A proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare è che: “All’interno della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945.
Questa manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo. Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne. E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con “scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”. Espressione di un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto generale, ha saputo esprimere anche un’autonoma capacità di lotta…”.
E’ il caso di rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – dal ricordo/commemorazione contenuto nel “Rapporto dei Gruppi di difesa della donna”:
“Barbara uccisione di due giovani dirigenti – A Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà, riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime e di esecrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto…”.
Quante sono state le donne che hanno partecipato alla Resistenza?
I dati ufficiali:
- 35.000 partigiane, sappiste e gappiste
- 512 comandanti e commissarie di guerra
- 4.633 arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti
- 2750 deportate in Germania
- 623 fucilate e cadute in combattimento
- 1.750 ferite
- 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna
Dati ufficiali che si discostano in maniera significativa dalle considerazioni di Arrigo Boldrini - famoso comandante - nome di battaglia Bulow - della guerra di Liberazione ed esperto militare che ebbe a dire:
“Se in un esercito normale il rapporto fra combattenti e addetti ai servizi è di uno a sette, nella guerra partigiana è di uno a quindici; intorno a ogni patriota ci sono quindici persone che in grande maggioranza sono donne”.
Il dato numerico è straordinario in sé, come straordinario e contro la vulgata che vorrebbe le donne spinte da spirito materno il ruolo delle donne, già dai primi giorni. Come giustamente ricostruito dopo l’8 settembre i soldati, sbandati, senza direttive in tantissimi abbandonano le divise e tentano di tornare a casa evitando treni e strade per non imbattersi nei tedeschi che, intanto, avevano avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e rastrellavano gli uomini da mandare a lavorare in Germania. Sono le donne che si rendono conto della situazione e li nascondono, forniscono abiti civili, in qualche modo “danno indicazioni”, nello smarrimento generale.
La parola d’ordine “basta con la guerra” accomuna da nord a Sud, militari e civili, soprattutto le donne che, in tantissime sono rimaste da sole con i vecchi e i bambini.
“A Castelfranco Emilia circa mille marinai, provenienti da La Spezia, trovano al loro passaggio ai lati della via Emilia donne munite di abiti borghesi, scarpe e viveri. A Sassuolo, in piazza della Libertà, i tedeschi avevano concentrato i militari prigionieri, circondandoli con mitragliatrici: le donne non esitano, passando tra i tedeschi e le mitragliatrici per raggiungere i militari, a incoraggiarli a tentare la fuga”.
Come mai tante donne?
Il fascismo aveva rappresentato per le donne un “ritorno indietro”, dalle affermazioni sulle “caratteristiche” delle donne alla doppia morale, sul loro ruolo nella società: o madri prolifiche, successivamente meglio se di morti in guerra o strumenti di piaceri del maschio fascista ; ma è soprattutto con leggi apertamente discriminatorie, in primis sul lavoro, verso le donne che si dà applicazione pratica a queste concezioni, ricacciando le donne nel “focolare” e verso una condizione di sempre maggiore oppressione. Insomma, l’oppressione aumenta la ribellione:
“Si può avanzare l’ipotesi che, poiché qui le leggi fasciste si erano sommate a una tradizionale arretratezza culturale, a una borghesia più reazionaria e a una Chiesa più potente – che nella sottomissione della donna trovavano ciascuna il suo tornaconto- proprio il maggior peso dell’oppressione abbia provocato la maggiore ribellione”.
"E’ facile perché…
Perché il fascismo alle donne, non aveva proprio nulla da offrire, mentre c’era da temere che gli restasse sempre ancora qualcosa da togliere.”
In tutti i lavori su donna e Resistenza si mette in evidenza come le donne hanno scelto, andando spesso contro genitori, mariti, vicini e/o, spesso, nascondendo la vera attività che svolgevano fuori casa, ma si coglie che tante sono state le motivazioni, la spinta iniziale: motivazioni di classe, lo sdegno per le persecuzioni degli ebrei, la solidarietà umana, l’aspirazione, forte, a un mondo diverso senza discriminazioni, migliore per le donne, senza sfruttamento… ma comunque già per se stesso un fatto dirompente. D’altra parte, la partecipazione fa maturare rapidamente, insieme alla preparazione politica e teorica che sarà impartita dalle “vecchie” militanti, come anche le regole della clandestinità. Soprattutto se si pensa al clima di terrore instaurato dai nazifascisti che significava carcere, torture, stupri, deportazione nei campi di concentramento, morte.
Quel che è certo è che non fu un gruppo ristretto a partecipare, ma, in mille forme, contribuendo in vario modo, perché tutto è indispensabile, un numero enorme di donne: la rete di informazioni sui movimenti del nemico, l’organizzazione delle fughe dagli ospedali e dalle carceri, la cura dei feriti, l’approvvigionamento, il trasporto di viveri e armi, il sostegno alle famiglie dei deportati, dei prigionieri politici, informare le famiglie dei lutti, portare direttive.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è lo sviluppo ineguale che si è avuto nelle diverse regioni della Resistenza, ma anche la durata dell’occupazione nazifascista, oltre che una diversa coscienza nelle regioni in cui si erano sviluppate le lotte contadine ed operaie. La partecipazione per un più lungo tempo, la consuetudine con le lotte e l’organizzazione ha permesso di sviluppare una maggiore coscienza, come appare bene dalle testimonianze sullo sviluppo nelle diverse Regioni.
E, allora, cosa furono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà, quale ruolo, attività svolsero?
Intanto, la scelta del nome creò più di una perplessità soprattutto non si comprendeva la necessità di un’organizzazione specifica delle donne (ancora oggi sentiamo ”quando si lotta si lotta per le donne e gli uomini”, in una visione idealista – vedi in proposito La scintilla dello sciopero delle donne a cura del mfpr-), ma anche perché sembra voler relegare le donne a un ruolo “di genere” o la possibilità di un lavoro trasversale di donne appartenenti ad organizzazione diverse. Viene, invece, ben accolta dalle più giovani e dalle donne non appartenenti a un partito, perché dà loro la possibilità di partecipare in modo concreto ed, appunto, organizzato, visto che spontaneamente e/o a piccoli gruppi tante donne già si erano mobilitate. Diventerà, inoltre, la base per sviluppare- con non poche “defezioni”- una piattaforma sui problemi specifici delle donne per il dopo Liberazione.
Dal citato Rapporto che ricordiamo è stato redatto nel corso della Resistenza, già, questo, basta a rendere conto della rete clandestina efficientissima, dell’enorme lavoro svolto in condizioni proibitive:
“Nel novembre 1943 (a Milano, ndr) si riunirono alcune donne (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato comuniste; Laura Conti e Lina Merlin socialiste; Elena Dreher e Ada Gobetti, azioniste), appartenenti ai vari partiti aderenti al CLN, per gettare le basi di una organizzazione femminile, unitaria e di massa. Venne così elaborato ed approvato il programma dei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”.
L’organizzazione che stava per sorgere doveva essere aperta alle donne di ogni ceto sociale: operaie, impiegate, massaie, intellettuali e contadine, alle donne di ogni fede religiosa e di ogni tendenza politica e a tutte le donne senza partito, persuase di unire le loro forze nella lotta contro i tedeschi e i traditori fascisti, disposte a dare la propria opera per la liberazione della patria e decise a far valere le proprie rivendicazioni.
I compiti fissati erano i seguenti: organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza alle violenze tedesche, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi, raccogliere viveri, denaro, indumenti per i combattenti della libertà ed aiutarli in ogni modo; assistere le famiglie dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in Germania e tutte le vittime della reazione nazifascista.
Inoltre, si doveva esigere con gli scioperi, con le fermate di lavoro, e con le dimostrazioni di massa: l’aumento delle razioni alimentari insufficienti a garantire il minimo indispensabile alla vita; l’ aumento dei salari adeguato all’ aumento del costo della vita; l’ alloggio alle famiglie degli sfollati e dei sinistrati; i combustibili, i vestiti, le scarpe; i locali necessari per le scuole, il loro riscaldamento, e le refezioni, i vestiti e le scarpe per i bimbi, la proibizione del lavoro a catena, del lavoro notturno, dell’impiego nelle lavorazioni nocive; un salario uguale, per un uguale lavoro, a quello degli uomini; delle vacanze sufficienti e l’ assistenza nel periodo che precede e segue il parto. Il programma fissava, inoltre, che a liberazione avvenuta le donne dovevano chiedere
ATTIVITA’ SVOLTA
Le difficoltà causate dalla situazione esistente, i vent’ anni di fascismo durante i quali fu negato alla donna il diritto di partecipare alla vita politica, la necessità di osservare le più strette norme cospirative, rendevano oltremodo difficile il nostro lavoro, inoltre gli elementi più sicuri e capaci svolgevano altra attività politica…
La prima campagna iniziata dai gruppi fu quella delle mondariso e la preparazione dell’ 8 marzo…
Nei grandi scioperi del marzo 1944 i Gruppi erano già presenti, benché in numero ristretto, nelle principali fabbriche e seppero tenere degnamente il loro posto accanto alle altre organizzazioni di lotta…I Gruppi furono presenti e attivi in tutte le agitazioni, in tutti gli scioperi. Per una settimana le donne di Parma manifestarono e si scagliarono contro i carnefici dei patrioti riuscendo così a salvare dalla morte alcune decine di giovani italiani. Qui si ebbero le nostre prime vittime. A Forlì durante una dimostrazione fu uccisa una madre di cinque figli e ferita gravemente un’altra madre di tre bambini. Queste donne chiedevano pane per sfamare i loro bambini
Fu poi organizzato il grande sciopero delle mondine, sciopero vittorioso al quale partecipavano più di diecimila donne.
Ovunque le aderenti alla nostra organizzazione hanno tenuto valorosamente il loro posto di lotta. Nelle fabbriche, delegazioni femminili hanno chiesto ai padroni: viveri, vestiti, scarpe, carbone e legna, aumenti di paghe e miglioramenti delle mense aziendali. Le nostre donne sono state attivissime e piene d’entusiasmo e spesse volte esse riuscivano a scuotere l’apatia di certe masse maschili e a trascinarle nella lotta
Nel mese di settembre fu inviata al cardinale Schuster una lettera che ha riscosso l’approvazione e la firma di diecimila donne milanesi, lettera che chiedeva l’intervento del cardinale contro le deportazioni di donne in Germania.
Nel mese di novembre a Schio delle giovani ragazze venivano aggredite da militi ubriachi e veniva loro usata violenza.
Sparsasi la notizia, il giorno dopo, i Gruppi di difesa, d’accordo col Comitato d’agitazione delle fabbriche, dove le ragazze lavoravano, proclamavano lo sciopero di protesta per l’inaudita violenza, reclamando il castigo dei delinquenti. Tutte le fabbriche della città aderirono allo sciopero che divenne così generale assumendo il carattere di grande manifestazione antifascista.
Lo sciopero durò due giorni e cessò solo dopo aver avuta l’assicurazione che i colpevoli sarebbero stati puniti. (grassetto a cura del r.)
Casi analoghi avvennero in altri luoghi.
Le manifestazioni di piazza per reclamare viveri sono state e sono numerose. In questi ultimi tempi poi, in alcuni posti esse assumono un carattere veramente insurrezionale.
A Torino le donne si recano in gran numero al Doche- Dora e alla Venchi – Unica per reclamare zucchero che viene loro concesso e si recano dal prefetto chiedendo viveri e combustibili. Assalgono poi vari depositi di legna e di carbone.
Anche a Milano e provincia delegazioni femminili, appoggiate da centinaia di donne si recano ai municipi e alle prefetture reclamando il necessario per vivere.
Durante l’ultimo sciopero generale del mese scorso, al quale hanno partecipato compatte le maestranze compatte di oltre cento fabbriche milanesi, le nostre organizzazioni non solo hanno aderito allo sciopero con entusiasmo, guidando le masse femminili, ma hanno parlato a folle di popolo: nelle fabbriche, nelle mense rionali, sulle piazze, al “Corriere della Sera” ecc. spiegando alle compagne di lavoro che lo sciopero aveva questo significato: esigere senza indugio pane, viveri, la cessazione del terrore nazifascista, la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno dei fratelli e delle sorelle deportate nell’ interno della Germania.
Il 14 aprile i Gruppi organizzano una manifestazione di donne e di popolo nelle piazze. Dai vicoli e nelle piazze della città le donne gridano il loro basta contro l’affamamento e gli affamatori mentre i patrioti armati di mitra sono schierati pronti a difenderle. Circa mille e cinquecento donne hanno partecipato alle manifestazioni.
Ma in modo particolare è in Emilia che i gruppi organizzano quasi tutti i giorni delle manifestazioni che si concretizzano con l’assalto agli ammassi ed ai magazzini di viveri destinati ai tedeschi e ai fascisti.
Tutti i viveri vengono poi distribuiti, in modo equo, a tutta la popolazione, da commissioni femminili nominate dalle dimostranti.
In certi paesi del bolognese le nostre dirigenti sono divenute coi CLN le vere autorità riconosciute dal popolo. Esse dirigono ospedali e ospizi di vecchi, organizzano in unione agli altri organismi di massa le cooperative, e provvedono alla distribuzione di viveri, legna ecc.
GRANDI MANIFESTAZIONI POLITICHE
I novembre – La manifestazione organizzata dai Gruppi per rendere omaggio agli eroici fucilati è riuscita in ogni luogo in un modo grandioso e commovente. In quei giorni, tante e tante donne hanno sfilato dinnanzi alle tombe dei cari caduti, ed ogni fiore che esse deponevano era accompagnato da una promessa. Promessa di continuare la lotta per vendicarli e vincere…
Settimana pro partigiano – Nelle vallate prossime alle zone partigiane, le contadine si sono molto prodigate nell’ assistenza ai patrioti, ricoverandoli nelle loro case, curando i feriti e gli ammalati, fornendoli di tutti i viveri necessari, sfidando coraggiosamente il terrore e la brutale reazione nazista e fascista. Le donne di città hanno sempre aiutato e aiutano con grande entusiasmo tutti i partigiani: hanno raccolto viveri, denari, indumenti, confezionano maglie, calze, guanti ecc. Questa attività non è mai cessata, ma si è maggiormente sviluppata e ha preso carattere di grande manifestazione politica in occasione delle varie “settimane pro partigiano” organizzate in ogni città e in ogni paese. Le donne italiane hanno in tale occasione scritto ai volontari della libertà centinaia di lettere per far sentire di quanto affetto e di riconoscenza sono circondati.
All’inizio di questa settimana pro partigiano nei luoghi di lavoro, nelle officine, negli uffici ecc. gli operai, gli impiegati, i tecnici e le donne, i giovani hanno sospeso il lavoro per alcuni minuti ricordando in silenzio e a capo scoperto gli eroici caduti nella lotta per la liberazione della patria.
Furono esposti nei reparti fotografie di caduti ornati di fiori e del tricolore e sulle torrette di alcune fabbriche vennero messi grandi cartelli inneggianti i partigiani……
Migliaia e migliaia di manifestini sono stati distribuiti con lanci per le strade, grandi manifesti affissi ai muri della città annunciavano ogni giorno l’elenco degli oggetti offerti…