02/08/18

Angela Fresu e le altre donne quel tragico dì alla stazione di Bologna.

Da L’Agenda delle Donne, il Blog di Patrizia Cordone 

Che si restituisca la memoria di ciò che furono le loro esistenze spazzate via da quell’attentato del 2 agosto 1980 a Bologna. Che le si ricordi con i loro nomi e cognomi, le trentatrè donne, da Angela Fresu, la più piccina, alla più anziana rimaste vittime di quella terribile strage a tutt’oggi la più grave mai avvenuta dal dopoguerra in poi nel nostro paese ed ancora senza né mandanti, né indennizzi per le-i sopravvissute-i tantomeno per i familiari. A distanza di trentotto anni.

sommario, prologo ed articolo di  Patrizia Cordone, agosto 2018. ©L’Agenda delle Donne, il Blog di Patrizia Cordone. Diritti d’autore riservati.
biografie tratte dal sito dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980

Dei segnali avevano preceduto quella strage: nel giugno 1980 un documento acquisito dalla Corte d’Assise di Bologna con la segnalazione della preparazione di un attentato da parte dell’estrema destra;  il 10 luglio 1980 l’allerta comunicata da Luigi Presilio Vettore, detenuto per reati comuni, in presenza del suo avvocato comunicata al giudice di sorveglianza circa l’imminenza di un’azione sanguinosa di vasta portata per opera della destra ed infine il rapporto del Sisde, scritto dal colonnello Amos Spiazzi con dei riferimenti al possibile funesto evento.  Ma quel 2 agosto 1980 alle ore 10.25 alla stazione di Bologna la bomba deflagrò uccidendo ottantacinque persone e ferendone duecento. Tra mille tentennamenti ed innumerevoli depistaggi nel 1995 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva all’ergastolo Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, come esecutori del terribile atto e componenti dei N.A.R., Nuclei Armati Rivoluzionari,  gruppo di estrema destra, mentre sconosciuti sono i mandanti ipotetici, seppure siano stati rilevati dei collegamenti tra i servizi segreti e la criminalità organizzata, come la banda della Magliana. Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, ha rilasciato un’intervista all’Espresso il 1. agosto 2017 molto meritevole di essere letta e sedimentata, laddove denuncia l’operato anomalo della magistratura bolognese con troppe facili archiviazioni circa i mandanti “su una serie di “non indagini” che lasciano perplessi“; con la trascuratezza (!?) dei giudici riguardo le  acquisizioni, attinenti i finanziamenti di Gelli agli stragisti, presentate dall’Associazione ai giudici e parecchio ancora. Dopo ben trentotto anni scarsi sono i risultati sul piano giudiziario, allora che come dovere si preservi l’impegno civile, leggendo, documentandosi, diffondendo l’attività meritoria dell’Associazione, partecipando alle commemorazioni, restituendo l’indignazione di un dovuto ristoro risarcitorio a chi non é più qui, ricordando i nomi e le storie di chi non ha più voce: le vittime.
Dal sito associativo simbolicamente si è voluto estrapolare le trentatrè biografie di donne rimaste uccise, con i loro sogni, i loro progetti di vita, le gioie, le difficoltà e quella quotidianità loro, affinché diventi anche la nostra ….. per farle vivere al di là del tempo con noi:

NATALIA AGOSTINI IN GALLON (40 anni, di Bologna) – Natalia, operaia alla Ducati Elettronica, era con suo marito e loro figlia Manuela alla stazione di Bologna, il 2 agosto: dovevano accompagnare la loro bambina alla colonia estiva di Dobbiaco. Il marito si era allontanato per acquistare le sigarette, quando ci fu l’inferno, e mamma e figlia vennero travolte da un cumulo di macerie: furono estratte in fin di vita, mentre Giorgio riportò lesioni di scarsa entità. Natalia morì alla rianimazione dell’Ospedale Bellaria, proprio mentre stavano celebrando i funerali di Manuela nella chiesa della Beata Vergine Immacolata, con l’unica consolazione di non sapere che la sua bambina l’aveva preceduta.
Cit Resto del Carlino.
MARIA IDRIA AVATI (anni 80 Calabria) – Maria aveva desiderato di trascorrere una lieta vacanza in trentino, con due dei suoi tre figli. Avrebbe voluto partire dalla Calabria, dove risiedeva, durante le ore del mattino, per poter ammirare il panorama durante il lungo viaggio. Ma le fu proposto di prendere il treno della notte che sarebbe arrivato a Bologna l’indomani mattina. Maria Partì con la figlia Giuditta e riposò tranquilla nello scompartimento. Una bambina di tre anni che viaggiava con la mamma le ricordava la nipotina lasciata a Rossano. Il treno quel giorno era in ritardo di due ore e arrivò alla stazione di Bologna solo verso le dieci. Giuditta chiese l’aiuto di un facchino per trasportare le valige, e fece accomodare sua madre nella sala d’aspetto. Decise di approfittare di quel momento per andarsi a rinfrescare, e siccome aveva voglia di camminare dopo il lungo viaggio decise di fare alcuni metri in più e di raggiungere i servizi più lontani. “Mentre ero là udii un boato fortissimo che fece tremare tutto intorno a noi. […] Non sapevo dove dovessi dirigermi perché non riconoscevo più dove fosse la sala d’aspetto, né il bar. Tutto era diventato solo macerie. Dov’era mia madre’”. Con grande forza Giuditta riuscì a trovare la madre, ancora viva, e a trasportarla fuori, ove un’ambulanza la caricò, senza dare però la possibilità a Giuditta di salire. “Non sapevo quindi dove cercarla. […] Ricordai di avere un’amica a Bologna; telefonai anche a lei. La sua famiglia mi invitò a recarmi presso di loro. Un ragazzo che accompagnava la fidanzata in macchina, mi vide disorientata mi invitò a salire per condurmi dove volessi. Fu davvero cordiale e sensibile”. Solo dopo aver girato tutti gli ospedali Giuditta accompagnata dalla sorella dell’amica che è medico, giunse per la seconda volta all’ospedale Maggiore, ove sua madre era spirata.
ROSINA BARBARO IN MONTANI (58 anni, di Bologna) – Luigi e sua moglie Rosina erano una delle tante coppie per cui il 2 agosto significa vacanza, un momento di relax da trascorrere al mare, sulla Riviera Adriatica. Stavano aspettando il treno per Pesaro. Erano un poco spersi, perché era la prima volta che andavano in vacanza senza la figlia: lei sarebbe partita con un’amica. I due coniugi non avevano neppur voluto accettare un passaggio in macchina dalle ragazze, un poco per paura dell’auto, e per non disturbarle. Luigi, che si considera un miracolato, ricorda: “Ero sulla pensilina del primo binario tenevo Rosina per mano, nell’altra la valigia, e mi stavo dirigendo verso il bar. Proprio questo mese avremmo festeggiato i quarant’anni di matrimonio. Un boato spaventoso ci ha investiti all’altezza della sala d’aspetto. Sono stato sbattuto buttato a terra come uno straccio mi sono rovinate addosso le travi della pensilina mi sono trovato in una nicchia di vetri e ferri contorti, avvolto in una nube di fuoco nero. Di mia moglie non ho saputo più nulla.” Ricorda spesso sua moglie: “Una donna stupenda, meravigliosa”. La figlia ventinovenne, Annamaria, era appena arrivata al mare con l’amica Manuela Masetti, quando ha saputo della tragedia. La prima notizia è stata che il padre era ricoverato in gravissime condizioni al S. Orsola; della madre ancora niente. Si sono sedute un attimo “per prendere fiato”, e sono ritornate a Bologna. Ai funerali di Stato Annamaria ha rifiutato di stringere la mano al Presidente Pertini: “Non volevo assolutamente offendere l’uomo Sandro Pertini, non gli ho voluto stringere la mano semplicemente perché ho visto in lui il rappresentante di questo governo. Ora accetterei volentieri di vederlo[…] per avere l’opportunità di spiegarmi, di dire quello che penso”.
Cit. Vittoria Calabri.
EURIDIA BERGIANTI (49 anni, di Bologna) – Euridia a causa della bomba alla stazione di Bologna ha lasciato due figli: Danilo e Alessandro. Danilo viveva a Milano con la moglie; Alessandro, il minore, viveva con la madre, e da poco aveva inizio a lavorare come agente di commercio nel settore dell’utensileria meccanica. “Rimasta vedova cinque anni fa – dice- mia madre si era rimboccata le maniche, si era rimessa a lavorare. E’ grazie a lei che ho potuto cambiare attività. Ho smesso di studiare quando morì mio padre”.  Euridia lavorava al bancone del Self Service della stazione di Bologna. Il 2 agosto era in servizio. Quando Alessandro vide in TV le immagini della catastrofe in stazione notò come era ridotto il self- service- ristorante immaginò il peggio: “Ero appena arrivato per un breve soggiorno in montagna; sono ripartito subito per Bologna”.
KATIA BERTASI (34 anni, di Bologna) – E’ stato proprio il maresciallo Bertasi a dare il via ai soccorsi per le vittime della sciagura del 2 agosto. Quando ha avvertito l’esplosione, si è precipitato fuori dall’ufficio e si è reso conto di quello che era successo. Prima di correre sul luogo dell’esplosione si è attaccato al telefono chiamando la centrale e gridando concitatamente di mandare subito molti mezzi perché la catastrofe si delineava di grandi proporzioni. Poi è corso dal suo ufficio fino al luogo dello scoppio, ed è stato in quel momento che ha compreso che l’ala della stazione, quella in cui c’era anche sua figlia, non esisteva più. Katia, una giovane ragioniera della Cigar, aveva 34 anni e una famiglia stupenda: la figlia Federica e la nascita del piccolo Alessandro avevano completato la felicità dei due coniugi e dei nonni. Il maresciallo Bertasi ricorda la figlia, e pensa al futuro: “Katia era davvero il pilastro della famiglia, si occupava di tutto lei, aveva mille attenzioni per tutti”.  “Ma come faccio a tornare là’ (al lavoro) […] Non posso lasciare mia moglie a pensare da sola ai bambini, in questo momento”.
Cit. Romy Grieco.
VERDIANA BIVONA (22 anni, di Castelfiorentino) –   Due famiglie vicine, nella vasta zona collinare di Montespertoli, due famiglie che appena si conoscono: i Bivona, di origine siciliana, ed i Fresu, di origine sarda; ma che ora piangono una figlia, Verdiana, gli uni, la nipotina Angela e la figlia Maria, gli altri. Verdiana Bivona e Maria Fresu erano anche amiche: un legame stretto, anche di confidenze, erano in viaggio con l’amica Silvana Ancillotti. Il padre di Verdiana è ammalato; la moglie Antonina semiparalizzata. Mantiene la famiglia il figlio Vito, di 27 anni, lavora per un commerciante di polli. Vito sa poco della vita privata della sorella, la vedeva in casa a sfaccendare; per il resto, altre amicizie. “Usciva poco anche di sabato e di domenica – dice papà Francesco – . Era la padroncina di casa, si era sostituita alla madre, quando questa si era ammalata; faceva tutto lei”.
Cit. Vittoria Calabri.
ANNA MARIA BOSIO IN MAURI (28 anni, di Como) – Carlo, il padre; Anna Maria, la madre; Luca il figlio di 6 anni: erano una famiglia felice che è stata spazzata via dalla bomba. Il venerdì erano partiti in automobile da Tavernola, una ridente frazione di Como affacciata sul lago, per raggiungere un villaggio turistico a Marina di Mandria, in provincia di Taranto. In autostrada, quasi alle porte di Bologna, sono stati tamponati. Verso mezzanotte è arrivato il carro attrezzi che li ha trainati sino ad un’officina di Casalecchio: lì hanno passato tutta la notte in auto, alla meno peggio. Carlo che si intendeva di motori perché era perito meccanico, aveva capito che si trattava di un guaio grosso: ne ha avuto la conferma all’apertura dell’officina. Una telefonata al villaggio per dire che sarebbero arrivati in treno e chiedere se qualcuno poteva andarli a prendere a Brindisi, poi, via di corsa in stazione. Sono arrivati in Centrale poco prima dell’esplosione, e sono morti tutti e tre, tra le macerie del primo binario. Anna Maria ha lasciato a Tavernola i genitori Eliseo e Lida e il fratello Vittorio, di 26 anni, studente in medicina. Carlo ha lasciato a Como soltanto i genitori Guglielmo e Giuseppina: era figlio unico. Le due famiglie sono distrutte dal dolore; si aggrappano entrambe a Vittorio, che anche i Mauri considerano come un figlio. Anna Maria e Carlo si conoscevano da sempre; sono stati battezzati nella stessa parrocchia di S. Fedele, a Como, dove poi si sono sposati e dov’è stato officiato il rito funebre. La madre Lida, ricorda che la sua Anna Maria faceva la maestra e che il piccolo Luca sarebbe andato quest’anno in prima elementare. “Ero in viaggio con gli amici in Puglia – racconta Vittorio – e, sapendo che sarebbero arrivati sabato sera, ero andato al villaggio per accoglierli. Mi hanno detto che sarebbero giunti alla stazione di Brindisi, quindi, sono corso là. Ho atteso fino alla mezzanotte; in ritardo, sono arrivati tutti i treni che erano partiti da Bologna prima delle 10,30. Non erano annunciati più arrivi fino alle 5 del mattino seguente. Ho chiamato i miei genitori, ma non ho detto subito tutta la verità, che viaggiavano in treno da Bologna, per non spaventare troppo la mamma”. “Alle 6 di domenica – integra il racconto la signora Lida – mi sono alzata; avvertivo un certo malessere e ho detto a mio marito “sarà successo qualcosa”. Poi, ho telefonato al villaggio e ho preteso di sapere la verità: è stato terribile apprendere che l’incidente era avvenuto nei pressi di Bologna, e non di Ancona. Come mi era stato detto in un primo tempo.”
Cit. Vittoria Calabri.
VIVIANA BUGAMELLI IN ZECCHI (23 anni, di Bologna) ed il marito PAOLO ZECCHI (23 anni) – Paolo, figlio unico, avrebbe compiuto 23 anni il dicembre successivo alla strage della stazione di Bologna. Era un caro ragazzo al quale tutti si affezionavano. Si era diplomato ragioniere e subito si era messo a cercare lavoro. Qualcosa era riuscito a trovare subito, ma gli istituti bancari ai quali aveva rivolto domanda preferivano che prima avesse assolto gli obblighi di leva. Così Paolo fece domanda per partire prima del previsto e, al ritorno, trovò immediatamente assunzione che desiderava al Credito Romagnolo, nell’agenzia di Ozzano (Bologna). A quel punto, al colmo della felicità disse ai suoi che voleva sposarsi. Per i genitori fu una sorpresa: i due fidanzati erano così giovani! Viviana aveva la sua stessa età. Era anche lei diplomata in ragioneria e aveva trovato un impiego in un’azienda agricola non lontano da casa. Non mancava loro niente per essere felici, così i due giovani si sposarono nell’ottobre del ’79. Erano andati ad abitare con la famiglia di Viviana: nella casa c’erano ancora tutti i regali di nozze che Paolo e Viviana avevano riposto in attesa di trovare un appartamento tutto per loro. Anche nella casa paterna di Paolo rimanevano ancora alcuni regali per gli sposi: “Con quale animo potrò riguardarli’” si chiede la signora Zecchi. Quel giorno Paolo e Viviana stavano andando a casa di una zia a ritirare alcuni oggetti. Ne avevano approfittato per andare in stazione a prenotare per tempo il traghetto per andare qualche giorno in Sardegna a trascorrere le vacanze. La loro automobile è stata ritrovata dopo lunghe ricerche parcheggiata nella via davanti alla stazione, ma dei due ragazzi nessuna traccia …  La signora Zecchi, continuando il racconto, dice: “ I ragazzi avevano appena confidato di attendere un bimbo, avevano appena avuto la conferma. Avevo detto che avrei voluto preparare tutto io il corredino. Per noi la vita è finita il 2 agosto”.
Cit. Romy Grieco.
SONIA BURRI (7 anni, di Bari) –  Il 2 agosto, alla stazione di Bologna c’erano tre nuclei familiari, parenti fra loro: Rosalia Serravalli, con la figlia Patrizia Messineo; Angelo Burri, marito di Rosalia e padre della piccola Sonia; Silvana Serravalli, sorella di Rosalia con le sue due bambine Alessandra e Simona Barbera. Con loro c’erano anche i nonni Luigi e Grazia Serravalli. Nella sala d’aspetto, quella mattina, tutti sono sempre più impazienti. Giocano, scappano, si nascondono poi si riprendono. ” Dai…non mi prendi…non sai correre”. Aspettano così il treno. Dopo lo scoppio della bomba viene ritrovata una bambolina rossa. La teneva in braccio Sonia che aspettava con i genitori il treno per Roma. Sonia è una piccola vittima della strage, assieme a Patrizia, sua sorella maggiore.
VELIA CARLI IN LAURO (50 anni, di Brusciano, prov. Napoli) – Velia e Salvatore erano in attesa di una coincidenza “sbagliata”, costretti cioè dal ritardo accumulato dal treno che da Brusciano (vicino a Napoli) avrebbe dovuto condurli a Mestre. A causa dello scoppio della bomba alla stazione di Bologna, Velia e Salvatore, non rivedranno più i loro sette figli, di cui due molto giovani. I tre minori, Aurora, Gennaro e Francesca, vorrebbero restare insieme. Aurora, che avrebbe dovuto sposarsi la domenica dopo l’incidente, ha chiesto di poter tenere con sé e il futuro marito i due fratelli minori. Patrizia, una delle sorelle maggiori, racconta: “Non ci crediamo ancora, per noi papà e mamma non sono morti, è un po’ come se fossero partiti e non fossero ancora tornati. […] Sono stata io a dire alla mamma, quel venerdì sera, di non partire in auto. Era stanca, aveva fatto una giornata di lavoro, io le ho detto di prendere il treno. […] Sembrava che sentisse qualcosa. […] Pochi giorni prima, parlando della morte che ancora non aveva mai toccato la nostra famiglia, mi aveva detto: “Se capita una disgrazia ricordatevi che sono cose da affrontare e da accettare, non da mettere da parte”.
FLAVIA CASADEI (18 anni, di Rimini) – Flavia, diciotto anni compiuti da poco, frequentava la quarta liceo scientifico a Rimini: aveva ottenuto la borsa di studio ogni anno fin dalle elementari. Quel sabato due agosto stava viaggiando verso Brescia dove l’aspettava uno zio. Flavia era uscita di casa, a Rimini, molto presto e un’ora dopo aveva telefonato ai genitori dalla stazione: “Il treno è in ritardo, avvertite lo zio a Brescia”. Per quel ritardo aveva perso la coincidenza a Bologna e alle 10,25 stava aspettando il treno per Verona. I genitori, il padre Egidio e la madre Virginia ne parlano con ammirazione: “Era una ragazza molto sensibile, ricca di interessi e di amici”. Nel suo diario si legge: “…e’ più facile per l’uomo attaccarsi alle cose terrene. Tanto facile quanto sbagliato”. Tre righe di una scrittura minuta, nervosa. “in queste parole c’è mia figlia. Aveva una fede enorme nel prossimo”, afferma la madre. Il padre di Flavia ricorda: “A Brescia avrebbe incontrato un pittore nostro amico che si interessava ai disegni di Flavia. Tutti quei ritardi però, che strano. A Bologna tutti i treni, dal Nord e dal Sud, erano in ritardo. E’ così che le stazioni si riempiono di gente: più ritardi, più persone in attesa”. Le ultime ore di Flavia sono state raccontate da una ragazza che era accanto a lei al momento dello scoppio. Sabina Govoni, 17 anni di Cento, l’aveva conosciuta proprio alla stazione di Rimini; le due ragazze avevano fatto amicizia, un po’ di viaggio assieme e stavano aspettando la coincidenza nella stessa sala di prima classe (in quella di seconda non c’era posto). Racconta: “Ho sentito un gran botto, poi tutto ha tremato e mi è venuto addosso il soffitto. Mi ha salvato un militare scavando tra le macerie. Della mia amica non ho saputo più niente […]
Cit. Carlino Beppe Errani.
ANTONELLA CECI (19 anni, di Ravenna) – Antonella, è morta assieme al fidanzato, Luca Marino e alle due sorelle del suo ragazzo, nella tragica esplosione di sabato 2 agosto, a Bologna.  A casa, a Ravenna, papà Pietro guarda fuori dalla finestra che inquadra un orizzonte disegnato da profili di industrie e di uno zuccherificio. Poi dice: ” E’ lì, allo zuccherificio dove Antonella quasi certamente sarebbe andata a lavorare. La seconda domanda di assunzione l’avevano già accolta”. Pietro Ceci, 48 anni, dipendente comunale è un uomo magro, di media statura che la tragedia ha fatto ripiegare su se stesso, come un involucro rimasto improvvisamente vuoto. “Aveva avuto dei bellissimi voti, era felice perché sapeva che cominciava per lei una nuova vita. Sabato era partita per Bologna assieme al suo ragazzo, dovevano andare ad accogliere le sorelle di Luca che venivano a trascorrere un periodo di ferie qui a Ravenna. Ma perché è finita così'”. La madre dice: ” Con i soldi che tanta gente ha voluto inviarci costruirò una tomba più grande con due posti vuoti vicino ad Antonella, per me e mio marito. Non chiedo altro”. Nella quiete della sua stanza, tutto è rimasto come Antonella l’ha lasciata. La prova più terribile per i genitori di Antonella è stata quando hanno dovuto riconoscere la sua salma: da quel momento si è rotto qualcosa dentro, sono due esseri umani che sembra abbiano perduto ogni voglia di vivere.
Cit. Giorgio Maioli.
FRANCA DALL’OLIO (20 anni, di Bologna) – Franca era la “bimba” dell’ufficio: figlia unica lavorava da quattro mesi soltanto per la ditta CIGA, appaltatrice del Bar – Ristorante della stazione di Bologna.  Qualche attimo prima dell’esplosione era al telefono con un fornitore che era andato a consegnare della merce. Normalmente era lei a scendere e a controllare il materiale. Quella mattina chiese al fornitore di salire lui. Il fornitore le rispose: “Mi ha fatto venire in mente che devo fare un’altra cosa prima; poi vengo”.  Poi l’esplosione, mentre Franca, al suo tavolo di lavoro, controllava il libro della contabilità. La mamma di Franca pensa ancora: “fosse scesa lei adesso l’avrei ancora qua”.
BERTA EBNER (50 anni, di S.Leonardo di Passiria prov. di Bolzano) – Nata l’8 febbraio del 1930, Berta Ebner era nata a San Leonardo in Passiria in provincia di Bolzano. Faceva la casalinga.
LINA FERRETTI IN MANNOCCI (53 anni) – Nata a Peccioi (PI), Lina era sposata con Mannocci Rolando, dipendente delle ferrovie dello Stato. Lina era casalinga e mamma di Maurizio e Paola.
MIRELLA FORNASARI IN LAMBERTINI (36 anni, di Casalecchio di Reno, prov. di Bologna) – Mirella era solita prendere le ferie il 1°agosto. Quell’anno aveva deciso di partire con il marito Giorgio soltanto il 12 … Giorgio, dopo la tragedia, ha ripreso il suo lavoro di artigiano, ma dice di non riuscire più a concentrarsi. La suocera, Anna, la ricorda Mirella come una ragazza particolarmente premurosa: “Il giorno prima della tragedia mi aveva portato due regalini. Era rimasta fino a tarda notte a riverniciare tutto l’appartamento. Guardi come è stata brava! Non voleva che io né mio marito ci affaticassimo. Ormai lavorava alla sede della Cigar in via Marconi, ma quel giorno avevano avuto bisogno di lei in stazione”.  Giorgio la ricorda sempre: “Aveva le calze bianche quando ho cominciato a corteggiarla. Era poco più di una bambina e si voleva far suora. Le feci fare io la Cresima, poco prima di sposarci sedici anni fa. Per due volte ha indossato l’abito bianco. Era come se l’avessi sposata due volte”.  A dividere il dolore con Giorgio e i nonni c’è Paolo, che aveva tanto sperato (purtroppo invano) che fra i dipendenti della Cigar, quell’ultimo corpo estratto dalle macerie, non fosse proprio quello di sua madre.
ANGELA FRESU (3 anni, di Montespertoli, prov. Firenze) e MARIA FRESU (24 anni) – Due famiglie vicine, nella vasta zona collinare di Montespertoli, due famiglie che appena si conoscono: i Bivona, di origine siciliana, ed i Fresu, di origine sarda; ma che ora piangono una figlia, Verdiana, gli uni, la nipotina Angela e la figlia Maria, gli altri. Maria Fresu e Verdiana Bivona erano amiche: un legame stretto, anche di confidenze, erano in viaggio con l’amica Silvana Ancillotti; attendevano il treno per recarsi al Lago di Garda. Di Maria non si hanno più tracce. A casa Fresu, a Gricciano di Montespertoli, rimangono i genitori di Angela e i suoi sette fratelli. Salvatore, il nonno, ricorda la sua nipotina: “Voleva sempre venire sul campo con me, in trattore”. Nella camera della figlia dissoltasi nel nulla, accanto al lettino di Angela, sono rimasti tutti i suoi giochi. Ma i nonni vogliono disfarsene al più presto possibile, per non piangere ogni volta che li vedono. Li daranno in beneficenza.
Cit. Vittoria Calabri e Lamberto Sapori.
ERRICA FRIGERIO IN DIOMEDE FRESA (57 anni, di Bari) – Quella mattina, nella sala d’aspetto della stazione di Bologna, Francesco, un ragazzo biondo di 14 anni, stava leggendo un fumetto. Assieme alla madre Errica e al padre Vito, attende il momento della partenza. Le valige sono pesanti: vestiti, costumi da bagno, magliette, scarpe da pallone; indicano che le attese vacanze sono finalmente arrivate. Vito era il direttore dell’Istituto di Patologia generale della Facoltà di Medicina di Bari. Un uomo colto, un ricercatore apprezzato per le sue sperimentazioni nella lotta contro i tumori. La signora Errica insegnava lettere presso l’Istituto per Geometri “Pitagora” di Bari. Unica superstite di questa famiglia Alessandra, studentessa universitaria.
Cit. Daniele Biacchessi.
MANUELA GALLON (11 anni, di Bologna) – Manuela con i genitori Natalia e Giorgio attendevano il treno: la dovevano accompagnare alla colonia estiva di Dobbiaco. I tre si trovavano vicino all’imbocco del sottopassaggio quando il padre, un saldatore delle ferrovie, si allontanò per andare a comprare un pacchetto di sigarette. Mamma e figlia lo aspettavano ridendo e chiacchierando. Giorgio Gallon perse tutto alla stazione di Bologna. Non sapeva ancora che la moglie Natalia e la piccola Manuela fossero in fin di vita: “La roba volava da tutte le parti. C’era un gran fumo e non si vedeva niente. Sentivo solo i colpi che mi arrivavano sulla schiena, quasi al buio. Avevo mia moglie da una parte e dall’altra la ragazzina che doveva andare al mare. Quando mi sono svegliato ero in questo letto, da solo”. Giorgio piange forte e continua a ripetere la stessa frase: “dov’è Natalia’ Dov’è la mia piccola Manuela’”. La piccola bara di legno chiaro sembrava irreale sotto il sole d’agosto. A Manuela Gallon hanno messo il vestito di pizzo della Prima Comunione. 11 anni. Se n’è andata senza aver vissuto nulla della vita, senza nemmeno conoscere il proprio destino. Giorgio Gallon guardò quella bara. Non credeva ai suoi occhi. Proprio lui, un tipo vitale era invecchiato in un solo colpo di almeno dieci anni. Se n’era andata Manuela mentre moriva Natalia, sua moglie. Di Manuela rimase un cuscino della quinta B, la sua classe. I suoi compagni di scuola vollero ricordarla così, per sempre. Poi arrivarono le parole di Don Idebo Vogli. “Ciao Manuela, ti salutano tutti i tuoi amichetti che ti aspettavano nella colonia di Dobbiaco, tutti i compagni di scuola. Non ti dimenticheremo mai. Ciao Manuela, arrivederci in cielo”.
Cit. Daniele Biacchessi
ELEONORA GERACI IN VACCARO (46 anni, di Scandiano, prov. Reggio Emilia) – Adele, 22 anni, è la giovane vedova di Vittorio, una delle vittime della sciagura del 2 agosto alla stazione di Bologna. Vittorio, operaio ceramista, era andato con la madre Eleonora ad aspettare una zia che arrivava da Palermo. L’esplosione li ha uccisi entrambi. I due giovani sposi vivevano a Casalgrande, con la loro bambina di 4 anni, Linda. Si erano sconosciuti a Rivabella di Rimini nel ’76. Si erano sposati e subito era nata Linda, occhi grigi e ricci neri. Celso, papà di Adele, ricorda: “ mi ha detto mia figlia per telefono quando da Bologna, dopo le prime notizie, le ho detto che di Vittorio e della suocera avevamo trovato solo l’auto, parcheggiata fuori dalla stazione. E credo che sia stata lei a darmi la forza di andare fra i morti, alla medicina legale.” Adele per lo choc è stata ricoverata in ospedale. A casa, una volta dimessa, l’attende la sua bambina, e la sua famiglia, che le si è stretta introno nel dolore. Cit. Il Resto del Carlino.
CARLA GOZZI (36 anni, di Concordia, prov. Modena) ed il fidanzato UMBERTO LUGLI (38 anni) -Carla e Umberto la mattina del 2 agosto erano alla stazione di Bologna, in attesa di partire per le vacanze: volevano andare alle Tremiti. La morte li ha trovati insieme, come stavano da anni, da quando, ragazzini, si erano conosciuti sui banchi di scuola a Carpi (Modena). Umberto abitava ancora a Carpi e si era messo a lavorare col fratello in merceria. Tiberio, il papà di Carla, racconta: “… Era così contenta di partire! Credo che sia arrivata alla stazione in anticipo; li aveva accompagnati il fratello di Umberto che poi doveva andare in negozio …”. Carla abitava coi genitori a Concordia, dove in suo ricordo restano tante conchiglie, che Carla aveva raccolto sulla spiaggia o comprato al mare.
La madre, Gina, in lacrime racconta: “Carla ci aiutava con il suo stipendio … [era] impiegata in un maglificio qui in paese. Diceva che stava bene con noi, e forse non si sarebbe sposata, pur volendo bene da anni ad Umberto. Carla era una ragazza tanto discreta, riservata, non le farebbe piacere che si parlasse troppo della sua vita …”.
Cit. Il Resto del Carlino.
ELISABETTA MANEA VED. DE MARCHI (60 anni, di Marano Vicentino) – La famiglia De Marchi è stata spezzata proprio quando le cose cominciavano finalmente a funzionare. Nella strage di Bologna sono rimasti uccisi la madre, Elisabetta Manea, di 60 anni, appena ripresasi da un delicato intervento chirurgico, ed il più giovane dei figli, Roberto, di 21 anni. Sono rimasti tre figli: Francesco, sposato con due bambini, impiegato comunale a Marano Vicentino; Mario, 28 anni, laureando in pedagogia (viveva con la mamma e il fratello minore); Angelo, 24 anni, sposato, operaio specializzato a Malo. Fuori alla casa di Marano Vicentino, c’è l’orto come l’ha lasciato la mamma; sul divano del soggiorno, la maglia sportiva di Roberto, rossa, con la scritta della sua squadra di pallavolo “Volley Sottoriva”. “Soprattutto la mamma – dice Mario –[…] ha avuto così poco quando era in vita! Rimasta orfana, si è cresciuta cinque fratelli, tutti più piccoli di lei. La stessa difficile situazione di donna sola a crescere quattro ragazzini si è ripetuta quando morì mio padre. Io avevo solo 16 anni”. Elisabetta e Roberto De Marchi hanno trovato la morte mentre erano in viaggio per raggiungere un paesino del barese. Elisabetta, dopo le molte insistenze dei figli, aveva accettato l’invito di una sua cognata, che passava qualche mese in Italia prima di far ritorno in Australia (tutti i fratelli Manea vivono là, emigrati da tanto tempo).  “Viaggiava in prima classe – racconta il figlio Mario – “Avevo faticato ad impormi per renderle meno penoso il lungo spostamento. Ma lei, a Bologna, aveva preferito fermarsi nella sala d’aspetto di seconda. Le avevamo anche consigliato di andare a vedere qualcosa della vostra bella città, o di andare a trovare una nostra parente. Non se la sarà sentita, e Roberto non ha voluto lasciarla sola”. Angelo racconta, con un tono spento, come hanno vissuto a Marano Vicentino le ore immediatamente successive alla notizia dello scoppio in stazione. “Mio fratello Mario ha sentito, casualmente, le prime notizie trasmesse per radio – dice -. Mi ha telefonato ed ho scoperto con orrore che l’orario era quello in cui mamma e Roberto si trovavano là. Nel primo pomeriggio eravamo già a Bologna. Abbiamo saputo quasi subito che Roberto era tra le vittime, ma non c’erano notizie della mamma. In serata, siamo partiti per Iesolo per portare di persona la notizia a Francesco. Siamo ritornati a Bologna la domenica mattina. Anche la mamma era stata ritrovata”.
Cit. Vittoria Calabri.
MARIA ANGELA MARANGON (22 anni) – Nata il 30 marzo 1958, a Rosolina (RO) aveva una sorella e due fratelli.
ROSSELLA MARCEDDU (19 anni, di Prarolo, prov. Vicenza) – La morte in stazione a Bologna di Rossella, 19 anni, ha provocato una catena di disgrazie nella sua famiglia. Pochi giorni dopo, il nonno materno, di 76 anni, sconvolto per la tragedia della nipotina, si è schiantato con l’auto nei pressi di casa. Due giorni dopo questo incidente, il papà di Rossella, Vezio, ufficiale dei carabinieri in pensione, è stato colpito da paralisi. Da tempo soffriva di ipertensione. A Prarolo di Vercelli la madre di Rossella, Maria annientata dal dolore, dopo la perdita della figlia, si trova a dover affrontare queste nuove sciagure. “Rossella – dice – era la gioia della casa. Sempre così piena di vita! Amava la vita tanto disperatamente che sembrava quasi sapesse di dover morire. Aveva tanti amici, e sono tanti quelli che la piangono qui a Vercelli”.  Il fidanzato Fabrizio, campione di scherma, è inconsolabile: domenica 3 agosto, se le cose fossero andate come dovevano, l’avrebbe rivista, viva, nella sua casa di Nervi. Rossella Marceddu era con papà e con la sorella Sabrina, di 16 anni, in vacanza al Lido degli Estensi. Rientrava prima degli altri a Prarolo proprio per raggiungere Fabrizio. Viaggiava con una sua amica, Arianna Raccanelli. Per far contento papà aveva lasciato la moto per il treno “un mezzo molto più sicuro”. A Bologna, aspettava sul quarto binario il treno che l’avrebbe condotta a Milano. La giornata era particolarmente afosa: Le ragazze erano già da molto tempo in attesa: Rossella disse allora all’amica che sarebbe andata a prendere qualcosa di rinfrescante al bar. I suoi non ne hanno saputo più nulla. Arianna si mise subito in contatto con la sua famiglia; disse che era esplosa una bomba alla stazione di Bologna, che lei stava bene ma che non riusciva a trovare Rossella. Rossella Marceddu, che aveva ultimato il primo anno di un corso per assistente sociale a Mortasa, fin da giovinetta aveva deciso di dedicare la sua vita alla cura dei bambini handicappati: un amore al quale non era mai venuta a meno. Così, i genitori devolveranno parte della somma di solidarietà a loro consegnata ad un istituto di Vercelli che si occupa dei bambini handicappati: la ricorderanno nel modo più bello, facendo ciò che lei stessa avrebbe fatto.
Cit. – Vittoria Calabri
ANGELA MARINO (23 anni, di Ravenna), DOMENICA MARINO (26 anni) – Tre fratelli: Leo Luca, 24 anni, Angelina, più giovane di un anno, e Domenica di 26 anni. Giovedì dopo la strage tutto il loro paese, Altrofonte (Palermo) ha partecipato ai loro funerali. Quel sabato Angelina e Domenica erano giunte da Altofonte a Bologna, dove le attendeva il fratello (che da cinque anni viveva a Ravenna con un’altra sorella sposata, facendo il manovale). C’era anche la fidanzata di lui, Antonella Ceci, 19 anni e un fresco diploma di maturità chimico-tecnica. Proprio per conoscere la futura cognata le due sorelle erano partite verso il Nord. Ad Altofonte, nella piccola e vecchia casa in cui abita Maria, la madre dei tre ragazzi, a condividere il dolore con lei ci sono tre dei quattro figli che le sono rimasti. La quarta, Giuseppina, è rimasta a Ravenna, dove vive col marito. Il colpo è stato troppo forte, i medici hanno proibito a Maria di muoversi. In un angolo, suo marito mastica tra sé una frase in dialetto, fuggendo gli sguardi di tutti. “Dice che ha il demonio dentro – spiega Giovanni, uno dei figli – Sono vent’anni che mio padre ripete queste parole, ogni volta che entra od esce dal manicomio. Ora vive qui; i dottori non volevano che venisse a casa. Ho dovuto mettere una firma. E’ stato riconosciuto invalido al cento per cento, ma non prende un soldo di pensione. La domanda l’abbiamo fatta da anni, ma qui ci prendono in giro”. Giovanni fa il muratore, come suo fratello Salvatore, e come il povero Leo Luca, che per guadagnarsi il pane se n’era andato a Ravenna. Ad Altofonte quasi tutti i giovani sono manovali, ma di occupazione ce n’è poca. Ogni tanto arriva la camionetta di un “caporale” a caricare i più robusti, ad imporre il vecchio ricatto di un lavoro “nero” e sottopagato.  Giovanni è l’unico che trovi la forza di parlare della tragedia. “Mio fratello Salvatore – racconta – aveva sentito alla radio che a Bologna era scoppiata la bomba. Abbiamo pensato che Angelina e Domenica potevano essere là e che forse c’era anche Leo Luca con la fidanzata. Le disgrazie capitano sempre ai disgraziati. Mio fratello e mio cognato sono partiti subito, prima ancora di sapere. Nel pomeriggio qualcuno ci ha telefonato da Bologna: avevano trovato la carta d’identità di Mimma. Poi, da sotto le macerie, hanno estratto i corpi, uno dopo l’altro: Domenica, Leo Luca, Angelina, e anche Antonella”. “Ora – prosegue Giovanni – mia madre è rimasta sola. Viveva con Mimma e Angelina, lavoravano tutte e tre. Mimma faceva la domestica a ore, come la madre. Angelina era impegnata nello studio di un dentista. I soldi erano sempre pochi, ma tiravano avanti. Ma ora la mamma è distrutta, non so se avrà ancora la forza di lavorare”. Cit. Il Resto del Carlino.
PATRIZIA MESSINEO (18 anni, di Bari) – Il 2 agosto, alla stazione di Bologna c’erano tre nuclei familiari, parenti fra loro: Rosalia Serravalli, con la figlia Patrizia Messineo; Angelo Burri, marito di Rosalia e padre della piccola Sonia; Silvana Serravalli, sorella di Rosalia con le sue due bambine Alessandra e Simona Barbera. Con loro c’erano anche i nonni Luigi e Grazia Serravalli. Nella sala d’aspetto, quella mattina, tutti sono sempre più impazienti. Giocano, scappano, si nascondono poi si riprendono. ” Dai…non mi prendi…non sai correre”. Aspettano così il treno per Roma. Ma dopo gli schiamazzi c’è l’angoscia di un giovane padre che attende la figlia.  E’ appoggiato ad una colonna. “Non so, non mi chieda, cerco mia figlia, Patrizia. Doveva tornare con me ieri sera, ma ha voluto fermarsi a Parma per andare a ballare in discoteca, Mi ha detto di venirla a prendere qui, alle 10,30, sul piazzale della stazione. Non la trovo. Dov’è?”. Patrizia Messineo, diplomata in ragioneria aveva 18 anni, una vita davanti, speranze, voglia di vivere, sogni.
Cit. – Daniele Biacchessi.
CATHERINE HELEN MITCHELL (22 anni, Gran Bretagna) con il suo fidanzato JOHN ANDREW KOLPINSKI  – John e Catherine erano due giovani fidanzati inglesi, erano in viaggio per l’Europa, prima di iniziare le loro carriere. Si erano laureati poche settimane prima e avevano deciso di partire insieme per un periodo di vacanza. Avevano preparato gli zaini, i sacchi a pelo, alcuni indumenti fra cui il costume da bagno probabilmente da indossare sulle spiagge italiane, poche stoviglie e alcuni arnesi da campeggio, una sveglia e le macchine fotografiche. Il 2 agosto la loro vacanza li aveva portati a Bologna. Anche loro, come molti altri, stavano aspettando il treno.Nel loro Paese, in loro ricordo, il Vice – Cancelliere ha piantato un albero nel giardino della Arts Court, dove i due giovani avevano frequentato le lezioni universitarie. Alla cerimonia hanno partecipato i rappresentanti di molte facoltà universitarie, le famiglie dei due ragazzi. L’albero è stato donato da Kinving Geographical Society come segno di solidarietà da parte dello staff e dei soci che hanno studiato presso quell’Università.
LOREDANA MOLINA IN SACRATI (44 anni, di Ostra, prov. Ancona) ed ANGELICA TARSI (72 anni) – Quando la bomba ha fatto crollare la stazione di Bologna, Angelica si trovava sul marciapiede del primo binario assieme alla nuora Loredana e al nipotino Paolo. Fuori dalla stazione era rimasto suo figlio, Dario, papà di Paolo: non aveva trovato subito parcheggio e così aveva chiesto alla moglie Loredana di accompagnare al treno il resto della famiglia. Da fuori, Dario, ha sentito il boato, ha visto pezzi di muro volare come piume. La madre e la moglie gli sono morte sotto agli occhi, sepolte sotto metri di macerie; il figlio è rimasto ferito. Angelica avrebbe dovuto accompagnate il suo nipotino in vacanza, a Ostra (Ancona), a casa di sua sorella Cardina. Anche Angelica era originaria di Ostra, ma venti anni prima si era trasferita a Bologna: Dario durante il servizio militare di leva a Bologna, si era fidanzato con una bolognese, Loredana. I due si erano poi sposati e Dario trovò lavoro in questa città, così la madre lo seguì. Vivevano tutti insieme, assieme ai figli Walter, Tiziana, e il più giovane Paolo. Quel giorno il treno per Ancona sarebbe dovuto partire alle 10:55: la famiglia Sacrati era arrivata in stazione in anticipo per fare i biglietti e caricare le valige con comodo. Ma dopo la coda alla biglietteria e la corsa verso il treno fra la calca dei viaggiatori, ci fu l’esplosione.
NILLA NATALI (25 anni, di Bologna) – Nilla era dipendente della CIGAR, viveva coi genitori, Gino, collaudatore di auto in pensione ed Elide, casalinga. Nilla era in procinto di sposarsi, aveva già ordinato i mobili su misura per la cucina della sua futura casa, ma essi rimarranno inutilizzati.
LIDIA OLLA IN CARDILLO (67 anni, di Cagliari) – Pasquale Cardillo, 67 anni, è ricoverato all’ospedale Maggiore, Ha ustioni diffuse in tutto il corpo, di secondo e terzo grado. Sua moglie Lidia è morta istantaneamente, ma lui non lo sa ancora. Gli hanno detto che è molto grave.I due coniugi erano partiti da Cagliari per una vacanza che era anche un periodo di convalescenza, per il signor Cardillo. Soffriva di sbalzi di pressione e il medico aveva suggerito un po’ di riposo. Sarebbero dovuti andare a Cavalese, dove una sorella della scomparsa era già lì da qualche giorno. Erano partiti da Cagliari in treno alla volta di Olbia; poi in nave, erano arrivati a Civitavecchia. La figlia Rosalba li aveva accompagnati fin là; poi si erano separati: Rosalba per andare da una zia a Livorno, i genitori per raggiungere Bologna prima e, quindi la località del Trentino. Sabato mattina i due coniugi erano nella sala d’aspetto di prima classe: l’attesa fra un treno e l’altro sarebbe stata di un paio d’ore. Dopo un po’ di tempo il signor Cardillo si tolse la giacca e l’appoggiò accanto alla moglie, sul sedile, dicendole: “Vado a controllare se il treno ha ritardo”. Fece appena in tempo ad uscire quando l’esplosione avvenne. Fu scaraventato sotto il treno in sosta al primo binario e si è risvegliato al Maggiore, ustionato in tutto il corpo e con numerose ferite. La figliola, a Livorno, ha appreso dalla televisione di ciò che era successo a Bologna e, sapendo che i genitori sarebbero dovuti rimanere in attesa a lungo, ha immaginato il peggio. Ha telefonato agli ospedali e dalla questura ed ha saputo che il padre era ricoverato in gravi condizioni. Della madre, invece, nessuna notizia. Purtroppo era già morta all’istante. E’ toccato proprio a Rosalba identificarla all’Istituto di medicina legale. Ora Pasquale, che è un pensionato delle Ferrovie, dovrà rimanere ancora ricoverato a lungo. Quando sarà guarito, tornerà con Rosalba nella casa di Cagliari, dove non c’è più nessuno ad attenderli.
VINCENZINA SALA IN ZANETTI (50 anni, di Bologna) – Vincenzina era alla stazione col marito, Umberto, con la suocera, Bruna, e il nipotino Marco, di sei anni. I nonni erano andati assieme al nipotino a prendere la mamma di Marco, che rientrava da Basilea. L’esplosione li ha divisi, portandosi via Vincenzina e ferendo gravemente gli altri nonni e Marco. Umberto ricorda: “Ero tutto eccitato, felice, pronto ad accogliere mia figlia Daniela che rientrava da Basilea dove era stata sottoposta a un difficile intervento chirurgico al bacino. E’ la mamma di Marco. Avevo preparato tutto per il suo arrivo. Un vigile si prendeva cura della mia auto, lasciata in sosta vietata. Per fare prima, tenevo le chiavi in mano; avevo prenotato un facchino, il n. 66, che sarebbe venuto al treno con la carrozzella, perché mia figlia non poteva sforzare le gambe. Il treno di Daniela portava un ritardo di tre ore, ma l’avrei saputo soltanto molto tempo dopo. C’è stata l’esplosione”. Della moglie Vincenzina, Umberto, non se la sente ancora di parlare. Non ha più voluto vedere una sua fotografia. Si erano conosciuti a Cianciano: lui per curarsi il fegato, lei, una giovinetta pavese che accompagnava la madre alle acque. Dopo due anni di su e giù, ogni fine settimana, si erano sposati. L’anno scorso in giugno avevano festeggiato le nozze d’argento. “E’ stata una brava moglie – sono le uniche cose che Umberto dice a riguardo- e mi ha dato due figlie meravigliose.
Cit. Il Resto del Carlino.
SILVANA SERRAVALLI IN BARBERA (34 anni, di Bari) – Il 2 agosto, alla stazione di Bologna c’erano tre nuclei familiari, parenti fra loro: Rosalia Serravalli, con la figlia Patrizia Messineo; Angelo Burri, marito di Rosalia e padre della piccola Sonia; Silvana Serravalli, sorella di Rosalia con le sue due bambine Alessandra e Simona Barbera. Con loro c’erano anche i nonni Luigi e Grazia Serravalli. Rimangono uccise nella strage la piccola Sonia Burri, la sorella maggiore Patrizia Messineo, loro zia Serravalli Silvana, insegnante elementare presso una scuola di Bari, gravemente ferite e ustionate rimangono le sue figlie Alessandra e Simona.
RITA VERDE (23 anni, di Bologna) – Padre: Verde Domenico, Madre: Negrini Bruna, Fratelli: Morena e Gianni. Rita era nata a Bologna il 23/5/1957. Domenico ha fatto richiesta all’Ufficio di quartiere per l’inserimento della moglie in una attività lavorativa, che le consenta di uscire dall’ambiente famigliare, di distrarsi dal pensiero della morte della figlia, che ha determinato in lei uno stato di profonda depressione…

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