Questo testo di analisi critica delle posizioni di Nudm è contenuto sempre in questo opuscolo. Oggi pubblichiamo una prima parte, con le parti più significative di questo lavoro teorico.
La seconda parte sarà pubblicata la prossima settimana.
L'opuscolo "360" contiene tanti altri importanti testi, che affrontano una serie di altre questioni teorico, ideologiche, politiche che sono attuali nel dibattito e lotta di posizione nel movimento femminista.
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Da dove nasce il movimento Nudm in Italia
In
Italia a partire dal 2016 si è sviluppato un grande movimento di
donne che si è incarnato principalmente nella realtà di NUDM.
Il
fatto che Nudm, oggi, per la composizione di classe, rifletta
principalmente le concezioni/posizioni di fondo e generali del
femminismo e sia quindi espressione e sintesi delle sue varie facce,
ci permette di fare questa analisi riferendoci a Nudm;
Nei primi mesi del 2014 a Roma vari collettivi femministi, alcuni
provenienti principalmente dall’esperienza delle occupazioni di
case, decisero di costituirsi in rete e assunsero il nome “Io
Decido”, facendo riferimento alle donne spagnole che lottavano per
la libertà di scelta in materia di procreazione. Nelle prime
assemblee costitutive venne messo al centro il concetto del partire
da sé e della relazione tra donne fuori da meccanismi gerarchici di
potere; da qui l’importanza data ai momenti assembleari come unici
luoghi delle decisioni.
Altro
elemento era la volontà di costruire un soggetto collettivo
intersezionale, capace cioè di connettersi con i molteplici aspetti
della soggettività e forme di oppressione imposte dall’attuale
sistema sociale, rifiutando il binarismo sessuale, uomo-donna, e
l’eterosessualità come norma imposta socialmente, ma collegandosi
alle lotte delle
soggettività lesbiche, gay, transessuali, bisessuali attorno al
movimento LGTB-queer...
Nel
corso di due anni furono organizzate molteplici iniziative, per
esempio contro l’obiezione di coscienza di medici e farmacisti, per
l’applicazione della 194 e il rilancio dei consultori ecc.
Il
29 maggio del 2016 a Roma ci fu il femminicidio di una ragazza di 22
anni, Sara Di Pietrantonio, uccisa e bruciata dall’ex fidanzato che
fece scattare a livello nazionale una forte indignazione per la sua
crudeltà. Si sentiva forte l’urgenza di trovare forme nuove per
lottare contro una realtà concreta fatta purtroppo di femminicidi,
di stupri e di violenza ormai quotidiana e di unire le varie realtà
impegnate su questo fronte.
Da
qui l’obiettivo della costruzione di una rete nazionale… il
nome poi scelto di “Non una di meno” era in collegamento con il
movimento “Ni una menos” delle donne argentine.
Si
è man mano formato un vero e proprio movimento che è entrato nella
scena pubblica a livello nazionale con la prima e grande
manifestazione del 25 novembre a Roma contro la “violenza maschile
sulle donne”, cui è seguita l’indomani, il 27 novembre, la prima
assemblea nazionale con l’obiettivo annunciato della stesura di un
Piano nazionale femminista contro la violenza maschile sulle donne
costruito dal basso attraverso una pratica politica orizzontale.
Dopo
la prima manifestazione nazionale, diverse iniziative sono seguite
con lo sviluppo della varie diramazioni territoriali
di NUDM in tante città sul tema della violenza/femminicidi, contro
le sentenze sessiste dei tribunali, sul tema dell’aborto e contro
la disapplicazione della 194; antirazziste, fino ad arrivare
all’assunzione a livello di movimento nel 2017 della parola
d’ordine dello sciopero delle donne (che in Italia l’Mfpr aveva
lanciato e concretizzato in primo evento storico ed eccezionale già
a partire dal 2013), anche sulla spinta propulsiva dell’appello
della donne argentine e polacche di organizzare lo sciopero l’8
marzo in tutto il mondo, uno sciopero scrive
NUDM “…che riconnettesse sfera pubblica e sfera privata,
produzione e riproduzione…”.
In
merito a queste mobilitazioni, iniziative, manifestazioni che hanno
portato in piazza centinaia di migliaia di donne
abbiamo scritto: “I fatti sono sempre più duri e più veri delle
parole, e ci riferiamo ai ‘buoni fatti’ della combattiva
opposizione al governo e alle politiche fasciste/populiste/
sessiste/razziste del movimento NUDM, ma le parole non vanno
sottovalutate... necessità della lotta anche rispetto alle parole,
alle ideologie, alle teorie che li accompagnano e che prima o poi
possono tornare ad influire sui fatti, perché sono espressioni di
classi, e in questo caso della piccola borghesia maggioritaria come
concezioni, ideologia e conseguente prassi nel movimento…”.
...Un
movimento che porta in piazza centinaia di migliaia di donne non si
può far finta di non vederlo, o liquidarlo tout
court in modo superficiale o infantile dicendo che in quel movimento
sono tutte piccolo borghesi e pertanto le proletarie, le lavoratrici,
le operaie non se ne devono interessare.
Ma
partecipare e agire nel movimento pensando che in quanto donne siamo
meccanicamente tutte uguali e unite sugli stessi obiettivi e linea di
lotta, è altrettanto sbagliato, significa cadere nella rete
dell’idealismo dell’opportunismo, perché in questa società
capitalista divisa in classi le donne non sono tutte uguali, le donne
sono borghesi, sono piccolo-borghesi, sono proletarie, e come ha
affermato Mariategui, il fondatore del Partito Comunista Peruviano,
che ha analizzato la questione delle donne a partire dalla condizione
di oppressione nel suo paese, “…attualmente la classe distingue
gli individui più del sesso… le donne sono reazionarie, centriste
o rivoluzionarie e di conseguenza non possono combattere la stessa
battaglia”. Il
femminismo, quindi,
non è una cosa unica, c’è il femminismo borghese, piccolo
borghese e il femminismo proletario.
Il
piano femminista
...Non
Una Di Meno, in occasione della prima grande manifestazione del 25
novembre 2016 annunciò la presentazione del «Piano femminista
contro la violenza maschile sulle donne e tutte le forme di violenza
di genere», ponendolo come obiettivo di fase...
La
filosofia di questo piano è quella di voler migliorare/cambiare
dall'interno questo sistema borghese, imperialista…
Si persegue una trasformazione culturale e politica, che avverrebbe
principalmente sul piano delle idee, dell'educazione.
Sulle
illusioni di poter cambiare le idee, senza rovesciare il sistema
capitalista, la classe borghese dominante, già tanti anni fa Marx ed
Engels hanno detto
parole definitive: "Le
idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti;
cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società
è in pari tempo la sua potenza spirituale
dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale
dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione
intellettuale, cosicché a essa in complesso sono assoggettate le
idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione
intellettuale. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione
ideale dei rapporti materiali dominanti, sono i rapporti materiali
dominanti presi come idee: sono dunque l'espressione dei rapporti che
appunto fanno di una classe la classe dominante, e dunque sono le
idee del suo dominio (...)".
[Marx Engels, L'ideologia tedesca]
Circa
i tre quarti dell’intero piano femminista contro la violenza
maschile sulle donne, sono incentrati su una trasformazione culturale
e politica della società, sul potenziamento di consultori e CAV
“laici e femministi”, il riconoscimento di quelli autogestiti
dalle donne e il loro intervento formativo/educativo a vari livelli
(scuole, nidi e università, istituzioni politiche, media e industria
culturale, aziende, luoghi di lavoro, ASL, magistratura, avvocati,
consulenti, forze dell’ordine, polizia penitenziaria ecc… E
su
intervenire sulle dinamiche strutturali da cui origina la violenza
maschile e di genere sulle donne”...
Sulla
questione della violenza sessuale, si dice che la "violenza è
strutturale" solo per dire che non è frutto di individui ma è
insita nella società, nella famiglia, ecc. Un pò poco decisamente.
Non
si fa un'analisi di classe di questa società, non si denuncia che è
questo sistema capitalista la causa principe inevitabile, e che
quindi non si può chiedere allo stesso sistema di non essere tale, e
di conseguenza non si fa, anzi si contrasta, una lotta delle donne
che abbia come prospettiva il rovesciamento della società capitalista.
Non
si spiega mai, in maniera esplicita, l’origine del patriarcato.
Certo, si “riconosce l’intreccio tra la matrice patriarcale
e quella capitalista delle oppressioni”, e si dice: “la violenza
di genere non è un’eccezione o un’emergenza del momento, ma il
prodotto del patriarcato che ha una storia millenaria.
Patriarcato
che nel sistema capitalistico ha trovato nuova linfa vitale, a
partire dalla divisione sessuale del lavoro che ha relegato le donne
dapprima nella dimensione domestica - facendo così della famiglia
etero-normata e mononucleare il cardine della riproduzione sociale -,
in secondo luogo includendole nel mercato del lavoro al prezzo di
nuove violenze, disparità e ingiustizie”; ma questa affermazione è
in realtà un insidioso sofisma, che crea confusione, sia
sull’origine del patriarcato, sia su quella del sistema
capitalistico, e stride con l’analisi storico-materialistica della
condizione di oppressione delle donne.
(L’analisi
storico materialistica di Engels e Marx dimostra che c’è stato
tutto un lungo periodo, dallo stato selvaggio alla fase barbara, in
cui veniva riconosciuto il ruolo centrale della donna, come
determinante nel sistema sociale. I mezzi di produzione (terra,
strumenti rudimentali) erano di proprietà collettiva e i beni
equamente distribuiti.
Nell’origine
della famiglia, della proprietà privata e dello Stato Engels
dimostra che nella società di tipo comunistico la differenza
sessuale non era fonte di disuguaglianza, le donne non erano in
condizione di subalternità.
Con
lo sviluppo della proprietà privata legata allo sviluppo degli
strumenti di produzione che portarono ad un progressivo accumulo di
beni oltre la necessità immediata, si pone l’esigenza di
tramandare ai figli maschi questa proprietà, “le ricchezze, nella
misura in cui si accrescevano, da una parte davano all’uomo una
posizione nella famiglia più importante di quella della donna,
dall’altro lo stimolavano ad utilizzare la sua rafforzata posizione
per abrogare, a vantaggio dei figli maschi la successione
tradizionale…”. Dal diritto materno si passa a quello paterno e
la prima divisione del lavoro è la divisione tra uomo e donna.
La
nascita della proprietà privata e il conseguente passaggio dal
matriarcato al patriarcato pone per le donne la base
storico-materialistica della condizione di oppressione e
subordinazione “segna la sconfitta sul piano storico universale del
sesso femminile”, “la monogamia fu la prima forma di famiglia
(patriarcale) che non fosse fondata su condizioni naturali ma
economiche, precisamente una vittoria della proprietà privata sulla
originaria e spontanea proprietà comune… essa appare come un
soggiogamento di un sesso sull’altro… la prima divisione del
lavoro è quella tra uomo e donna per la procreazione dei figli…”
(Marx) la prima forma di antagonismo fu quella tra uomo e donna”.)
Questa
ambiguità di fondo è corroborata anche dalla parte introduttiva del
piano di
NUDM,
quando si afferma che “La violenza maschile è espressione diretta
dell’oppressione che risponde al nome di patriarcato, sistema di
potere maschile che a livello materiale e simbolico ha permeato la
cultura, la politica, le relazioni pubbliche e private. Oppressione e
ineguaglianza di genere non hanno quindi
un carattere sporadico o eccezionale: al contrario, strutturale. Non
sono fenomeni che riguardano la sola sfera delle relazioni
interpersonali, piuttosto pervadono e innervano l’intera società...
Il patriarcato, e dunque la violenza maschile, sono inoltre da sempre
funzionali alle logiche del profitto e dell’accumulazione
capitalistica, all’organizzazione della società secondo rapporti
di sfruttamento”. Con questo paralogismo, sembrerebbe che la
divisione della società in classi, e quindi l’origine del
patriarcato, sia in realtà indipendente dal sistema capitalista,
quasi fosse un “di più”, che merita di essere menzionato solo a
fine discorso.
Anuradha
Ghandy nel suo libro, analizzando il femminismo radicale che al suo
interno racchiude diverse tendenze o sottotendenze tra cui quella del
femminismo culturale, scrive: “…mentre
si formulano critiche estremamente forti sulla struttura patriarcale
– della società
– le soluzioni che si offrono sono di fatto
riformiste… anche se hanno iniziato analizzando l’intero sistema
– affermando che si deve trasformare e cambiare – la loro linea
di analisi li porta in canali riformisti…”.
La
linea ideologica/teorica alla base del «Piano femminista” di NUDM
rientra in questa analisi, perché accanto all’affermazione che la
violenza maschile sulle donne e tutte le forme di violenza di genere
sono sistemiche, strutturali, cioè insite nel sistema capitalista
etero-patriarcale, le “soluzioni” proposte vanno nella direzione
invece di voler cambiare dall'interno questo sistema borghese.
(CONTINUA)