24/04/25

ASSEMBLEE E SCIOPERI CONTRO L'ACCORDO BIDONE CGIL/2.19 DELLE OPERAIE BERETTA

Non vogliamo tornare al tempo delle cooperative, basta appalto, basta multiservizi

Negli scioperi delle operaie appalto/Beretta, contro l'accordo bidone Cgil/2.19 

la denuncia dei salari come emergenza nazionale, la solidarietà al popolo palestinese

Nella fabbrica dell'appalto che condanna le operaie ad un lavoro precarizzato con 400 euro in meno con la paga delle pulizie per un lavoro UGUALE a quello delle operaie dirette Beretta e che le mette in concorrenza dividendole, un nuovo fronte di lotta si è aperto contro l'accordo aziendale Cgil/2.19, che prima di tutto calpesta il diritto a decidere delle operaie, firmato a sorpresa senza e contro le lavoratrici, dalla Cgil. Senza mandato. E come avrebbe potuto essere! 

Per un aumento di 2.19 euro lordi al mese, difende solo i profitti padronali, prevede l’appalto e la condizione di sottomesse per le operaie, comprende l’aumento della produttività che il sindacato ha già concesso e con pochi euro di maggiorazione spinge le operaie, come vuole l'azienda, a fare gli straordinari e i turni più disagiati. E' un attacco alla ribellione delle operaie, a partire da quelle organizzate con Slai Cobas, che tra avanzamenti ed inevitabili difficoltà, hanno sperimentato in questi anni un modo diverso per affrontare la fabbrica unendosi nella lotta e non solo nella fatica e nello sfruttamento.

Con un nuovo giro di assemblee in un ritrovato positivo clima di unità, sono state decise ancora iniziative di mobilitazione contro questo accordo che merita solo di essere contestato, strappato e per smascherare il collaborazionismo della Cgil.

https://cobasperilsindacatodiclasse.blogspot.com/2025/03/accordo-alla-beretta-quanto-valgono-le.html

Nelle assemblee abbiamo provato anche a vedere, dal punto di vista operaio, la situazione attuale tra dazi, riarmo, crisi scaricate sugli operai, la questione salariale che è una vera e propria emergenza nazionale, da sciopero generale contro padroni e governo.

E mentre aumentano, siamo a circa 18, le grandi inchieste avviate in provincia sulle cosiddette società serbatoio di manodopera (anche Beretta ne fu coinvolta nel 2022), la Cgil al Salumificio ha alzato la bandiera del padrone a tal punto che l’accordo/2.19 non contiene più la clausola di garanzia per il posto di lavoro per le operaie dell’appalto sottoscritta da Slai Cobas con Beretta nell’accordo precedente del 2021, creando un clima di tensione e ansia tra le lavoratrici per le prospettive occupazionali. Proprio quello che vuole l’azienda, che da anni ci prova a spingere le operaie Slai Cobas ad abbandonare la fabbrica con dimissioni incentivate.

Mentre, anche come possibile effetto delle inchieste, in altre fabbriche del gruppo Beretta gli appalti vengono chiusi… internalizzati come alla Del Zoppo Bresaole in Valtellina o alla Wuber in provincia di Bergamo.

  Nel link il servizio sull'accordo di Radio Onda D'Urto

https://www.radiondadurto.org/2025/04/22/bergamo-vertenza-al-salumificio-beretta-due-scioperi-per-dire-no-allaccordo-interno/

Verso l'80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo - NOME DI BATTAGLIA ELENA! La doppia lotta della compagna partigiana, gappista, Carla Capponi

Un grande esempio quello di Carla Capponi, militante del PCI, insieme a tante altre compagne partigiane, a cui guardare nella fase attuale del moderno fascismo e moderno medioevo che avanza, per la lotta  che serve oggi
Verso una nuova Resistenza. 
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La  militanza di Carla Capponi comincia il giorno dopo l’assedio di San Lorenzo, a Roma. Carla, che proviene da una famiglia di origine marchigiana di fede antifascista, lavora come dattilografa nel Corpo reale delle miniere quando, il mattino del 14 luglio 1943, sente le sirene dell’allarme suonare. Va subito a soccorrere i feriti e a nascondere nella Basilica gli ebrei rimasti in città. Il giorno dopo la fine del bombardamento, da cui il quartiere esce libero e resistente, un’amica le chiede di ospitare a casa sua una riunione di alcuni cattolici comunisti. Mentre gli antifascisti redigono copie clandestine de L’Unità, Carla suona i notturni di Chopin al pianoforte per coprire i rumori della riunione: è l’inizio della sua attività politica.
Ma è solo dopo l’8 settembre che Carla si unisce alla Resistenza. Il suo primo incontro con i partigiani è casuale: li vede camminare davanti a casa sua e, ignorando l’insistenza della madre che cerca di dissuaderla dall’uscire e unirsi a loro, decide di raggiungerli. Qui si trova, disarmata e impreparata, in mezzo agli scontri di Porta San Paolo. L’esperienza la segna nel profondo: estrae i corpi dei soldati dai carri armati, soccorre i feriti usando come garze la sua sottoveste e per la prima volta capisce cosa sia la guerra. Decide che non può più stare a guardare, e che vuole seguire quelle donne e quegli uomini armati finché ce ne sarà bisogno. La sua casa nel frattempo è diventata una sorta di quartier generale dei comunisti romani e, quando si costituiscono i Gap (ndr. organzzati dal Partito Comunista d'Italia), i Gruppi di azione patriottica, lì comincia a riunirsi la sezione femminile. Carla prende il nome di battaglia di Elena. Interi quartieri si mobilitano per contrastare i nazisti: alla Garbatella le armi si nascondono dappertutto, al cinema, dal farmacista, nelle trattorie. All’ospedale di San Giacomo si organizzano corsi clandestini per insegnare alle volontarie a fermare emorragie e fare iniezioni.
Inizialmente a Carla vengono assegnati compiti di sorveglianza o da staffetta, ma la giovane non vuole restare nell’ombra, vuole combattere. I Gap però si rifiutano di fornire armi alle donne che, nel caso di attacchi, avrebbero dovuto fingersi loro fidanzate per non essere coinvolte in prima persona. Carla allora decide di rubarne una, sfilando una Beretta 9 a un militare della Guardia nazionale repubblicana su un autobus affollato. È una donna coraggiosa e sicura di sé, a volte sprezzante del pericolo: quando Guglielmo Blasi (che poi verrà processato per collaborazionismo) era scappato per la paura durante l’attacco contro alcuni camion tedeschi in piazza Vittorio, era rimasta da sola a combattere contro i nazisti. Dopo lo sbarco di Anzio e dopo aver contribuito alla fuga di Pertini, comincia un periodo duro per i Gap romani, arrestati uno dopo l’altro. Carla allora, insieme a compagne e compagni, si dà alla clandestinità, rifugiandosi a Centocelle. Il 3 marzo 1944, quando assiste all’uccisione da parte di un soldato tedesco di Teresa Gullace (raccontata anche in Roma città aperta di Rossellini) – una donna che stava cercando di parlare col marito prigioniero nella caserma di viale Giulio Cesare – Carla reagisce d’impulso puntando la pistola contro il militare. Viene immediatamente arrestata dai nazisti, ma non prima che la sua amica Marisa Maru le tolga l’arma dal cappotto e le infili un tesserino del Partito fascista in tasca. In caserma, Carla si presenta come Marisa e, approfittando del fascino che esercita sul soldato di guardia, riesce a farsi rilasciare.
                                         Carla Capponi (in basso al centro) insieme a un gruppo di gappisti romani, 1944

L’attentato di via Rasella. Giovedì 23 marzo, i Gap romani decidono di attaccare la colonna di SS che passa di lì ogni giorno, di ritorno dalle esercitazioni dal poligono di tiro di Tor di Quinto. Via Rasella viene scelta per la sua conformazione: stretta, priva di negozi (e quindi poco frequentata), ma soprattutto in salita. Il progetto iniziale prevedeva una bomba a tempo depositata all’altezza di palazzo Tittoni, a cui sarebbe seguita una scarica di bombe a mano all’incrocio di via del Boccaccio. Ogni gappista ha un ruolo: l’ordigno principale viene nascosto in un carrettino della spazzatura, e sarebbe stato innescato da Rosario “Paolo” Bentivegna travestito da spazzino. Carla invece deve trasportare dei mortai in alcune buste della spesa, celati da qualche verdura, e aiutare Paolo nella fuga facendogli indossare un cappotto per nascondere la divisa da spazzino. Al passaggio del I battaglione del Polizeiregiment Bozen, dato il segnale, Paolo accende la miccia e in circa cinquanta secondi la bomba esplode, causando la morte di 33 militari e qualche civile. È il caos. L’esplosione innesca le granate dei soldati, generando ulteriori deflagrazioni, mentre la colonna viene raggiunta da altre tre bombe a mano. Segue un feroce scontro a fuoco, in cui nessuno dei gappisti rimane ucciso o ferito, né viene fatto prigioniero. I nazifascisti, colti di sorpresa, cominciano a sparare verso le finestre, mentre Carla e Paolo scappano.
La reazione tedesca  è terribile. Il quartiere viene devastato per cercare i responsabili della strage e i rastrellamenti culminano nel terribile eccidio delle Fosse Ardeatine, in cui perdono la vita 335 persone, 10 per ogni soldato tedesco. Su questo episodio, si sono svolti numerosi processi per stabilire se l’attentato abbia costituito un’azione di guerra legittima o meno. Nel 1999 la Prima Sezione Penale della Corte di cassazione ha confermato che si è trattato di un “atto legittimo di guerra”... (da The Vision).


Dall'intenso libro scritto da Carla Capponi "con Cuore di Donna" 

"...Avevo bisogno di ritrovare tutte le ragioni che mi portavano a compiere quell'attacco [di via Rasella]. Ripensai al bombardamento di San Lorenzo, a quella guerra ingiusta e terribile, alle voci dei bambini del brefotrofio imprigionati dal crollo, allo strazio delle distruzioni che si vedevano ovunque e di cui avevamo notizia ogni giorno; ai nostri compagni fucilati, torturati a via Tasso; a tutti i deportati di cui non avevamo più notizia; ai duemila ebrei nei lager; a tutti i paesi oltralpe sconvolti dalla devastazione. A quanti tra i miei amici erano già morti: sul fronte russo, in Grecia, in Iugoslavia, a mio cugino Amleto Tamburri morto a El Alamein, lui, figlio di un socialista. [...] Ma a poco a poco mi convinsi che non preparavo un agguato a innocenti: quegli uomini erano stati educati, abituati a uccidere; l'operazione di "selezione della razza" (l'attuale pulizia etnica) era per loro un risanamento della società. [...] Così, recuperai la visione esatta della realtà che stavo vivendo: per tutti coloro che avevano sofferto ed erano morti ingiustamente, che erano ingiustamente perseguitati, per loro dovevo battermi..."

Verso l'80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Il ruolo delle donne dall'opuscolo :"Una mattina mi son svegliata" - 3

GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA 
La celebrazione di questo giorno è svolta in una atmosfera di giubilo per la vittoria dell’esercito rosso e delle armate angloamericane sul suolo tedesco. Le donne italiane hanno fatto dell’8 marzo una giornata di mobilitazione e di lotta di tutte le forze femminili antifasciste ed antitedesche. All’ appello e sotto la direzione dei Gruppi di difesa della donna, in tutte le città, nei grandi e nei piccoli centri, tutte le operaie, le impiegate, le casalinghe e le intellettuali, sono scese in campo agitando tutte le rivendicazioni immediate contro la fame e le violenze nazifasciste. In questo giorno sono state ricordate tutte le donne cadute eroicamente sulla breccia e le combattenti che lottano clandestinamente, sfidando ogni giorno la deportazione, il carcere, le torture ed anche la morte. A Milano alcune centinaia di donne si sono recate al cimitero ricoprendo di fiori le tombe dei nostri eroici caduti. I mazzi di fiori erano legati con nastro tricolore portando i nomi dei Gruppi di difesa della donna. 

Dopo qualche minuto di raccoglimento e fra la commozione di tutti i presenti un’aderente lesse l’elenco delle nostre eroine cadute per la liberazione dell’ Italia e commemorò tutte le vittime. Un’ altra donna prese pure la parola incitando alla lotta; un cieco vittima del fascismo, presente alla manifestazione, volle prendere la parola. Mentre parlava copiose lacrime scendevano dai suoi occhi spenti, suscitando ancora più la commozione dei presenti. Sempre a Milano, una grande manifestazione avvenne alla prefettura ed alla SEPRAL, dove centinaia di donne reclamavano viveri e combustibili. “Siamo la rappresentanza di tutte le donne milanesi”, esse dissero, “vogliamo viveri perché abbiamo fame e della legna perché manca il gas.” Le donne si batterono coraggiosamente contro il prefetto e i dirigenti della SEPRAL che cercavano di calmarle e lasciarono gli uffici solo in seguito alla promessa che sarebbe avvenuta subito una distribuzione di viveri. Quasi in tutte le fabbriche vi furono alcune ore di sciopero e la presentazione a mezzo di delegazione, di rivendicazioni salariali; distribuzione di manifestini che spiegavano il significato dell’8 marzo, affissione di manifestini con i nomi delle eroine cadute e grandi cartelli con le scritte a stampatello inneggianti alla giornata della donna, ai Gruppi di difesa, ai partigiani. In alcune fabbriche furono esposte fotografie di donne fucilate, con la dedica: “Gloria e onore alle eroine cadute”. L’ esposizione è durata tre ore e durante tutto questo tempo due aderenti ai “Gruppi della donna”, a turno, con i nastri tricolori puntati sul petto, montarono la guardia d’ onore. 

Tutte le maestranze riverenti e commosse hanno sfilato dinanzi alle fotografie. Gli stabilimenti furono imbandierati un po’ dappertutto. Bandierine su ogni macchina, sugli orologi dei reparti, nastri tricolori sui capelli e sul petto delle donne. Furono raccolte somme a favore dei Gruppi e del nostro giornale “Noi donne” e pro partigiani. In vari stabilimenti nostre aderenti, venute da fuori, hanno parlato alle maestranze, nei refettori e nei reparti, sollevando ovunque vivissimo entusiasmo. I comizi terminavano al canto di inni e inneggiando ai Gruppi di difesa della donna. Anche a Torino ebbero luogo manifestazioni al cimitero e nelle fabbriche. Così in Liguria, in Emilia, veneto e dovunque, l’ 8 marzo è stato per le donne dell’ Italia occupata un giorno di lotta contro i nemici della patria. 

(Della manifestazione al cimitero di Torino abbiamo riportato sopra) ASSISTENZA L’ assistenza è uno dei compiti più importanti della nostra organizzazione. In un primo tempo l’assistenza veniva praticata quasi tutta attraverso ai vari partiti e solo in piccola parte a mezzo delle organizzazioni femminili e dei comandi militari. Ora quasi tutto il lavoro assistenziale è svolto dai Gruppi di difesa: assistenza morale e materiale alle famiglie colpite dalla reazione, assistenza sanitaria alle famiglie sussidiate, distribuzione di generi vari oltreché di denaro ai più bisognosi (scarpe, indumenti, viveri ecc.). Nostre insegnanti si prestano a dare lezioni ai bambini che ne abbisognano, offrendo loro libri e quaderni. E’ svolta inoltre l’assistenza ai carcerati con l’invio di pacchi, denaro, scambio di lettere tra famiglie e carcerati. Per pasqua erano stati inviati ai carcerati pacchi collettivi. 

A Milano per esempio furono inviati cinquantasei pacchi contenenti ognuno cento ravioli, due salami, diciotto uova sode, cinque pacchi di sigarette, un chilogrammo di formaggio grana, tre etti di burro, due etti di sale, quattro etti di zucchero, tre colombe dolci da mezzo chilogrammo l’una, un vaso di marmellata, un vaso estratto di carne. La merce in alcuni posti è stata offerta dal CLN ed i pacchi confezionati dalle donne dei Gruppi. Sempre per opera dei gruppi in varie località viene svolto abbastanza bene il servizio postale fra partigiani e famiglie. Si aiutano poi i malati e i tubercolosi ritornati dalla deportazione in Germania. Ormai tutti i partiti apprezzano l’attività e il grande lavoro svolto dalla nostra organizzazione nel campo dell’assistenza. Si riconosce che tutti i compiti assistenziali devono essere affidati a questo organismo femminile che ha già dato tante buone prove. Ogni mese milioni e milioni di lire vengono distribuite in modo equo fra migliaia di famiglie. VOLONTARIE DELLA LIBERTA’ 



Già prima che si costituissero le brigate e i distaccamenti delle “Volontarie della libertà”, per iniziativa dei Gruppi, le donne lavoravano attivamente con le organizzazioni armate (partigiani, GAP, SAP, ecc.) come infermiere nelle formazioni, staffette, portaordini ecc. Il primo distaccamento si è costituito in Piemonte sei o sette mesi fa. Composto di spose, di mamme e di sorelle di partigiani. Le componenti questo distaccamento che lavoravano sulla montagna accanto alla II brigata Garibaldi, “Giambone”, avevano vari compiti: qualcuna funzionava come collegatrice o staffetta, ma in maggioranza esse davano la loro opera come cuoche, lavandaie e stiratrici. In Liguria, poco dopo, furono costituite tre brigate cittadine di SAP femminili con i nomi di “Alice Noli” prima donna genovese fucilata; “Irma Bandiera”, fucilata a Bologna; “Anita Garibaldi”. Gruppi di volontarie funzionano poi in Piemonte, in Lombardia, in Emilia ecc. In questi ultimi tempi si stanno organizzando pronte a partecipare all’ attacco finale. Le volontarie sono inquadrate in squadre di pronto soccorso di sanità, in squadre per il recupero di armi e munizioni, per i tagli dei fili telegrafici, per asportare pali indicatori tedeschi e per il lancio di chiodi sulle strade camminabili. Vi sono delle squadre di informatrici, staffette, collegatrici. Abbiamo alcune commissarie politiche nelle formazioni partigiane. Delle audaci volontarie hanno portato via dagli ospedali i partigiani feriti che erano in attesa di essere fucilati. In alcuni posti se li sono caricati sulle spalle, non potendo i feriti camminare, trasportandoli in luoghi più sicuri. Le nostre volontarie espongono continuamente la vita e lo fanno con grande coraggio. Sovente vengono elogiate e citate all’ ordine del giorno per atti d’audacia e abnegazione. 

Molte di esse arrestate e torturate si sono comportate magnificamente non pronunciando una parola che potesse recar danno alle loro compagne e all’ organizzazione. Fra di esse vi sono delle fanciulle come Edera Francesca (19anni), la Irma Bandiera, le sorelle Arduino e tante altre, delle spose e delle mamme come la Clelia Corradini, Alice Noli ecc., che lasciarono dei bimbi in tenera età, e vi sono delle donne come la Binda Teresa, una vecchia mamma di 70 anni, fucilata perché riforniva di viveri il figlio partigiano e i suoi compagni. Le nostre eroine cadute raggiungono già un numero rilevante: Edera Francesca, Irma Bandiera, Alice Noli, Clelia Corradini, Binda Teresa, Sante Adele, Negri Ines, Paola Garelli, Franca Lanzoni, Arduino Libera, Arduino Vera e tante altre delle quali non abbiamo ancora i nomi.

23/04/25

Verso l'80° della liberazione del nazifascismo: un numero enorme di donne... - Dall'opuscolo "Una mattina mi sono svegliata..." - 2

I Gruppi di difesa delle donne. 
A proposito, del vuoto sui Gdd , la lacuna da colmare è che: “All’interno della resistenza, infatti, hanno assunto rilievo alcuni episodi che non sono forse i più importanti rispetto alla guerra guerreggiata, ma che hanno avuto un peculiare significato per il loro carattere di movimento e di azione organizzata condotta da donne in quanto tali, senza riscontro, credo, nel passato. Mi riferisco alle diverse manifestazioni dei Gdd e fra queste, esemplare a Torino, quella che avvenne al cimitero in occasione del funerale delle sorelle Vera e Libera Arduino, che appartenevano ai Gdd e che furono trucidate dai fascisti nella notte tra il 12 e il 13 marzo 1945. Questa manifestazione per la data in cui avvenne, il 16 marzo 1945, per l’adesione che ottenne (raccogliere pubblicamente qualche centinaio di donne in pubblica protesta non era, allora, fatto indifferente, per le conseguenze che ne seguirono (un centinaio di arresti), per le finalità cui era destinata, ha assunto nel ricordo di molte particolare rilievo. Rappresentava infatti il risultato di un lungo e tenace lavoro condotto per tanti mesi, tendente a unificare la partecipazione delle donne. E le donne vennero e con degli evidenti simboli comuni: mazzi di fiori, corone con “scritte”, “tutte con qualcosa di rosso”. Espressione di un movimento femminile organizzato che pur muovendosi nel contesto generale, ha saputo esprimere anche un’autonoma capacità di lotta…”. E’ il caso di rendere onore alle sorelle Vera e Libera Arduino – dal ricordo/commemorazione contenuto nel “Rapporto dei Gruppi di difesa della donna”: “Barbara uccisione di due giovani dirigenti – A Torino verso la fine di marzo il padre e due giovani ragazze erano prelevate da una squadra di fascisti, portate alla Pellerina e barbaramente uccise. Vera e Libera Arduino, due giovani di diciannove e ventun anni, lavoravano per l’organizzazione con tanta fede e volontà, riscuotendo le simpatie e l’ammirazione di tutte le donne con le quali erano in contatto. Una grande manifestazione di affetto verso le vittime e di esecrazione per l’atroce delitto ebbe luogo al cimitero. Una fiumana di popolo, più di duemila persone, si recarono con fiori e corone ad attendere le salme per dar loro l’estremo saluto…”. 

Quante sono state le donne che hanno partecipato alla Resistenza? I dati ufficiali: - 35.000 partigiane, sappiste e gappiste - 512 comandanti e commissarie di guerra - 4.633 arrestate, torturate, condannate dai tribunali fascisti - 2750 deportate in Germania - 623 fucilate e cadute in combattimento - 1.750 ferite - 70.000 organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna Dati ufficiali che si discostano in maniera significativa dalle considerazioni di Arrigo Boldrini - famoso comandante - nome di battaglia Bulow - della guerra di Liberazione ed esperto militare che ebbe a dire: “Se in un esercito normale il rapporto fra combattenti e addetti ai servizi è di uno a sette, nella guerra partigiana è di uno a quindici; intorno a ogni patriota ci sono quindici persone che in grande maggioranza sono donne”. Il dato numerico è straordinario in sé, come straordinario e contro la vulgata che vorrebbe le donne spinte da spirito materno il ruolo delle donne, già dai primi giorni. Come giustamente ricostruito dopo l’8 settembre i soldati, sbandati, senza direttive in tantissimi abbandonano le divise e tentano di tornare a casa evitando treni e strade per non imbattersi nei tedeschi che, intanto, avevano avuto tutto il tempo per riorganizzarsi e rastrellavano gli uomini da mandare a lavorare in Germania. Sono le donne che si rendono conto della situazione e li nascondono, forniscono abiti civili, in qualche modo “danno indicazioni”, nello smarrimento generale. 
La parola d’ordine “basta con la guerra” accomuna da nord a Sud, militari e civili, soprattutto le donne che, in tantissime sono rimaste da sole con i vecchi e i bambini. “A Castelfranco Emilia circa mille marinai, provenienti da La Spezia, trovano al loro passaggio ai lati della via Emilia donne munite di abiti borghesi, scarpe e viveri. A Sassuolo, in piazza della Libertà, i tedeschi avevano concentrato i militari prigionieri, circondandoli con mitragliatrici: le donne non esitano, passando tra i tedeschi e le mitragliatrici per raggiungere i militari, a incoraggiarli a tentare la fuga”. Come mai tante donne? Il fascismo aveva rappresentato per le donne un “ritorno indietro”, dalle affermazioni sulle “caratteristiche” delle donne alla doppia morale, sul loro ruolo nella società: o madri prolifiche, successivamente meglio se di morti in guerra o strumenti di piaceri del maschio fascista ; ma è soprattutto con leggi apertamente discriminatorie, in primis sul lavoro, verso le donne che si dà applicazione pratica a queste concezioni, ricacciando le donne nel “focolare” e verso una condizione di sempre maggiore oppressione. Insomma, l’oppressione aumenta la ribellione: “Si può avanzare l’ipotesi che, poiché qui le leggi fasciste si erano sommate a una tradizionale arretratezza culturale, a una borghesia più reazionaria e a una Chiesa più potente – che nella sottomissione della donna trovavano ciascuna il suo tornaconto- proprio il maggior peso dell’oppressione abbia provocato la maggiore ribellione”. "E’ facile perché… 
 Perché il fascismo alle donne, non aveva proprio nulla da offrire, mentre c’era da temere che gli restasse sempre ancora qualcosa da togliere.” In tutti i lavori su donna e Resistenza si mette in evidenza come le donne hanno scelto, andando spesso contro genitori, mariti, vicini e/o, spesso, nascondendo la vera attività che svolgevano fuori casa, ma si coglie che tante sono state le motivazioni, la spinta iniziale: motivazioni di classe, lo sdegno per le persecuzioni degli ebrei, la solidarietà umana, l’aspirazione, forte, a un mondo diverso senza discriminazioni, migliore per le donne, senza sfruttamento… ma comunque già per se stesso un fatto dirompente. D’altra parte, la partecipazione fa maturare rapidamente, insieme alla preparazione politica e teorica che sarà impartita dalle “vecchie” militanti, come anche le regole della clandestinità. Soprattutto se si pensa al clima di terrore instaurato dai nazifascisti che significava carcere, torture, stupri, deportazione nei campi di concentramento, morte. 
Quel che è certo è che non fu un gruppo ristretto a partecipare, ma, in mille forme, contribuendo in vario modo, perché tutto è indispensabile, un numero enorme di donne: la rete di informazioni sui movimenti del nemico, l’organizzazione delle fughe dagli ospedali e dalle carceri, la cura dei feriti, l’approvvigionamento, il trasporto di viveri e armi, il sostegno alle famiglie dei deportati, dei prigionieri politici, informare le famiglie dei lutti, portare direttive. Un altro aspetto da tenere in considerazione è lo sviluppo ineguale che si è avuto nelle diverse regioni della Resistenza, ma anche la durata dell’occupazione nazifascista, oltre che una diversa coscienza nelle regioni in cui si erano sviluppate le lotte contadine ed operaie. La partecipazione per un più lungo tempo, la consuetudine con le lotte e l’organizzazione ha permesso di sviluppare una maggiore coscienza, come appare bene dalle testimonianze sullo sviluppo nelle diverse Regioni. 

E, allora, cosa furono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà, quale ruolo, attività svolsero? Intanto, la scelta del nome creò più di una perplessità soprattutto non si comprendeva la necessità di un’organizzazione specifica delle donne (ancora oggi sentiamo ”quando si lotta si lotta per le donne e gli uomini”, in una visione idealista – vedi in proposito La scintilla dello sciopero delle donne a cura del mfpr-), ma anche perché sembra voler relegare le donne a un ruolo “di genere” o la possibilità di un lavoro trasversale di donne appartenenti ad organizzazione diverse. Viene, invece, ben accolta dalle più giovani e dalle donne non appartenenti a un partito, perché dà loro la possibilità di partecipare in modo concreto ed, appunto, organizzato, visto che spontaneamente e/o a piccoli gruppi tante donne già si erano mobilitate. Diventerà, inoltre, la base per sviluppare- con non poche “defezioni”- una piattaforma sui problemi specifici delle donne per il dopo Liberazione. Dal citato Rapporto che ricordiamo è stato redatto nel corso della Resistenza, già, questo, basta a rendere conto della rete clandestina efficientissima, dell’enorme lavoro svolto in condizioni proibitive: “Nel novembre 1943 (a Milano, ndr) si riunirono alcune donne (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato comuniste; Laura Conti e Lina Merlin socialiste; Elena Dreher e Ada Gobetti, azioniste), appartenenti ai vari partiti aderenti al CLN, per gettare le basi di una organizzazione femminile, unitaria e di massa. Venne così elaborato ed approvato il programma dei “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti della libertà”. L’organizzazione che stava per sorgere doveva essere aperta alle donne di ogni ceto sociale: operaie, impiegate, massaie, intellettuali e contadine, alle donne di ogni fede religiosa e di ogni tendenza politica e a tutte le donne senza partito, persuase di unire le loro forze nella lotta contro i tedeschi e i traditori fascisti, disposte a dare la propria opera per la liberazione della patria e decise a far valere le proprie rivendicazioni. 
I compiti fissati erano i seguenti: organizzare nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole e nelle campagne la resistenza alle violenze tedesche, il sabotaggio della produzione, il rifiuto dei viveri agli ammassi, raccogliere viveri, denaro, indumenti per i combattenti della libertà ed aiutarli in ogni modo; assistere le famiglie dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati, degli internati in Germania e tutte le vittime della reazione nazifascista. Inoltre, si doveva esigere con gli scioperi, con le fermate di lavoro, e con le dimostrazioni di massa: l’aumento delle razioni alimentari insufficienti a garantire il minimo indispensabile alla vita; l’ aumento dei salari adeguato all’ aumento del costo della vita; l’ alloggio alle famiglie degli sfollati e dei sinistrati; i combustibili, i vestiti, le scarpe; i locali necessari per le scuole, il loro riscaldamento, e le refezioni, i vestiti e le scarpe per i bimbi, la proibizione del lavoro a catena, del lavoro notturno, dell’impiego nelle lavorazioni nocive; un salario uguale, per un uguale lavoro, a quello degli uomini; delle vacanze sufficienti e l’ assistenza nel periodo che precede e segue il parto. Il programma fissava, inoltre, che a liberazione avvenuta le donne dovevano chiedere ATTIVITA’ SVOLTA Le difficoltà causate dalla situazione esistente, i vent’ anni di fascismo durante i quali fu negato alla donna il diritto di partecipare alla vita politica, la necessità di osservare le più strette norme cospirative, rendevano oltremodo difficile il nostro lavoro, inoltre gli elementi più sicuri e capaci svolgevano altra attività politica… 
La prima campagna iniziata dai gruppi fu quella delle mondariso e la preparazione dell’ 8 marzo… Nei grandi scioperi del marzo 1944 i Gruppi erano già presenti, benché in numero ristretto, nelle principali fabbriche e seppero tenere degnamente il loro posto accanto alle altre organizzazioni di lotta…I Gruppi furono presenti e attivi in tutte le agitazioni, in tutti gli scioperi. Per una settimana le donne di Parma manifestarono e si scagliarono contro i carnefici dei patrioti riuscendo così a salvare dalla morte alcune decine di giovani italiani. Qui si ebbero le nostre prime vittime. A Forlì durante una dimostrazione fu uccisa una madre di cinque figli e ferita gravemente un’altra madre di tre bambini. Queste donne chiedevano pane per sfamare i loro bambini Fu poi organizzato il grande sciopero delle mondine, sciopero vittorioso al quale partecipavano più di diecimila donne. Ovunque le aderenti alla nostra organizzazione hanno tenuto valorosamente il loro posto di lotta. Nelle fabbriche, delegazioni femminili hanno chiesto ai padroni: viveri, vestiti, scarpe, carbone e legna, aumenti di paghe e miglioramenti delle mense aziendali. Le nostre donne sono state attivissime e piene d’entusiasmo e spesse volte esse riuscivano a scuotere l’apatia di certe masse maschili e a trascinarle nella lotta Nel mese di settembre fu inviata al cardinale Schuster una lettera che ha riscosso l’approvazione e la firma di diecimila donne milanesi, lettera che chiedeva l’intervento del cardinale contro le deportazioni di donne in Germania. Nel mese di novembre a Schio delle giovani ragazze venivano aggredite da militi ubriachi e veniva loro usata violenza. Sparsasi la notizia, il giorno dopo, i Gruppi di difesa, d’accordo col Comitato d’agitazione delle fabbriche, dove le ragazze lavoravano, proclamavano lo sciopero di protesta per l’inaudita violenza, reclamando il castigo dei delinquenti. Tutte le fabbriche della città aderirono allo sciopero che divenne così generale assumendo il carattere di grande manifestazione antifascista. Lo sciopero durò due giorni e cessò solo dopo aver avuta l’assicurazione che i colpevoli sarebbero stati puniti. (grassetto a cura del r.) Casi analoghi avvennero in altri luoghi. Le manifestazioni di piazza per reclamare viveri sono state e sono numerose. In questi ultimi tempi poi, in alcuni posti esse assumono un carattere veramente insurrezionale. A Torino le donne si recano in gran numero al Doche- Dora e alla Venchi – Unica per reclamare zucchero che viene loro concesso e si recano dal prefetto chiedendo viveri e combustibili. Assalgono poi vari depositi di legna e di carbone. Anche a Milano e provincia delegazioni femminili, appoggiate da centinaia di donne si recano ai municipi e alle prefetture reclamando il necessario per vivere. Durante l’ultimo sciopero generale del mese scorso, al quale hanno partecipato compatte le maestranze compatte di oltre cento fabbriche milanesi, le nostre organizzazioni non solo hanno aderito allo sciopero con entusiasmo, guidando le masse femminili, ma hanno parlato a folle di popolo: nelle fabbriche, nelle mense rionali, sulle piazze, al “Corriere della Sera” ecc. spiegando alle compagne di lavoro che lo sciopero aveva questo significato: esigere senza indugio pane, viveri, la cessazione del terrore nazifascista, la liberazione dei prigionieri politici, il ritorno dei fratelli e delle sorelle deportate nell’ interno della Germania. Il 14 aprile i Gruppi organizzano una manifestazione di donne e di popolo nelle piazze. Dai vicoli e nelle piazze della città le donne gridano il loro basta contro l’affamamento e gli affamatori mentre i patrioti armati di mitra sono schierati pronti a difenderle. Circa mille e cinquecento donne hanno partecipato alle manifestazioni. Ma in modo particolare è in Emilia che i gruppi organizzano quasi tutti i giorni delle manifestazioni che si concretizzano con l’assalto agli ammassi ed ai magazzini di viveri destinati ai tedeschi e ai fascisti. Tutti i viveri vengono poi distribuiti, in modo equo, a tutta la popolazione, da commissioni femminili nominate dalle dimostranti. In certi paesi del bolognese le nostre dirigenti sono divenute coi CLN le vere autorità riconosciute dal popolo. Esse dirigono ospedali e ospizi di vecchi, organizzano in unione agli altri organismi di massa le cooperative, e provvedono alla distribuzione di viveri, legna ecc. 

GRANDI MANIFESTAZIONI POLITICHE I novembre – La manifestazione organizzata dai Gruppi per rendere omaggio agli eroici fucilati è riuscita in ogni luogo in un modo grandioso e commovente. In quei giorni, tante e tante donne hanno sfilato dinnanzi alle tombe dei cari caduti, ed ogni fiore che esse deponevano era accompagnato da una promessa. Promessa di continuare la lotta per vendicarli e vincere… Settimana pro partigiano – Nelle vallate prossime alle zone partigiane, le contadine si sono molto prodigate nell’ assistenza ai patrioti, ricoverandoli nelle loro case, curando i feriti e gli ammalati, fornendoli di tutti i viveri necessari, sfidando coraggiosamente il terrore e la brutale reazione nazista e fascista. Le donne di città hanno sempre aiutato e aiutano con grande entusiasmo tutti i partigiani: hanno raccolto viveri, denari, indumenti, confezionano maglie, calze, guanti ecc. Questa attività non è mai cessata, ma si è maggiormente sviluppata e ha preso carattere di grande manifestazione politica in occasione delle varie “settimane pro partigiano” organizzate in ogni città e in ogni paese. Le donne italiane hanno in tale occasione scritto ai volontari della libertà centinaia di lettere per far sentire di quanto affetto e di riconoscenza sono circondati. All’inizio di questa settimana pro partigiano nei luoghi di lavoro, nelle officine, negli uffici ecc. gli operai, gli impiegati, i tecnici e le donne, i giovani hanno sospeso il lavoro per alcuni minuti ricordando in silenzio e a capo scoperto gli eroici caduti nella lotta per la liberazione della patria. Furono esposti nei reparti fotografie di caduti ornati di fiori e del tricolore e sulle torrette di alcune fabbriche vennero messi grandi cartelli inneggianti i partigiani…… Migliaia e migliaia di manifestini sono stati distribuiti con lanci per le strade, grandi manifesti affissi ai muri della città annunciavano ogni giorno l’elenco degli oggetti offerti…

22/04/25

Sulla morte di papa Bergoglio

Dal blog proletari comunisti

La morte del papa è un evento tragico in questa situazione; su guerra/corsa agli armamenti/migranti/ e in misura minore su Palestina, la sua posizione era in contrasto e in critica con l’imperialismo dominante i suoi Stati, i suoi governi, i suoi servi e complici, quindi la sua morte lascia loro più campo libero. Questo è un fatto negativo - la sua, peraltro, non è una chiesa "strutturata" e quindi la sua influenza sul popolo è relativa - anche se la sua morte può influire sulla loro coscienza; possiamo dire che il suo ‘popolo’ è più indietro di Bergoglio. E nelle file del proletariato e del popolo il nostro lavoro è quello che stiamo facendo. 

proletari comunisti



Verso l’ 80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo - Dall'opuscolo "Una mattina mi sono svegliata..." - 1

Verso l’ 80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Iniziamo da oggi questo breve excursus su donne e Resistenza che ci accompagnerà sino al 25 aprile. Perché, in particolare, focalizzarsi sul ruolo delle donne nella Resistenza? 
Perché ci aiuta a comprendere la doppia, tripla lotta che le donne hanno dovuto fare sia all’interno della famiglia e contro le convenzioni sociali sia contro la diffidenza nell’accettarle nella lotta partigiana. Ancora oggi le testimonianze delle partigiane sono ricche di insegnamenti per l’agire di oggi nel lungo e difficile cammino verso la liberazione delle donne.

Vogliamo iniziare con la canzone simbolo della Resistenza partigiana: 

Una mattina mi son svegliato O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Una mattina mi son svegliato E ho trovato l'invasor O partigiano portami via O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao O partigiano portami via Che mi sento di morir E se io muoio da partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E se io muoio da partigiano Tu mi devi seppellir Mi seppellire lassù in montagna O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao Mi seppellire lassù in montagna Sotto l'ombra di un bel fiore E le genti che passeranno O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao E le genti che passeranno Mi diranno: "Che bel fior" È questo il fiore del partigiano O bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao È questo il fiore del partigiano Morto per la libertà. 

Scrive Bianca Guidetti Serra: “Nei libri di Storia della Resistenza, e sono ormai molti, si legge che nel dicembre del 1943 si costituirono i Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà. Non si dice però che cosa fossero, che cosa facessero, quali finalità perseguissero…”. “Hanno raccontato queste cose per la prima volta, almeno ai fini di una pubblicazione e hanno accettato di farlo perché convinte che la loro esperienza poteva servire ad altri, ai giovani soprattutto…”. “La scelta antifascista, infatti, nata negli anni remoti per le più anziane, nel 1943-1945 per le più giovani, aveva trovato ragione d’impegno prima della “resistenza”, durante e, per quasi tutte, anche dopo. 


La militanza nei Gdd o in altre organizzazioni appariva insomma il naturale e necessario anello di un’unica catena rappresentante la tenacia e la coerenza di una scelta di campo..”. Testimonianze “che tengono a dare prova della non passiva accettazione delle donne, di certe donne, dei fatti della storia, come singole e come collettività…”. “..Destino di donne che da un lato inibisce loro di formarsi culturalmente, dall’altro le costringe però a contribuire al sostentamento della famiglia. Ma neppure la relativa autonomia economica le rende più libere. Il condizionamento sociale le costringe all’accettazione di regole di costume mutuate o imitate, tra l’altro, dalla classe di cui sono subalterne […]. Destino di donne che si perpetua nell’età matura. 

A “casa” dal lavoro con destinazione “casalinga”, resteranno molte, dopo il matrimonio e, in un certo senso, le più fortunate. Il numero delle ore lavorate infatti, cumulato a quelle necessarie per raggiungere il posto di lavoro, la pesantezza del medesimo, la totale mancanza di servizi di sostegno erano tali da rendere angoscioso il contemporaneo espletamento dei due ruoli […] quale era la scelta alternativa al lavoro di fabbrica? Quello artigianale o il lavoro cosiddetto terziario, talvolta quello a domicilio”.

19/04/25

ANCORA UNA VOLTA GRIDIAMO CON FORZA "UNO STUPRO E' STUPRO! IL CONSENSO NON E’ AUTOMATICO!" - dalle aule dei tribunali ad ogni ambito la lotta contro la violenza sulle donne è necessariamente a 360 gradi

Imputati per violenza sessuale di gruppo nei confronti di una giovane all'epoca 18enne spinta anche a bere vino e superalcolici, due schifosi uomini di 34 e 33 anni, sono stati assolti dallo stupro perché la vittima era “consenziente anche se ubriaca".
Dopo il collegio penale di Ravenna in primo grado, con decisione e motivazioni che destarono scalpore, la corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza di assoluzione piena.

Un'altra sentenza schifosa che tutela gli schifosi stupratori, un ex calciatore del Ravenna calcio e un commerciante d'auto usate, il primo era indicato come colui che aveva incitato riprendendo la scena con il telefonino e l'altro come chi aveva materialmente abusato della ragazza.

Un’altra sentenza ripetiamo schifosa che è nuovamente violenza contro la giovane donna stuprata, che era andata a denunciare con il fidanzato lo stupro qualche giorno dopo ricordando solo poco di ciò che era successo.
Nel video era palese lo stato di stordimento della ragazza, come ha riportato l'accusa, la pm Angela Scorza parlando di "scena raccapricciante" , di una ragazza "completamente indifesa" nelle luride mani di due stupratori dal "comportamento denigratorio”.
Ma per i giudici che hanno assolto, tutto questo non è affatto esistito! perché il fatto non costituisce reato". “𝐄𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐧𝐳𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞 𝐮𝐛𝐫𝐢𝐚𝐜𝐚.”

ANCORA UNA VOLTA DOBBIAMO GRIDARE CON FORZA QUELLO CHE DOVREBBE ESSERE UN RICONOSCIMENTO OGGETTIVO: UNO STUPRO E’ UNO STUPRO!


Ancora una volta dobbiamo dire con forza che il CONSENSO NON E’ AUTOMATICO né desumibile come hanno fatto in modo osceno questi giudici dal fatto che la ragazza avrebbe telefonato a degli amici e alla madre prima del rapporto sessuale, ignorando completamente invece lo stato vulnerabile e alterato della ragazza, peraltro riconosciuto dai giudici della corte di primo grado quando scrissero “avendo bevuto molto e trovandosi in uno stato di non piena lucidità…”, ma diedero schifosamente l’assoluzione in primo grado. E le schifose riprese con il telefono dello stupro, anche questo non era reato??

Questa “giustizia” è ancora una pesante ingiustizia nei confronti delle donne vittime di violenza, stuprate ancora una volta di fatto, che ci chiama a comprendere in primis che la lotta contro la violenza sulle donne deve investire ogni ambito di questa società, compreso quello dei tribunali da cui sempre più spesso vengono emesse sentenze oscene che contribuiscono ad aggravare la condizione ideologica e pratica di oppressione sociale della donne.

E se necessarie sono le battaglie immediate volte per esempio ad ottenere la procedura d’urgenza nei processi per stupro, stalking, molestie sessuali e femminicidi, l’accettazione delle parti civili di organizzazioni di donne, con patrocinio gratuito per le donne, la formazione della magistratura sul tema della violenza maschile contro le donne...
è sempre più necessario però comprendere che queste lotte devono essere inserite in una lotta più ampia: le sentenze di alcuni giudici come questa sono parte di uno degli apparati di questo Stato in questa società borghese che non è affatto al di sopra delle parti, che non è neutro, che non è immune ma che oggettivamente e in questo caso soggettivamente influenzato dalla ideologia borghese dominante, fondata sulla condizione di doppia oppressione della maggioranza delle donne in questa società, e che si manifesta concretamente in forme e azioni intrise di maschilismo, sessismo, di patriarcalismo in forme moderne oggi ancor più visibili nel nostro paese in una fase in cui avanza l’ideologia moderno fascista e da moderno medioevo, vedi l’attuale governo Meloni e tutti gli apparati al suo servizio.