31/12/24
30/12/24
Shatha Al Sabbagh, giornalista palestinese di 22 anni, uccisa a sangue freddo dai servizi di sicurezza dell'ANP
Taranto - la privatizzazione degli asili nido decisa dal Comune deve cadere
Noi Lavoratrici dell'ausiliariato e pulizie degli asili abbiamo subito detto la nostra posizione: https://tarantocontro.blogspot.com/2024/12/asili-nido-il-comune-vuole-affidarli.html
Siamo nettamente contrarie alla privatizzazione degli asili. Sappiamo sulla nostra pelle cosa significa dare la gestione dei servizi ai privati che
hanno un'unica logica: sfruttare al massimo le lavoratrici, i
lavoratori, pagare miseri salari, tagliare i costi su sicurezza,
attrezzature, per ricavare il massimo utile.
Noi da tempo chiediamo la internalizzazione del servizio e delle lavoratrici dell'ausiliariato-pulizie, ora invece il Comune ha deciso la privatizzazione dell'intero servizio degli asili.
Siamo uniti e solidali con la protesta dei genitori e delle educatrici - Dobbiamo unire le iniziative di protesta e di lotta. Anche per evitare che di questa battaglia si approprino parte dei partiti dell'amministrazione comunale.
Il video che pubblichiamo mostra tutta l'arroganza del sindaco Melucci, la sua distanza dalla realtà degli asili e del personale che vi lavora, ai limiti del disprezzo, chiamando la giusta protesta di genitori e educatrici come espressione di "piccoli gruppi già noti...".
Nello stesso tempo dobbiamo denunciare l'atteggiamento, il silenzio connivente dell'assessora ai Servizi educativi, Simili, questa piccola donna non ha nemmeno il coraggio di presentarsi in consiglio (anche al consiglio monotematico era assente).
Ma anche disprezziamo l'atteggiamento di esponenti della giunta, che da un lato dicono che non erano d'accordo con la privatizzazione degli asili, ma dall'altro hanno votato questa privatizzazione; si tratta di personaggi che
hanno interesse solo a conservare la loro poltrona.
Comunque, non vogliamo, non dobbiamo dare per chiusa la partita!
Questa decisione di privatizzazione deve essere ritirata! Gli asili nido sono un servizio pubblico centrale, per i bambini, per le famiglie e soprattutto per le donne, e tale deve restare!
Ma chiaramente serve di più. Che questa amministrazione comunale, il sindaco Melucci vada via. Perchè su tutto (condizione dei lavoratori, situazione della raccolta differenziata, situazione generale della città) si dimostra contro le vere necessità - Melucci pensa soprattutto a finanziare eventi sportivi, turistici e di bassa cultura, invece di usarli per il lavoro.
LE LAVORATRICI AUSILIARIATO/PULIZIE SLAI COBAS SC
27/12/24
20/12/24
Grazie Gisèle per il tuo coraggio
Ieri, al termine di un processo storico per stupro, è stata emessa la sentenza di condanna a vent’anni di carcere per Dominique Pelicot ed altri 51 imputati dichiarati responsabili di violenze contro Gisèle Pelicot.
Per molto tempo Gisèle ha sperato di rimanere anonima, dopo aver appreso l'indicibile: i sedativi somministrati per nove anni a sua insaputa dal marito, gli stupri di gruppo, il suo corpo offerto come proprietà ad altri 70 uomini sconosciuti reclutati su Internet. Ha cambiato nome, ha rifiutato interviste alla stampa... Ma poi Gisèle Pelicot ha deciso di revocare il processo a porte chiuse contro l'ex marito e i suoi 50 coimputati. Il 2 settembre è apparsa presso il Tribunale penale di Avignone. Ha accettato di rendere pubblici i video dei suoi stupri, affrontando i suoi aggressori ogni giorno per tre mesi e mezzo.
Da allora, tutti coloro che hanno seguito regolarmente le udienze hanno osservato la sua metamorfosi. “Distrutta”, ha testimoniato alla sbarra, è riuscita ad alzare la testa, a togliersi gli occhiali scuri e persino a soffermarsi gradualmente con le persone anonime che sono venute a sostenerla e ad applaudirla in aula.
“Tutte le donne che hanno subito uno stupro dovrebbero poter dire a se stesse: la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo”.
In questo Gisèle è divenuta icona femminista, ha accettato il ruolo che le è stato assegnato, affinché “la vergogna possa cambiare faccia”, ha detto più volte, affinché “tutte le donne che sono state violentate possano dire a se stesse “la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo’”. Per la prima volta, un processo porterà il nome della vittima e non del colpevole.
E’ stata una scelta politica fortissima quella di metterci la faccia, di usare il suo corpo per questa battaglia, per tutte quelle donne che non hanno la forza, la voce per denunciare ma soprattutto per restituire la responsabilità della violenza a chi la compie e non a chi la subisce che, invece, nella narrazione dominante e nelle nostre aule di giustizia ancora condanna la donna. Ebbene in questo senso l’operato di Gisèle ha prodotto un agito profondamente femminista nel senso che la sua storia è diventata al servizio di tutte quante le altre e che il termine di sorellanza che ci ha insegnato il femminismo ovvero che quello che accade ad una accade a tutte quante le altre, che l'avanzamento di una è l'avanzamento per tutte hanno trovato concretezza nel coraggio di questa donna che ha deciso di esporsi. Gisèle ha dichiarato di essere uscita allo scoperto per tutte le donne che ancora non hanno trovato il coraggio di uscire dalle relazioni violente, per quelle che non hanno più voce perché purtroppo sono state vittime di femminicidio e quelle che ancora non percepiscono la propria sofferenza dandole il nome giusto di stupro, molte donne non verbalizzano perchè non hanno consapevolezza di stare subendo una violenza sessuale perché è ancora troppo sfumata l'idea del consenso di quanto è giusto ed è legittimo dire sì piuttosto che no e soprattutto perché in un processo di stupro non si crede mai alla donna che, anzi, viene giudicata e sottoposta ad un vero e proprio processo all’incontrario: “Era consenziente; aveva bevuto; se l’è cercata…”.
E’ proprio sotto questo aspetto che il processo francese per stupro rappresenta una svolta storica perché, al di là della pena comminata che sarà sempre riduttiva rispetto alle violenze perpetrate su Gisèle in una condizione di assoluta degradazione del suo corpo, nell’aula di giustizia alle parole che abbiamo sentito della signora Pelicot c'è stato un riconoscimento di questa violenza che non ha avuto quella che solitamente viene ritenuta una modalità vittimizzante della sua dignità ma al contrario la magistratura francese ha riconosciuto piena tutela alla dignità della vittima. In questo senso il processo ha rappresentato un atto simbolico, un atto nel quale lo Stato ha espresso la sua determinazione nel perseguire delitti nel pieno rispetto delle garanzie degli imputati ma riconoscendo piena attendibilità alle parole della vittima.
Qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro! ma la parola delle donne nel rappresentare il loro consenso nell'atto sessuale è ritenuta ancora irrilevante nel senso che la volontà femminile, da sempre, non è stata mai ritenuta un elemento cruciale, un elemento dirimente, tant’è vero che anche il nostro codice penale non contempla la parola “consenso” quando descrive il reato di stupro, e invece è proprio questa la strada da intraprendere per attribuire valore alla volontà femminile nell’ambito della sessualità. La violenza sessuale è talmente estesa che non solo questo processo ce l'ha dimostrato ma i numeri ci dicono che una donna su tre è vittima di violenza in Italia ed in Europa ed una donna su due è vittima di molestie sessuali. Ben si comprende come la parola “consenso” a questo punto diventerebbe un elemento talmente sradicante di una cultura che appartiene ai nostri contesti che ovviamente fa paura e sarebbe un elemento deflagrante, un detonatore proprio sulla cultura che viviamo.
Il processo di Gisèle ha spalancato le porte di una villetta di provincia della Francia in cui un marito normale, un padre normale, delle persone normali hanno abusato di questa donna, dal pensionato all'operaio, dall'avvocato al giornalista; veramente un quadro che ci fa capire ancora una volta quanto il mostro non sia così tanto lontano e che il fulcro del problema è il persistere di una disparità di potere tra uomo e donna e la mancanza di attenzione rispetto alla connessione violenza e discriminazione non ci farà mai fare il passo successivo verso la liberazione delle donne. La violenza è uno strumento per mantenere costantemente la subordinazione delle donne ed è lo specchio di una società che stenta a cambiare, che stenta a riconoscere la violenza all'interno di una dimensione cui le donne sono ancora subordinate in un mondo declinato al maschile e per questo è fondamentale lottare per cambiare questa cultura, questa società.
È ora che questa società maschilista e patriarcale che banalizza lo stupro apra gli occhi e Gisèle vi ha contribuito.
Antonietta Ricci, avvocata - Mfpr Taranto
16/12/24
15/12/24
Voci e immagini dalla grande manifestazione contro il DDL 1660 di ieri a Roma
NELLE STRAGI SUL LAVORO SONO PIÙ DI 100 LE LAVORATRICI UCCISE IN NOME DEL PROFITTO
Dal blog di C. Soricelli
Anche ieri un'altra strage. Rendiamo omaggio a Teresa Carceo un'altra donna morta sul lavoro in soli due giorni: Teresa è caduta da un veicolo elettrico dentro un agriturismo, oltre 100 le donne morte sul lavoro quest'anno.
giovedì 12 dicembre 2024
Rendiamo omaggio ad "angela" Mimma Faia morta dopo due mesi di agonia; folgorata mentre lavorava in una trattoria palermitana
PALERMO – Mimma Faia è morta dopo oltre due mesi dall’infortunio, la donna (nella foto) di 38 anni che era rimasta folgorata in una trattoria di corso dei Mille, dove lavorava. Stava passando lo straccio in un locale a Palermo quando è stata folgorata da una scarica elettrica. Già oltre 100 le donne morte sul lavoro anche quest'anno. guidando trattori e camion, su macchinari, ma soprattutto in itinere per la stanchezza, per la fretta di rendere compatibile il loro lavoro con il loro carico familiare. Una di queste lavoratrici è stata costretta a licenziarsi perchè l'azienda per la quale lavorava non gli ha concesso una flessibilità di 15 minuti in entrata al lavoro. doveva portare presumibilmente i figli a scuola.
13/12/24
11/12/24
Informazione
10/12/24
Con questo sistema reazionario e fascista arriva l'ennesima vergognosa sentenza che autorizza le molestie alle donne
06/12/24
Con la resistenza palestinese dopo Roma, oltre Roma, sulla via dell’unità proletaria, popolare, internazionalista - dal blog proletari comunisti
Circa 30.000 persone il 30 novembre a Roma hanno riportato con forza al centro, anche della situazione italiana, la solidarietà al popolo palestinese, così come la forte denuncia del governo imperialista italiano capeggiato dalla Meloni che è complice del genocidio, insieme alla denuncia del ruolo in generale che l'industria bellica svolge a sostegno dello Stato sionista di Israele.
La situazione in Palestina peggiora. Il piano genocida di Israele, sostenuto dall'imperialismo Usa e dalle altre forze imperialiste, ogni giorno aggiunge crimini a questa guerra di distruzione del popolo palestinese, attraverso bombardamenti nei campi profughi e dovunque, e attacchi di ogni genere che stanno nuovamente uccidendo tanti bambini. Netanyahu ha dichiarato chiaro che anche il cosiddetto cessato il fuoco in Libano serve a concentrare l'azione nel proseguire il genocidio a Gaza, la distruzione della resistenza palestinese e del popolo palestinese.
È evidente, quindi, che la situazione del popolo palestinese, della resistenza fronteggia ancor più che prima una situazione drammatica, a cui hè necessario rispondere con l'unità e la continuità della resistenza.
In questo senso c'è stato un fatto nuovo, rappresentato dal piano siglato tra Fatah e Hamas. Che ha unito le forze per proporre un piano per amministrare Gaza e portarla fuori dalla guerra. Il progetto prevede la nascita di un comitato formato di 10/15 persone non appartenenti a nessuna delle due forze che si occuperebbe di governare e amministrare la Striscia. Un Consiglio indipendente che continuerà a far riferimento tutt'ora all'Autorità palestinese che dovrà raccogliere le istanze che vengono dalla resistenza. La gestione unitaria della situazione e l'alleanza è la scelta che la resistenza fa per poter fronteggiare lo stato attuale dell'aggressione, visto che questa è il vero pericolo, dimostrato dal fatto che Netanyahu invece ha un piano opposto: quello di impedire qualsiasi continuità della resistenza e delle forze della resistenza, un progetto che mira ad occupare stabilmente la Striscia di Gaza con le colonie ebraiche e imporre, come ha detto esplicitamente. Il leader dei movimenti dei coloni, la colonizzazione di tutta l'intera Cisgiordania. Non sul piano teorico, ha dichiarato, ma con passi concreti per trasformare le autorità arabe in autorità regionali sotto il controllo israeliano.
È importante, quindi, che continui la mobilitazione internazionale e nazionale che ha avuto nella manifestazione di Roma una tappa unitaria, o unificata che dir si voglia, ma importante.
Perché il primo punto che bisogna affermare chiaramente è che non si può rivendicare la grande manifestazione di Roma e i suoi numeri che sono frutto di una sfida vinta nei confronti di tutti coloro che non vogliono la crescita della solidarietà alla resistenza palestinese; non si può affermare la giustezza e l'importanza della risposta che vi è stata sia da parte delle forze organizzatrici sia delle forze che hanno partecipato, e poi riproporre una logica di divisione, innanzitutto.
Sarebbe, è, una politica e pratica che non permetterebbe, per esempio, che questa manifestazione abbia una continuità unitaria nei territori, nelle varie realtà, che si costruiscano nuove scadenze nazionali che allarghino la solidarietà e il sostegno alla resistenza del popolo palestinese.
La chiave di volta della riuscita della manifestazione nazionale è stata l'atto che l'ha preceduto, vale a dire l'unità delle organizzazioni palestinesi nell'assumersi la responsabilità di una chiamata unitaria a tutte le forze in campo. Senza l'appello unitario questa manifestazione non ci sarebbe stata. E’ questo il primo problema su cui tutti siamo tenuti a riflettere e nella stessa tempo a rispettare questo percorso necessario.
Il secondo punto sono evidentemente i contenuti di questa mobilitazione.
Su questo punto non ci possono essere divisioni. Perché questa è l'aspirazione nazionale giusta e legittima del popolo palestinese. E’ in funzione di questo obiettivo che la resistenza ha fatto sentire forte e chiara la sua voce il 7 ottobre e che ora continua a resistere su tutti i terreni al piano genocida dello Stato sionista d'Israele e dell'imperialismo.
L’altro compito nostro fondamentale è la lotta contro il nostro imperialismo. L'imperialismo italiano persegue un disegno opposto a quello dei sostenitori della resistenza palestinese.
La Corte Penale Internazionale ha stabilito che Netanyahu debba essere arrestato per il piano di genocidio, ma i principali esponenti del governo fascio imperialista italiano dicono che Netanyahu può liberamente venire in Italia e darebbe accolto a braccia aperte.
In questo senso, è necessario contro i piani dell’imperialismo italiano, del governo Meloni rivendicare con forza la rottura dei rapporti diplomatici, politici, militari con lo Stato di Israele. E l’azione delle industrie belliche; sostenere con forza la ripresa reale delle iniziative nelle università, in tutti i luoghi in cui questa collaborazione si realizza, attraverso azioni che abbiano l'obiettivo di di fermare questa collaborazione.
Nello stesso tempo tutti abbiamo di fronte la necessità di estendere la solidarietà al popolo palestinese. Una parte delle organizzazioni sindacali di base sviluppa iniziative di sostegno al popolo palestinese. E’ grave che invece non sia entrata la solidarietà alla Palestina nello sciopero generale del 29 dic. indetto da Cgil e Uil.
Quindi quest'altro fronte richiede di costruire la forza materiale che allarghi la solidarietà e sia in grado materialmente di influenzare la classe operaia e le masse lavoratrici, settori del popolo. Ed è evidente che l'unità delle forze palestinesi e l'unità delle forze che le sostengono sono l'arma assolutamente necessaria in questo senso.
Non sono invece assolutamente condivisibili le posizioni assunte, prima e durante della manifestazione, dalla Assemblea del 9 novembre. L'Assemblea del 9 novembre al corteo ha imposto, è stata protagonista di una separazione in due parti del corteo, attuando perfino un “servizio d'ordine” che prevedeva di ridurre la contiguità tra lo spezzone delle forze da essa raccolte il resto della manifestazione. Su questo non ci può essere alcuna remora nel denunciare questo atteggiamento e questa posizione.
Certo, questa posizione ha al suo interno una differente valutazione della situazione politica generale, alle soluzioni. Alza la voce contro Israele, dicendo che è Israele che ci trascina verso la guerra generale, coprendo di fatto il ruolo principale dell’imperialismo; nello stesso tempo, unendo la resistenza palestinese alla lotta alle guerre, vuole portarci sul terreno del pacifismo, proprio quando la guerra in corso di Israele dimostra che “senza giustizia nessuna pace”. Si tratta di una posizione pacifista. Inoltre all'interno dell'area che si raccoglie intorno all'Assemblea 9 novembre esiste una divisione tra “buoni e cattivi” rispetto alla stessa resistenza. Per cui sono normali gli attacchi ad Hamas, sono normali quelle posizioni che non esitano a dire che il 7 ottobre è stata un'azione avventurista di Hamas che ha provocato l'azione genocida dello Stato di Isarele.
Queste posizioni sono profondamente sbagliate e dannose sia al sostegno alla resistenza palestinese sia alla collocazione politica e sociale di questo sostegno nel contesto generale della lotta contro l'imperialismo e i governi imperialisti italiani.
Non si è accettata il 30 dicembre la soluzione che è venuta dall'unità delle forze palestinesi che domandava necessariamente che il corteo fosse aperto dalle organizzazioni palestinesi e dalla massa dei palestinesi e che la manifestazione rivendicasse una continuità con la battaglia contro il divieto di manifestare che vi era stata in occasione del 5 ottobre.
I palestinesi dovevano essere alla testa dell'intero corteo, dopodiché evidentemente tutte le forze con i loro elementi di differenza potevano schierarsi come i numeri e le condizioni materiali lo chiedevano. Ma con la scelta dell'Assemblea 9 novembre del pretendere la testa del corteo facendo blocco, questo ha avvelenato il il clima intorno della manifestazione. È stata una sostanziale non accettazione del corte unitario, ridotto di fatto a scelta tecnica. È stato depotenziato il valore della scelta unitaria che le organizzazioni palestinesi hanno fatto e che ha prodotto una manifestazione di circa 30.000 persone; è stato disconosciuto il ruolo dei giovani palestinesi e di Udap nell'essere l'anima più avanzata della lotta dei palestinesi in Italia e la voce più autorevole di questa battaglia. Quindi, l’Assemblea del 9 novembre non ha riconosciuto la decisione unitaria dei palestinesi, e ha lavorato per isolare i giovani palestinesi e l’Udap. Questo è il primo elemento su cui necessariamente tutto il movimento deve riflettere per fare passi in avanti.
Questo non vuol dire affatto arruolarsi secondo le proprie bandiere, ulteriormente proposte da realtà, come la Tir e l’area che ad essa fa riferimento. La solidarietà e la resistenza palestinese, i contenuti politico strategici di questa solidarietà, non debbono essere patrimonio di una tendenza e di un'organizzazione che attraverso i palestinesi si oppone a tutto l'intero movimento.
Anche questa è una pretesa che va respinta perché produce altrettanta divisione e settarismo.
Le manovre gruppettare egemoniste, settarie sono un pericolo reale per la continuità della mobilitazione non solo a livello nazionale ma internazionale. Non permettono di perseguire la strada che tutti oggettivamente dobbiamo perseguire, cioè di estendere la solidarietà ben oltre i confini che attualmente abbiamo, in accordo con il ruolo centrale che in questo può avere la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari, che ancora non partecipano a questa battaglia, per vincerla, per farne un elemento centrale della lotta generale contro la guerra, la repressione, i decreti sicurezza, contro questo governo, come contro ogni governo imperialista.
La nostra posizione su questo è stata chiara dall’inizio. Ma questa posizione aveva e ha bisogno di coloro che vogliono l'unità, di coloro che sono contro l'opportunismo di destra rappresentato dall'Assemblea 9 novembre, di coloro che vogliano estendere questa battaglia concentrando le loro forze in questo senso.
Per questo, diciamo che la rivendicazione fatta dai compagni di Milano del Vittoria della manifestazione a Milano contemporanea a quella di Roma rimane non giusta e limitata.
Proprio perché riteniamo che la battaglia che si è sviluppata a Milano sia una battaglia esemplare 60 cortei, presidi settimanali hanno fatto di capitale di Milano la capitale di questo sostegno resistendo a tutte le manovre che sono state fatte anche a Milano, vedi i fogli di via, per impedire che queste manifestazioni continuassero - questo valore della mobilitazione milanese doveva pesare con forza a Roma. Se un gran numero di compagni e compagne palestinesi e solidali di Milano fosse venuta a Roma, la manifestazione sarebbe stata ancora più larga e i compagni di Milano avrebbero contribuito in maniera significativa e in un certo senso determinante perchè si affermasse l’unità e non la divisione, per combattere le posizioni opportuniste, come le posizioni egemoniste e settarie nella manifestazione.
Per questo non abbiamo condiviso la scelta del Vittoria, del movimento di solidarietà che partecipa alle mobilitazioni del sabato, di rimanere a Milano. Come non abbiamo condiviso la scelta di altre città dove a parole si è sostenuta la manifestazione nazionale e poi non si è fatto nessun sforzo per parteciparvi, da Palermo alle realtà pugliesi e a tante altre realtà che sono mancate a Roma dove si dovevano concentrare tutte le forze solidali con la resistenza palestinese, per fare di Roma, oltre che una grande manifestazione, l'unità del movimento generale per la resistenza, e in questa unità la lotta per affermare le posizioni più avanzate rispetto a posizioni più moderate o arretrate.
Precisiamo però che non è accettabile che queste posizioni sbagliate vengano definite “collaborazioniste”. Collaborazioniste sono le forze parlamentari, il collaborazionismo è quello dell'intero sistema politico, delle forze elettoraliste, che evidentemente a queste manifestazioni o in generale a quelle vere non hanno partecipato e le loro espressioni sono interne ai piani dell'imperialismo e alla collaborazione interna a ogni Stato e quindi a questo governo.
Per isolare i collaborazionisti occorreva, occorre dare dignità a tutte le forze di resistenza, l'abbattimento di ogni paletto sulla rivendicazione, il sostegno incondizionato alla resistenza armata del popolo palestinese, e la lotta nei confronti del governo imperialista italiano.
Su questo la continuità deve essere assicurata sin dalle prossime settimane con le manifestazioni che già ci sono e con una marcia verso nuovi movimenti di carattere nazionale.
Senza la mobilitazione e l'approfondimento delle questioni, questa manifestazione del 30 rischia di essere l'ultima manifestazione nazionale e non la prima di un percorso che ci deve portare a vincere la battaglia al servizio della liberazione del popolo palestinese, a sviluppare la lotta contro la guerra, la repressione, i decreti sicurezza, a vincere nella costruzione dell'unità del proletariato e delle masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi dall'imperialismo e delle loro lotte di liberazione, di cui oggi la Palestina è punto di forza e simbolo a livello mondiale.