobilitazione. Da chi proponeva una sorte di accampada e di riprendere la mobilitazione a settembre; a chi diceva che era snervante rimanere inermi fermi nella piazza ad aspettare l'esito scontato della votazione; a chi sosteneva un corteo selvaggio. Dal palco sono state fatte le proposte e quasi all'unanimità è partito il corteo.

Di seguito riportiamo un report telefonico coi compagni ieri in piazza e un primo comunicato del Coordinamento 3Ottobre di Milano e Torino, in prima fila per tutta la manifestazione insieme allo Slai Cobas sc
Il corteo è stato bloccato dalla polizia prima che arrivasse al Quirinale, a quel punto tutti si sono seduti per terra e si è fatta un'assemblea. Ma anche per terra i lavoratori "davano fastidio" e quindi la polizia ha imposto che andassero via. Due dei lavoratori, del coordinamento di Torino e di Milano, sono rimasti invece seduti per terra; a questo punto la polizia li ha trascinati e portati vicino alle camionette per identifircarli. Uno dei poliziotti rivolgendosi al lavoratore di Torino, col solito fare e tono da rambo fascista, ha detto: "compagno... se non mi dai i documenti ti spacco la faccia...".
Intorno vi è stata una protesta degli altri lavoratori che sono rimasti fino a quando i due non sono stati fatti andare via.
Non sappiamo se verranno denunciati, come dicevano i poliziotti, per "resistenza a pubblico ufficiale"

Oggi 7 luglio migliaia di lavoratori della scuola da tutte le città di Italia hanno raggiunto Roma per ribadire la propria contrarietà al Ddl Scuola e per dimostrare che la lotta non va in vacanza. Dopo il presidio a Montecitorio i lavoratori si sono diretti in corteo autorizzato verso il Quirinale, ma arrivati in via Cesare Battisti sono stati bloccati da un imponente schieramento di forze dell'ordine in tenuta antisommossa. I docenti per evitare inutili scontri con la polizia hanno deciso di fermarsi e improvvisare, sedendosi per terra, un'assemblea. Dopo poco i poliziotti con fare aggressivo hanno minacciato di identificare alcuni docenti e di fronte al rifiuto di un professore di alzarsi hanno tentato di portarlo via di peso. Prontamente i colleghi hanno protestato riuscendo a sottrarre il professore agli agenti. Si è scatenato quindi un clima di forte tensione che ha portato allo sgombero della piazza e al temporaneo fermo di due manifestanti dei coordinamenti autoorganizzati di Milano e Torino. A questo punto i lavoratori della scuola sono rimasti in piazza fino al rilascio dei colleghi. Denunciamo il clima repressivo che ben rappresenta l'impianto autoritario che si vuole imporre nella scuola e quindi alla società. Purtroppo ci duole constatare che i sindacati maggiormente rappresentativi hanno abbandonato in piazza i lavoratori venendo meno al loro compito di tutela proprio quando la situazione è diventata più tesa.

Coordinamento lavoratori della scuola "3ottobre" Milano
Coordinamento contro la Buona Scuola Torino

06/07/15

Precarie Scuola: o in esilio, o... a far la calza!


Comunicato congiunto da: Coordinamento Precari Scuola Napoli - Cobas Scuola Napoli - Coordinamento Regionale per la difesa della Scuola pubblica

Sul DdL “La Buona Scuola”, i docenti in lotta, gli studenti, gli attivisti dei movimenti, i genitori e alcuni sindacati di base hanno detto tutto ciò che potesse risultare utile a suscitare la giusta indignazione del paese contro l’inusitato tentativo di smantellare la Scuola pubblica, la Scuola tendenzialmente garante dell’uguaglianza e strumento di quella mobilità sociale sempre più osteggiata dai governi di “nominati” che si sono succeduti, senza voto né legittimazione popolare, da Berlusconi ad oggi. L’introduzione del preside-padrone che licenzia e dispensa premi o castighi a suo capriccio; il regime concorrenziale tra scuole che dovrebbero garantire, in ragione dell’art. 33 della Costituzione, condizioni di apprendimento uguali per tutti, e che verranno invece abbandonate agli appetiti di privati interessati a finanziare solo quei processi formativi funzionali all’accrescimento dei loro profitti; le prestazioni d’opera (200 o 400 ore) dovute dagli studenti e dalle studentesse, ridotti a manovalanza schiavile per le imprese; la morte della libertà di insegnamento: tutto questo è stato finora sufficientemente denunciato e proscritto.

Poco, invece, si è parlato del colpo mortale che questa legge infligge al lavoro, all’indipendenza e all’autonomia delle donne, in questo caso docenti e funzionarie amministrative già umiliate e penalizzate dalla lunghissima attesa di una stabilizzazione che non verrà neanche ora che l’Unione Europea l’ha finalmente e perentoriamente ordinata, condannando l’Italia per abuso di contratti a tempo determinato (sentenza della Corte Europea del 26/11/2014).

Perché Renzi non ha dato esecuzione alla sentenza europea ed ha, invece, arrogantemente deciso di subordinare il riconoscimento di un diritto finora negato all’accettazione di condizioni vessatorie quali la mobilità su tutto il territorio nazionale e il demansionamento? Si sarebbe comportato allo stesso modo se il comparto Scuola fosse stato composto al 70% da uomini anziché da donne? Perché, fin dal 2008, i governi, di destra come di sinistra, hanno scelto di fare proprio della Scuola il “bancomat della crisi”? Quanto incide, sui calcoli dei governi servi della finanza internazionale, la percentuale di donne occupate nel settore da massacrare?

Tutti ricordano il vergognoso caso delle lavoratrici della Mavib di Inzago, i cui padroni, nel nuovo, “sdoganante” clima di austerity, non ebbero ritegno a dichiarare pubblicamente che avrebbero licenziato le donne in quanto “stipendio accessorio” delle loro famiglie, ergo sacrificabili. Il ragionamento del governo padronale di Renzi riguardo al personale della scuola è esattamente lo stesso!

Il  DdL 2994 è stato finora frettolosamente e dilettantescamente rettificato, integrato e modificato almeno quattro volte. Ad ogni revisione, le condizioni di assunzione delle precarie e dei precari sono diventate più onerose. La versione del DdL che verrà esaminata dalla Camera il 7 luglio prossimo contiene un ricatto bell’e buono per quante e quanti non saranno immesse/i nella prima tranche di passaggi in ruolo (ridotti, peraltro, a un terzo di quelli promessi): o disponibilità immediata a fare le valigie e ad andare da Gela a Pordenone e viceversa, oppure estromissione definitiva dal mondo della Scuola! I nuovi contratti, poi, saranno solo triennali; il loro rinnovo dipenderà dal “gradimento” del preside-padrone! E’ più che evidente che il governo voglia incentivare il “ritorno a casa” delle donne, imponendo loro, dopo anni di sacrifici e di attesa, una vera e propria deportazione, e mortificando la loro alta professionalità! Il governo, insomma, lascia alle donne la felicissima scelta tra un esilio perpetuo, perché senza speranze di rientro e… la calzetta del classico insulto patriarcale!

Se a ciò aggiungiamo il licenziamento già previsto di 2020 “Ata”, cioè personale amministrativo e tecnico di segreteria anch’esso per lo più costituito da donne, possiamo senz’altro concludere che La Buona Scuola, oltre ad essere un piano di asservimento della Cultura ai voleri del Mercato, è anche un tentativo vigliacco e inconcepibile di relegare in una sfera esclusivamente privata centinaia di laureate, immesse da tempo nel circuito della produzione e diffusione di idee, donne nel pieno della maturità professionale ed esistenziale, molto motivate, che svolgono il loro lavoro con grande passione.

Le precarie della Scuola hanno “già dato”. Imporre loro una mobilità forzosa su tutto il territorio è una vera, sadica ignominia, presupponendo l’abbandono coatto di quella famiglia quotidianamente evocata e santificata ma mai sostenuta, col risultato di trasformarla nella tomba della dignità delle donne, annullate come individualità e costrette a recitare i ruoli di fattrici e badanti.  

Le docenti precarie e i docenti in lotta di Napoli e della Campania chiedono solidarietà e sostegno, in vista del 7 luglio e delle battaglie che seguiranno, a tutte le altre lavoratrici che lottano per non essere ricacciate nella gabbia della dipendenza economica e della deteriorità civica.

Il DdL Scuola va assolutamente rigettato non solo perché configura processi incompatibili con la funzione della Scuola, ma anche perché ad esso è sottesa una ratio discriminatoria, finalizzata al taglio dei posti di lavoro ricoperti dalle donne e al loro utilizzo come “welfare” a costo zero. Le manovre indegne dei burattini dei poteri finanziari rivelano di essere chiaramente dettate anche dalla smania di vendetta contro i processi di emancipazione.

Le lavoratrici della Scuola respingeranno, con la lotta e la disobbedienza, quest’ennesimo attentato alla loro libertà di espansione, espressione e scelta. Lo faranno non solo per se stesse, ma per le future generazioni, per le studentesse senza prospettive, e, infine, perché il monopolio della parola “valore” sia strappato agli ipocriti che si adoperano per associarla ad una subordinazione spacciata per “naturale e necessaria” e che, invece, è artificiale e storicamente determinata da poteri che fanno del determinismo biologico la base della loro propaganda.


Marcella Raiola (Coord. Precari Scuola Napoli).