20/12/24

Grazie Gisèle per il tuo coraggio


Ieri, al termine di un processo storico per stupro, è stata emessa la sentenza di condanna a vent’anni di carcere per Dominique Pelicot ed altri 51 imputati dichiarati responsabili di violenze contro Gisèle Pelicot.

Per molto tempo Gisèle ha sperato di rimanere anonima, dopo aver appreso l'indicibile: i sedativi somministrati per nove anni a sua insaputa dal marito, gli stupri di gruppo, il suo corpo offerto come proprietà ad altri 70 uomini sconosciuti reclutati su Internet. Ha cambiato nome, ha rifiutato interviste alla stampa... Ma poi Gisèle Pelicot ha deciso di revocare il processo a porte chiuse contro l'ex marito e i suoi 50 coimputati. Il 2 settembre è apparsa presso il Tribunale penale di Avignone. Ha accettato di rendere pubblici i video dei suoi stupri, affrontando i suoi aggressori ogni giorno per tre mesi e mezzo.

Da allora, tutti coloro che hanno seguito regolarmente le udienze hanno osservato la sua metamorfosi. “Distrutta”, ha testimoniato alla sbarra, è riuscita ad alzare la testa, a togliersi gli occhiali scuri e persino a soffermarsi gradualmente con le persone anonime che sono venute a sostenerla e ad applaudirla in aula.

Tutte le donne che hanno subito uno stupro dovrebbero poter dire a se stesse: la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo”.

In questo Gisèle è divenuta icona femminista, ha accettato il ruolo che le è stato assegnato, affinché “la vergogna possa cambiare faccia”, ha detto più volte, affinché “tutte le donne che sono state violentate possano dire a se stesse “la signora Pelicot l'ha fatto, noi possiamo farlo’”. Per la prima volta, un processo porterà il nome della vittima e non del colpevole.

E’ stata una scelta politica fortissima quella di metterci la faccia, di usare il suo corpo per questa battaglia, per tutte quelle donne che non hanno la forza, la voce per denunciare ma soprattutto per restituire la responsabilità della violenza a chi la compie e non a chi la subisce che, invece, nella narrazione dominante e nelle nostre aule di giustizia ancora condanna la donna. Ebbene in questo senso l’operato di Gisèle ha prodotto un agito profondamente femminista nel senso che la sua storia è diventata al servizio di tutte quante le altre e che il termine di sorellanza che ci ha insegnato il femminismo ovvero che quello che accade ad una accade a tutte quante le altre, che l'avanzamento di una è l'avanzamento per tutte hanno trovato concretezza nel coraggio di questa donna che ha deciso di esporsi. Gisèle ha dichiarato di essere uscita allo scoperto per tutte le donne che ancora non hanno trovato il coraggio di uscire dalle relazioni violente, per quelle che non hanno più voce perché purtroppo sono state vittime di femminicidio e quelle che ancora non percepiscono la propria sofferenza dandole il nome giusto di stupro, molte donne non verbalizzano perchè non hanno consapevolezza di stare subendo una violenza sessuale perché è ancora troppo sfumata l'idea del consenso di quanto è giusto ed è legittimo dire sì piuttosto che no e soprattutto perché in un processo di stupro non si crede mai alla donna che, anzi, viene giudicata e sottoposta ad un vero e proprio processo all’incontrario: “Era consenziente; aveva bevuto; se l’è cercata…”.

E’ proprio sotto questo aspetto che il processo francese per stupro rappresenta una svolta storica perché, al di là della pena comminata che sarà sempre riduttiva rispetto alle violenze perpetrate su Gisèle in una condizione di assoluta degradazione del suo corpo, nell’aula di giustizia alle parole che abbiamo sentito della signora Pelicot c'è stato un riconoscimento di questa violenza che non ha avuto quella che solitamente viene ritenuta una modalità vittimizzante della sua dignità ma al contrario la magistratura francese ha riconosciuto piena tutela alla dignità della vittima. In questo senso il processo ha rappresentato un atto simbolico, un atto nel quale lo Stato ha espresso la sua determinazione nel perseguire delitti nel pieno rispetto delle garanzie degli imputati ma riconoscendo piena attendibilità alle parole della vittima.

Qualsiasi atto sessuale senza consenso è stupro! ma la parola delle donne nel rappresentare il loro consenso nell'atto sessuale è ritenuta ancora irrilevante nel senso che la volontà femminile, da sempre, non è stata mai ritenuta un elemento cruciale, un elemento dirimente, tant’è vero che anche il nostro codice penale non contempla la parola “consenso” quando descrive il reato di stupro, e invece è proprio questa la strada da intraprendere per attribuire valore alla volontà femminile nell’ambito della sessualità. La violenza sessuale è talmente estesa che non solo questo processo ce l'ha dimostrato ma i numeri ci dicono che una donna su tre è vittima di violenza in Italia ed in Europa ed una donna su due è vittima di molestie sessuali. Ben si comprende come la parola “consenso” a questo punto diventerebbe un elemento talmente sradicante di una cultura che appartiene ai nostri contesti che ovviamente fa paura e sarebbe un elemento deflagrante, un detonatore proprio sulla cultura che viviamo.

Il processo di Gisèle ha spalancato le porte di una villetta di provincia della Francia in cui un marito normale, un padre normale, delle persone normali hanno abusato di questa donna, dal pensionato all'operaio, dall'avvocato al giornalista; veramente un quadro che ci fa capire ancora una volta quanto il mostro non sia così tanto lontano e che il fulcro del problema è il persistere di una disparità di potere tra uomo e donna e la mancanza di attenzione rispetto alla connessione violenza e discriminazione non ci farà mai fare il passo successivo verso la liberazione delle donne. La violenza è uno strumento per mantenere costantemente la subordinazione delle donne ed è lo specchio di una società che stenta a cambiare, che stenta a riconoscere la violenza all'interno di una dimensione cui le donne sono ancora subordinate in un mondo declinato al maschile e per questo è fondamentale lottare per cambiare questa cultura, questa società.

È ora che questa società maschilista e patriarcale che banalizza lo stupro apra gli occhi e Gisèle vi ha contribuito.

Antonietta Ricci, avvocata - Mfpr Taranto

15/12/24

Voci e immagini dalla grande manifestazione contro il DDL 1660 di ieri a Roma


L'intervento della rete "libere e liberi di lottare - No DDL 1660"

In un'intervista del MFPR, la rabbia delle donne immigrate















Sanzionato il Carrefour di Viale Regina Margherita





NELLE STRAGI SUL LAVORO SONO PIÙ DI 100 LE LAVORATRICI UCCISE IN NOME DEL PROFITTO

 Dal blog di C. Soricelli

Anche ieri un'altra strage. Rendiamo omaggio a Teresa Carceo un'altra donna morta sul lavoro in soli due giorni: Teresa è caduta da un veicolo elettrico dentro un agriturismo, oltre 100 le donne morte sul lavoro quest'anno. 

giovedì 12 dicembre 2024

Rendiamo omaggio ad "angela" Mimma Faia morta dopo due mesi di agonia; folgorata mentre lavorava in una trattoria palermitana 

PALERMO – Mimma Faia è morta dopo oltre due mesi dall’infortunio, la donna (nella foto) di 38 anni che era rimasta folgorata in una trattoria di corso dei Mille, dove lavorava. Stava passando lo straccio in un locale a Palermo quando è stata folgorata da una scarica elettrica. Già oltre 100 le donne morte sul lavoro anche quest'anno. guidando trattori e camion, su macchinari, ma soprattutto in itinere per la stanchezza, per la fretta di rendere compatibile il loro lavoro con il loro carico familiare. Una di queste lavoratrici è stata costretta a licenziarsi perchè l'azienda per la quale lavorava non gli ha concesso una flessibilità di 15 minuti in entrata al lavoro. doveva portare presumibilmente i figli a scuola.

11/12/24

Informazione

In questo prossimo periodo di festività vogliamo occuparci soprattutto di preparare dei materiali che siano utili per una crescita non solo quantitativa ma qualitativa del movimento delle donne, del femminismo proletario rivoluzionario, oggi sempre più necessario a fronte di un governo fascista, sessista che vuole per la maggioranza delle donne un "moderno medioevo".
Per questo non pubblicheremo quotidianamente dei post sul blog, ma sicuramente lo faremo di fronte ad avvenimenti in cui si deve sentire la voce delle donne. 
Tra i materiali che stiamo preparando, prima di tutti vi sarà, come negli altri anni, il calendario del movimento femminista proletario rivoluzionario.
Intanto vi invitiamo a leggere, o rileggere, gli ultimi due fogli.



10/12/24

Con questo sistema reazionario e fascista arriva l'ennesima vergognosa sentenza che autorizza le molestie alle donne

“Corteggiare con troppa insistenza è naturale”, il caso della decisione del Tar del Veneto
Una sentenza che può fare discutere, ad appena due settimane dal 25 novembre. La campagna contro la violenza sulle donne elaborata quest’anno da Una nessuna centomila era proprio: “Se io non voglio, tu non puoi”. A voler rimarcare appunto l’importanza del consenso nei rapporti tra uomini e donne. 
E non è neppure la prima sentenza sul tema delle molestie che si presta ad aprire un dibattito: spesso per i giudici incide il tempo, come nel caso del bidello assolto perché la palpata era stata troppo breve, o perché 20 secondi sono considerati abbastanza, anzi troppi, per ribellarsi a una violenza. 
Ancora, a volte le decisioni dei tribunali prendono in considerazioni caratteristiche della vittima e le molestie non vengono condannate se la vittima è “complessata e sovrappeso”.

La sentenza arriva proprio dal Veneto, dove si è celebrato il processo per il femminicidio di Giulia Cecchettin. Al suo assassino Filippo Turetta è stato dato l’ergastolo, ma senza l’aggravante di stalking e crudeltà. Una decisione su cui si era espressa chiaramente la sorella della vittima, Elena Cecchettin: “Riconoscere le aggravanti fa la differenza, perché la violenza di genere non è presente solo dove c’è il coltello o il pugno.

06/12/24

Con la resistenza palestinese dopo Roma, oltre Roma, sulla via dell’unità proletaria, popolare, internazionalista - dal blog proletari comunisti


Circa 30.000 persone il 30 novembre a Roma hanno riportato con forza al centro, anche della situazione italiana, la solidarietà al popolo palestinese, così come la forte denuncia del governo imperialista italiano capeggiato dalla Meloni che è complice del genocidio, insieme alla denuncia del ruolo in generale che l'industria bellica svolge a sostegno dello Stato sionista di Israele.

La situazione in Palestina peggiora. Il piano genocida di Israele, sostenuto dall'imperialismo Usa e dalle altre forze imperialiste, ogni giorno aggiunge crimini a questa guerra di distruzione del popolo palestinese, attraverso bombardamenti nei campi profughi e dovunque, e attacchi di ogni genere che stanno nuovamente uccidendo tanti bambini. Netanyahu ha dichiarato chiaro che anche il cosiddetto cessato il fuoco in Libano serve a concentrare l'azione nel proseguire il genocidio a Gaza, la distruzione della resistenza palestinese e del popolo palestinese.

È evidente, quindi, che la situazione del popolo palestinese, della resistenza fronteggia ancor più che prima una situazione drammatica, a cui hè necessario rispondere con l'unità e la continuità della resistenza.

In questo senso c'è stato un fatto nuovo, rappresentato dal piano siglato tra Fatah e Hamas. Che ha unito le forze per proporre un piano per amministrare Gaza e portarla fuori dalla guerra. Il progetto prevede la nascita di un comitato formato di 10/15 persone non appartenenti a nessuna delle due forze che si occuperebbe di governare e amministrare la Striscia. Un Consiglio indipendente che continuerà a far riferimento tutt'ora all'Autorità palestinese che dovrà raccogliere le istanze che vengono dalla resistenza. La gestione unitaria della situazione e l'alleanza è la scelta che la resistenza fa per poter fronteggiare lo stato attuale dell'aggressione, visto che questa è il vero pericolo, dimostrato dal fatto che Netanyahu invece ha un piano opposto: quello di impedire qualsiasi continuità della resistenza e delle forze della resistenza, un progetto che mira ad occupare stabilmente la Striscia di Gaza con le colonie ebraiche e imporre, come ha detto esplicitamente. Il leader dei movimenti dei coloni, la colonizzazione di tutta l'intera Cisgiordania. Non sul piano teorico, ha dichiarato, ma con passi concreti per trasformare le autorità arabe in autorità regionali sotto il controllo israeliano.

È importante, quindi, che continui la mobilitazione internazionale e nazionale che ha avuto nella manifestazione di Roma una tappa unitaria, o unificata che dir si voglia, ma importante.

Perché il primo punto che bisogna affermare chiaramente è che non si può rivendicare la grande manifestazione di Roma e i suoi numeri che sono frutto di una sfida vinta nei confronti di tutti coloro che non vogliono la crescita della solidarietà alla resistenza palestinese; non si può affermare la giustezza e l'importanza della risposta che vi è stata sia da parte delle forze organizzatrici sia delle forze che hanno partecipato, e poi riproporre una logica di divisione, innanzitutto.

Sarebbe, è, una politica e pratica che non permetterebbe, per esempio, che questa manifestazione abbia una continuità unitaria nei territori, nelle varie realtà, che si costruiscano nuove scadenze nazionali che allarghino la solidarietà e il sostegno alla resistenza del popolo palestinese.

La chiave di volta della riuscita della manifestazione nazionale è stata l'atto che l'ha preceduto, vale a dire l'unità delle organizzazioni palestinesi nell'assumersi la responsabilità di una chiamata unitaria a tutte le forze in campo. Senza l'appello unitario questa manifestazione non ci sarebbe stata. E’ questo il primo problema su cui tutti siamo tenuti a riflettere e nella stessa tempo a rispettare questo percorso necessario.

Il secondo punto sono evidentemente i contenuti di questa mobilitazione.

Nel nostro paese compito del proletariato e delle masse popolari è di sostenere la resistenza palestinese fino alla vittoria, la vittoria è chiara “dal fiume al mare, Palestina libera”, uno Stato palestinese dal fiume al mare. Cuore dell’opposizione dei popoli dell'area all'imperialismo, parte integrante della lotta di liberazione dei popoli di tutto il mondo.

Su questo punto non ci possono essere divisioni. Perché questa è l'aspirazione nazionale giusta e legittima del popolo palestinese. E’ in funzione di questo obiettivo che la resistenza ha fatto sentire forte e chiara la sua voce il 7 ottobre e che ora continua a resistere su tutti i terreni al piano genocida dello Stato sionista d'Israele e dell'imperialismo.

L’altro compito nostro fondamentale è la lotta contro il nostro imperialismo. L'imperialismo italiano persegue un disegno opposto a quello dei sostenitori della resistenza palestinese.

La Corte Penale Internazionale ha stabilito che Netanyahu debba essere arrestato per il piano di genocidio, ma i principali esponenti del governo fascio imperialista italiano dicono che Netanyahu può liberamente venire in Italia e darebbe accolto a braccia aperte.

In questo senso, è necessario contro i piani dell’imperialismo italiano, del governo Meloni rivendicare con forza la rottura dei rapporti diplomatici, politici, militari con lo Stato di Israele. E l’azione delle industrie belliche; sostenere con forza la ripresa reale delle iniziative nelle università, in tutti i luoghi in cui questa collaborazione si realizza, attraverso azioni che abbiano l'obiettivo di di fermare questa collaborazione.

Nello stesso tempo tutti abbiamo di fronte la necessità di estendere la solidarietà al popolo palestinese. Una parte delle organizzazioni sindacali di base sviluppa iniziative di sostegno al popolo palestinese. E’ grave che invece non sia entrata la solidarietà alla Palestina nello sciopero generale del 29 dic. indetto da Cgil e Uil.

Quindi quest'altro fronte richiede di costruire la forza materiale che allarghi la solidarietà e sia in grado materialmente di influenzare la classe operaia e le masse lavoratrici, settori del popolo. Ed è evidente che l'unità delle forze palestinesi e l'unità delle forze che le sostengono sono l'arma assolutamente necessaria in questo senso.

Non sono invece assolutamente condivisibili le posizioni assunte, prima e durante della manifestazione, dalla Assemblea del 9 novembre. L'Assemblea del 9 novembre al corteo ha imposto, è stata protagonista di una separazione in due parti del corteo, attuando perfino un “servizio d'ordine” che prevedeva di ridurre la contiguità tra lo spezzone delle forze da essa raccolte il resto della manifestazione. Su questo non ci può essere alcuna remora nel denunciare questo atteggiamento e questa posizione.

Certo, questa posizione ha al suo interno una differente valutazione della situazione politica generale, alle soluzioni. Alza la voce contro Israele, dicendo che è Israele che ci trascina verso la guerra generale, coprendo di fatto il ruolo principale dell’imperialismo; nello stesso tempo, unendo la resistenza palestinese alla lotta alle guerre, vuole portarci sul terreno del pacifismo, proprio quando la guerra in corso di Israele dimostra che “senza giustizia nessuna pace”. Si tratta di una posizione pacifista. Inoltre all'interno dell'area che si raccoglie intorno all'Assemblea 9 novembre esiste una divisione tra “buoni e cattivi” rispetto alla stessa resistenza. Per cui sono normali gli attacchi ad Hamas, sono normali quelle posizioni che non esitano a dire che il 7 ottobre è stata un'azione avventurista di Hamas che ha provocato l'azione genocida dello Stato di Isarele.

Queste posizioni sono profondamente sbagliate e dannose sia al sostegno alla resistenza palestinese sia alla collocazione politica e sociale di questo sostegno nel contesto generale della lotta contro l'imperialismo e i governi imperialisti italiani.

Non si è accettata il 30 dicembre la soluzione che è venuta dall'unità delle forze palestinesi che domandava necessariamente che il corteo fosse aperto dalle organizzazioni palestinesi e dalla massa dei palestinesi e che la manifestazione rivendicasse una continuità con la battaglia contro il divieto di manifestare che vi era stata in occasione del 5 ottobre.

I palestinesi dovevano essere alla testa dell'intero corteo, dopodiché evidentemente tutte le forze con i loro elementi di differenza potevano schierarsi come i numeri e le condizioni materiali lo chiedevano. Ma con la scelta dell'Assemblea 9 novembre del pretendere la testa del corteo facendo blocco, questo ha avvelenato il il clima intorno della manifestazione. È stata una sostanziale non accettazione del corte unitario, ridotto di fatto a scelta tecnica. È stato depotenziato il valore della scelta unitaria che le organizzazioni palestinesi hanno fatto e che ha prodotto una manifestazione di circa 30.000 persone; è stato disconosciuto il ruolo dei giovani palestinesi e di Udap nell'essere l'anima più avanzata della lotta dei palestinesi in Italia e la voce più autorevole di questa battaglia. Quindi, l’Assemblea del 9 novembre non ha riconosciuto la decisione unitaria dei palestinesi, e ha lavorato per isolare i giovani palestinesi e l’Udap. Questo è il primo elemento su cui necessariamente tutto il movimento deve riflettere per fare passi in avanti.

Questo non vuol dire affatto arruolarsi secondo le proprie bandiere, ulteriormente proposte da realtà, come la Tir e l’area che ad essa fa riferimento. La solidarietà e la resistenza palestinese, i contenuti politico strategici di questa solidarietà, non debbono essere patrimonio di una tendenza e di un'organizzazione che attraverso i palestinesi si oppone a tutto l'intero movimento.

Anche questa è una pretesa che va respinta perché produce altrettanta divisione e settarismo.

Le manovre gruppettare egemoniste, settarie sono un pericolo reale per la continuità della mobilitazione non solo a livello nazionale ma internazionale. Non permettono di perseguire la strada che tutti oggettivamente dobbiamo perseguire, cioè di estendere la solidarietà ben oltre i confini che attualmente abbiamo, in accordo con il ruolo centrale che in questo può avere la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari, che ancora non partecipano a questa battaglia, per vincerla, per farne un elemento centrale della lotta generale contro la guerra, la repressione, i decreti sicurezza, contro questo governo, come contro ogni governo imperialista.

La nostra posizione su questo è stata chiara dall’inizio. Ma questa posizione aveva e ha bisogno di coloro che vogliono l'unità, di coloro che sono contro l'opportunismo di destra rappresentato dall'Assemblea 9 novembre, di coloro che vogliano estendere questa battaglia concentrando le loro forze in questo senso.

Per questo, diciamo che la rivendicazione fatta dai compagni di Milano del Vittoria della manifestazione a Milano contemporanea a quella di Roma rimane non giusta e limitata.

Proprio perché riteniamo che la battaglia che si è sviluppata a Milano sia una battaglia esemplare 60 cortei, presidi settimanali hanno fatto di capitale di Milano la capitale di questo sostegno resistendo a tutte le manovre che sono state fatte anche a Milano, vedi i fogli di via, per impedire che queste manifestazioni continuassero - questo valore della mobilitazione milanese doveva pesare con forza a Roma. Se un gran numero di compagni e compagne palestinesi e solidali di Milano fosse venuta a Roma, la manifestazione sarebbe stata ancora più larga e i compagni di Milano avrebbero contribuito in maniera significativa e in un certo senso determinante perchè si affermasse l’unità e non la divisione, per combattere le posizioni opportuniste, come le posizioni egemoniste e settarie nella manifestazione.

Per questo non abbiamo condiviso la scelta del Vittoria, del movimento di solidarietà che partecipa alle mobilitazioni del sabato, di rimanere a Milano. Come non abbiamo condiviso la scelta di altre città dove a parole si è sostenuta la manifestazione nazionale e poi non si è fatto nessun sforzo per parteciparvi, da Palermo alle realtà pugliesi e a tante altre realtà che sono mancate a Roma dove si dovevano concentrare tutte le forze solidali con la resistenza palestinese, per fare di Roma, oltre che una grande manifestazione, l'unità del movimento generale per la resistenza, e in questa unità la lotta per affermare le posizioni più avanzate rispetto a posizioni più moderate o arretrate.

Precisiamo però che non è accettabile che queste posizioni sbagliate vengano definite “collaborazioniste”. Collaborazioniste sono le forze parlamentari, il collaborazionismo è quello dell'intero sistema politico, delle forze elettoraliste, che evidentemente a queste manifestazioni o in generale a quelle vere non hanno partecipato e le loro espressioni sono interne ai piani dell'imperialismo e alla collaborazione interna a ogni Stato e quindi a questo governo.

Per isolare i collaborazionisti occorreva, occorre dare dignità a tutte le forze di resistenza, l'abbattimento di ogni paletto sulla rivendicazione, il sostegno incondizionato alla resistenza armata del popolo palestinese, e la lotta nei confronti del governo imperialista italiano.

Su questo la continuità deve essere assicurata sin dalle prossime settimane con le manifestazioni che già ci sono e con una marcia verso nuovi movimenti di carattere nazionale.

Senza la mobilitazione e l'approfondimento delle questioni, questa manifestazione del 30 rischia di essere l'ultima manifestazione nazionale e non la prima di un percorso che ci deve portare a vincere la battaglia al servizio della liberazione del popolo palestinese, a sviluppare la lotta contro la guerra, la repressione, i decreti sicurezza, a vincere nella costruzione dell'unità del proletariato e delle masse popolari dei paesi imperialisti e dei paesi oppressi dall'imperialismo e delle loro lotte di liberazione, di cui oggi la Palestina è punto di forza e simbolo a livello mondiale.

28/11/24

Per lo sciopero del 29 novembre - Alle lavoratrici

Scioperiamo e scendiamo in piazza il 29… ma che si avvii una reale rivolta sociale contro padroni e governo

Come Slai Cobas per sindacato di classe lavoriamo per ricostruire la forza e l’unità dei lavoratori. Questo è importante in questo momento perché ci troviamo di fronte a una situazione in cui tutti i governi hanno sempre fatto l’interesse dei padroni ma questo governo sta facendo un passo ulteriore al servizio esclusivo degli interessi dei padroni, grande finanza, parassitismo economico e sociale e marcia verso una dittatura aperta. I padroni metalmeccanici vengono al tavolo e dicono: zero aumenti, zero stop alla precarietà, zero sulla sicurezza.

Questo è inaccettabile!

Questi padroni si sentono ancora più forti, tant’è che oggi il loro governo attacca pure il diritto di sciopero e ha fatto un Ddl sulla ‘sicurezza con cui vuole condannare e sanzionare anche i lavoratori che fanno blocchi, picchetti, lotte assolutamente necessarie per pesare, insieme a colpire tutti i movimenti degli studenti, contro la guerra, solidali con la Palestina, movimenti territoriali Notav, Noponte, i movimenti ambientalisti, ad attaccare le necessarie proteste dei migranti, restringendo la democrazia per tutti. Anche uno che dice “rivolta sociale” come il segretario della Cgil, Landini (che poi non la farà perché dobbiamo farla noi lavoratori) viene attaccato dal governo Meloni che difende solo l’interesse delle multinazionali, va a braccetto con Elon Musk. Chi governa oggi è una frazione più nera del Capitale.

Se vogliamo ottenere qualcosa anche sul contratto, veri aumenti salariali, lavoro stabile, difesa della sicurezza e salute e dei nostri diritti; se vogliamo respingere una manovra finanziaria che dà tutto ai padroni e niente ai lavoratori, che toglie soldi alla sanità, alla scuola, alla sicurezza, ambiente per aumentare i soldi per gli armamenti, per la guerra; se non vogliamo prendere in giro i lavoratori, dobbiamo lavorare perché ci sia effettivamente una rivolta sociale. La rivolta sociale non si fa a parole, si fa quando centinaia, migliaia di lavoratori scioperano, fanno continue lotte, si rivoltano, come è successo negli anni ‘70 in cui solo così abbiamo ottenuto alcuni nostri diritti. I segr. nazionali della Cgil/Fiom e della Uilm/Uil parlano di situazione inaccettabile e rispetto al contratto dei metalmeccanici di un ritorno al passato, dopodiché, all’interno dei posti di lavoro, i discorsi che stanno portando tra i lavoratori non sono adeguati all’altezza dello scontro sociale e politico.

Scioperare il 29, tornare in piazza vuol dire costruire effettivamente l’unità tra i lavoratori, perché tutti i lavoratori sono colpiti, al di là della tessera sindacale. C’è un sindacato, Fim Cisl, che sta ormai con il governo e vuole dividere i lavoratori. Quello che ci serve per una lotta ampia, incisiva e continua è una “guerra civile” anche in fabbrica tra tutti i lavoratori ricostruendo in questo modo una unità di classe effettiva per portarli in piazza.

Dobbiamo fare questo lavoro, perché dobbiamo ritornare a fare le battaglie a partire dalle fabbriche, su una piattaforma con al centro gli aumenti del salario, già la richiesta che è stata presentata era inadeguata, le stesse statistiche ci dicono che i salari italiani sono i più bassi d’Europa e i padroni ci stanno dicendo zero aumenti salariali! Invece di tassare le grandi rendite, il governo nella legge di bilancio abbassa le tasse dei ceti medio/ricchi e alza le nostre tasse, mettendo sullo stesso piano noi lavoratori che non riusciamo a tirare avanti, con le nostre famiglie, i nostri figli e i redditi alti dei borghesi. Vogliamo un effettivo taglio delle nostre tasse e che le tasse debbano servire per finanziare la sanità, la scuola, le pensioni.

Le strade sono due: o si fa l’interesse dei lavoratori o si fa l’interesse delle grandi multinazionali che anche nella crisi aumentano i profitti, mentre non danno nessuna soluzione alle grandi vertenze nelle fabbriche, Acciaierie/ Stellantis, ecc., mettono tantissimi operai in cassintegrazione, che in questa fase diventano anticamera di esuberi

Ma non basta. Il governo ci stanno trascinando in una guerra imperialista mondiale. Si parla di miliardi di evasione fiscale, ma quanti miliardi vanno per gli armamenti, per ammazzare, per il genocidio in Palestina, per finanziare le guerre? Per questo ci sono i soldi, mentre niente soldi per aumentare gli ispettori del lavoro, per i controlli.

Queste sono le questioni concrete su cui noi dobbiamo tornare a costruire un’unità, una forza nello sciopero del 29.

Il problema sono le direzioni, sindacali, col discorso dei governi amici di questi anni, l’abbiamo presa in quel posto. Adesso basta però! Ripartiamo dall’unità delle fabbriche e della unità di tutti i lavoratori, precari, disoccupati, masse povere Migliaia di operai che vanno in piazza a farsi vedere, cambiano le cose. Ma si deve andare bloccando posti di lavoro, strade e città, per imporre gli interessi di classe, non per fare la “passeggiata”,

Però ogni operaio deve fare la sua parte, deve fare una battaglia anche con il suo compagno di lavoro, perché. a partire dalle grandi fabbriche ritroviamo la nostra unità di classe, difendiamo i nostri interessi, altrimenti questi ci schiacciano, questi tra un po’ diranno che il sindacato va fermato, che non può scioperare, non può fare vera attività in fabbrica, e questo sta già avvenendo con una grave repressione vero i cobas e sindacati di base.

Questo sciopero deve coinvolgere tutti perché tutti siamo coinvolti, tutti siamo coinvolti nella guerra, nel razzismo, nella repressione. Bisogna fare la rivolta sociale? Bene, noi siamo pronti, siamo qua! Ma per non farci ingannare da parole che poi non si trasformano in fatti, noi lavoriamo per costruire una posizione autonoma degli operai avanzati all’interno dei posti di lavoro, con una piattaforma di classe su cui aprire uno scontro prolungato contro i padroni e governo e per mettere in discussione il sistema capitalista.

SLAI COBAS per il sindacato di classe

Una riflessione sulla mobilitazione del 25 novembre


La giornata è il 25 novembre possiamo dire che si è chiusa con la richiesta di condanna all'ergastolo per i femminicidi di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin. Una condanna che sembra quasi simbolica nella giornata del 25 novembre. Una condanna necessaria ma come ha denunciato anche la sorella di Tramontano: queste condanne - che è giusto che ci siano, a fronte anche sentenze di recenti che invece hanno ridotto o dato condanne ridicole ad assassini di donne, arrivando anche a giustificare le loro marce concezioni - però queste queste condanne sono fatte dopo che le donne sono morte, mentre niente viene fatto per impedire questa guerra di bassa intensità che continua e aumenta contro le donne.

Anzi, nella giornata di ieri, dopo i silenzi di questi giorni, la Meloni ha parlato, ma ha parlato per dire anche lei che è l'immigrazione soprattutto che incide nei casi di violenza sessuale.

Dando così un avallo di governo alle squallide, razziste affermazioni fatte nei giorni precedenti da Valditara. Il governo quindi ha usato strumentalmente la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne per fare un ulteriore attacco razzista, fascista contro gli immigrati. Peggio non poteva fare, ma invece lo ha fatto.

Perché quando sempre nell'intervista che ha fatto la Meloni a “Donna moderna” ha parlato di come garantire maggiore sicurezza alle donne ha indicato “le assunzioni e il trattamento delle forze dell'ordine”, in questo ha indicato principalmente il problema della sicurezza delle donne! Quelle forze dell'ordine che archiviano le denunce delle donne, a cui sono seguiti tanti casi di femminicidi. Uccisioni di donne che anche quest'anno nei mesi scorsi sono stati ampiamente annunciati, ampiamente denunciati alle forze dell'ordine non una volta, ma in alcuni casi anche più volte, eppure i femminicidi ci sono stati. Forze dell'ordine che quando una donna, una ragazza, va a denunciare, con tutto chiaramente un senso di oppressione, anche di imbarazzo, a volte, sbagliando, anche di vergogna, paura. Ecco quando vanno queste donne, le forze dell'ordine al massimo le ascoltano burocraticamente, anche di fronte a disperazione delle donne. Poliziotti, carabinieri che sono stati anche responsabili direttamente di femminicidi e stupri, e oggi lo possono essere ancora di più, perché il governo gli permette di andare sempre in giro, anche fuori servizio, con la pistola. Ma perché la Meloni contro i femminicidi indica una delle soluzioni principali nel rafforzamento delle forze dell'ordine. Per le donne? No, certo! Lei dice: per la funzione di contrasto all'insicurezza delle nostre città e quindi per il contrasto all'immigrazione illegale di massa. E arriviamo sempre allo stesso scopo che non ha niente a che fare con le donne e con i femminicidi, che nel 90% dei casi sono fatti da uomini italianissimi, bianchissimi. E quindi sono loro gli uomini che odiano le donne.

Però ora vogliamo parlare della vera giornata del 25 novembre che c'è stata ieri e il 23 novembre.

Partiamo dal 23. Ci sono state due grandi manifestazioni, prima di tutto quella di Roma di oltre 150.000 persone, alcuni parlano anche di 200.000, con tantissime ragazze e studentesse. E in contemporanea c'è stata quella di Palermo di migliaia di persone. Insieme a queste ci sono state nella giornata proprio del 25 novembre tantissime manifestazioni nelle città dal Nord al Sud. A testimoniare, soprattutto la partecipazione di Roma, che le donne sono la marcia in più che si estende dovunque, in ogni città.

A Roma la protesta, nei cartelli, negli slogan, ha avuto chiaramente il nuovo bersaglio di Valditara. Si è rafforzata la denuncia del genocidio in Palestina da parte di Israele che massacra donne e bambini e la solidarietà alla resistenza del popolo palestinese; così come del legame complice dell'Italia e delle industrie italiane con questo genocidio. Qui vogliamo sottolineare l'esempio dato dalle attiviste di Extinction Rebellion che, violando i fogli di via, in questa manifestazione di Roma hanno portato in particolare questa denuncia. Appunto, violando, giustamente, i fogli di via

Nei contenuti, nelle parole d'ordine, nelle azioni la manifestazione di quest'anno non è andata più avanti della manifestazione dell'anno scorso di 500.000 persone. Mentre chiaramente si è più evidenziata la denuncia del patriarcato, c'è stata anche quest'anno una protesta necessaria contro la sede dei Pro-vita, ma anche quest'anno, anzi più dell'anno scorso, la polizia, in un certo senso pre-allertata, ha fatto da difesa, scudo del portone della sede pro-vita e quindi c'è stato un momento di scontro/confronto con la polizia, ma purtroppo non si è potuto andare oltre.

A Palermo, come in altre città, vedi anche Taranto, Milano, dove c'è un lavoro continuo del Movimento femminista proletario rivoluzionario verso le donne proletarie è stata posta con forza la lotta contro la violenza economica verso le lavoratrici, fatta di precarietà, dipendenza economica dalla famiglia, quella famiglia in cui poi troppe trovano la morte. Questa violenza è la base oggettiva sempre più attuale della condizione di doppia oppressione della maggioranza delle donne. Così, soprattutto nelle manifestazioni al sud ma non solo, è stata denunciata l'altra faccia della guerra contro le donne, l'attacco al diritto d'aborto che come i femminicidi ha la sua radice nel voler schiacciare la volontà delle donne, la libertà di scegliere, di decidere della propria vita.

Quindi un 25 novembre grande, importante, ma che nello stesso tempo, nella fase attuale del governo Meloni che porta avanti in maniera sempre più evidente in ogni suo atto, in ogni legge, in ogni azione, in ogni dichiarazione, il moderno fascismo, in questa fase dell'imperialismo italiano complice della marcia verso una guerra mondiale, del genocidio in Palestina, ecco, c'è bisogno di più, ma soprattutto di più chiarezza.

Valditara è stato il facile bersaglio, in un certo senso se l'è cercata con le sue esternazioni da fascista, razzista, ignorante, ma dobbiamo prendercela con i pesci grossi, con i padri, in questo caso le madri, di questi personaggi. Valditara dovrebbe essere come minimo cacciato, come Sangiuliano. Dovrebbe essere scontato – ma facciamo una parentesi: in questa situazione, onestamente, abbiamo sentito meno denunce, critiche e proteste da parte dell'opposizione, come invece ci fu. a proposito di Sangiuliano – che un Valditara che dice quelle cose dovrebbe essere subito cacciato. Ma questo, come abbiamo visto con Sangiuliano, non cambia le cose.

Occorre colpire la Meloni, la Meloni che l'ha appoggiato, che ha fatto sue, proprio nella giornata del 25 novembre quelle squallide razziste dichiarazioni. Ammesso e non concesso che Valditara faccia la fine di Sangiuliano e poi? La Meloni resta. Il problema è che occorre rovesciare il governo fascista. Meloni. Che chiaramente ha nel suo seno uomini ministri, che chiamarli ministri è come minimo imbarazzante. Meloni, tra l'altro, sempre in questi giorni ha appoggiato le altre luride criminali dichiarazioni di Salvini che ha detto che Netanyahu, il genocida di donne e bambini, pur se ha un mandato di arresto dalla Corte penale internazionale, sarà il benvenuto in Italia; e la Meloni, un pò col silenzio, un pò con mezze dichiarazioni, di fatto ha appoggiato anche questo Ministro reazionario razzista.

Quindi dobbiamo andare alla radice della barbarie, che è il moderno fascismo del governo Meloni, il sistema capitalista e imperialista.

Non possiamo limitarci a denunciare solo le loro manifestazioni, i loro effetti, perché questi non si possono cancellare senza attaccare il sistema in generale il sistema capitalista imperialista che oggi ha nel governo Meloni la sua espressione nera più reazionaria e che pone nelle sue basi la doppia oppressione della maggioranza delle donne.

E’ il governo Meloni, con la sua cloaca di ministri sottospecie umana, il fomentatore della violenza sessuale contro le donne, spargendo un humus che è fascista, che è di odio verso le donne, verso chi non ci sta, verso chi si ribella all'oppressione.

Ma questa questione del fascismo non non viene nominata, non è stata nominata neanche nella manifestazione più grande, quella di Roma.

Nel comunicato, per esempio di Non una di meno si mette al centro, così come nelle manifestazioni, la parola che ha guidato in generale le manifestazioni di quest'anno: “Disarmiamo il Patriarcato”. Si mette al centro la denuncia del patriarcato, della violenza patriarcale e la “deriva identitaria autoritaria che la sostiene giustifica”. Fino a dire che la guerra è l'espressione più brutale della violenza patriarcale, e quindi “Disarmiamo il Patriarcato per fermare la guerra nelle case, sui corpi, sui territori, sulle nostre vite”. Quindi il governo Meloni viene denunciato come governo patriarcale quando è un governo fascista! Perché il patriarcalismo, le concezioni, le pratiche patriarcali oggi sono il frutto del moderno fascismo, la guerra è frutto dell'imperialismo che, sempre più in crisi, si muove come una belva ferita e massacra i popoli per imporre una nuova spartizione del mondo, una nuova rapina delle fonti energetiche, delle materie prime.

Il nemico da sconfiggere è il governo fascista e l'imperialismo. Dire che le guerre, il genocidio in Palestina è espressione della violenza patriarcale, non indicare nell'imperialismo la fonte di tutto questo, chi manovra le fila, è, permetteteci di dirlo, è quantomeno espressione di cecità; le donne in Palestina non sono massacrate, sfollate, affamate per il Patriarcato, ma per lo Stato sionista d'Israele coperto e foraggiato dall'imperialismo.

Rinnovare, riprendere valori patriarcali per tenere oppressa e sfruttata più della metà dell'umanità è per questo sistema necessario. Quindi il patriarcalismo c'è! Ma confondere l'uso moderno del patriarcalismo con il sistema che lo produce può diventare fuorviante. Non si vedono i nemici principali da combattere e alla fine si rischia di spargere illusione che si può eliminare il patriarcato senza eliminare l'imperialismo il capitalismo, e in Italia oggi come tappa, senza rovesciare il governo fascista Meloni.

In questo senso è giusto denunciare i valori patriarcali, ma, ripetiamo, questo non deve assolutamente coprire chi spande valori patriarcali, chi è il nemico principale da combattere.

Questo anche perché pure sulle soluzioni ci sono alcune illusioni.

Per esempio tra le soluzioni principali rispetto al contrastare i femminicidi, si pone la questione dell'educazione sessuale-affettiva nelle scuole. Questo non solo è un'illusione, ma è anche sbagliato porlo senza dire “chi educa chi?” Chi dovrebbe educare? E senza denunciare come questa scuola, appunto Valditara insegna, non può fare educazione sessuale-affettiva. Anzi, siamo noi che dobbiamo dire: non vogliamo che questa scuola, impregnata sempre più di ideologia da “Dio, patria e famiglia”, da concezioni e pratiche militariste in cui le forze armate fanno loro le lezioni, sembrano loro gli insegnanti, faccia educazione sessuale-affettiva. Chi dovrebbe fare questi corsi? Esercito, Guardia di finanza, Polizia. Carabinieri che insegnano pure ai bambini come si usano le armi, che insegnano come usare il manganello contro le manifestazioni? E mentre per questi ormai la scuola è diventata quasi casa loro, invece associazioni che si battono contro i femminicidi, la violenza sessuale, espressioni genuinamente democratiche, ecc, non possono accedere nelle scuole, viene loro sbarrato la possibilità di entrare nelle scuole. Vogliamo ricordare quello che succedeva negli anni 70/80, in cui erano le scuole erano occupate ed erano le studentesse, gli studenti che organizzavano corsi, lezioni autogestite su vari temi. Ecco, sono le scuole occupate dalle studentesse che possono fare corsi di educazione sessuale, facendo entrare chi decidono loro e chi effettivamente può dare un contributo alla battaglia delle donne, delle ragazze. Allora se vogliamo fare queste cose, occupiamole di nuovo queste scuole! Perché altrimenti, ancora una volta, si vede l'albero e non la foresta, quando bisogna colpire la foresta.

Quindi chiarezza, chiarezza e scontro adeguato all'attuale situazione. Per cui serve un movimento femminista, Sì, ma proletario rivoluzionario, che sia espressione di classe della maggioranza delle donne che sono proletarie e che lavori per, come abbiamo gridato noi nelle manifestazioni, scatenare la furia delle donne come forza poderosa della rivoluzione. Questo non è, non deve essere solo uno slogan, ma dobbiamo cominciare a lavorare, a organizzare le forze perché cominci a diventare pratica concreta, lavoro concreto.

Siamo state anche quest'anno sia nella grande manifestazione di Roma, in cui le compagne del Movimento femminista proletario rivoluzionario hanno diffuso centinaia e centinaia di copie del nostro foglio che si rivolgeva a tutte le donne; sia abbiamo contribuito a realizzare le manifestazioni a Palermo, le manifestazioni a Taranto, direttamente con le lavoratrici, e partecipando con spezzoni combattivi alle manifestazioni serali con tutte le altre realtà delle donne, femministe. Noi che siamo e vogliamo sempre più mobilitarci, manifestare insieme a tutte le forze, nello stesso tempo, stiamo lavorando per organizzare quell’”esercito rivoluzionario” delle donne, delle donne prima di tutto proletarie perché siano quella forza poderosa che oggi è sempre più necessaria per rovesciare questo governo violento, marcio, brutale, e mettere fine all'orrore senza fine.

27/11/24

Dalla manifestazione a Madrid del 25 novembre




Milano 25 aprile - Corteo partecipato e determinato - intervento tra le lavoratrici della sanità del Mfpr









Corteo di Nudm Milano molto partecipato: circa in diecimila, e' stato meno folcloristico e più determinato del solito.
Presenza numerosa di giovani e giovanissime. Significativi i passaggi nei pressi della prefettura e davanti al Tribunale dove gli interventi hanno denunciato la complicità dello Stato. Molto fotografato e apprezzato lo striscione che abbiamo srotolato in S. Babila- punto più vicino alla Prefettura - e al concentramento, anche davanti al Tribunale.
Il corteo si è caratterizzato fino alla fine per il clima di rabbia unita all'entusiasmo di essere in tante che si percepiva in maniera netta, non tanti slogan sono stati scanditi anche per le performance che sono state effettuate lungo il percorso.

Abbiamo distribuito il volantino sulle "uscite" del ministro Valditara, in particolare alle giovanissime, e il foglio mfpr uscito il 25 novembre. Il piccolo banchetto, i materiali e gli striscioni hanno trovato interesse e in generale buona accoglienza
Sostegno reso visibile alla Palestina, con qualche cartello, bandiere e molte kefiah.

Al mattino all' Istituto tumori sono state affisse è stato fatto un volantinaggio rivolto alle lavoratrici che invitava al corteo del pomeriggio con la parola d'ordine: "cacciamo il governo Meloni".