Violenza maschile, minacce poliziesche e giudizi ideologici: e la solidarietà dov’è andata a finire?
Una compagna di Reggio ha intrattenuto una relazione con un ragazzo, HAMDI ABDERRAHIM (che chiameremo lo stronzo), inizialmente felice ma poi trasformatasi in un incubo.
L’incubo è iniziato quando lo stronzo, vedendosi rifiutata una richiesta di denaro, ha reagito dandole una testata alla quale è seguita una querela per percosse.
Successivamente la compagna ha saputo dai suoi vicini di casa che lo stronzo aveva umiliato il figlio di lei davanti a tutti mentre giocava con altri bambini, con offese del genere: “Sei un handicappato”, “Sei un bambino di merda”, “Sei figlio di un bastardo”. Al che la compagna lo ha querelato per maltrattamenti su minore.
Dopo un breve periodo lo stronzo si è ripresentato a casa di lei chiedendo altri soldi e al rifiuto ha risposto spaccandole il naso.
Ma l’episodio culmine è avvenuto quando lo stronzo ha tentato di ucciderla buttandola fuori strada con la macchina. Per fortuna lei è ancora viva ma con una vertebra incrinata che avrebbe potuto portarla alla perdita dell’uso delle gambe. La denuncia è partita d’ufficio perché la prognosi superava i 21 giorni; le indagini sull’“incidente” sono ancora in corso e lo stronzo ha avuto la faccia tosta di controdenunciarla dichiarando che lui avrebbe tentato di salvarla mentre lei si buttava fuori strada.
Nonostante le querele, le denunce e i tentativi della compagna di allontanarlo in tutti i modi, lo stronzo è tornato sotto casa di lei e sotto i suoi occhi ha strappato via i tergicristalli dalla macchina nuova appena comprata, visto che l’altra auto era stata rottamata. Al che la donna è andata dagli sbirri a sporgere denuncia, su consiglio del carrozziere, per riuscire a farsi pagare i danni dall’assicurazione.
Arrivata nella caserma di Guastalla il maresciallo Cassetta ha messo in dubbio la versione di lei riguardo all’“incidente” in macchina, affermando: “Lui è quasi forse più credibile di te… da vedere così non sembra un cattivo ragazzo”. Si è quindi rifiutato di formalizzare la denuncia per stalking e quella per il danneggiamento della macchina nuova, dicendo che di denunce ce n’erano già abbastanza “per sistemarlo”. A questo punto lei è andata via, il maresciallo Cassetta la ha accompagnata fuori dalla caserma e le ha fatto capire che sapeva della sua militanza politica e le ha detto “Se tu torni con quelli posso anche fare una segnalazione al Tribunale dei minori e mandarti gli assistenti sociali”.
Questa storia ci pone diverse questioni come compagne: sebbene consapevoli del fatto che denunciare legalmente non è una tutela per nessuno ci rendiamo conto ogni volta di più che non esiste una rete capace di dare solidarietà e supporto a una donna che viene aggredita e molestata. Non ci sentiamo quindi di giudicare una compagna che ha pensato che una delle vie d’uscita poteva essere la denuncia, anche per la tutela del figlio e della propria autodifesa.
Sulle forze dell’ordine cosa c’è da dire? Niente di nuovo. Sono i tutori del solito ordine maschilista e patriarcale: in questo caso hanno addirittura mostrato di superare il loro consueto razzismo (visto che lo stronzo è di origine magrebina) dando più considerazione alle sue dichiarazioni che a quelle di una compagna che lotta contro i Cie.
Questa non è una questione personale ma una questione che tutte e tutti dovremmo iniziare ad affrontare in modo politico. Per questo in alcune abbiamo deciso insieme alla compagna che è stata minacciata dalla polizia di tirare fuori la sua storia che purtroppo è solo una delle tante che spesso rimangono nell’ombra, sperando che anche altre comincino a spezzare il silenzio.
Non è certo la prima volta che una compagna si trova sola a lottare contro la violenza maschile, tra le minacce dei detentori dell’ordine costituito da una parte e i duri giudizi dei/lle compagni/e per aver usato la denuncia legale, giudizi che restano ideologici e sterili se non accompagnati da una proposta concreta di supporto e alternativa. Sarebbe invece il caso di rimboccarsi le maniche e usare la testa per lottare insieme contro una violenza maschile protetta e perpetrata dallo Stato.
Una compagna di Reggio ha intrattenuto una relazione con un ragazzo, HAMDI ABDERRAHIM (che chiameremo lo stronzo), inizialmente felice ma poi trasformatasi in un incubo.
L’incubo è iniziato quando lo stronzo, vedendosi rifiutata una richiesta di denaro, ha reagito dandole una testata alla quale è seguita una querela per percosse.
Successivamente la compagna ha saputo dai suoi vicini di casa che lo stronzo aveva umiliato il figlio di lei davanti a tutti mentre giocava con altri bambini, con offese del genere: “Sei un handicappato”, “Sei un bambino di merda”, “Sei figlio di un bastardo”. Al che la compagna lo ha querelato per maltrattamenti su minore.
Dopo un breve periodo lo stronzo si è ripresentato a casa di lei chiedendo altri soldi e al rifiuto ha risposto spaccandole il naso.
Ma l’episodio culmine è avvenuto quando lo stronzo ha tentato di ucciderla buttandola fuori strada con la macchina. Per fortuna lei è ancora viva ma con una vertebra incrinata che avrebbe potuto portarla alla perdita dell’uso delle gambe. La denuncia è partita d’ufficio perché la prognosi superava i 21 giorni; le indagini sull’“incidente” sono ancora in corso e lo stronzo ha avuto la faccia tosta di controdenunciarla dichiarando che lui avrebbe tentato di salvarla mentre lei si buttava fuori strada.
Nonostante le querele, le denunce e i tentativi della compagna di allontanarlo in tutti i modi, lo stronzo è tornato sotto casa di lei e sotto i suoi occhi ha strappato via i tergicristalli dalla macchina nuova appena comprata, visto che l’altra auto era stata rottamata. Al che la donna è andata dagli sbirri a sporgere denuncia, su consiglio del carrozziere, per riuscire a farsi pagare i danni dall’assicurazione.
Arrivata nella caserma di Guastalla il maresciallo Cassetta ha messo in dubbio la versione di lei riguardo all’“incidente” in macchina, affermando: “Lui è quasi forse più credibile di te… da vedere così non sembra un cattivo ragazzo”. Si è quindi rifiutato di formalizzare la denuncia per stalking e quella per il danneggiamento della macchina nuova, dicendo che di denunce ce n’erano già abbastanza “per sistemarlo”. A questo punto lei è andata via, il maresciallo Cassetta la ha accompagnata fuori dalla caserma e le ha fatto capire che sapeva della sua militanza politica e le ha detto “Se tu torni con quelli posso anche fare una segnalazione al Tribunale dei minori e mandarti gli assistenti sociali”.
Questa storia ci pone diverse questioni come compagne: sebbene consapevoli del fatto che denunciare legalmente non è una tutela per nessuno ci rendiamo conto ogni volta di più che non esiste una rete capace di dare solidarietà e supporto a una donna che viene aggredita e molestata. Non ci sentiamo quindi di giudicare una compagna che ha pensato che una delle vie d’uscita poteva essere la denuncia, anche per la tutela del figlio e della propria autodifesa.
Sulle forze dell’ordine cosa c’è da dire? Niente di nuovo. Sono i tutori del solito ordine maschilista e patriarcale: in questo caso hanno addirittura mostrato di superare il loro consueto razzismo (visto che lo stronzo è di origine magrebina) dando più considerazione alle sue dichiarazioni che a quelle di una compagna che lotta contro i Cie.
Questa non è una questione personale ma una questione che tutte e tutti dovremmo iniziare ad affrontare in modo politico. Per questo in alcune abbiamo deciso insieme alla compagna che è stata minacciata dalla polizia di tirare fuori la sua storia che purtroppo è solo una delle tante che spesso rimangono nell’ombra, sperando che anche altre comincino a spezzare il silenzio.
Non è certo la prima volta che una compagna si trova sola a lottare contro la violenza maschile, tra le minacce dei detentori dell’ordine costituito da una parte e i duri giudizi dei/lle compagni/e per aver usato la denuncia legale, giudizi che restano ideologici e sterili se non accompagnati da una proposta concreta di supporto e alternativa. Sarebbe invece il caso di rimboccarsi le maniche e usare la testa per lottare insieme contro una violenza maschile protetta e perpetrata dallo Stato.
Alcune Compagne per l’Autodifesa e la Solidarietà tra Donne
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