02/06/20

Siria, donne nude detenute all’interno delle carceri dalle milizie filoturche. La popolazione di Afrin chiede ad Ankara di andarsene

Dozzine di donne nude e altri detenuti sono stati liberati dai centri di detenzione della Divisione al-Hamza, da uomini armati provenienti dalle campagne di Damasco. A renderlo noto l’Osservatorio siriano per i diritti umani. I residenti della capitale siriana e delle campagne nel nord del Paese spiegano in una nota le ragioni che hanno portato agli scontri con il gruppo affiliato all’Esercito libero siriano, chiedendo ai comandanti delle forze di Ankara e dell’Esercito Nazionale di rimuovere tutte le sedi di al Hamza dalla città di Afrin e di porre in stato di fermo i responsabili delle violazioni.
Nel documento, anche la richiesta di chiarimenti sulla presenza di «detenute nude all’interno delle carceri». Secondo fonti vicine all’Osservatorio, una calma apparente sarebbe tornata nella città dell’ex enclave curda nel zona nordorientale della Siria, dopo i feroci scontri tra il gruppo al-Hamza, uomini armati della Ghouta orientale e residenti di Afrin, che hanno costretto alla fuga alcuni dei membri della milizia sotto accusa.  La direzione della stessa Divisione si difende, rilasciando una dichiarazione in cui annuncia l’apertura di un’indagine e l’impegno a consegnare alle forze di polizia militare le persone ritenute responsabili, assicurandole alla giustizia. La città di Afrin, controllata da fazioni sostenute dalla Turchia dopo l’occupazione del gennaio-marzo 2018 con l’operazione “Ramoscello d’ulivo”, è stata pure teatro di numerosi combattimenti tra miliziani di al-Hamzat e membri di Ahrar al-Sham. Scontri e sistematiche violazioni dei diritti umani che stanno esasperando la popolazione, tanto che lo scorso venerdì, secondo quanto argomenta l’Osservatorio siriano, si è organizzata in corteo per manifestare dinnanzi alla residenza del governatore, chiedendo il suo intervento per fermare gli abusi.
I manifestanti hanno anche inneggiato slogan che invitavano il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, di intervenire affinchè le fazioni vicine all’Esercito Nazionale, appoggiato dalla Turchia, portino le loro sedi militari fuori dai quartieri residenziali della città. Nel frattempo un appello congiunto delle organizzazioni umanitarie operanti in Siria e in Europa è stato rivolto  al Segretario generale della Nazioni Unite Antonio Guterres, all’alto Commissario per i diritti umani Michelle Bachelet e al presidente della Commissione d’inchiesta dell’Onu sulla Siria Paulo Pinheiro. Una lettera in cui si chiede «l’istituzione un comitato per indagare sui fatti connessi ai reati e alle violazioni commesse ad Afrin e in altre aree occupate dalla Turchia, perchè vengano denunciati alle autorità internazionali competenti. Esercitare maggiore pressione su Ankara – si legge nel documento – affinché svolga i suoi compiti e adempiendo alle proprie responsabilità di forza occupazionale nel garantire la sicurezza dei civili».
Infine, si reclama la sospensione della presenza militare turca in territorio siriano, nonché la protezione internazionale sotto l’egida del Consiglio di sicurezza, fino a quando non sarà trovata una soluzione politica globale alla crisi siriana. Dopo l’intervento turco nel cantone di Afrin, nella regione autonoma del Rojava, oltre 300 mila persone sono state costrette alla fuga. Hasan Ivanian, docente universitario fuggito dalla città durante l’invasione per rifugiarsi in un villaggio a nord di Aleppo, riconquistata dalle truppe Damasco e ora sotto il controllo russo, ci mostra con rimpianto le foto della sua casa, una villetta in mezzo al verde degli ulivi, occupata dai mercenari al seguito delle milizie turche. «Il mio giardino, la mia casa, si sono presi tutto. La porta di ingresso  sfregiata con incisioni che mostrano come le milizie di Faylaq al Sham, sostenuta dalla Turchia- denuncia Ivanian- si siano appropriate di un bene che non gli appartiene. Non so se potrò far più ritorno nella mia città, ora viviamo da sfollati. Qui dove ci troviamo siamo più al sicuro, ma non abbiamo elettricità, acqua calda, nessun elettrodomestico. Siamo fuggiti portando solo il necessario per sopravvivere».

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