Ieri, al termine di un processo storico per stupro, è stata emessa la sentenza di condanna a vent’anni di carcere per Dominique Pelicot ed altri 51 imputati dichiarati responsabili di violenze contro Gisèle Pelicot.
Per molto tempo Gisèle ha sperato di rimanere anonima, dopo aver appreso l'indicibile: i sedativi somministrati per nove anni a sua insaputa dal marito, gli stupri di gruppo, il suo corpo offerto come proprietà ad altri 70 uomini sconosciuti reclutati su Internet. Ha cambiato nome, ha rifiutato interviste alla stampa... Ma poi Gisèle Pelicot ha deciso di revocare il processo a porte chiuse contro l'ex marito e i suoi 50 coimputati. Il 2 settembre è apparsa presso il Tribunale penale di Avignone. Ha accettato di rendere pubblici i video dei suoi stupri, affrontando i suoi aggressori ogni giorno per tre mesi e mezzo.
Da allora, tutti coloro che hanno seguito regolarmente le udienze hanno osservato la sua metamorfosi. “Distrutta”, ha testimoniato alla sbarra, è riuscita ad alzare la testa, a togliersi gli occhiali scuri e persino a soffermarsi gradualmente con le persone anonime che sono venute a sostenerla e ad applaudirla in aula.
“Tutte le donne che hanno subito uno stupro dovrebbero poter dire a se stesse: la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo”.
In questo Gisèle è divenuta icona femminista, ha accettato il ruolo che le è stato assegnato, affinché “la vergogna possa cambiare faccia”, ha detto più volte, affinché “tutte le donne che sono state violentate possano dire a se stesse “la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo’”. Per la prima volta, un processo porterà il nome della vittima e non del colpevole.
E’ stata una scelta politica fortissima quella di metterci la faccia, di usare il suo corpo per questa battaglia, per tutte quelle donne che non hanno la forza, la voce per denunciare ma soprattutto per restituire la responsabilità della violenza a chi la compie e non a chi la subisce che, invece, nella narrazione dominante e nelle nostre aule di giustizia ancora condanna la donna. Ebbene in questo senso l’operato di Gisèle ha prodotto un agito profondamente femminista nel senso che la sua storia è diventata al servizio di tutte quante le altre e che il termine di sorellanza che ci ha insegnato il femminismo ovvero che quello che accade ad una accade a tutte quante le altre, che l'avanzamento di una è l'avanzamento per tutte hanno trovato concretezza nel coraggio di questa donna che ha deciso di esporsi. Gisèle ha dichiarato di essere uscita allo scoperto per tutte le donne che ancora non hanno trovato il coraggio di uscire dalle relazioni violente, per quelle che non hanno più voce perché purtroppo sono state vittime di femminicidio e quelle che ancora non percepiscono la propria sofferenza dandole il nome giusto di stupro, molte donne non verbalizzano perchè non hanno consapevolezza di stare subendo una violenza sessuale perché è ancora troppo sfumata l'idea del consenso di quanto è giusto ed è legittimo dire sì piuttosto che no e soprattutto perché in un processo di stupro non si crede mai alla donna che, anzi, viene giudicata e sottoposta ad un vero e proprio processo all’incontrario: “Era consenziente; aveva bevuto; se l’è cercata…”.
E’ proprio sotto questo aspetto che il processo francese per stupro rappresenta una svolta storica perché, al di là della pena comminata che sarà sempre riduttiva rispetto alle violenze perpetrate su Gisèle in una condizione di assoluta degradazione del suo corpo, nell’aula di giustizia alle parole che abbiamo sentito della signora Pelicot c'è stato un riconoscimento di questa violenza che non ha avuto quella che solitamente viene ritenuta una modalità vittimizzante della sua dignità ma al contrario la magistratura francese ha riconosciuto piena tutela alla dignità della vittima. In questo senso il processo ha rappresentato un atto simbolico, un atto nel quale lo Stato ha espresso la sua determinazione nel perseguire delitti nel pieno rispetto delle garanzie degli imputati ma riconoscendo piena attendibilità alle parole della vittima.
Qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro! ma la parola delle donne nel rappresentare il loro consenso nell'atto sessuale è ritenuta ancora irrilevante nel senso che la volontà femminile, da sempre, non è stata mai ritenuta un elemento cruciale, un elemento dirimente, tant’è vero che anche il nostro codice penale non contempla la parola “consenso” quando descrive il reato di stupro, e invece è proprio questa la strada da intraprendere per attribuire valore alla volontà femminile nell’ambito della sessualità. La violenza sessuale è talmente estesa che non solo questo processo ce l'ha dimostrato ma i numeri ci dicono che una donna su tre è vittima di violenza in Italia ed in Europa ed una donna su due è vittima di molestie sessuali. Ben si comprende come la parola “consenso” a questo punto diventerebbe un elemento talmente sradicante di una cultura che appartiene ai nostri contesti che ovviamente fa paura e sarebbe un elemento deflagrante, un detonatore proprio sulla cultura che viviamo.
Il processo di Gisèle ha spalancato le porte di una villetta di provincia della Francia in cui un marito normale, un padre normale, delle persone normali hanno abusato di questa donna, dal pensionato all'operaio, dall'avvocato al giornalista; veramente un quadro che ci fa capire ancora una volta quanto il mostro non sia così tanto lontano e che il fulcro del problema è il persistere di una disparità di potere tra uomo e donna e la mancanza di attenzione rispetto alla connessione violenza e discriminazione non ci farà mai fare il passo successivo verso la liberazione delle donne. La violenza è uno strumento per mantenere costantemente la subordinazione delle donne ed è lo specchio di una società che stenta a cambiare, che stenta a riconoscere la violenza all'interno di una dimensione cui le donne sono ancora subordinate in un mondo declinato al maschile e per questo è fondamentale lottare per cambiare questa cultura, questa società.
È ora che questa società maschilista e patriarcale che banalizza lo stupro apra gli occhi e Gisèle vi ha contribuito.
Antonietta Ricci, avvocata - Mfpr Taranto