29/07/18

In morte di Sergio Marchionne e in ricordo di Maria Baratto

Maria Baratto era una operaia Fiat di 47 anni
Maria Baratto viveva da 6 anni con la spada di Damocle del licenziamento: in cassa integrazione con 800 euro al mese, si è ammazzata poco prima che le scadesse.
Maria Baratto faceva parte del Comitato mogli operai di Pomigliano, era un'operaia sgradita alla FIAT, per questo fu deportata da Marchionne nel reparto-confino di Nola insieme ad altri 316 lavoratori, perché non avessero più contatti con gli altri operai.
A 20 chilometri dallo Stabilimento di Pomigliano, nel reparto desolato e improduttivo di Nola, si mandavano infatti gli operai più scomodi, quelli sindacalizzati, per punirli, umiliarli, annichilirli. Pur di isolarli dagli altri operai di Pomigliano, la Fiat li pagava per non lavorare.
Diversi lavoratori, confinati a Nola in Fiat, si sono ammazzati prima di Maria.

In una lettera del 2011, intorno a questi suicidi, in realtà omicidi padronali, Maria scriveva:
"Non si può continuare a vivere per anni sul ciglio del burrone dei licenziamenti. L'intero quadro politico istituzionale che, da sinistra a destra, ha coperto le insane politiche della Fiat è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali.
Dopo aver lucrato negli anni scorsi finanziamenti pubblici multimiliardari, lo speculatore Marchionne chiude e ridimensiona le fabbriche Italiane e delocalizza la produzione all’estero per fare profitti letteralmente sulla pelle dei lavoratori che sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine ed a un futuro di disoccupazione."

Ma Maria Baratto non ha retto a tutto questo e il 21 maggio del 2014 si è uccisa, colpendosi più volte con un coltello all’addome. Il suo corpo fu trovato dopo 4 giorni in una pozza di sangue, nel piccolo appartamento ad Acerra, dove viveva da sola.

Maria è una delle tante vittime invisibili della violenza padronale della Fiat. Non un eroe, come la borghesia si affanna ad osannare il mandante del suo assassinio, ma martire della guerra dei capitalisti contro la classe operaia.

E' tempo che la classe operaia si organizzi per rispondere a questa guerra e per vincerla, perché i veri eroi sono le masse, non gli uomini del capitale che le sfruttano.

Dall'editoriale di Proletari Comunisti del 27.07.18, "In morte di Marchionne":


La morte annunciata di Sergio Marchionne ha rilanciato tutta la borghesia e i suoi organi di stampa e reti televisive in una glorificazione, a cui si è associato anche il presidente fascio-imperialista Trump che lo ha paragonato addirittura ad Henry Ford.
E’ indubbio che Marchionne ha meritato gli elogi del capitale, e ne ha rappresentato gli interessi ben oltre la vicenda del gruppo Fiat.
Egli ha interpretato in maniera quasi esemplare il suo carattere di “funzionario del capitale”.
Pur essendo un manager, ha incarnato gli interessi dei padroni, meglio dei padroni stessi; ha preso la Fiat in una situazione di crisi, l’ha, per così dire, salvata e ha giostrato nello scontro e nelle alleanze realizzando, con la fusione con la Chrysler, una operazione che ha salvato i profitti degli Agnelli e quelli dei padroni americani che anch’essi si trovavano di fronte alla crisi di Detroit.
Certo è stato uno dei manager meglio pagati al mondo, ma è sbagliato ridurre tutta l’operazione ai suoi lauti guadagni. Marchionne ha impresso uno stile personale che i padroni in quanto tali e i loro governi non potevano in nessuna maniera realizzare. Ha dato a tutta la vicenda un’anima, e in questo indubbiamente i padroni non possono che essergli eternamente grati, e il suo posto è sicuro nella storia concreta del capitalismo italiano, nella storia dell’industria dell’auto.
E ora con la sua morte sicuramente si apre un vuoto, ben oltre gli indici di Borsa, ma proprio quello lasciato da un funzionario esemplare del capitale che ha colto e cercato di realizzare l’essenza del modo di produzione capitalista e delle leggi del capitale.
Il profitto dipende dall’estorsione del plusvalore e dalla sua realizzazione nel mercato mondiale; il profitto si fonda sullo sfruttamento dei lavoratori. Lo sfruttamento degli operai domanda un comando assoluto e dispotico della forza lavoro, incompatibile con diritti e sindacalismo di classe.
Quella di Marchionne è stata una guerra, una guerra di classe contro la la classe operaia, condotta con radicalità e senza scrupoli, schierando intorno a sé tutte le figure del sistema del capitale, in primo luogo i governi, quindi l’apparato dello Stato e sopratutto in forma decisiva le organizzazioni sindacali come espressione dell’aristocrazia operaia, come puntello del capitale.
E lì che le qualità di Marchionne hanno dimostrato la loro vera natura e messo a nudo le leggi di fondo di questo sistema.
Marchionne è stato l’interprete del fascismo padronale nella forma più pura, in una situazione in cui l’instabilità dei governi e le contraddizioni dello Stato e nello Stato non lo permettevano lo rendevano difficile..

Sul Sole 24Ore 26 luglio si legge: “Addio a Sergio Marchionne, outsider e uomo di sistema”. Alberto Bombassei parla di un “manager rivoluzionario per finanza e industria”; Gian Maria Gros-Pietro di “sintesi perfetta di strategia e tattica”; il Presidente della Confindustria di  “Uomo di rottura e di innovazione”. E’ tutto vero dal punto di vista dei padroni.
Abbiamo analizzato in un libro – di cui raccomandiamo umilmente la lettura – giorno per giorno, nella fase più acuta della guerra di classe negli stabilimenti Fiat, quali siano stati gli effettivi effetti di questo in fabbrica.
Ora bisogna, però, guardare alle condizioni che hanno permesso a Marchionne di incarnare in questa forma gli interessi di fondo, strategici e tattici del capitale.
Marchionne è stato il capo di stato maggiore della guerra antioperaia, ma gli operai Fiat non sono riusciti ad opporre ad esso un proprio “stato maggiore”, una propria organizzazione di classe dotata di una strategia e tattica per combattere questa guerra.
La fine e l’assenza del partito di classe, il cambio di natura del sindacalismo in fabbrica, la inadeguatezza delle tenaci e combattive avanguardie di fabbrica, organizzate o no nei sindacati di base, sono stati gli inevitabili compagni di strada dell’affermazione di Marchionne.
La morte drammatica di Marchionne è l’occasione per fare un’analisi e un bilancio di parte operaia, delle ragioni interne alla classe e alle sue organizzazioni che hanno permesso a Marchionne di essere grande.
Le reazioni nelle fabbriche Fiat alla sua morte restituiscono una fotografia di questo stato delle cose, tra operai dispiaciuti o che vedono a rischio il loro futuro e avanguardie che sottolineano in forma giusta ma scontata i danni di Marchionne alla classe operaia e al movimento sindacale di classe. Questa fotografia dimostra che c’è ancora molto lavoro ideologico, teorico, politico, organizzativo da fare perchè gli operai possano riprendere, sulle ceneri di una sconfitta storica, le armi per una controffensiva.
Le condizioni materiali attuali del gruppo Fiat e il vuoto di progetto e comando creato dalla morte di Marchionne favoriscono, però, l’emergere non della forza del gruppo Fiat ma la nuova fase di crisi profonda che si avvicina.
Gli uomini del capitale restano giganti dai piedi di argilla, i veri eroi sono le masse.
E’ tempo di dimostrarlo.

proletari comunisti – PCm Italia
27 luglio 2018

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